Stanley Cavell CONDIZIONI AMMIREVOLI E AVVILENTI La costituzione del Perfezionismo Emersoniano Carus Lectures, 1988 A cura di Matteo Falomi ARMANDO EDITORE CAVELL, Stanley Condizioni ammirevoli e avvilenti. La costituzione del Perfezionismo Emersoniano. Carus Lectures, 1988 ; Intr. all’edizione italiana di Matteo Falomi Roma : Armando, © 2014 256 p. ; 20 cm. (Filosofia e problemi d’oggi) ISBN: 978-88-6677-084-8 1. Tre lezioni / Il perfezionismo morale 2. Emerson / Heidegger e Nietzsche 3. L’istruzione in Wittgenstein e Kripke CDD 190 Traduzione e cura di Matteo Falomi Titolo originale: Conditions handsome and unhandsome. The Constitution of Emersonian Perfectionism. The Carus Lectures, 1988 by Stanley Cavell © 1990 by The University of Chicago © 2014 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 18-19-005 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. 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Il perfezionismo morale 3. “L’ironia fondante del perfezionismo” 9 15 26 Prefazione e ringraziamenti 33 Introduzione: TENERE LA ROTTA 65 9 Prima Lezione: PENSARE IN AVVERSIONE Rappresentazioni emersoniane in Heidegger e Nietzsche 101 Seconda Lezione: LA DISCUSSIONE DELL’ORDINARIO Scene di istruzione in Wittgenstein e Kripke 136 Terza Lezione: LA CONVERSAZIONE DELLA GIUSTIZIA Rawls e il dramma del consenso 177 EPILOGO 207 Appendice A: SPERANZA CONTRO SPERANZA 209 Appendice B: UNA LETTERA DI ACCOMPAGNAMENTO 223 Bibliografia 227 Per Kurt Fischer Io considero questa evanescenza e lubricità di tutte le cose, che ce le fanno scorrere fra le dita proprio quando le teniamo più strette, come il lato più avvilente della nostra condizione*. Emerson, Esperienza * Nota alla traduzione: il titolo originale del libro di Cavell, Conditions Handsome and Unhandsome, è un’allusione al passaggio di Experience di Emerson citato in esergo (il passaggio di Emerson suona, in inglese: «I take this lubricity and evanescence of all objects, which makes them slip through our fingers then when we clutch hardest, to be the most unhandsome part of our conditions»). Non è stato possibile preservare tutte le risonanze dell’allusione: in particolare, il gioco di parole tra handsome/unhandsome e l’immagine emersoniana della mano che afferra (su cui Cavell ritorna nelle lezioni che seguono) non possono essere resi in italiano. Ho scelto di tradurre il titolo con Condizioni ammirevoli e avvilenti perché questa coppia di aggettivi conserva almeno la duplice valenza, estetica e morale, del termine inglese handsome. Cavell, nel testo che segue, fa talvolta affidamento su connessioni etimologiche e ambiguità semantiche caratteristiche dell’inglese e che difficilmente possono essere riprodotte in italiano. Nei casi in cui il discorso di Cavell diviene inintelligibile in assenza dell’originale inglese, ho scelto di lasciare i termini usati da Cavell tra parentesi quadre, e ho fatto talvolta ricorso alle note del traduttore per aiutare il lettore nella comprensione. Il testo originale di Conditions Handsome and Unhandsome non contiene note a pie’ di pagina: i riferimenti bibliografici sono inseriti in forma sintetica nel testo tra parentesi tonde. Nel tradurre il testo di Cavell, abbiamo scelto con l’Editore di uniformarci a questa convenzione. In molte occasioni, è stato necessario modificare la traduzione italiana corrente delle opere citate da Cavell, al fine di garantire una maggiore aderenza con il testo inglese che Cavell discute. Questi interventi sono segnalati da un asterisco dopo il riferimento. Vorrei ringraziare Piergiorgio Donatelli, che mi ha fatto conoscere l’opera di Cavell, e Arnold Davidson, che mi ha fornito un aiuto prezioso in varie fasi della traduzione. Voglio anche ringraziare il Dipartimento di Filosofia della University of Essex, che mi ha sostenuto nel periodo in cui ho svolto questo lavoro. Un ringraziamento va infine a David Batho, Matt Bennett, Jeff Byrnes, Steve Gormley e Elin Simonson, che mi hanno fornito in varie occasioni suggerimenti e consulenze sulla traduzione, e a Carlotta de Mottoni, che mi ha aiutato nel lavoro editoriale. M.F. 8 Introduzione all’edizione italiana IL PERFEZIONISMO DI CAVELL Matteo Falomi 1. TRE CONVERSAZIONI INTERROTTE Condizioni ammirevoli e avvilenti raccoglie i testi delle tre Carus Lectures presentate da Cavell nell’Aprile del 1988 di fronte ai membri dell’American Philosophical Association, la più importante associazione professionale di filosofi negli Stati Uniti. Il tema della Prima Lezione è il pensiero di Emerson, una figura che occupa una posizione peculiare nel panorama intellettuale americano: se è usuale riconoscere a Emerson il ruolo di padre fondatore della cultura statunitense, è altrettanto comune negare che Emerson sia un filosofo. Cavell apre la Prima Lezione parlando di questa resistenza: Assumendo la prospettiva delle Carus Lectures per raccomandare Emerson, nonostante tutto, all’attenzione della comunità filosofica americana, spero di essere affidabile nel riconoscere come gli insegnamenti di Emerson possano in generale suonare impertinenti, per lo stile e per la materia, a un orecchio filosofico – e questo include di quando in quando, e nonostante tutto, il mio stesso orecchio. Ma cos’altro ci si dovrebbe aspettare? La mia raccomandazione dovrà basarsi – a meno che questo non accresca ulteriormente l’impertinenza – sul fatto che ci sia qualcosa in Emerson che non ci è ancora familiare, come a dire che egli rimane uno straniero. In questo caso, cercare di attenuare la sua estraneità sarebbe privo di senso – anche se questa non dovrebbe essere, lo riconosco, una scusa per accrescerla1. 1 Lezione 1, p. 101 9 Cavell dichiara dunque di voler raccomandare Emerson alla comunità filosofica americana, pur essendo consapevole del fatto che, in questa comunità, Emerson non è considerato un filosofo (una resistenza che Cavell stesso afferma di continuare, a volte, ad avvertire). Se Cavell ha ragione sul fatto che i filosofi americani resistono a Emerson, allora è probabile che la sua raccomandazione verrà accolta con una resistenza analoga. D’altra parte, Cavell non può cercare di aggirare questa resistenza, mostrando ad esempio che Emerson, contrariamente alle apparenze, sia un pensatore che soddisfa i requisiti della filosofia professionale. Come infatti osserva poco dopo, la disapprovazione dello stile di Emerson non è meno interessante, dal punto di vista filosofico, dello stile stesso2. Raccomandare questo stile ignorando il fatto che esso susciti una disapprovazione, in questo senso, significherebbe per Cavell snaturare le ragioni della propria raccomandazione: Emerson è importante, per la comunità filosofica americana, proprio perché il suo stile di pensiero suscita una resistenza. Com’è possibile, allora, fare quello che Cavell dice di voler fare? Com’è possibile raccomandare qualcosa a qualcuno che gli resiste, quando la raccomandazione è ispirata da questa resistenza? Ognuna delle lezioni di Condizioni ammirevoli e avvilenti rappresenta uno stallo analogo, una conversazione che sembra essere arrivata a un punto d’arresto. Nella Seconda Lezione, la conversazione interrotta riguarda Wittgenstein. Cavell ha difeso, nei suoi scritti su Wittgenstein, l’idea che la naturalità con cui incorriamo in confusioni filosofiche non possa essere ricondotta semplicemente alla presenza, nel nostro linguaggio ordinario, di analogie fuorvianti tra forme d’espressione che hanno usi diversi: la fascinazione che i nonsensi filosofici esercitano dipende al contrario da un rifiuto del linguaggio ordinario e della forma di vita umana che esso articola3. Per questo motivo, l’interesse dell’ultimo Wittgenstein per il linguaggio ordinario non è motivato dal fatto che esso ci consente di confutare certe tesi filosofiche (ad esempio, mostrando che esse violano le regole d’uso ordinario)4. Il valore filosofico dell’appello 2 Cfr. Lezione 1, p. 103 L’idea che il rifiuto filosofico del linguaggio ordinario sia orientato da un impulso a negare la forma di vita umana è un tema centrale della reinterpretazione della nozione di scetticismo avanzata da Cavell nel suo The Claim of Reason, Oxford, Clarendon Press, 1979, trad. it. parziale in Cavell S., La riscoperta dell’ordinario, Roma, Carocci, 2001. 