Mediterraneo - Fondazione per la Sussidiarietà

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Mediterraneo
Mare Nostrum
Il futuro papa Joseph Ratzinger, in una Lectio Magistralis dal titolo Europa, suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani, pronunciata il
13 maggio 2004 in seno a un incontro organizzato dalla Fondazione
Magna Charta, ha così riassunto l’identità del Mediterraneo fino al settimo secolo. «L’Europa non
è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, ma è invece un concetto culturale e
storico. (...) Di fatto con la formazione degli stati ellenistici e dell’Impero Romano si era formato
un continente che divenne la base della successiva Europa, ma che esibiva tutt’altri confini: erano
le terre tutt’attorno al Mediterraneo, le quali in virtù dei loro legami culturali, in virtù dei traffici e
dei commerci, in virtù del comune sistema politico formavano le une insieme alle altre un vero e
proprio continente. Solo l’avanzata trionfale dell’Islam nel VII e all’inizio dell’VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà, cosicché tutto ciò
che fino ad allora era stato un continente si suddivideva adesso oramai in tre continenti: Asia,
Africa, Europa».
La religione cristiana, sottolinea ancora l’allora cardinale Ratzinger, rappresentava il collante spirituale e identitario dell’intero bacino del Mediterraneo. «Certamente ci sono anche sufficienti elementi unificanti, che possono fare dei due mondi un unico, comune continente: in
primo luogo la comune eredità della Bibbia e della Chiesa antica, la quale del resto in entrambi
i mondi rinvia al di là di se stessa verso un’origine che ora giace al di fuori dell’Europa, e cioè in
Palestina; inoltre la stessa comune idea di Impero, la comune comprensione di fondo della
Chiesa e quindi anche la comunanza delle fondamentali idee del diritto e degli strumenti giuridici; infine io menzionerei anche il monachesimo, che nei grandi sommovimenti della storia è
rimasto l’essenziale portatore non solamente della continuità culturale, bensì soprattutto dei fondamentali valori religiosi e morali, degli orientamenti ultimi dell’uomo, e in quanto forza pre-politica e sovra-politica divenne portatore delle sempre nuovamente necessarie rinascite».
La testimonianza di papa Benedetto XVI conferma quanto il Mediterraneo sia stato storicamente un mare interno a un bacino comune sul piano della civiltà, della religione, del sistema
di valori, della cultura. Questo lembo d’acqua dalla superficie poco più grande dell’Algeria,
di Magdi Allam
È VICE DIRETTORE AD PERSONAM DEL CORRIERE DELLA SERA. SI OCCUPA NELLA VESTE DI EDITORIALISTA E
INVIATO SPECIALE DEGLI EVENTI POLITICI, ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI DELL’AREA MEDIORIENTALE,
COMPRESE LE TEMATICHE TRASVERSALI QUALI IL TERRORISMO, L’ISLAM, L’IMMIGRAZIONE, IL CONFRONTO TRA LE
CIVILTÀ E I RAPPORTI NORD-SUD. COME SOCIOLOGO SI È SPECIALIZZATO NELLO STUDIO DELLE COMUNITÀ
MUSULMANE. CURA IL FORUM NOI E GLI ALTRI SUL SITO WWW.CORRIERE.IT/ALLAM. COLLABORA COME
COMMENTATORE ALLA TV LA 7. NATO AL CAIRO NEL 1952, È LAUREATO IN SOCIOLOGIA ALL’UNIVERSITÀ LA
SAPIENZA DI ROMA DOVE COLLABORA TENENDO CORSI E SEMINARI SULLA CULTURA E LA SOCIETÀ NELL’ISLAM.
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sopravvissuto al bacino della Tetide che 180 milioni di anni fa separava il continente boreale da
quello australe, si presenta come lo specchio in
cui si riflette la storia dei Paesi che vi si affacciano
e come il crogiolo in cui si fondono le civiltà dei
diversi popoli che vi hanno transitato. Nel
Mediterraneo i punti di riferimento geografici e
storici si intersecano, si confondono, si amalgamano dando vita a un contesto geopolitico unitario. La storia dei popoli della sponda meridionale
del Mediterraneo è la storia dei loro rapporti con i popoli della sponda settentrionale e orientale, fatta di guerre, occupazioni, emigrazioni, commerci, civilizzazioni e cooperazione.
