Il cuore delle donne “palpita” di più?

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Il cuore delle donne “palpita” di più?
Maria Grazia Bongiorni, Luca Paperini, Stefano Viani, Andrea Di Cori, Giulio Zucchelli, Ezio Soldati
U.O. Malattie Cardiovascolari 2, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa
Recent publications have identified a different epidemiological prevalence related to sex in some of the most
common supraventricular and ventricular arrhythmias. This fact is attributed to the effect of sex hormones on
myocardial cell electrophysiology. Women, in particular, have a higher prevalence than males with regard to
intranodal reentrant tachycardia, idiopathic monomorphic ventricular tachycardia and ventricular arrhythmias
in congenital or acquired long QT syndrome. A higher incidence in females with regard to complications during atrial fibrillation has also been reported.
This paper examines data from the literature regarding gender differences in the prevalence of the most common arrhythmias, the causes of these differences, and some discriminating aspects related to female sex in
the architecture of published clinical studies.
Key words. Atrioventricular nodal reentry tachycardia; Cellular electrophysiology; Idiopathic ventricular tachycardia.
G Ital Cardiol 2012;13(6):440-447
PREMESSA EPIDEMIOLOGICA
Il titolo di questo lavoro potrebbe indurre a “sorridere”: è, infatti, opinione abbastanza diffusa non solo tra i cardiologi aritmologi ma anche nei clinici e nella popolazione generale che
l’incidenza delle aritmie cardiache sia maggiore nel sesso femminile rispetto a quello maschile. Recentemente sono stati resi
noti dati epidemiologici che avvalorano tale “luogo comune”.
Nel 1998 venivano pubblicati i dati relativi alla prevalenza di tachicardia sopraventricolare nella popolazione di una città americana di medie dimensioni (circa 50 000 abitanti, Marshfield,
Wisconsin) negli anni compresi tra il 1979 e il 1991: nei 12 anni di osservazione la prevalenza di tachicardia sopraventricolare
documentata risultava del 2.25/1000 mentre l’incidenza di nuovi casi risultava dello 0.35/1000 abitanti nell’area. Ma il dato che
ci preme sottolineare era che dei nuovi casi descritti il 70% era
di sesso femminile; in altri termini le donne avevano un rischio
di avere nuovi episodi di tachicardia sopraventricolare doppio rispetto ai maschi [rischio relativo 2.0; intervallo di confidenza (IC)
95% 1-4.2]. Inoltre i nuovi casi di tachicardia sopraventricolare
in pazienti senza precedente diagnosi di malattia cardiovascolare (intesa come ipertensione arteriosa, coronaropatia, scompenso cardiaco, valvulopatia, fibrillazione atriale, flutter atriale,
malattia atriale, cardiopatia congenita, pericardite) si verificavano per la quali totalità nelle donne (92% femmine vs 8% maschi), mentre la differente incidenza legata al sesso si perdeva nei
soggetti con tachicardia sopraventricolare e precedente diagnosi
di malattia cardiovascolare (55% femmine vs 45% maschi)1.
I dati relativi alle visite presso i dipartimenti di emergenza-urgenza delle strutture ospedaliere degli Stati Uniti nel periodo
© 2012 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 30.01.2012; accettato 23.04.2012.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Luca Paperini U.O. Malattie Cardiovascolari 2, Azienda
Ospedaliera Universitaria Pisana, Via Paradisa 2, 56124 Pisa
e-mail: [email protected]
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compreso tra il 1993 ed il 2003 confermano la prevalenza del
sesso femminile nei casi di tachicardia sopraventricolare: su una
media di 50 000 visite/anno per episodi di tachicardia sopraventricolare (con una media di 1.8 visite ogni 10 000 abitanti) la
maggior parte era di sesso femminile, di età <65 anni e di razza
bianca. In particolare, il 70% dei casi di tachicardia sopraventricolare che venivano diagnosticati nei dipartimenti di emergenzaurgenza degli Stati Uniti era di sesso femminile (IC 95% 60-81)2.
Al contrario, un effetto protettivo da parte del sesso femminile risulta presente quando parliamo di aritmie ventricolari,
ed in particolare di morte cardiaca improvvisa. Tale effetto protettivo, tuttavia, manifesta negli ultimi decenni un chiaro trend
di riduzione.
Nello studio Ore-SUDS (The Oregon Sudden Unexpected
Death Study) venivano registrati i casi di morte cardiaca improvvisa in una comunità di circa 1 milione di residenti per un
periodo di follow-up di 17 anni. A differenza di quanto segnalato in precedenti studi epidemiologici sulla morte improvvisa3,
in questa casistica la prevalenza del sesso femminile si avvicina
ad una percentuale del 40%4. Tale dato non appare sorprendente; dobbiamo infatti riportare come gli autori sottolineino
un concetto noto, che cioè la morte cardiaca improvvisa è associata in circa l’80% dei casi ad una cardiopatia strutturale (in
prevalenza alla cardiopatia ischemica) e che la prevalenza della cardiopatia ischemica nella popolazione generale è caratterizzata da un netto incremento tendenziale nella popolazione
femminile negli ultimi decenni.