4 Cfr. in particolare le critiche di Cavell all’uso che Norman Malcolm e John W. Cook fanno degli appelli wittgensteiniani al linguaggio ordinario (nel suo Knowing and Acknowledging, raccolto in Cavell S., Must We Mean What We Say, Cambridge, 3 10 al linguaggio ordinario è dato, al contrario, proprio dalla nostra tendenza a rifiutarlo: la pratica di ricondurre «le parole, dal loro impiego metafisico, indietro al loro impiego quotidiano»5 serve a portarci a riconoscere questa tendenza. L’interpretazione che Saul Kripke ha presentato nel suo Wittgenstein su regole e linguaggio privato appare orientata, nella prospettiva di Cavell, da una versione del rifiuto dell’ordinario che le Ricerche filosofiche vorrebbero contestare. Kripke, dopo aver usato le considerazioni di Wittgenstein sul seguire una regola per formulare un “problema scettico”, riconosce una “soluzione scettica” negli appelli wittgensteiniani all’accordo nell’uso del linguaggio. Nell’avanzare questo argomento a nome di Wittgenstein, tuttavia, Kripke sembra tralasciare il tipo di indagine dei dettagli dell’uso ordinario che le Ricerche filosofiche invitano costantemente a condurre. Ciò che consente a Kripke di sollevare il suo problema scettico sulle regole è, secondo Cavell, il fatto di non aver considerato il modo in cui ordinariamente parliamo di regole, e la maniera in cui la vita con il concetto di regola è connessa ai fenomeni della convinzione, dell’insegnamento, dell’autorità, e così via6. Cambridge University Press, 1969; vedi in particolare pp. 238-242) e la discussione dell’idea di “critica diretta” dello scetticismo in The Claim of Reason (cit., pp. 165-167 e pp. 191-243; trad. it. cit., pp. 223-225 e pp. 255-299). L’idea che l’indagine grammaticale wittgensteiniana non abbia la funzione di rilevare violazioni di regole d’uso, ma serva invece a far riconoscere al filosofo che sta rifiutando qualsiasi uso possibile delle proprie parole, ha avuto un ruolo cruciale nella genesi del cosiddetto New Wittgenstein (cfr. in particolare l’elaborazione della distinzione tra concezione austera e sostanziale del nonsenso negli scritti di James Conant e Cora Diamond). Alcuni contributi centrali per la definizione delle nuove letture di Wittgenstein sono raccolti nell’antologia The New Wittgenstein, a cura di A. Crary e R. Read, London, Routledge, 2000. Per una recente presentazione italiana del lavoro di Conant e Diamond, si veda invece Conant J., Diamond C., Rileggere Wittgenstein, a cura di P. Donatelli, Roma, Carocci, 2010. Sull’importanza di Cavell per le letture neo-wittgensteiniane, si veda infine Conant J., Stanley Cavell’s Wittgenstein, in «Harvard Review of Philosophy», n. 1, XIII, 2005; Gustafsson M., L’importanza di essere risoluti, in «Iride», 62, XXIV, 2011; e l’Introduzione di Alice Crary a The New Wittgenstein, cit., pp. 1-18. 5 Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1999, I, sez. 116. 6 Per una lettura congeniale delle considerazioni di Wittgenstein sul seguire una regola si veda ad esempio McDowell J., Non-Cognitivism and Rule-Following (in McDowell J., Mind, Value, and Reality, Cambridge, MA., Harvard University Press, 1998, trad. it. in Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni, a cura di P. Donatelli e E. Lecaldano, Milano, LED, 1996); cfr. anche Diamond C., Rules: Looking in the Right Place, in Wittgenstein. Attention to Particulars, a cura di D.Z. Phillips e P. Winch, New York, St. Martin Press, 1989. 11 Questo tipo di diagnosi mette chi la propone in una situazione dialettica peculiare: com’è possibile, infatti, convincere chi è persuaso dall’interpretazione di Kripke che sia importante tenere conto dell’uso ordinario del linguaggio? Insistere sul fatto che Kripke non prende in esame i dettagli dell’uso ordinario del concetto di regola sembrerà, a chi accetta questa interpretazione, un tentativo di eludere il problema: gli appelli al linguaggio ordinario presuppongono che un parlante sia in grado di parlare a nome di una certa comunità linguistica; ma questa possibilità, nella prospettiva di Kripke, richiede a sua volta di comprendere in quali circostanze un parlante sia legittimato a rappresentare l’uso corretto di un termine, e una risposta a questa domanda dovrà fare appello al tipo di considerazioni scettiche sulle regole che Kripke attribuisce a Wittgenstein. In questo senso, come nota Cavell, chi adotta la lettura di Kripke sarà portato a pensare che le considerazioni sulle regole sono presupposte, e non confutate, dagli appelli al linguaggio ordinario7. Non avrebbe senso, d’altra parte, cercare di superare questa resistenza mostrando come gli appelli al linguaggio ordinario possano essere filosoficamente utili nel quadro del progetto di Kripke. Nella prospettiva di Cavell, l’importanza filosofica dell’appello al linguaggio ordinario è una funzione del fatto che si riconosca la propria tendenza a rifiutarlo: se Cavell invitasse a fare attenzione al linguaggio ordinario indipendentemente da questo riconoscimento, snaturerebbe la motivazione filosofica di questo tipo di appello. Ma alla luce di simili presupposti, com’è possibile portare avanti quella che Cavell definisce, nel titolo della Seconda Lezione, “la discussione dell’ordinario”? Il problema, ancora una volta, è quello di comprendere come sia possibile raccomandare un certo stile di pensiero quando l’importanza di questo stile è una funzione del fatto che esso sia oggetto di rifiuto. Cavell ritorna su questo tipo di empasse filosofica anche nella Terza Lezione. L’occasione, stavolta, è fornita da un aspetto della posizione espressa da Rawls in Una teoria della giustizia. Cavell si sofferma in particolare sull’idea che, nel quadro rawlsiano, «coloro che esprimono risentimento devono essere pronti a dimostrare perché certe istituzioni 7 Come Cavell osserva nella Seconda Lezione: «dal momento che l’interpretazione di Kripke delle regole sembra, a sua volta, minare il ruolo fondamentale dell’appello all’ordinario, il mio appello ai criteri sembrerà, dalla sua prospettiva, eludere il problema» (cfr. p. 138). 12 sono ingiuste o in che modo altre li hanno offesi»8. Possiamo identificare in questo passaggio, secondo Cavell, un frammento della “conversazione della giustizia” evocata a più riprese nel testo di Rawls: questo tipo di risposta potrebbe essere indirizzata, infatti, nei confronti di chi rivendica di aver subito un’ingiustizia senza essere in grado di riportarla ai principi scelti nella posizione originaria; l’intento della risposta sarebbe quello di mostrare che la rivendicazione non è stata avanzata in modo competente, e non ha pertanto valore morale. Cavell è portato a immaginare una possibile continuazione di questa conversazione, in cui la persona che non è stata in grado di ricondurre la propria violazione ai principi di giustizia continua a sentire ciononostante di aver subito un’ingiustizia. Egli rievoca, a questo proposito, la conversazione tra Nora e suo marito Torvald nell’ultimo atto di Casa di bambola di Ibsen. Nora, nel dialogo che chiude il dramma, comunica a Torvald la propria decisione di lasciarlo. Non si tratta, però, soltanto di un fallimento privato: il risentimento di Nora dipende dal fatto che l’intera cultura in cui essa è stata educata (e di cui suo marito si presenta come un portavoce) ha contribuito a espropriarla della propria voce. Nora, per questo motivo, dice di non sapere quali siano i propri desideri, i propri bisogni, i propri pensieri: la sua vita le appare irreale, la vita di una bambola in una casa di bambola. Nella rappresentazione di Ibsen, Nora non può esprimere questo risentimento attraverso ragioni che Torvald è in grado di accettare. Per farlo, Nora dovrebbe parlare il linguaggio della cultura che Torvald rappresenta: ma il risentimento di Nora consiste appunto nel fatto che quella cultura l’ha deprivata della possibilità di avere una voce, un punto di vista, delle ragioni da comunicare; se potesse argomentare questa deprivazione nei termini della cultura che Torvald accetta, la contestazione perderebbe la sua ragion d’essere. Traducendo questa situazione nel linguaggio di Una teoria della giustizia, si potrebbe immaginare che chi è nella posizione di Nora metta in questione la cultura morale a partire dalla quale i principi di giustizia 8 Rawls J., A Theory of Justice, Cambridge, MA., Harvard University Press, 1971, trad. it. Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1982, 1997, p. 435; citato a p. 185. Sulle critiche di Cavell a Rawls, si veda ad esempio Mulhall S., Promising, Consent, and Citizenship. Rawls and Cavell on Morality and Politics, in «Political Theory», 25, 2, 1997; Owen D., Cultural Diversity and the Conversation of Justice. Reading Cavell on Political Voice and the Expression of Consent, in «Political Theory», 27, 5, 1999; Woodford C., From Nora to the BNP: Implication of Cavell’s Critique of Rawls, in «The British Journal of Politics and International Relations», 2012. 13 sono stati derivati in equilibrio riflessivo. Da questo punto vista, la richiesta di giustificare la propria rivendicazione alla luce dei principi di giustizia può apparire, alla persona che sente di essere stata violata dalla cultura morale nel complesso, come un aspetto dell’ingiustizia di cui è vittima: se i principi dipendono da una certa cultura morale, e questa cultura morale è proprio ciò che ci impedisce di avere una voce (e dunque di avanzare ragioni), allora non saremo nella posizione di ricondurre la violazione che sentiamo di aver subito a questi principi; un’impossibilità che sarà a sua volta costitutiva del risentimento. D’altra parte, se questa rivendicazione deve essere espressa in termini che risulteranno inaccettabili per la parte a cui si rivolge, essa è destinata a suscitare resistenza. Questa resistenza potrebbe esprimersi, ad esempio, nel ritenere la rivendicazione semplicemente irrilevante e nel concludere che la persona che la avanza non sia moralmente competente (questo è in effetti il tenore delle risposte che Nora riceve da suo marito: Torvald, di fronte alle affermazioni di Nora, reagisce dicendo che Nora parla come una bambina, o che è fuori di sé). Il problema è quello di comprendere come questa “conversazione della giustizia” possa essere continuata: come può chi si trova nella posizione di Nora far riconoscere l’ingiustizia di cui è vittima? In che modo il destinatario della rivendicazione può arrivare a riconoscerla come tale? Cavell rappresenta, nelle tre lezioni di Condizioni ammirevoli e avvilenti, tre conversazioni che si interrompono in modi simili. Ciò che è in questione, in queste conversazioni, è la rilevanza filosofica di certi stili di pensiero o modi di espressione – la prosa di Emerson, l’appello di Wittgenstein al linguaggio ordinario, il tipo di rivendicazione morale a cui Ibsen dà voce attraverso Nora. Queste forme d’espressione incontrano, stando alla rappresentazione di Cavell, delle specifiche resistenze filosofiche. Da un lato, se queste resistenze esistono effettivamente, esse finiranno per determinare le risposte ai tentativi di raccomandare questi modi di pensare. Dall’altro, l’importanza di raccomandare questi modi di pensare è dettata precisamente dal fatto che essi sono in grado di suscitare resistenza: non si può, in questo senso, aggirare la resistenza comunicando ciò che si vuole raccomandare in termini che l’interlocutore troverà accettabili; nessuna di queste discussioni può essere risolta, in questo senso, offrendo ragioni che entrambe le parti sono già nella posizione di accettare. Il lavoro filosofico di Cavell in Condizioni ammirevoli e avvilenti può essere visto come una risposta a questo tipo peculiare di difficoltà filosofica. Il problema 14 è, per Cavell, quello di individuare una forma di ragionamento, o di scrittura filosofica, che sia in grado di portare al riconoscimento della resistenza senza che questa resistenza comprometta la possibilità del riconoscimento. 2. IL PERFEZIONISMO MORALE Un modo di iniziare a delineare i termini della risposta di Cavell è quello di partire dalla sua riappropriazione, in Condizioni ammirevoli e avvilenti, dell’idea di “Perfezionismo Morale”9. La prosa di Emerson, la filosofia del linguaggio ordinario di Wittgenstein, la rivendicazione morale espressa da Nora sono tutte, in modi diversi, inflessioni di una prospettiva morale che Cavell identifica, nell’arco di queste lezioni, attraverso il termine “perfezionismo”. Nell’associare il perfezionismo a autori come Emerson, Wittgenstein e Ibsen, Cavell si distanzia in maniera tangibile dal modo in cui il termine è impiegato nella riflessione morale contemporanea. Il termine “perfezionismo”, in questo quadro, viene spesso usato per definire un certo tipo di teoria teleologica, che individua il bene in una serie di valori oggettivi, e ne prescrive la massimizzazione (questi valori sono spesso, anche se non sempre, visti come necessari alla realizzazione dell’essenza umana). Così Rawls, in 9 La nozione di “Perfezionismo Morale” è introdotta da Cavell in Condizioni ammirevoli e avvilenti e elaborata ulteriormente nel successivo Cities of Words. Pedagogical Letters on a Register of the Moral Life, Cambridge, MA., Belknap Press, 2004. L’interpretazione cavelliana del perfezionismo è sviluppata da James Conant in Conant J., Nietzsche’s Perfectionism. A Reading of Schopenhauer as Educator, in Nietzsche’s Postmoralism. Essays on Nietzsche’s Prelude to Philosophy’s Future, a cura di R. Schacht, Cambridge, Cambridge University Press, 2001; vedi anche Laugier S., Une autre pensée politique américaine. La démocratie radical d’Emerson à Stanley Cavell, Paris, Michel Houdiard, 2004; Saito N., The Gleam of Light. Moral Perfectionism and Education in Dewey and Emerson, New York, Fordham University Press, 2005; Donatelli P., Bringing Truth Home. Mill, Wittgenstein, Cavell, and Moral Perfectionism, in The Claim to Community. Essays on Stanley Cavell and Political Philosophy, a cura di A. Norris, Stanford, Stanford University Press, 2006; Owen D., Perfectionism, Panhesia and the Care for the self. Foucoult and Cavell on Ethics and Politics, in The Claim to Community, cit.; Putnam H., Philosophy as a Guide to Life. Rosenzweig, Buber, Levinas, Wittgenstein, Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press, 2008; Affeldt S.G., The Force of Freedom: Rousseau on Forcing to Be Free, in «Political Theory», 27, 3, 1999, e Society as a Way of Life: Perfectibility, Self-Transformation, and the Origination of Society in Rousseau, in «The Monist», 83, 4, 2000. 15 Una teoria della giustizia, descrive il perfezionismo come quella teoria morale che identifica il bene nell’«eccellenza umana nelle arti, nelle scienze e nella cultura»10. L’intento della discussione di Rawls è quello di mostrare come il perfezionismo non sia neppure inizialmente plausibile, quando si tratta di definire i principi fondamentali di una società bene ordinata. Il principio di perfezione, in particolare nella sua versione estrema (che Rawls riconosce in Schopenhauer come educatore di Nietzsche), consentirebbe ad esempio l’istituzione della schiavitù nel nome degli alti risultati conseguiti dalla cultura greca11. Grand parte del dibattito successivo si è concentrata, per questo motivo, sulla possibilità di riabilitare la nozione di perfezionismo, mostrando come essa non porta alle conseguenze palesemente antidemocratiche che Rawls le attribuisce. Anche Cavell è interessato a mostrare come la prospettiva perfezionista non sia necessariamente antidemocratica. A differenza di altri autori che condividono questo intento, Cavell non è interessato tuttavia a sostenere che la teoria morale perfezionista non abbia le conseguenze antidemocratiche che Rawls le attribuisce. L’idea di Cavell, infatti, è che il perfezionismo non vada affatto concepito come una teoria morale. Per Cavell il perfezionismo è piuttosto un “registro” o una “dimensione della vita morale” definita da un tipo di difficoltà diverso da quello che caratterizza le teorie morali normative: se queste ultime si concentrano sul problema dell’azione da compiere, il perfezionismo, nel senso di Cavell, prende in esame un insieme di difficoltà relative alla “conoscenza di sé”, al “diventare intelligibili a se stessi”, all’“essere veri con se stessi”, all’“essere persi a se stessi” e al “ritrovare la propria strada”, e così via12. Come queste descrizioni suggeriscono, il problema al centro della prospettiva perfezionista è, per Cavell, quello della comprensione o della 10 Rawls J., Una teoria della giustizia, cit., p. 272. Sulla definizione del perfezionismo come teoria morale, cfr. anche Hurka T., Perfectionism, Oxford, Oxford University Press, 1993, capp. 1 e 2. Per una ricostruzione del dibattito sulla nozione di perfezionismo in filosofia politica, vedi l’introduzione di S. Wall e G. Klosko a Perfectionism and Neutrality. Essays in Liberal Theory, Lanham, Rowman & Littlefield, 2003; una recente trattazione italiana di questo insieme di problemi è offerta in Mangini M., Il liberalismo forte. Per un’etica pubblica perfezionista, Bruno Mondadori, Milano, 2004. 