i diritti e gli interessi coinvolti

Parte prima
I DIRITTI
E GLI INTERESSI COINVOLTI
1. Le posizioni giuridiche soggettive
Per poter dare una definizione delle posizioni giuridiche soggettive occorre partire
dal dettato costituzionale ed in particolare dalla distinzione tra diritti soggettivi ed
interessi legittimi che trova fondamento negli articoli 24, 103 e 113 della
costituzione.
In particolare, l'articolo 103 cost. prevede che "il Consiglio di Stato e gli altri
organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti
della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie
indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi ".
Una parte della dottrina ha inteso la norma citata come delimitazione della
competenza del giudice ordinario limitatamente alle posizioni giuridiche di diritto
soggettivo.
Un'altra parte della dottrina ha ritenuto invece che si tratti di un principio a
carattere generale al quale possono essere consentite deroghe da parte del legislatore:
si pensi alla legge numero 689/1981 che prevede, in capo al giudice unico, un
penetrante potere sulla attività discrezionale della pubblica amministrazione
compreso quello di entrare nel merito delle sanzioni irrogate.
Anche la legge n. 65/1996 riconosce al giudice ordinario il potere di revocare o di
modificare il provvedimento amministrativo.
Da ultimo si è costituita una giurisdizione ordinaria cosiddetta esclusiva con leggi
di privatizzazione del pubblico impiego con attribuazione al giudice ordinario della
cognizione dei rapporti privatizzati anche con riferimento a residueo posizioni di
interesse legittimo.
Comunque la distinzione presente nella Costituzione ha avuto riflessi immediati
sul riparto di giurisdizione. E fino alla sentenza n.500/1999 delle Sezioni Unite ed
all’entrata in vigore dell'art.7 della legge n. 205/2000 la tutela risarcitoria ex art. 2043
codice civile veniva accordata soltanto nelle ipotesi di controversie in cui venivano in
rilievo diritti soggettivi e non interessi legittimi. Ciò sul presupposto che la lesione
dell'interesse legittimo per definizione non sarebbe risarcibile atteso che l'interesse
materiale che lo sostanzia non rientra nel patrimonio del suo titolare, ci troveremmo
di fronte in sostanza ad una lesione non incidente su un bene della vita.
1.1 I diritti soggettivi
E’ possibile individuare una posizione di diritto soggettivo ogni qualvolta il
privato si trovi ad avere una situazione direttamente protetta dall'ordinamento tale da
non avere bisogno dell'intervento di un potere pubblico.
1
Con riguardo all'interesse legittimo è necessario che la pubblica amministrazione
emani un provvedimento a favore del privato all'esito della ponderazione degli
interessi in gioco; invece, nel caso del diritto soggettivo si ha una tutela immediata e
piena da parte dell'ordinamento. Per tale motivo il diritto soggettivo trova
fondamento in una norma di relazione, mentre l'interesse legittimo si fonda su una
norma di azione tendente a regolamentare l'attività della pubblica amministrazione
(1). I diritti soggettivi possono affievolire ad interessi legittimi di fronte ad un
interesse pubblico preminente; qualora il privato impugni il provvedimento
amministrativo che ha determinato detto affievolimento ed il giudice amministrativo
lo accoglie annullando il citato atto si determina una riespansione dell’ interesse
legittimo a diritto soggettivo.
Vi sono poi casi in cui diritti soggettivi ed interessi legittimi coesistono: si pensi
allo ius aedificandi che attribuisce al proprietario del fondo una posizione di diritto
soggettivo nei confronti di un suo confinante che non abbia rispettato le distanze. Lo
stesso proprietario, in rapporto alla pubblica amministrazione che ha rilasciato la
concessione di costruzione illegittima, può vantare soltanto un interesse legittimo.
1.2 L'interesse legittimo
La legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, nel disporre l'abolizione dei tribunali
speciali del contenzioso amministrativo , attribuiva al giudice ordinario la competenza
in merito ai diritti civili o politici che coinvolgessero la pubblica amministrazione
mentre riservava alle autorità amministrative le questioni non riguardanti diritti con
potere di revoca e di annullamento dei relativi atti.
Gli interessi legittimi, di contro, traggono origine dalla legge 31 marzo 1889, n.
5992 con la quale fu istituita la IV sezione del Consiglio di Stato attribuendo ad essa
il potere di decidere i ricorsi contro gli atti amministrativi concernenti un interesse di
individui o di enti.