Sulla sponda meridionale del Mediterraneo, il Marocco, l’Algeria, la Tunisia e la Libia fanno
parte di un insieme geopolitico denominato Maghreb, letteralmente Occidente, che in arabo è
anche il nome proprio del Marocco. Si tratta di una unità che affonda le sue radici nella comune
etnia originaria delle odierne popolazioni, quella berbera, e in una storia comune che ha spesso
visto convivere forme di autogoverno berbero con le dominazioni dei fenici, dei cartaginesi, dei
macedoni, dei romani, dei vandali, dei bizantini, degli arabi, dei turchi e infine di quelle europee
francese, italiana e britannica. I berberi, popolazione di tipo camitico probabilmente di origine
euro-asiatica, devono il loro nome all’attributo “barbari” con cui li qualificarono i romani per
intendere che erano estranei alla loro civiltà, poi traslitterato in arabo come berber. Loro preferiscono chiamarsi imazighen, plurale di amazigh, che significa uomini liberi. Spiriti fieri e indipendenti, i nomi dei popoli berberi compaiono nelle scritture egiziane sin dal 3000 a.C. All’epoca
disponevano già di un alfabeto, il Tifinagh, forse ancora precedente a quello fenicio che viene
considerato il primo alfabeto umano, e che è ancora usato dai berberi tuareg nel sud dell’Algeria.
I berberi offrono esempi significativi del fitto intreccio della storia dell’Africa settentrionale e quella delle altre due sponde del Mediterraneo confermando il contesto geopolitico unitario. Nel 950 a.C. una dinastia berbera libica conquistò il potere in Egitto e nel 918 a.C. il faraone
berbero libico Scescionq I della XXII dinastia conquistò la Palestina. Il berbero Massinissa (240148 a.C.), re di Numidia, prima combattè con i cartaginesi in Spagna, poi si alleò con i romani
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La realtà multietnica,
multiconfessionale e
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dell’identità nazionale
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quando Scipione Africano nel 204 a.C. sbarcò in Africa. Il suo successore Giugurta (160-104 a.C.)
si scontrò invece con i romani da cui fu fatto prigioniero e ucciso a Roma.
Di fatto i romani con quasi sei secoli di permanenza nella Numidia o Africa Nova annessa
all’impero da Giulio Cesare nel 46 a.C. l’hanno occupata più a lungo di tutti gli altri popoli e innumerevoli sono le testimonianze della loro civiltà che ancora oggi possiamo ammirare a Tebessa,
l’antica Theveste, Timgad, l’antica Thamugadi, Tipaza, l’antica Cuicul, Cartagine in Tunisia. E
ovviamente Leptis Magna, la seconda Roma del Mediterraneo, sulla costa occidentale libica.
Berbero libico di Leptis Magna era l’imperatore Lucio Settimio Severo (146-211), sposato con una
siriana, che diede inizio alla dinastia dei Severi.
Suo contemporaneo era il Papa San Vittore I (189-199) anch’egli berbero. Santo è diventato pure il vescovo di Cartagine, il berbero San Cipriano (205-258). E uno dei più insigni padri
della Chiesa, Sant’Agostino (354-430) era un berbero nato a Tagaste, oggi Souk Ahras, e morto a
Ippona, oggi Bona in Algeria. Autori cristiani erano ugualmente i berberi Tertulliano Quinto
Settimio Florente (morto nel 327) e Arnobio (Cartagine, 160-220). A Lucio Settimio Severo succedette il figlio Caracalla che nel 212 pubblicò la Constitutio Antoniana con cui concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero, mentre a Roma nel terzo secolo la maggioranza dei
senatori era di origine africana. Berberi erano anche gli scrittori di lingua latina Lucio Apuleio
(Madaura, 125 - Cartagine, 170) e Marco Cornelio Frontone (Cirta, 110 - Roma, 170).