11 Rawls J., Una teoria della giustizia, trad. it. cit., p. 273. 12 Cfr. infra, p. 56-57, 65, 87; e Cavell S., Cities of Words, cit., pp. 13, 17, 39, 42. 16 chiarificazione dell’io, non quello dell’azione moralmente giusta13. Nel caso del perfezionismo, scrive infatti Cavell: L’invocazione al cambiamento non sarà espressa come un imperativo particolare quando ciò che è problematico nella tua vita (ora) non è il fatto che, tra diversi corsi d’azione, è diventato difficile trovare quello giusto, ma il fatto che nel corso della tua vita hai perso la strada14. Se ciò che è in questione, nella prospettiva perfezionista, è la chiarificazione o la conoscenza di se stessi, allora questo tipo di ragionamento morale non ha la funzione di specificare quali azioni siano raccomandate dalla morale: ma se le cose stanno così, allora il perfezionismo di Cavell non prescrive neppure alcuna massimizzazione di valori oggettivi a discapito di diritti fondamentali; in questo senso, il perfezionismo di 13 L’idea che la sfera dell’etica non possa essere ridotta alla riflessione sull’azione da compiere, ma debba comprendere il registro della comprensione e della trasformazione dell’io è un tema che accomuna il lavoro di Cavell a quello di altri autori contemporanei. Nella tradizione anglosassone, questa linea di pensiero può essere ritrovata nei lavori di Iris Murdoch (Murdoch ha osservato, ad esempio, che «uno dei principali problemi della filosofia moderna potrebbe essere formulato come segue: è possibile individuare tecniche, tecniche di purificazione e riorientamento di un’energia che è naturalmente egoista, tecniche che siano in grado di farci agire nel modo giusto allorché si presentano i momenti di scelta?», vedi Murdoch I., The Sovreignity of Good, London, Routledge and Kegan Paul, 1971, trad. it. in Murdoch I., Esistenzialisti e mistici, Milano, Il Saggiatore, 2006, p. 342; cfr. però le osservazioni di Cavell sulla prospettiva di Murdoch alle pp. 42-42). Nella tradizione francese, un’impostazione affine può essere riconosciuta nei lavori di Pierre Hadot sulla tradizione degli “esercizi spirituali” (cfr. Hadot P., Exercises spirituel et philosophie antique, Paris, Albin Michel, 2002, trad.it. Esercizi spirituali e filosofia antica, Torino, Einaudi, 2005) e nella riflessione dell’ultimo Foucault sulla “cura di sé” (Foucault nota ad esempio che esiste un registro del discorso filosofico, in grande evidenza nella filosofia antica e tardo-antica, in cui sono centrali «la ricerca, la pratica, l’esperienza per mezzo delle quali il soggetto opera su se stesso le trasformazioni necessarie per avere accesso alla verità», cfr. Foucault M., L’herméneutique du sujet. Cours au Collège de France, 1981-1982, Seuil, Gallimard, 2001, trad. it. L’ermeneutica del soggetto, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 17). Sulla relazione tra Murdoch, Cavell e Foucault, si veda Donatelli P., Iris Murdoch. Concetti e perfezionismo morale, in Il senso della virtù, a cura di P. Donatelli e E. Spinelli, Roma, Carocci, 2009. La relazione tra il progetto di Cavell e la riflessione di Foucault e Hadot è stata sottolineata soprattutto nei lavori di Arnold Davidson (cfr. ad esempio il suo Ethics as Ascetics, in The Cambridge Companion to Foucault, a cura di G. Gutting, Cambridge, Cambridge University Press, 1994). 14 Cfr. qui di seguito p. 54. 17 Cavell non ha (necessariamente, o direttamente) le conseguenze antidemocratiche paventate da Rawls. Lo scopo della discussione di Cavell, tuttavia, non è meramente quello di stipulare una definizione alternativa di perfezionismo, in modo tale da immunizzare questa nozione dalle critiche di elitismo. Cavell suggerisce piuttosto che ci sia una tendenza, nella filosofia morale contemporanea, a fraintendere o eludere il registro morale della conoscenza di sé: questa tendenza porta a forzare nel linguaggio della teoria morale i tratti specifici della forma di ragionamento perfezionista, contribuendo in questo modo ad alimentare l’idea che gli appelli perfezionisti alla realizzazione di ciò che si è abbiano necessariamente implicazioni non democratiche. Questo tipo di travisamento è illustrato, ad esempio, dal modo in cui Rawls si appropria di Schopenhauer come educatore di Nietzsche per descrivere il contenuto della versione estrema del perfezionismo. Come Cavell mostra nella Prima Lezione, Rawls legge l’appello nietzscheano a «vivere per il bene degli esemplari più rari e preziosi»15 come se Nietzsche stesse qui definendo una concezione del bene che abbiamo il dovere (in conformità con la struttura di una teoria teleologica) di massimizzare. Cavell mostra tuttavia che Nietzsche sta qui recuperando specificamente una nozione emersoniana di “esemplare”: l’esemplare, nella prospettiva di Emerson, è una figura su cui il soggetto che lo riconosce come tale proietta provvisoriamente le proprie potenzialità rigettate in modo da poterle riconoscere. Vivere per il bene degli esemplari non significa (come Rawls assume) sacrificare beni e diritti a chi è dotato di maggiori talenti: significa piuttosto consacrare la propria vita all’ideale perfezionista della conoscenza di sé16. In questo caso, è il tentativo di tradurre nel linguaggio della teoria morale idee appartenenti alla forma di ragionamento perfezionista che genera l’impressione che questa prospettiva morale sia intrinsecamente antidemocratica. Il fraintendimento di Rawls non è, nella prospettiva di Cavell, accidentale. Esso può essere visto come un’altra manifestazione della posizione dominante che il linguaggio della teoria morale ha conosciuto nell’etica 15 Nietzsche F., Schopenhauer come educatore, Milano, Adelphi, 1985, p. 55 [abbiamo, qui e in quel che segue, modificato la traduzione italiana di questo passaggio per garantire una maggiore aderenza al testo inglese commentato da Cavell; N.d.T.]. 16 Cfr. pp. 118-124. Per un’elaborazione di questa lettura di Schopenhauer come educatore, vedi Conant J., Nietzsche’s Perfectionism, cit. Vedi anche, a questo proposito, Vaccari A., Perfezionismo e critica della morale in Friedrich Nietzsche, in «Iride», 62, XXIV, 2011. 18 analitica a partire dal secondo dopoguerra. Bernard Williams ha notato, a questo proposito, come il linguaggio della teoria morale tenda ad assimilare ogni sfera della nostra esperienza etica: «se lasciamo che sia l’obbligazione a strutturare il nostro pensiero morale, essa arriverà in diversi modi, tutti quanti naturali, a dominare la nostra vita»17. È possibile vedere quello che Cavell chiama il “relativo oscuramento” della prospettiva perfezionista nella riflessione morale come un altro effetto dell’annessionismo del paradigma della teoria morale18. Una delle motivazioni del progetto intellettuale di Condizioni ammirevoli e avvilenti è dunque quello di ripristinare la nostra percezione della forma di ragionamento perfezionista: occorre, secondo Cavell, rendere nuovamente accessibili i concetti e gli stili di pensiero che rendono possibile il discorso filosofico sulla chiarificazione dell’io. Ci si potrebbe attendere che questo progetto richieda, innanzitutto, l’elaborazione di una teoria dell’io e di come sia possibile conoscerlo: una simile teoria dovrebbe misurarsi, ad esempio, con le difficili questioni poste dalla metafisica e dall’epistemologia dell’identità personale. Non è questo, tuttavia, il modo in cui Cavell procede in Condizioni ammirevoli e avvilenti: Cavell non presenta, né intende presentare, un’elaborazione teorica della forma di ragionamento perfezionista. Il possesso di una conoscenza teoretica dell’io sarebbe, in effetti, perfettamente compatibile con un disinteresse a conoscere il proprio io. La forma di ragionamento perfezionista, nella misura in cui essa interessa a Cavell, si concentra invece sull’«idea di una conoscenza che produce, o costituisce, un cambiamento o una svolta»19. Il perfezionismo fornisce una conoscenza immediatamente pratica, che altera il modo in cui la persona che la consegue pensa a se stessa: Cavell, in questo senso, è interessato alla pratica, più che alla teoria, della conoscenza di sé. Com’è possibile, tuttavia, rendere conto filosoficamente di questo tipo di pratica? Rispondere a questa domanda, nella prospettiva di Cavell, richiede di fare attenzione al fatto che la filosofia sia comunicata essenzialmente 17 Williams B., Ethics and the Limits of Philosophy, Cambridge, MA., Harvard University Press, 1985; trad. it. L’etica e i limiti della filosofia, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 220. 