La dottrina ha elaborato la teoria secondo la quale l'interesse legittimo
riguarderebbe quegli interessi occasionalmente protetti a fronte dei quali permane
fondamentale il perseguimento dell'interesse pubblico che l'ordinamento intende
raggiungere. Si è delineata poi una teoria processualistica in base alla quale
l'interesse legittimo sarebbe costituito da un potere di reazione al fine di annullare un
atto lesivo e pertanto illegittimo.
Si tratta di una teoria che non è conforme al dato legislativo così come delineato
dalla legge n. 241/90 che prevede la tutela dell'interesse legittimo anche nella fase
precedente all'emanazione del provvedimento. Si pensi alla fase procedimentale che
consente al cittadino di partecipare all'emanazione del provvedimento. Secondo il
Virga l'interesse legittimo coincide con la pretesa da parte del privato che l'esercizio
dei pubblici poteri avvenga in maniera legittima.
_______________
(1) F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Tomi I p.375 e ss. II, Giuffrè, Milano
2003).
2
Varie critiche sono state formulate a questa teoria. La più importante ritiene che la
teoria del Virga non colga l'interesse emergente della pretesa del privato il quale più
che tendere alla legittimità dell'azione amministrativa mira a conseguire il bene
della vita che ritiene gli spetti.
Il Nigro, da parte sua, ha elaborato la teoria normativi . Il potere amministrativo è
regolamentato in modo tale che si consegua un determinato assetto degli interessi
pubblici e privati e la posizione di quest'ultimi costituisce una posizione di vantaggio
qualificato e differenziato rispetto agli interessi degli altri cittadini. Non un mero
accertamento di legittimità ma un vero e proprio percorso volto a conseguire l'utilità
sostanziale cui il privato ritiene di avere diritto.
1.2.1 Gli interessi oppositivi
L'interesse legittimo oppositivo si collega a particolari condizioni vantaggiose che
il privato intende mantenere. A fronte di questo interesse vi può essere l'attività della
pubblica amministrazione che, al fine di rispondere ad un interesse pubblico, adotta
provvedimenti volti a modificare quella condizione vantaggiosa provocando danni al
privato che ne era titolare. Si pensi all'occupazione o all'espropriazione di un terreno
ottenuta dalla pubblica amministrazione al termine di un procedimento ablatorio.
1.2.2 Gli interessi pretensivi
La costruzione del concetto di interesse pretensivo è da mettere in rapporto con
l'evolversi delle moderne società volte ad assicurare ai cittadini contribuenti ed utenti,
livelli di servizi pubblici funzionali ed efficienti.
Con riguardo all’attività della pubblica amministrazione il privato ha facoltà di
richiedere agli uffici competenti il rilascio di provvedimenti autorizzatori, concessori
o comunque ampliativi della propria sfera giuridica.
Sul piano della sua risarcibilità il Consiglio di Stato ha fissato il principio secondo
cui “allorché il privato sia titolare di un interesse legittimo di natura pretensiva, il
contatto che si stabilisce fra lui e l’Amministrazione dà vita ad una relazione
giuridica di tipo relativo, nel cui ambito, il diritto al risarcimento del danno ingiusto,
derivante dall’adozione di provvedimenti illegittimi presenta una fisionomia sui
generis, non riducibile al modello aquiliano dell’articolo 2043 del codice civile, in
quanto, al contrario, caratterizzata da alcuni tratti della responsabilità
precontrattuale e di quella per inadempimento delle obbligazioni.
Non può, dunque, negarsi la rilevanza dell’elemento soggettivo – al fine della
configurazione della responsabilità dell’amministrazione per il danno conseguente
alla adozione del provvedimento illegittimo - ancorché, specifiche regole inducano,
sul piano processuale, all’inversione dell’onere della prova (è il debitore dovere
fornire la prova negativa dell’elemento soggettivo e non, il creditore, quella della
sua esistenza).
Tali regole, peraltro, non escludono, in radice, la possibilità di esimenti, quali
la scusabilità dell’errore in cui sia incorsa l’Amministrazione nell’adottare il
3
provvedimento illegittimo (il debitore, infatti, non risponde dell’inadempimento se
dovuto a causa a lui non imputabile).