Nel complesso quindi i dati epidemiologici appaiono confermare una prevalenza indiscussa nel sesso femminile per le
aritmie sopraventricolari e sembrano indicare un trend in salita
in termini percentuali per le aritmie ventricolari alla base della
morte cardiaca improvvisa.
FISIOPATOLOGIA
La ricerca di una differenza legata al sesso dei parametri di elettrofisiologia delle fibrocellule cardiache in grado di giustificare
TACHIARITMIE NELLE DONNE
CHIAVE DI LETTURA
Ragionevoli certezze. Gli ormoni sessuali hanno
un effetto dimostrato su alcuni canali ionici di
membrana che regolano l’elettrofisiologia
cellulare. Questo effetto si traduce in osservazioni
per la verità note da tempo: una maggiore
frequenza di drive sinusale ed un allungamento
dell’intervallo QT corretto per la frequenza sono
stati descritti nella donna. L’effetto degli ormoni
sessuali femminili è alla base delle differenze in
termini di prevalenza legata al sesso che sono
state registrate in alcune delle più comuni
tachiaritmie come la tachicardia reciprocante
giunzionale, la tachicardia ventricolare idiopatica
e le aritmie ventricolari nella sindrome del QT
lungo.
Questioni aperte. Non esistono dati sufficienti
per ipotizzare una differente prevalenza legata al
sesso con modalità del tipo X-linked delle
tachiaritmie nelle quali un deficit genetico è stato
identificato, come quelle legate alla sindrome del
QT lungo, alla sindrome di Brugada o la
tachicardia ventricolare catecolaminergica. Non
ancora risolto è il bias di selezione riguardante la
scarsa presenza delle donne nelle casistiche dei
principali lavori pubblicati in letteratura, quelli in
base ai quali vengono emanate le linee guida,
specie per quanto riguarda la prevenzione della
morte cardiaca improvvisa con l’impianto di
defibrillatore.
Le ipotesi. La conoscenza degli effetti degli
ormoni sessuali sul meccanismo di innesco delle
aritmie dovrebbe rientrare nelle valutazioni
eseguite dall’aritmologo quando stratifica un
percorso diagnostico o terapeutico in pazienti di
sesso femminile con sintomatologia compatibile
con la presenza di una tachiaritmia.
vità dei canali rettificatori di potassio, mentre gli estrogeni agiscono con modalità opposte sui medesimi canali determinando inoltre una inibizione dei canali del sodio e della pompa sodio-calcio. Un effetto sui canali ionici simile a quello del testosterone è stato segnalato per l’altro ormone femminile, il progesterone7 (Figura 1).
Tali effetti di elettrofisiologia cellulare da parte degli ormoni femminili si sommano a quelli legati ad una diversa modulazione del tono simpatico/parasimpatico legata al sesso. Nella
donna esiste una riduzione della prevalenza parasimpatica legata all’attività fisica, verosimilmente anche per una ridotta sensibilità barocettoriale estrogeno-mediata8. Gli effetti complessivi
sopradescritti determinano nell’ECG femminile una frequenza
sinusale mediamente superiore in media di 2-5 b/min rispetto
al maschio rilevabile nelle registrazioni Holter di 24h, un intervallo QTc più lungo di 10-20 ms, una riduzione del voltaggio del
QRS ed una più frequente presenza di anomalie della ripolarizzazione ventricolare di tipo aspecifico7.
Quanta parte abbiano questo tipo di differenze elettrofisiologiche nel determinare la diversa incidenza legata al sesso
delle varie aritmie cardiache appare difficile da determinare. Sicuramente i dati di letteratura sono concordi nell’identificare la
presenza di tali differenze in termini sia di prevalenza di aritmia
che di evoluzione clinica di alcune aritmie stesse (Tabella 1).
ARITMIE SOPRAVENTRICOLARI
La tachicardia sinusale inappropriata, una rara forma di aritmia
sopraventricolare caratterizzata dalla presenza di un’aumentata frequenza sinusale a riposo e da un esagerato incremento
della stessa durante attività fisica in assenza di documentabile
cardiopatia organica ha una prevalenza maggiore nel sesso
femminile9. La rarità di tale condizione, che giustifica la scarsità di lavori presenti in letteratura relativi a tale aritmia, associata ai dubbi in merito alle cause non consentono di esprimere
giudizi fisiopatologici in grado di giustificare tale dato epidemiologico. Tuttavia è ipotizzabile che le differenze legate al sesso in merito alle afferenze autonomiche sul nodo del seno pos-
30
1
le osservazioni epidemiologiche non può prescindere dal ricordare osservazioni storiche che preludono ai ragionamenti fisiopatologici più recenti basati su moderne indagini di elettrofisiologia cellulare.