18 Cavell stesso, nella Prefazione a Condizioni ammirevoli e avvilenti, nota che la sua riflessione sul perfezionismo ha delle affinità con la linea anti-teorica emersa nella filosofia morale analitica: egli cita, a questo proposito, i lavori di Iris Murdoch, Annette Baier, G.E.M. Anscombe, Cora Diamond, Philippa Foot, Alasdair MacIntyre, John McDowell, Bernard Williams e Peter Winch; cfr. più avanti, p. 42. 19 Prefazione, p. 55. 19 attraverso testi. Si tratta di un altro punto che, in generale, ha stentato a ricevere attenzione in ambito analitico. Come ha osservato Martha Nussbaum, uno degli effetti della professionalizzazione analitica della filosofia è stato quello di incoraggiare l’idea che il testo filosofico abbia un ruolo puramente strumentale: la sua funzione, in questa prospettiva, è quella di interferire il meno possibile con una trasmissione trasparente delle tesi e delle argomentazioni dell’autore. L’idea che la dimensione testuale possa avere un ruolo nel ragionamento, e non esserne solamente un tramite, apparirà aliena a chi adotta questo punto di vista20. Una delle assunzioni fondamentali del progetto di Cavell, invece, è che una comprensione delle modalità specifiche in cui un testo entra in relazione con il proprio lettore sia cruciale per definire la forma di ragionamento perfezionista: la forma del testo, in questo senso, è determinante per il tipo di pensiero filosofico che esso pratica. Nella prospettiva di Cavell, infatti, la pratica della chiarificazione perfezionista dell’io viene a essere immaginata come una forma di lettura: questa forma di ragionamento consiste in primo luogo nel leggere, in un certo modo, un certo tipo di testi. Cavell offre molto raramente una caratterizzazione generale del modo in cui l’attività di leggere un testo possa consegnare, al lettore, «una conoscenza che produce, o costituisce, un cambiamento o una svolta» (uno degli assunti del ragionamento di Cavell, infatti, è che ogni testo perfezionista concepisce il modo in cui esso va letto in termini specifici, relativi al tipo di conoscenza di sé che esso vuole raccomandare). In uno dei pochi passaggi dove questo tema è affrontato indipendentemente dalla lettura di un testo specifico, Cavell descrive quello che egli definisce il modello “terapeutico” della lettura in termini psicoanalitici. Cavell nota, a questo proposito, che nei testi che stabiliscono una relazione terapeutica con il lettore «l’accesso al testo non è offerto dal meccanismo della proiezione, ma da quello del transfert»21. La proiezione è, nel quadro freudiano, l’operazione psichica tramite cui il soggetto aliena su oggetti esterni desideri e sentimenti che non accetta in se stesso. Anche il transfert implica l’alienazione di desideri inconsci su oggetti esterni: in questo caso, tuttavia, questa alienazione è finalizzata al riconoscimento del materiale psichico rifiutato dal soggetto; il contesto caratteristico del transfert è infatti la relazione analitica tra paziente e terapista. Sostenendo che la 20 Si vedano a questo proposito le osservazioni di Nussbaum nella prefazione al suo Love’s Knowledge, Oxford, Oxford University Press, 1990, p. 20 e ss. 21 Cavell S., The Politics of Interpretation, raccolto nel suo Themes Out of School, Chicago, University of Chicago Press, 1984, p. 52. 20 relazione terapeutica con i testi è caratterizzata dal transfert e non dalla proiezione, Cavell sta dunque suggerendo che il testo perfezionista operi sul lettore in modo paragonabile a un’analista freudiano: come Cavell stesso nota, «dal punto di vista della terapia psicoanalitica, la situazione della lettura viene capovolta in modo caratteristico: non è innanzitutto il testo a essere soggetto a interpretazione, ma siamo noi a essere osservati o ascoltati dal testo»22. Stando a questa immagine, un testo perfezionista è in grado di anticipare e analizzare le proiezioni del lettore – pensieri, sentimenti, bisogni che il lettore rifiuta – e opera in modo tale da rendere il lettore consapevole di ciò a cui sta resistendo. Il testo, in altre parole, immagina che il proprio lettore stia negando qualcosa, stia rifiutando qualcosa che per altri versi gli appartiene. La pratica della lettura consente al lettore di proiettare provvisoriamente sul testo ciò a cui egli resiste: il testo, se la sua prosa è efficace, è in grado di gestire utilmente questa proiezione portando il lettore a riconoscere ciò che egli ha rifiutato. In questo senso, la lettura di un testo perfezionista può produrre nel lettore una forma di conoscenza di sé. Si tratta del modello di lettura esemplificato in un passaggio di Fiducia in se stessi di Emerson su cui Cavell ritorna più volte nel corso di Condizioni ammirevoli e avvilenti: E intanto, in ogni opera di genio riconosciamo i nostri pensieri rigettati: ritornano a noi ammantati di una maestà che altri hanno saputo dar loro23. Wittgenstein, un altro autore centrale nel progetto di Cavell, esprime un’ambizione simile a quella di Emerson definendo il proprio testo a partire dalla sua capacità di ricevere le proiezioni del lettore: Io non devo essere nient’altro che lo specchio nel quale il mio lettore veda il proprio pensiero riflesso con tutte le sue deformità e riesca poi, grazie a tale aiuto, a metterlo a posto24. 22 Ibidem. Per questa interpretazione della posizione di Cavell cfr. Mulhall S., Stanley Cavell. Philosophy’s Recounting of the Ordinary, Oxford, Clarendon Press, 1994, pp. 207-215; vedi anche Gould T., Hearing Things. Voice and Method in the Writing of Stanley Cavell, Chicago, University of Chicago Press, 1998, pp. 128-205. 23 Emerson R.W., Fiducia in se stessi, in Natura e altri saggi, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1990, p. 92. 24 Wittgenstein L., Pensieri diversi, Milano, Adelphi, 1980, pp. 45-46. 21 Emerson parla di riconoscere, nel testo, l’espressione delle proprie potenzialità rigettate; Wittgenstein affida alla sua scrittura il compito di rappresentare la padronanza ordinaria del linguaggio – un aspetto di se stessi che, secondo Wittgenstein, si tende a rifiutare quando si fa filosofia. In entrambi i casi, l’intento di questi autori non è quello di consegnare al lettore tesi o argomentazioni, ma quello di rendere accessibile una certa forma di comprensione di se stesso. Questa tipo di intento non caratterizza, secondo Cavell, una frangia marginale di autori eterodossi, ma è al contrario condiviso da alcuni dei testi più significativi della cultura occidentale. In questo senso, l’elusione di questo tipo di tradizione isola la riflessione contemporanea da un filone centrale della nostra cultura morale. Ripristinare la nostra percezione del registro perfezionista significa dunque, in parte, delineare una storia alternativa dell’etica – un progetto di ridefinizione di cui Condizioni ammirevoli e avvilenti pone le fondamenta25. Il riconoscimento del registro perfezionista mette infatti in questione, secondo Cavell, i modi consolidati di definire l’ambito della filosofia morale. Se ciò che qualifica la forma di ragionamento morale perfezionista è una forma di relazione terapeutica tra testo e lettore, la capacità che un testo ha di entrare in questo tipo di relazione