Probabilmente il capolavoro dei berberi è stata la fagocitazione della civiltà islamica,
imposta dagli eserciti della Penisola Arabica, la sua rielaborazione e riappropriazione in una veste
nuova dando vita alle potenti dinastie berbere islamiche degli Almoravidi (XI-XII secolo) e degli
Almohadi (XII-XIII secolo) che unificarono il Maghreb e conquistarono la Spagna trasformandola
nel centro culturale e scientifico d’Europa, pur mantenendo una posizione di sostanziale autonomia dal potere centrale dei califfi arabi di Bagdad e del Cairo.
E se si guarda all’Egitto troviamo che nella millenaria storia dei faraoni alle dinastie egizie
si sono accavallate le dinastie straniere degli hyksos, dei berberi libici, dei sudanesi, degli assiri,
dei persiani, dei greci, dei macedoni e infine dei romani. Tutte queste civiltà hanno arricchito
quella egizia e nello stesso tempo si sono egizianizzate rinnovando e perpetuando la più affascinante civiltà dell’uomo. E più in generale se guardiamo al Mediterraneo scopriamo che nella sua
millenaria storia le civiltà delle sue sponde si sono incontrate, scontrate e integrate, tramite le
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Veduta dell'Acropoli di Atene
reciproche aggressioni e occupazioni militari, il commercio di beni e l’emigrazione delle genti, la
diffusione delle religioni e il confronto tra le culture.
Dalle coste dell’Africa settentrionale sono partiti gli eserciti musulmani aghlabita e fatimide che dall’827 per due secoli e mezzo hanno occupato la Sicilia trasformandola nel “Giardino
d’Europa”, così come in precedenza nell’VIII secolo a.C. i fenici e i cartaginesi si insediarono in
Sicilia, Sardegna e Corsica. La realtà multietnica, multiconfessionale e multiculturale degli imperi
e delle civiltà che hanno fatto la storia del Mediterraneo è un invito alla riflessione a quanti affrontano oggi la questione dell’identità nazionale temendo le contaminazioni esterne e tentando di
erigere barricate tra le sponde del Mediterraneo.
La storia del Mediterraneo conferma che la contaminazione è stata il tratto saliente delle
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(
varie civiltà che vi si sono succedute. Una contaminazione che è nel
DNA di milioni e milioni di persone
che nel corso dei secoli si sono trasferite da una sponda all’altra.
Pensate che fino al 1940 sulla sponda meridionale del Mediterraneo
risiedevano in pianta stabile più di
300 mila italiani. Che non erano
degli immigrati ma parte integrante di un tessuto sociale, economico
e spirituale persistente da generazioni. Proprio il Mediterraneo ci
insegna che la storia dell’uomo coincide con la storia della migrazione dell’uomo. Una contaminazione che inesorabilmente finisce anche per essere nel DNA delle civiltà, delle religioni, delle
culture e delle lingue che hanno fatto la storia del Mediterraneo.
Ebbene oggi si intravede una luce di speranza. La speranza in un Mediterraneo che potrà
tornare ad essere un bacino comune di civiltà umana, di un sistema di valori condivisi. C’è un
orientamento, forse poco vistoso ma fondato, verso l’affermazione di una comune cultura della
vita e della pace, che rappresenta di certo la base forte di un’intesa e della ricomposizione di un
quadro unitario, incentrato sul valore della sacralità della vita di tutti. È questa la direzione verso
cui si incamminano i popoli musulmani che si stanno man mano ribellando, sempre più apertamente, al nichilismo e alla ferocia del terrorismo di matrice islamica che ormai miete la gran parte
delle sue vittime tra gli stessi musulmani. Ed è questa anche la direzione che la Chiesa auspica
per l’Europa che, nelle parole di papa Ratzinger, «per sopravvivere, ha bisogno di una nuova, certamente critica e umile, accettazione di se stessa», e quindi «lo possiamo fare soltanto se il sacro,
Dio, non è estraneo a noi stessi». È stupefacente e lascia ben sperare il fatto che oggi l’appello
di Benedetto XVI alla riscoperta del sacro coincida con la volontà dei musulmani di far primeggiare il valore della sacralità della vita, così come più in generale è in sintonia con una grande
voglia di riferimenti spirituali e identitari da parte degli stessi laici.
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