Nel 1920 un famosissimo lavoro di Bazett5 dal quale sarebbe scaturita la formula che collegava la misurazione dell’intervallo QT alla frequenza cardiaca affermava, tra l’altro,
che le donne presentavano in media una frequenza sinusale
più alta degli uomini ed una durata dell’intervallo QT maggiore rispetto all’altro sesso. Queste osservazioni sono state confermate più recentemente ed hanno trovato una spiegazione
fisiopatologica legata ad una combinazione di effetti degli ormoni femminili sull’elettrofisiologia cellulare e di differenze nelle afferenze autonomiche sulle fibrocellule cardiache legate al
sesso6.
Oggi conosciamo in modo approfondito l’effetto degli ormoni sessuali sull’elettrofisiologia cellulare. Il testosterone riduce l’attività dei canali del calcio L-mediati ed aumenta l’atti-
0
Testosterone
Progesterone
ICaL
0
mV
2
IKur
3
INa
Estrogeni
NCX
-80
200
400
4
600
ms
Figura 1. Le varie fasi del potenziale d’azione della fibrocellula miocardica. Effetto degli ormoni sessuali sull’attività di alcuni canali ionici di membrana.
ICal, canali del calcio L-mediati; IKur, canali rettificatori di potassio; INa,
canali del sodio; NCX, pompa sodio-calcio.
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MG BONGIORNI ET AL
Tabella 1. Le più comuni forme di aritmie sopraventricolari e ventricolari e la differente prevalenza legata al sesso.
Aritmia
Descrizione
Tachicardia sinusale inappropriata
Tachicardia reciprocante giunzionale
Tachicardia reciprocante AV (sindrome di WPW)
Fibrillazione atriale
Quasi esclusiva nel sesso femminile
Più frequente nella donna
Più frequente nell’uomo
Più frequente nell’uomo
Complicanze più frequenti nella donna
Più frequente nella donna (efflusso destro)
Più frequente nell’uomo (efflusso sinistro)
Più frequente nell’uomo
Nessuna differenza
Più frequente nell’uomo
Tachicardia ventricolare monomorfa idiopatica
Morte cardiaca improvvisa
Tachicardia ventricolare catecolaminergica
Sindrome di Brugada
Femmine/maschi
–
2:1
1:2
1:1.5
1:2.1
2:1
1:3
–
–
–
AV, atrioventricolare; WPW, Wolff-Parkinson-White.
sano rappresentare il meccanismo attraverso il quale le donne
sono più facilmente affette da tale aritmia.
Le differenze relative al sesso sono evidenti nelle aritmie
sopraventricolari che presentano un meccanismo di rientro.
Nella tachicardia da rientro intranodale, sia nella forma comune slow-fast (Figura 2) che nella più rara fast-slow, troviamo
una prevalenza nel sesso femminile doppia rispetto al sesso
maschile. Come è noto questa aritmia rappresenta la forma
più frequente tra le aritmie sopraventricolari da rientro (circa il
60% del totale). Le differenze legate al sesso sono state dettagliatamente descritte da Liuba et al.10: su 203 pazienti affetti
da tachicardia da rientro nodale che eseguivano valutazione
elettrofisiologica in vista di un’ablazione transcatetere della via
lenta nodale il rapporto di prevalenza femmina/maschio era
confermato di 2:1 ed i dati elettrofisiologici mostravano differenze significative legate al sesso per la frequenza sinusale
(797 ± 142 ms nelle femmine vs 870 ± 161 ms nei maschi,
p<0.00001), per il periodo refrattario effettivo della via lenta
(258 ± 46 ms nelle femmine vs 287 ± 62 ms nei maschi,
p<0.006) e per il ciclo della tachicardia (354 ± 58 ms nelle femmine vs 383 ± 60 ms nei maschi, p<0.001). Non venivano rilevate invece differenze in merito alle caratteristiche elettrofi-
siologiche della via rapida. Gli autori mettono in luce quindi
come possa essere descritta nella donna una “finestra elettrofisiologica” di innesco della tachicardia statisticamente più ampia rispetto al maschio, probabilmente a causa degli effetti
esercitati sulla via lenta dal differente tono autonomico e dagli ormoni femminili; la maggiore probabilità di innesco verosimilmente giustifica la maggior incidenza di tale forma di aritmia nel sesso femminile. In altri termini il dato clinico relativo
ad una maggior prevalenza di tachicardia da rientro nodale nel
sesso femminile sarebbe legato non tanto ad una differenza
anatomica legata al sesso ma all’effetto dei fattori di modulazione elettrofisiologica della regione del nodo atrioventricolare che favorirebbero nel sesso femminile l’innesco dell’aritmia.