con il lettore sarà indipendente dalla presenza, in questo testo, dei concetti canonici dell’etica – il giusto, il bene, le virtù. Cavell esprime il punto dicendo che l’etica, nel registro perfezionista, non è un campo di studi separato, definito da un oggetto specifico: ogni parola (del testo) contribuisce al tipo di ragionamento morale praticato in queste opere: «nelle mani dei filosofi perfezionisti – tra i quali includo Wittgenstein e Heidegger» scrive Cavell, «l’etica è presente ma non costituisce un campo di studi separato – il dare voce a ogni parola che arriva, come se ogni parola fosse rimpiazzata da se stessa, diviene un atto morale»26. Questa visione è rispecchiata nel lungo elenco di testi attraverso cui 25 cit. 26 Il progetto è sviluppato in modo più sistematico da Cavell in Cities of Words, Cfr. p. 203. L’idea che l’ambito dell’etica non possa essere delimitato a priori è un altro tema che accomuna la riflessione di Cavell sul perfezionismo al pensiero di Iris Murdoch (Murdoch, in The Sovreignity of Good, cit., osserva in questo senso che «la vita morale […] si svolge in maniera continua, non è qualcosa a cui si stacca la spina fra una scelta morale esplicita e l’altra»; Murdoch I., Esistenzialisti e mistici, trad. it. cit., p. 329). Il tema è sviluppato soprattutto nei lavori di Cora Diamond; cfr. ad esempio Diamond C., “We Are Perpetually Moralists”. Iris Murdoch, Fact, and Value, in Iris Murdoch and the Search for Human Goodness, a cura di M. Antonaccio 22 Cavell presenta, a pp. 69-70, il canone perfezionista. Nell’elenco compaiono infatti, accanto a testi classici del pensiero morale (come l’Etica nicomachea, il Saggio sulla libertà di Mill, la Fondazione della metafisica dei costumi di Kant), testi la cui appartenenza al canone della filosofia morale può apparire controversa (Schopenhauer come educatore di Nietzsche, Postilla conclusiva non scientifica di Kierkegaard) o fuori questione (le Ricerche filosofiche di Wittgenstein, Essere e tempo di Heidegger); a questi testi, Cavell aggiunge lavori che appaiono, più o meno ovviamente, estranei alla tradizione filosofica (i Saggi di Emerson, Il disagio della civiltà di Freud, Walden di Thoreau), testi letterari (Casa di bambola di Ibsen, La tempesta di Shakespeare, La belva nella giungla di Henry James) e anche film (The Philadelphia Story, Now Voyager). L’idea che la forma di comprensione morale perfezionista sia in questione in ogni parola del testo suggerisce che ciò che unifica questi lavori, più che un insieme di concetti, sia il fatto che in essi lo stile assume un ruolo determinante. Quali caratteristiche stilistiche, tuttavia, sono funzionali a instaurare il tipo di relazione terapeutica con il lettore su cui Cavell indirizza l’attenzione? Nuovamente, Cavell ritiene che una caratterizzazione generale di questo punto non sia né possibile né desiderabile: non c’è, nella prospettiva di Cavell, un insieme conchiuso di “condizioni necessarie e sufficienti” che qualificano un certo testo come perfezionista. Invece di stilare una lista di queste condizioni, Cavell muove invece da un esempio centrale di testo perfezionista – La Repubblica di Platone – per elencare quali caratteristiche della forma di questo testo consentano di includerlo nel canone perfezionista. Vale la pena di considerare l’inizio dell’elenco di Cavell: (1) una forma di conversazione (2) tra amici (più giovani e più vecchi) (3) uno dei quali è intellettualmente autorevole in quanto (4) la sua vita è in qualche modo esemplare o rappresentativa di una vita da cui l’altro o gli altri si sentono attratti, e (5) in virtù di tale attrazione l’io riconosce di essere incatenato, fissato e (6) si sente rimosso dalla realtà, al che (7) l’io comprende che può cambiare direzione (convertirsi, rivoluzionare se stesso), (8) viene così intrapreso un processo di educazione, in parte attraverso (9) una discussione dell’educazione, in cui (10) ogni sé è condotto in un viaggio di ascesa verso (11) uno stato ulteriore dell’io, e W. Schweiker, Chicago, University of Chicago Press, 1996, trad. it. in Diamond C., L’immaginazione e la vita morale, a cura di P. Donatelli, Roma, Carocci, 2006. 23 dove (12) ciò che è più alto non è determinato dal talento naturale ma dal cercare di conoscere ciò che si è e dal coltivare quello che si è stati concepiti per fare o essere […]27. Questo elenco associa (e in una certa misura fonde assieme) due ordini di fatti relativi al testo di Platone: da un lato, il Mito della Caverna, la rappresentazione platonica della trasformazione morale prodotta dalla filosofia; dall’altro, certi aspetti che riguardano il modo di presentazione della Repubblica (il fatto che esso assuma la forma di una conversazione, che si svolga attorno a una figura più anziana, intellettualmente autorevole, e così via). Il suggerimento è che la trasformazione morale rappresentata nel Mito della Caverna sia effettuata precisamente attraverso il tipo di conversazione praticato da Socrate nel testo: il riconoscimento di quello che Cavell definisce il proprio “io ulteriore” è mediato precisamente dal tipo di educazione che Socrate impartisce nella Repubblica. D’altra parte, come nota Cavell, il lettore della Repubblica è esposto a questa conversazione non meno dei personaggi del testo (la conversazione rappresentata nel testo, nota Cavell, «ha, ogni qual volta che la lettura si ripete, un membro in più rispetto a quelli raffigurati nel dialogo platonico (o wittgensteiniano, o emersoniano)»)28. Se questa conversazione è ciò che dischiude l’accesso al proprio “io ulteriore”, allora anche il lettore è invitato a percorrere il tragitto di educazione che il testo rappresenta, «come se [il] viaggio [dell’anima] non potesse essere presentato senza essere invocato, e viceversa»29. Anche il lettore è dunque nella posizione di scoprire che (dal momento che non è stato educato nella città concepita nella Repubblica) la sua vita è pervasa dall’illusione, e analizzare di conseguenza le proprie resistenze all’insegnamento di Socrate, confrontandole con le resistenze espresse dai prigionieri della Caverna, e dai partecipanti al dialogo. In questo senso, la forma del testo di Platone – il fatto che esso sia scritto come un dialogo, il tipo di relazioni che si stabiliscono tra coloro che vi partecipano, il modo in cui i personaggi concepiscono se stessi – è essenziale al tipo di ragionamento morale che il testo propone: questa forma di ragionamento non è condensata esclusivamente negli argomenti di Socrate, ma richiede di considerare le particolari forme di ironia, 27 Vedi 71; vedi anche Cavell S., Cities of Words, cit., pp. 445-447. Vedi p. 72. 29 Vedi p. 99. 28 24 di elusione e di immaginazione che la tecnica del dialogo consente di utilizzare. Non è necessario, per Cavell, che ogni testo perfezionista presenti esattamente questo tipo di caratteristiche stilistiche. Cavell è particolarmente interessato, ad esempio, al fatto che la trasformazione morale rappresentata nei Saggi di Emerson non presupponga (diversamente da quanto avviene nella Repubblica) uno stato finale dell’io in cui il perfezionamento morale raggiunge la sua meta: questa modificazione dell’immaginario platonico corrisponde, come nota Cavell, a un diverso metodo di trasformazione morale e a un diverso tipo di relazione tra testo e lettore – un’idea che Cavell usa per illustrare come il perfezionismo sia non solo compatibile, ma di fatto essenziale alla cultura morale delle società democratiche30 (una descrizione esauriente del modo in cui i diversi testi perfezionisti, pur non condividendo le stesse caratteristiche, sono collegati tra loro richiederebbe di espandere il suggerimento di Cavell che questi testi formino un “genere”)31. Ogni testo perfezionista, tuttavia, cercherà di stabilire questo tipo di relazione trasformativa con il lettore, e lo farà in generale attraverso la rappresentazione di una trasformazione morale che il testo ambisce, al tempo stesso, a mettere in pratica. Come ha osservato James Conant, «è un tratto caratteristico della scrittura [perfezionista] che la relazione che intercorre tra le voci all’interno del testo rispecchi il tipo di relazione in cui il lettore è invitato a entrare con il testo»32. 