1.2.3 Gli interessi procedimentali
Con la legge 7 agosto 1990 n. 241, agli articoli 7-13, si voluto disciplinare la
partecipazione dei soggetti interessati al procedimento amministrativo. Già con la
legge 20 marzo 1865 n. 2248 allegato E era prevista la partecipazione dei privati
attraverso l'ammissione di deduzione e osservazioni scritte nelle materie non attinenti
a diritti civili o politici.
Si trattava di una prima limitazione del carattere autoritativo con il quale viene
posta in essere l'attività amministrativa. Tuttavia, nonostante la norma,
la
giurisprudenza ne ha costantemente disconosciuto la reale operatività.
L'articolo 9 della legge 17 agosto 1942 n. 1150 prevede che le associazioni
sindacali, gli enti pubblici ed anche i cittadini del comune possano presentare
osservazioni nel procedimento di formazione del piano regolatore generale.
La legge 241/90 ha delineato un complesso di interessi legittimi che i soggetti
coinvolti dall'azione della pubblica amministrazione possono fa valere; con l'articolo
7 viene introdotto il principio del giusto procedimento teso a ponderare gli interessi
pubblici e privati; l'articolo 2 fissa la doverosità di iniziare e concludere il
procedimento amministrativo con un provvedimento espresso sancendo così a carico
della pubblica amministrazione l'obbligo di provvedere; gli articoli 16-18
disciplinano l’attività istruttoria e la sua semplificazione prevedendo la possibilità per
i cittadini di autocertificare determinati fatti, stati o qualità che li riguardano; gli
art.li 8 e 10 stabiliscono la necessità di comunicare l’avvio del procedimento e la
possibilità per i privati di prenderne parte; l’ articolo 11 pone a carico della pubblica
amministrazione l’onere di esaminare e valutare gli interessi secondari pubblici o
privati che siano coinvolti nel procedimento amministrativo; l'articolo 22 consente
l'accesso degli interessati ai documenti amministrativi.
Sul rapporto tra giudizio sul silenzio e quello di merito il Consiglio di Stato,
riprendendo le linee fondamentali fissate nell’Adunanza Plenaria n. 1 del 9 gennaio
2002, ha affermato che “il giudizio disciplinato dall’articolo 21 bis della legge 21
luglio 2000, n. 205, benché collegato, sul piano logico – sistematico, al dovere
imposto a tutte le amministrazioni pubbliche di concludere tutti i procedimenti
mediante l’adozione di provvedimenti espressi, nei casi in cui essi conseguano
obbligatoriamente ad una istanza ovvero debbano essere iniziati d’ufficio (secondo
la previsione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241), postula pur sempre
l’esercizio di una potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato
si configura come un interesso legittimo: solo in tale prospettiva, infatti, trova
razionale giustificazione la ratio del predetto giudizio, volto – com’è noto – ad
accertare se l’amministrazione abbia, con il silenzio, violato il predetto obbligo di
provvedere (sul punto, ex multis, Sez. IV, 27 gennaio 2003, n. 426; 10 febbraio 2003,
n. 672; 24 marzo 2003, n. 1521); il nuovo e accelerato strumento di tutela offerto dal
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procedimento speciale introdotto per i ricorsi avverso il silenzio non può quindi
valere per ottenere in modo anticipato una delibazione del merito della controversia
che è invece riservato al normale giudizio di cognizione.”(Consiglio Stato – Sez.IV –
n.1873/2004)
Relativamente alla comunicazione dell’avvio del procedimento agli interessati tale
obbligo “è in funzione dell'esigenza di consentire la partecipazione del privato
all'attività amministrativa procedimentalizzata, per ivi svolgere attività difensiva e
collaborativa, e quindi sussiste nei soli procedimenti ex officio e per quelli in cui il
destinatario non abbia avuto in altro modo conoscenza dell'attività amministrativa,
ma non anche in quelli ad istanza di parte, dei quali l'interessato è evidentemente già
a conoscenza, avendo egli stesso attivato il relativo iter procedimentale” (Consiglio
di Stato – Sez. V - n.5034/03).