Ed a conferma di tale ipotesi sono state pubblicate segnalazioni in merito all’incremento delle recidive di tachicardia da
rientro nodale nel sesso femminile durante la fase luteale del
ciclo mestruale (elevati valori di progesterone)11 o la non inducibilità dell’aritmia mediante stimolazione programmata in
corso di studio elettrofisiologico eseguito nella fase follicolare
(elevati valori di estrogeni con bassi valori di progesterone), inducibilità che risultava positiva se ripetuta nella stessa paziente durante la fase mestruale12.
Figura 2. Tachicardia reciprocante nodale comune (slow-fast). Notare la chiara visione delle onde P retrograde nella derivazione V1.
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TACHIARITMIE NELLE DONNE
Un andamento opposto è presente nelle tachicardie da
rientro che vedono la partecipazione di una via accessoria di
connessione tra atrio e ventricolo [determinante la sindrome di
Wolff-Parkinson-White (WPW)]. In tale aritmia la prevalenza è
appannaggio del sesso maschile con un rapporto maschio/femmina di 2:1. Tale dato epidemiologico riguarda sia i casi con via
accessoria a conduzione anterograda (vie accessorie manifeste)
che quelli con esclusiva conduzione retrograda (vie accessorie
occulte). Il sesso maschile ha inoltre una prevalenza maggiore
nelle aritmie associate alla presenza di via accessoria (ad es. la
fibrillazione atriale) e nei casi di aritmie ventricolari o morte improvvisa aritmica in pazienti con sindrome di WPW7, anche se
tali caratteristiche clinico-elettrofisiologiche sono verosimilmente collegate a differenze genetiche più che ad un reale effetto protettivo esercitato dagli ormoni femminili. A conferma
di tale proposito una recente casistica pubblicata su 369 pazienti con sindrome di WPW che rifiutavano di eseguire ablazione transcatetere della via accessoria identifica 29 soggetti
che hanno presentato un evento aritmico ventricolare maggiore (1 caso di morte improvvisa) durante un follow-up di 42 ± 10
mesi; di questi solo 3 (10.3%) erano donne13.
Riguardo infine alla caratteristiche cliniche di presentazione
ed alla terapia delle tachicardie sopraventricolari da rientro dobbiamo ricordare che le donne tendono ad avere una presentazione più tardiva rispetto ai maschi, ad usare un numero di farmaci antiaritmici maggiore e ad arrivare all’esecuzione della terapia ablativa in età più avanzata. Nonostante queste sottolineature, le percentuali di successo procedurale dell’ablazione
transcatetere (via lenta nodale e/o via di connessione accessoria atrioventricolare), quelle delle complicanze procedurali e
quelle delle recidive di aritmia postprocedurali non mostrano
differenze legate al sesso14.
FIBRILLAZIONE ATRIALE
La fibrillazione atriale rappresenta l’aritmia più frequente nelle
popolazioni occidentali con una prevalenza che si avvicina allo
0.5% della popolazione generale. Come abbondantemente descritto in letteratura negli ultimi anni l’aritmia si associa ad un
incremento di mortalità, di casi di scompenso cardiaco e di
eventi tromboembolici prevalentemente a livello cerebrale.
Nello studio Framingham15 i maschi hanno una prevalenza
di fibrillazione atriale aumentata del 50% rispetto alle donne.
Tuttavia, la fibrillazione atriale è tipicamente un’aritmia della
tarda età e tale aumentata prevalenza maschile tende a ridursi
ed annullarsi con il crescere dell’età. Questo elemento, associato alla vita media delle donne notoriamente maggiore rispetto a quella dei maschi, giustifica un numero globale di pazienti in fibrillazione atriale sostanzialmente identico tra donne
e uomini16.
Solo recentemente sono stati pubblicati dati epidemiologici europei che riguardano la fibrillazione atriale. Nella Euro Heart
Survey (anni 2003-2004) sulla fibrillazione atriale venivano valutati 5333 casi di aritmia in 182 centri di 35 paesi europei. Le
donne (42% del totale della casistica) sono più anziane, presentano un numero maggiore di comorbilità, una durata maggiore degli episodi aritmici, una ridotta qualità di vita ed una incidenza maggiore di scompenso cardiaco con conservata funzione sistolica ventricolare sinistra17. Le donne con fibrillazione
atriale vengono trattate inoltre in modo maggiormente conservativo (minor numero di cardioversioni e minor numero di
procedure di ablazione transcatetere) nonostante i dati di outcome relativi all’impatto della fibrillazione atriale sulla mortalità mostrino differenze significative tra i sessi a sfavore del sesso femminile (rischio di morte di 1.5 nell’uomo e di 1.9 nelle
donne con fibrillazione atriale)18. In particolare le donne con fibrillazione atriale presentano un rischio di ictus ad un follow-up
di 1 anno aumentato dell’83% rispetto agli uomini, nonostante una percentuale di pazienti in terapia con anticoagulanti orali identica nei due sessi17. Nei pazienti con fibrillazione atriale
non in terapia con warfarin, infine, il rischio di ictus risulta aumentato in maniera maggiore nelle donne rispetto agli uomini
(3.5 vs 1.8%), a testimoniare un verosimile effetto pro-trombotico degli ormoni femminili19.