30 Non è stato possibile delineare, in questa introduzione, le riflessioni di Cavell sulla relazione tra Perfezionismo Emersoniano e democrazia: Cavell non è soltanto interessato a mostrare, infatti, che questo tipo di perfezionismo è compatibile con la democrazia, ma ritiene anche che esso abbia un ruolo essenziale nella definizione degli ideali morali democratici. Cfr. per una discussione di questi temi Goodman R.B., Moral Perfectionism and Democracy. Emerson, Nietzsche, Cavell, in «ESQ», 43, 1-4, 1997; Norval A., Moral Perfectionism and Democratic Responsiveness. Reading Cavell with Foucault, in «Ethics and Global Politics», 4, 4, 2011; e Conant J., Nietzsche’s Perfectionism, cit. 31 Per le riflessioni di Cavell sul concetto di “genere” nel cinema e in letteratura, vedi il suo Pursuits of Happiness. The Hollywood Comedy of Remarriage, Cambridge, MA., Harvard University Press, 1981, pp. 27-33, trad. it. Alla ricerca della felicità, Einaudi, Torino, 1999, pp. XLVII-LV. Vedi anche Cavell S., Must We Mean What We Say, cit., pp. 221-222; Cavell S., The World Viewed. Reflections on the Ontology of Film, New York, The Viking Press, 1971, pp. 29-37; Cavell S., Themes out of School, cit., pp. 242-250. 32 Conant J., Nietzsche’s Perfectionism, cit., p. 208. 25 3. “L’IRONIA FONDANTE DEL PERFEZIONISMO” Abbiamo fin qui descritto i lineamenti del progetto intellettuale di Condizioni ammirevoli e avvilenti, concentrandoci in particolare sul recupero, da parte di Cavell, dell’idea di perfezionismo morale. D’altra parte, descrivere Condizioni ammirevoli e avvilenti come se il suo unico scopo fosse quello di delineare una tradizione alternativa in filosofia morale suonerà falso, o parziale, a chiunque si sia addentrato nelle pagine del testo. Se il perfezionismo è una forma di ragionamento morale praticata essenzialmente attraverso testi, ci si potrebbe chiedere quale sia la posizione di Condizioni ammirevoli e avvilenti rispetto al canone di testi che viene descritto nelle sue pagine: si tratta soltanto di un’opera in cui il perfezionismo viene descritto, o di un’opera che condivide l’ambizione perfezionista di Emerson, Wittgenstein, o Ibsen? È in effetti difficile reprimere l’impressione che la motivazione di Cavell sia più vicina a quella degli autori che presenta, che non a quelle della saggistica filosofica accademica. Più che offrire una ricostruzione filosofica delle tecniche perfezioniste di conoscenza di sé, Cavell sembra interessato a mettere in pratica questa forma di ragionamento morale nel testo stesso di Condizioni ammirevoli e avvilenti. Questo può essere visto, ad esempio, riflettendo sul modo caratteristico in cui le tre conversazioni rappresentate nelle tre lezioni che seguono arrivano a un punto d’arresto. Se è vero che il Mito della Caverna è il paradigma della trasformazione morale perfezionista, il modo in cui Cavell rappresenta la propria posizione in queste conversazioni suggerisce un qualche livello di analogia con la posizione del filosofo rappresentato nel Mito. L’analogia non ha a che vedere con il fatto che Cavell rivendichi il tipo di conoscenza che il filosofo nel Mito della Caverna vuole impartire ai prigionieri: la similarità è piuttosto determinata dalla circostanza per la quale, sia nel caso di Cavell sia in quello del Mito della Caverna, ciò che motiva, e al tempo stesso impedisce, la conversazione è il fatto che quanto deve essere detto è oggetto di rifiuto. Nel Mito della Caverna, i prigionieri oppongono una resistenza al filosofo, che vorrebbe portarli a riconoscere che il loro mondo non è autenticamente reale: questo perché, come Platone sottolinea, l’illusione di cui sono vittime orienta le loro reazioni a questo tentativo. D’altra parte, proprio questa resistenza mostra come essi abbiano bisogno di quello che il filosofo può dire loro: la conoscenza di cui avrebbero bisogno è, in questo senso, precisamente la conoscenza a cui essi non possono accedere. La struttura, se non il con26 tenuto, di questa empasse viene riprodotta nelle tre lezioni di Condizioni ammirevoli: in tutte e tre le conversazioni che Cavell descrive, il tema non è la valutazione di una credenza o di una tesi, ma piuttosto una certa forma di rifiuto filosofico: dal momento che questo rifiuto si estende alla natura stessa di cosa conta come una ragione in un certo contesto, non è possibile risolvere queste discussioni facendo appello a ragioni che entrambe le parti possono condividere. Se la conversazione deve andare avanti, è necessario elaborare una forma di discorso, uno stile di pensiero, in grado di farsi carico e di modificare questo tipo di resistenza; un tipo di discorso in cui chi partecipa alla conversazione possa riconoscere e intervenire sulla struttura delle proprie assunzioni e sui propri dinieghi (è importante notare che questa resistenza non è per Cavell soltanto una questione di predilezioni intellettuali: Cavell, dopo aver indirizzato l’attenzione sull’investimento sulle parole ordinarie tipico dello stile di Emerson, osserva che «questo atteggiamento è per me un’allegoria di un investimento nelle nostre vite che, mi pare, coloro che sono stati addestrati alla filosofia professionale sono addestrati a disapprovare», Prima Lezione 1, 103). Come abbiamo detto, Cavell suggerisce che la forma di discorso in grado di modificare l’orientamento dei prigionieri della Caverna sia la conversazione della Repubblica nel suo insieme, e che la rappresentazione di questa conversazione sia un modo di mettere in atto un processo simile nei confronti del lettore. Ma una simile strategia di esemplificazione può essere vista all’opera, in una forma diversa, nel testo stesso di Condizioni ammirevoli e avvilenti. Cavell non rappresenta esattamente un dialogo con diversi personaggi e diverse voci. La sua posizione, nel corso del testo, è piuttosto quella del lettore: le sue lezioni non mostrano un filosofo intento a discutere un certo problema o argomentare una certa tesi, ma raffigurano piuttosto Cavell nell’atto di leggere una serie di testi – in primo luogo, testi che appartengono al genere perfezionista definito in Condizioni ammirevoli e avvilenti. Il lettore di un testo perfezionista, alla luce della caratterizzazione offerta da Cavell, deve riconoscere impegni e responsabilità diverse da quelle più familiari che sono associate all’attività del commentatore o dell’esegeta di testi filosofici. Se i testi perfezionisti hanno la finalità di restituire al lettore una forma di conoscenza di sé, leggere un testo perfezionista significherà (per riprendere l’espressione di Cavell) “essere interpretati” dal testo33. 33 Cavell S., The Politics of Interpretation, cit., p. 52. 27 Questa descrizione, di conseguenza, vale anche per le specifiche letture che Cavell propone in Condizioni ammirevoli e avvilenti. Si tratta di un punto cruciale per capire ciò che avviene nel testo: le letture di Cavell non possono essere comprese indipendentemente dall’idea che interpretare un testo perfezionista significhi innanzitutto lasciarsi interpretare da questo testo. Questa esigenza metodologica può aiutare a inquadrare il tono confessionale, quasi autobiografico, che le letture di Cavell tendono ad assumere: la notazione scrupolosa delle proprie risposte personali al testo è un tentativo, in questo senso, di corrispondere fedelmente alle ambizioni caratteristiche dell’autorialità perfezionista. Questo non deve portare a credere che una lettura perfezionista sia semplicemente l’occasione per registrare reazioni private all’opera che si legge, come se il testo fosse una specie di test di Rorsach, un pretesto per evocare associazioni di idee. Se, come scrive Cavell, leggiamo il testo perfezionista con il nostro “io attuale”, limitandoci a ritrovare in esso ciò che vi proiettiamo, stiamo fraintendendo il senso di ciò che leggiamo: la finalità di un testo perfezionista, infatti, è quella di consentire al lettore di liberarsi delle proprie proiezioni attuali34. Questo modo di leggere i testi richiede, per questo motivo, una forma peculiare di accuratezza, di fedeltà al testo: solo attraverso un’attenzione minuziosa a ciò che avviene nel testo (alle sue allusioni, alle sue intimazioni, alle sue