La maggiore incidenza di ictus nel sesso femminile in pazienti con fibrillazione atriale ha spinto alcuni autori a inserire
il sesso femminile tra i parametri indicati come stratificatori di
rischio per eventi tromboembolici. Nelle recenti linee guida sulla fibrillazione atriale sono stati modificati i parametri indicativi di aumentato rischio di eventi: dallo score CHADS2 siamo
passati allo score CHA2DS2-VASc aggiungendo ai precedenti
fattori di rischio la presenza di un pregresso evento vascolare,
un’età compresa tra 65 e 74 anni ed appunto il sesso femminile20.
Se quindi una maggiore attenzione relativa alle differenze
legate al sesso in merito all’incidenza di fibrillazione atriale ed
alla complicanza più terribile di tale aritmia, come l’ictus, inizia
ad affacciarsi in letteratura dobbiamo rilevare che le donne non
sono ancora sufficientemente rappresentate nelle casistiche dei
vari studi pubblicati su tale argomento, specie per quanto riguarda la terapia per la prevenzione del rischio tromboembolico o la terapia di ablazione transcatetere. Questo “errore metodologico” risulta particolarmente grave in quanto è possibile ipotizzare una differenza legata al sesso in merito all’efficacia di alcune strategie terapeutiche: ad esempio l’efficacia della terapia antiaggregante piastrinica con aspirina nella prevenzione primaria dell’ictus è stata confermata in uno studio prospettico eseguito su sole donne mentre tale efficacia non è stata dimostrata negli uomini21. Od ancora il rischio di complicazioni legate alla procedura di ablazione transcatetere del substrato aritmico in atrio sinistro risulta maggiore nel sesso femminile di 3 volte rispetto ai maschi (odds ratio 3, IC 95% 1.37.2, p=0.014)22.
Nonostante ciò ancora un numero insufficiente di donne risulta inserito nelle casistiche dei principali studi randomizzati di
efficacia terapeutica, ad esempio studi che hanno confrontato
l’efficacia di strategie terapeutiche di controllo della frequenza
o del ritmo in pazienti con fibrillazione atriale come l’AFFIRM
(39% di donne della casistica)23 o anche nei registri sull’attività dei laboratori di elettrofisiologia in merito all’ablazione transcatetere del substrato aritmico (39% di donne della casistica)24.
Questo difetto di selezione, associato alle differenze di fisiopatologia e di efficacia terapeutica, rappresenta verosimilmente
un bias non ancora sufficientemente sottolineato dalla letteratura e che forse è in grado di alterare i risultati di molti dei lavori pubblicati.
ARITMIE VENTRICOLARI
La tachicardia ventricolare idiopatica è un’aritmia che si verifica, per definizione, in cuori senza apparente cardiopatia. La
morfologia del tracciato elettrocardiografico può indirizzare verG ITAL CARDIOL | VOL 13 | GIUGNO 2012
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so un’origine dalla regione dell’efflusso ventricolare destro, dalla regione dell’efflusso ventricolare sinistro, dalla regione degli
anelli valvolari atrioventricolari, dalle regioni basali del ventricolo destro o dalla regione del setto intraventricolare25. Il meccanismo elettrofisiologico alla base di tale aritmia è stato identificato nella presenza di postpotenziali tardivi AMPc-mediati. La
prevalenza della tachicardia ventricolare idiopatica è maggiore
nelle donne per quanto riguarda la forma ad origine nell’efflusso destro (rapporto femmine/maschi 2:1), più frequente nei
maschi nella forma ad origine nell’efflusso sinistro (rapporto
maschi/femmine 3:1), senza differenze di prevalenza legate al
sesso nelle forme di origine settale sinistra25,26. Queste ultime
presentano inoltre differenti meccanismi di innesco dell’aritmia:
nelle donne la tachicardia ventricolare si verifica prevalentemente durante la fase premestruale o mestruale, ipotizzando
una influenza ormonale sui meccanismi elettrofisiologici di innesco27. La stessa aritmia, nel maschio, è prevalentemente innescata dallo sforzo fisico, dall’abuso di sostanze eccitanti o
dallo stress.
Una maggiore incidenza maschile è stata descritta nella tachicardia ventricolare in pazienti con cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, patologia che ha una incidenza maggiore nell’uomo.
La terapia delle tachicardie ventricolari idiopatiche, in particolar modo nelle forme ricorrenti o poco tollerate, è basata
sull’ablazione transcatetere dell’aritmia, procedura altamente
efficace e non gravata da una incidenza significativa di complicanze procedurali. L’efficacia della procedura ablativa e l’incidenza di complicanze ad essa legata non appaiono differire nella donna rispetto all’uomo25,28.
Come già premesso la morte cardiaca improvvisa è più frequente negli uomini29. Questo appare in linea, come abbiamo
visto, con la minor incidenza di cardiopatia ischemica coronarica, identificata come la responsabile del maggior numero delle morti improvvise, nel sesso femminile. Come sappiamo la
morte cardiaca improvvisa è prevalentemente legata all’insorgere di aritmie, sia ventricolari come la tachicardia ventricolare
e la fibrillazione ventricolare che bradiaritmia come il blocco
atrioventricolare totale e l’asistolia. Le prime sono prevalentemente responsabili della morte improvvisa nel maschio mentre
i fenomeni bradiaritmici sono stati decritti come prevalenti nella donna.
Il meccanismo fisiopatologico alla base della maggiore incidenza nel sesso maschile di aritmie ventricolari sarebbe legato all’effetto degli ormoni maschili in grado, in studi sperimentali, di aumentare la suscettibilità delle fibrocellule miocardiche
alle aritmie ventricolari mediate dall’ischemia30. Nello studio Framingham l’anamnesi positiva per pregresso infarto miocardico
aumenta, in un follow-up di 10 anni, la probabilità di morte
cardiaca improvvisa di 4 volte nel maschio e di 3 volte nella femmina con una prevalenza rispettivamente dell’11.9% contro il
5.3%29.
È forse sulla base di tale dato epidemiologico, oltre che per
l’abitudine già sottolineata di scarso coinvolgimento delle donne negli studi clinici internazionali randomizzati, che dobbiamo sottolineare ancora una scarsa presenza di pazienti di sesso femminile negli studi pubblicati negli ultimi anni in merito alla prevenzione della morte cardiaca improvvisa mediante impianto di defibrillatore. Si va dal 14% di donne nella casistica
del MADIT I31 fino ad un massimo del 32% di donne del COMPANION32 negli studi in prevenzione primaria mentre negli studi pubblicati in prevenzione secondaria non si supera il 20%
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dell’AVID33 e del CASH34. Tuttavia nonostante la scarsa presenza femminile nelle casistiche sull’uso del defibrillatore impiantabile l’efficacia di tale strumento non appare dissimile nella
donna rispetto al maschio35,36 in termini di riduzione della morte improvvisa.
Dati contrastanti in merito alla prevalenza nel sesso femminile sono stati pubblicati in merito ad una rara forma di tachicardia ventricolare, la tachicardia ventricolare catecolaminergica. Questa particolare forma di aritmia, tipicamente una
tachicardia ventricolare bidirezionale, è associata ad un deficit
genetico delle proteine che regolano l’omeostasi del calcio intracellulare. In un lavoro di van der Werf et al.37 sull’efficacia
della terapia antiaritmica con flecainide in pazienti con tachicardia ventricolare catecolaminergica provenienti da 8 centri
cardiologici internazionali, su una casistica di 33 pazienti trattati ben 24 (73%) erano di sesso femminile. Tuttavia un recente lavoro degli stessi autori, metanalisi di tutti i lavori pubblicati su pazienti con tale aritmia, non identificava in una casistica
di 403 soggetti una prevalenza legata al sesso (53% pazienti di
sesso femminile)38.
SINDROME DEL QT LUNGO
La sindrome del QT lungo si caratterizza per la presenza di anomalo prolungamento dell’intervallo QT (corretto per la frequenza) sul tracciato elettrocardiografico legato ad una riduzione di afflusso intracellulare di potassio o ad un aumento tardivo di afflusso di sodio nella fase di ripolarizzazione cellulare.
La sindrome del QT lungo è legata da una anomalia genetica
dei canali ionici di membrana con grado di penetranza ed
espressività variabile e si caratterizza clinicamente per la comparsa di episodi sincopali (talora durante attività fisica), per la
presenza di tachiaritmie ventricolari (tipicamente tachicardia
ventricolare o torsione di punta) e per un’aumentata incidenza
di morte cardiaca improvvisa aritmica39.
L’analisi dei dati del registro internazionale sulla sindrome
del QT lungo evidenzia come su 479 probandi il 70% sono
donne e su 1041 familiari la percentuale appannaggio del sesso femminile risulta del 58%, dato che conferma una prevalenza indubbia del sesso femminile in questa tipologia di malati40. La prevalenza femminile si manifesta prevalentemente
dopo l’età adolescenziale: infatti nei primi 15 anni di vita la percentuale di soggetti affetti dalla sindrome, sia tra i probandi
che fra i familiari, non differisce tra maschi e femmine. Solo
successivamente la forbice di prevalenza si allarga decisamente delineando una prevalenza femminile nella proporzione sopradescritta. Questo dato appare compatibile con l’effetto degli ormoni femminili, come ricordato precedentemente, sulla
ripolarizzazione cellulare, effetto che sarebbe in grado di rendere manifesta una anomalia dei canali ionici a bassa penetranza ed espressività40.