istruzioni, a quanto il testo non dice, o comunica indirettamente) è possibile far sì che esso operi la sua funzione terapeutica. D’altra parte, se una (buona) lettura perfezionista non è necessariamente privata o arbitraria, essa impone comunque al lettore di dare voce alle proprie risposte personali. Ciò può indurre a chiedersi quale sia, in fin dei conti, il senso di presentare pubblicamente questo tipo di lettura. Perché Cavell descrive in una serie di lezioni, esplicitamente rivolte ai membri di un’associazione professionale di filosofi, i termini in cui alcuni testi sono stati in grado di restituirgli pensieri rigettati? Se pure si ammette che questo modello di lettura possa avere qualche beneficio per la persona che lo pratica, e si riconosce che esso implichi un suo ideale di accuratezza, ci si potrebbe chiedere in cosa consista il suo interesse filosofico. In questo contesto, può essere utile ricordare il tratto dell’autorialità perfezionista che Cavell sottolinea attraverso la Repubblica di Platone: come scrive Cavell, non si può presentare il viaggio dell’anima senza 34 28 Cfr. ibidem. invocarlo, e viceversa35. La rappresentazione dell’attività di chiarificazione, in altre parole, è il modo caratteristico in cui, nella tradizione perfezionista, l’attività di chiarificazione viene praticata: la forma di ragionamento perfezionista funziona, in questo senso, attraverso un meccanismo di esemplificazione. Questo può essere applicato, allora, anche a quello che Cavell fa in Condizioni ammirevoli e avvilenti: rappresentando il modo in cui, ad esempio, i saggi di Emerson sono stati in grado di analizzare e trasfigurare il tipo di resistenza che questo tipo di testi suscita, Cavell non sta meramente presentando una serie di fatti relativi al proprio modo di risposta, ma sta esemplificando il funzionamento della modalità di chiarificazione tipica di questi testi. In questo senso, nel rappresentarsi come lettore di un testo perfezionista, Cavell sta invitando il lettore a partecipare al processo di chiarificazione che il suo testo mette in atto. Come ha osservato Timothy Gould, «il lettore empirico, reale è incoraggiato a mettersi nei panni del lettore filosofico (rappresentato) e a iniziare a impegnarsi nel processo della lettura […]». Questa procedura «ci sfida a vedere ciò che abbiamo in comune con la posizione del lettore con cui ci stiamo scambiando di posto. Il fatto che ci siamo introdotti nel mezzo dell’attività di lettura di qualcun altro ci invita a esaminare ciò che troviamo rappresentativo in quella lettura»36. L’uso che Cavell fa delle proprie risposte personali serve così a invitare il lettore a valutare se, e in che termini, gli è possibile far proprie quelle risposte: quale che sia l’atteggiamento assunto dal lettore, questo tipo di scrittura lo metterà nella posizione di riflettere sulle proprie resistenze, sulle proprie assunzioni e sulle proprie aspettative. «Cavell – ha scritto a questo proposito Arnold Davidson – non scrive in primo luogo per produrre nuove tesi o conclusioni, o per produrre nuovi argomenti per vecchie conclusioni, ma, come Kierkegaard e l’ultimo Wittgenstein, per scolpire e trasformare la sensibilità del lettore, per disfare i suoi auto-inganni e riorientare il suo interesse»37. Come sottolineato da Davidson, la scrittura di Cavell è in continuità con quella di autori perfezionisti come Wittgenstein e Kierkegaard: Cavell non si limita a descrivere la forma di ragionamento perfezionista, ma intende praticarla nella propria prosa (Cavell osserva che Fiducia in se stessi di Emerson “[…] descrive, prima di tutto, la sua stessa prosa”; 35 Cfr. supra nota 30. Gould T., Hearing Things, cit., pp. 150-151. 37 Davidson A., Beginning Cavell, in The Sense of Stanley Cavell, Lewisburg, Bucknell University Press, 1989, p. 234. 36 29 ma una descrizione simile potrebbe essere applicata, in questo senso, al testo stesso di Condizioni ammirevoli e avvilenti)38. L’esigenza di adottare in prima persona la posizione dell’autore perfezionista è dettata, come abbiamo suggerito, dal fatto che il tipo di difficoltà filosofica che Cavell considera in Condizioni ammirevoli e avvilenti assume a sua volta una delle forme caratteristiche della difficoltà morale perfezionista: la difficoltà che il lettore filosofico attuale sperimenta nell’accettare, ad esempio, la validità filosofica dello stile di Emerson o di Wittgenstein è parallela, nella prospettiva di Cavell, al tipo di trasformazione morale che questi testi cercano di attuare. Questa difficoltà non è connessa a un disaccordo su una certa tesi o conclusione filosofica, ma è prodotta dalla presenza di una serie di resistenze, assunzioni o aspettative; come Cavell stesso osserva a proposito della sua divergenza da Rawls, questo tipo di disaccordo «riguarda più le aspirazioni che non le argomentazioni; riguarda, cioè, quello per cui dobbiamo trovare argomentazioni»39. Quando il disaccordo investe la liceità intellettuale di un certo stile di pensiero, il suo superamento richiede l’elaborazione di una forma di discorso peculiare. Esso non può essere superato fornendo argomenti che l’altro è già nella posizione di accettare (ossia, per riprendere il linguaggio di Cavell, parlando al suo “io attuale”). Tenendo fede a questa esigenza si corre il rischio, tuttavia, di produrre ragioni che l’altro non può fare a meno di rifiutare, riattivando più che modificando la resistenza dell’interlocutore. Ciò che occorre, in questo caso, è una forma di discorso in grado di portare l’altro a riconoscere le proprie resistenze e le proprie aspettative in quanto tali, consentendogli di portarle alla luce e analizzarle. L’uso particolare che Cavell fa della posizione del lettore in Condizioni ammirevoli e avvilenti assolve, fra le altre cose, a questa funzione metodologica: Cavell, mostrando in che modo è possibile lasciare che un testo analizzi le proprie resistenze e i propri requisiti, mette il lettore nella posizione di decidere se, e in che misura, è disposto a seguirlo in questa forma di ragionamento. In un passaggio dell’Introduzione, Cavell osserva che Socrate, dicendo che il filosofo non deve partecipare agli affari della città reale, ma 38 Vedi Speranza contro speranza, p. 200. L’idea che le letture di Cavell abbiano spesso la funzione di caratterizzare, riflessivamente, il testo stesso di Cavell è stata sottolineata da Stephen Mulhall (cfr. ad esempio Mulhall S., Inheritance and Originality. Wittgenstein, Heidegger, Kierkegaard, Oxford, Oxford University Press, 2001, pp. 4-5; Mulhall S., Philosophy’s Recounting of the Ordinary, cit., pp. 179-181). 39 Vedi Prefazione, p. 46. 30 occuparsi solo della propria città di parole, sta esemplificando “l’ironia fondante del perfezionismo”40. L’ironia risiede presumibilmente nel fatto che Socrate, nel fare questa affermazione, si sta appunto rivolgendo agli abitanti della città reale, occupandosi pertanto degli affari di questa città. Il motivo per cui Cavell ritiene che questa ironia abbia un ruolo fondamentale nel perfezionismo dovrebbe essere, a questo punto, chiaro: è in primo luogo esemplificando che cosa significa aver cura di sé e delle proprie parole che il filosofo può invitare gli altri a fare altrettanto (e offrire, in questo senso specifico, un contributo alla propria comunità). Non è raro reagire allo stile di Cavell accusandolo di autoreferenzialità: la sua prosa è apparsa ad alcuni capricciosamente autobiografica, deformata da una concentrazione eccessiva sulle proprie parole e sul proprio modo di risposta. Se questa reazione non è sufficiente a far sì che il lettore abbandoni il testo di Cavell, essa apre lo spazio per domandarsi quale sia il senso di una postura filosofica così controversa. Abbiamo cercato di mostrare come l’uso che Cavell fa della propria voce non sia separabile dal tipo di difficoltà filosofica che egli vuole affrontare, e dalla forma di ragionamento morale in cui questa difficoltà può essere affrontata utilmente. Questo non significa che la prosa di Cavell abbia necessariamente successo nell’affrontare questa difficoltà: ma può servire a collocare più chiaramente in cosa consistano, per questo tipo di prosa, il successo e l’insuccesso. 40 Vedi p. 84. 31