Il dato di una prevalenza post-adolescenziale nel sesso
femminile di pazienti con sindrome del QT lungo è confermato dai grafici relativi all’età di insorgenza del primo evento cardiovascolare o di eventi cardiovascolari maggiori come l’arresto cardiaco e la morte cardiaca improvvisa: anche per tali
eventi la curva che confronta i due sessi vede prevalere i maschi fino ad un’età di circa 15 anni e le femmine successivamente (Figura 3)39,41.
La conferma dell’influenza degli ormoni femminili sul funzionamento dei canali ionici cellulari e, di conseguenza, sul-
TACHIARITMIE NELLE DONNE
Probabilità primo evento cardiaco nella donna
Probabilità primo evento cardiaco nell’uomo
Probabilità arresto cardiaco/morte improvvisa nella donna
Probabilità arresto cardiaco/morte improvvisa nell’uomo
Probabilità evento cardiaco
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0.0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
55
60
65
70
Età (anni)
Figura 3. Probabilità di un primo evento cardiaco o di arresto cardiaco/morte
cardiaca improvvisa in pazienti con sindrome del QT lungo di età compresa tra 1
e 75 anni. Differenze di prevalenza legate al sesso. Si noti per entrambi i grafici
la prevalenza del sesso maschile per gli eventi che si verificano fino al ventesimo
anno di vita e la chiara prevalenza del sesso femminile in quelli che si verificano
successivamente.
Modificata da Goldenberg e Moss39.
l’incidenza di eventi aritmici maggiori è confermata dall’analisi dei fattori di rischio per eventi cardiaci in 111 pazienti gravide, probandi per sindrome del QT lungo: la fase della gravidanza aumentava il rischio di eventi cardiaci di 3 volte (odds
ratio 3.5, IC 95% 0.4-32) ma l’incremento di eventi si verificava soprattutto nella fase postpartum con un incremento di
40 volte (odds ratio 40.8, IC 95% 3.1-540) all’analisi multivariata42.
Risultati analoghi a quelli del registro internazionale sono
stati pubblicati anche da Priori et al.43: su 647 pazienti con sindrome del QT lungo geneticamente determinata si confermava la prevalenza del sesso femminile (57%) ed una prevalenza
di eventi cardiovascolari maggiori nelle donne specie per le forma caratterizzata geneticamente dalla mutazione KCNH2
(LQT2).
Un ulteriore dato relativo all’influenza degli ormoni femminili sulla ripolarizzazione cellulare delle cellule cardiache è rappresentato infine dai dati relativi agli eventi cardiaci, prevalentemente morte improvvisa o torsione di punta, nelle forme di
QT lungo acquisito. Su 332 casi di tachiaritmie ventricolari insorte durante l’utilizzo di farmaci noti per la capacità di prolungare l’intervallo QT, il 70% si verificava nel sesso femminile44.
ARITMIE ED “ORNAMENTI FEMMINILI”
Una particolarità biologica della donna è sicuramente rappresentata dalla complessa ciclicità sia di produzione che di disponibilità dei “suoi ormoni”. Appare superfluo ricordare come la
donna attraversi durante la propria vita una serie di fasi durante le quali la prevalenza di un determinato ormone femminile
rispetto ad un altro appare in grado di provocare una maggiore o minore suscettibilità alle aritmie.
Nel lavoro di Rosano et al.11 si evidenza come la prevalenza di tachicardia da rientro nodale in registrazioni ECG Holter
eseguite in 13 pazienti affette da tale aritmia risultava mag-
giore durante la fase luteale del loro ciclo mestruale (85 episodi su 138 totali, 63%). Tale dato assume una particolare importanza nella pratica clinica se si considera che può risultare
impossibile indurre, nei laboratori di elettrofisiologia, una tachicardia da rientro nodale in una donna se questa è nella fase follicolare del ciclo mestruale o se la stessa assume una terapia integrativa con estrogeni. Con la prevalenza di ormoni
estrogeni, infatti, l’impossibilità di induzione di una tachicardia
da rientro nodale (mediante la tecnica di stimolazione programmata con o senza somministrazione di isoproterenolo) è
stata riportata in una percentuale fino al 35% delle donne.
Quelle stesse pazienti risulteranno successivamente inducibili
ripetendo lo studio elettrofisiologico durante la fase luteale del
loro ciclo mestruale9,12.
Donne affette da tachicardia ventricolare idiopatica riferiscono frequentemente un aumento di prevalenza delle crisi di
aritmia durante una ben specifica fase del loro ciclo mestruale.
In un elegante lavoro di Marchlinski et al.27 21 delle 34 pazienti (61%) affette da tachicardia ventricolare idiopatica identificavano come trigger di innesco della loro aritmia la fase luteinica del ciclo mestruale (13 pazienti), la fase premenopausale
(5 pazienti), la gravidanza (2 pazienti) o l’assunzione di estroprogestinici orali (1 paziente). Sembrerebbe pertanto confermato l’effetto “aritmogeno” del progesterone anche per questa forma di aritmia.
Durante la gravidanza, come noto, si verifica un progressivo incremento del livello di progesterone che raggiunge il picco al momento dell’induzione del parto. Questo dato, associato alle variazioni del tono adrenergico e alle mutate caratteristiche dell’emodinamica cardiovascolare, costituisce la motivazione principale dell’aumentata prevalenza di aritmie durante la
fase avanzata della gravidanza stessa. Nello specifico sono state riportate segnalazioni in merito ad un incremento di incidenza e prevalenza di tachicardia da rientro nodale (fino a 5
volte rispetto alla fase pregravidica)9,45, di aumentata prevalenG ITAL CARDIOL | VOL 13 | GIUGNO 2012
445
MG BONGIORNI ET AL
za di aritmie da rientro in pazienti con via accessoria atrioventricolare46 e di aumentata prevalenza di aritmie ventricolari sia
isolate che in forma di tachicardia ventricolare47. Tali ultime citazioni, peraltro, sono spesso riportate con la formula di casi
clinici e non consentono di esprimere un reale giudizio epidemiologico in merito all’effettiva aumentata prevalenza di aritmie durante la gravidanza.
Sembra invece accertata, come già riportato sopra, la maggior prevalenza di eventi aritmici in pazienti affette da sindrome del QT lungo congenita sia durante la gravidanza ma soprattutto durante il periodo postpartum42.
Le aritmie che insorgono durante la gravidanza sono nella
grande maggioranza dei casi aritmie benigne. Questo dato deve essere sottolineato quando si cerca di stabilire un rapporto
necessità/sicurezza relativo all’utilizzo di una terapia farmacologica durante la fase gestazionale della donna. Infatti, se da un
lato per alcuni farmaci antiaritmici esiste un profilo di sicurezza che consente il loro utilizzo durante la gravidanza (adenosina, digossina, verapamil, sotalolo), per molti altri i dati disponibili non sono sufficienti e la sicurezza del loro utilizzo non sufficientemente chiara. Dobbiamo inoltre ricordare il principio generale in merito all’utilizzo di una terapia farmacologica in gravidanza che prevede l’utilizzo di un farmaco, qualunque esso
sia, solo in casi di aritmie fortemente sintomatiche o associate
a compromissione emodinamica e pertanto in grado di provocare eventuali danni anche al feto48.
Nei rari casi infine di aritmie ripetute e fortemente sintomatiche, non dominabili con la terapia farmacologica consentita in
gravidanza, è oggi possibile utilizzare l’ablazione transcatetere
del substrato aritmico, limitando al minimo l’utilizzo di radiazioni ionizzanti49 o utilizzando per il movimento degli elettrocateteri nelle camere cardiache l’ecografia intravascolare50.
CONCLUSIONI
Possiamo pertanto concludere che verosimilmente per l’influenza degli ormoni femminili sui canali ionici di membrana
cellulare le donne hanno una prevalenza maggiore rispetto al
maschio di alcune forme di tachiaritmie, come la tachicardia sinusale inappropriata o la tachicardia da rientro intranodale tra
le tachicardie sopraventricolari e la tachicardia ventricolare idiopatica o la torsione di punta legata alle forme di sindrome del
QT lungo congenite o acquisite. Una prevalenza nel sesso maschile risulta presente nella tachicardia reciprocante da connessione atrioventricolare accessoria e nelle aritmie ventricolari alla base della morte cardiaca improvvisa.
RIASSUNTO
Alcune recenti pubblicazioni epidemiologiche hanno identificato
una differente prevalenza legata al sesso in alcune delle più comuni
tachiaritmie, sopraventricolari e ventricolari. Tale dato è stato attribuito all’effetto degli ormoni sessuali sull’elettrofisiologia della cellula miocardica. Le donne, in particolare, hanno una prevalenza
maggiore rispetto ai maschi per quanto riguarda le tachiaritmie da
rientro intranodale, la tachicardia ventricolare monomorfa idiopatica e le aritmie ventricolari nella sindrome del QT lungo congenito
o acquisito. È stata segnalata inoltre una maggiore incidenza nel
sesso femminile per quanto riguarda le complicanze in corso di fibrillazione atriale.
In questo lavoro vengono esaminati i dati della letteratura in merito alle differenze legate al sesso sulla prevalenza delle più comuni
tachiaritmie, sulle cause di tali differenze e sugli aspetti discriminanti
il sesso femminile nell’architettura dei lavori clinici pubblicati.
Parole chiave. Elettrofisiologia cellulare; Tachicardia reciprocante
giunzionale; Tachicardia ventricolare idiopatica.
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