1.2.4 Gli interessi diffusi
Con una storica sentenza il Consiglio di Stato (decisione n.253/1973) ha
riconosciuto la legittimazione processuale all'associazione Italia Nostra in una
controversia concernente l'approvazione da parte della giunta provinciale di Trento
del progetto per l'esecuzione dei lavori di una strada risultata poi gravata da un
vincolo paesaggistico. Successivamente l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato
(decisione n.24/1979) ha riconosciuto la titolarità di un interesse legittimo in capo
alle associazioni che perseguono, anche se non riconosciute, obiettivi di tutela
ambientale. Con la legge n. 241/90 il riconoscimento degli interessi diffusi ha trovato
spazio
nella legislazione vigente. Con essa si è permesso l'intervento nel
procedimento amministrativo di tutti coloro che risultassero portatori di interessi
pubblici o privati e nei confronti dei quali l'adozione del provvedimento finale
potrebbe arrecare pregiudizio (2).
In tema di ambiente con la legge n. 349/1986 ed il D.Lgs. n. 267/2000 si è
proceduto ad una puntuale disciplina del danno ambientale con l’azione
consequenziale che l'autore del fatto sia chiamato a risarcire lo stato.
2. Il quadro comunitario
"La figura soggettiva dell'interesse legittimo tipica della cultura giuridica italiana,
è sconosciuta al diritto comunitario, nell'ambito del quale la congedi e delle posizioni
soggettive riconosciute dalle fonti viene ricondotta, attraverso l'attività di
semplificazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia, alle due situazioni
soggettive base: diritto, situazione attiva, ed obbligo, situazione passiva"(3).
Detto quadro risulta in contrasto con la distinzione tra diritto soggettivo ed
interesse legittimo consacrata a livello costituzionale dagli articoli 24, 103 e 113.
______________
(2) M.V. Lumetti ed altri, Il risarcimento del danno nel processo civile, amministrativo,
amministrativo-contabile, penale, tributario, Maggioli, Dogana, 2003, p.307).
(3) F. Caringella, op. citata, tomo I, p.399).
5
Tuttavia dato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha più volte ribadito
che ciascun paese membro è libero di scegliere il giudice competente e le
modalità procedurali delle controversie il citato contrasto non ha creato problemi.
L’importante per la Corte di Giustizia è che vengano assicurati i principi comunitari
di non discriminazione e di effettività della tutela.
In alcune sentenze (Brasserie du Pecheur e Factortame III) la Corte di Giustizia
ha fissato il principio della responsabilità statale per violazione del diritto
comunitario. Nel caso in cui si verta in tema di violazione di norme comunitarie
immediatamente applicabili viene affermata la responsabilità dello stato con
conseguente necessità di ristoro economico e diretta azionabilità del suo diritto. Se
invece ci troviamo di fronte ad una direttiva non immediatamente esecutiva il
soggetto danneggiato potrà avere soltanto una tutela risarcitoria.
Ciò anche nel caso in cui la condotta lesiva sia tenuta da un soggetto diverso dallo
stato o addirittura venga posta in essere da un privato investito però di poteri
normativi ed amministrativi.
"Muovendo dunque dalla valorizzazione dei principi di cui all'articolo 215 (ora
288) del Trattato in ossequio al principio di equivalenza tra responsabilità delle
istituzioni comunitarie e quella dello stato la corte giustizia ha precisato che sul piano
oggettivo il profilarsi della responsabilità dello stato resta in ogni caso subordinato
alla concorrenza di altre condizioni essendo all'uopo necessario che:
a) la norma comunitaria violata attribuisca un diritto favore dei singoli;
b) la violazione sia grave e manifesta;
c) sussista un nesso di causalità tra la violazione perpetrata dallo stato il danno
subito dal singolo”(4).
L'ammontare del risarcimento deve comprendere anche il lucro cessante. Ai fini
del risarcimento, non rileva la posizione di interesse legittimo di fronte alla attività
della pubblica amministrazione ma il fatto che la posizione del privato sia tutelata
da una norma comunitaria.
3. Il superamento del principio dell'irrisarcibilità degli interessi legittimi
Il giudice amministrativo, quale giudice delle norme di azione, finora poteva
soltanto annullare l’atto amministrativo, ma non poteva condannare la PA. al
risarcimento del danno.
Al contrario il giudice ordinario, giudice dei diritti soggettivi previsti da norme di
relazione, poteva concedere il risarcimento, ma non poteva conoscere delle situazioni
di interesse legittimo.
Soltanto quando, percorsa previamente la via del giudizio amministrativo, si fosse
verificata la riespansione della figura giuridica soggettiva affievolita si poteva tornare
dal giudice ordinario ai fini risarcitori.
___________
(4) F. Caringella, op. citata, tomo I, p.90 e ss..
6
Infatti, il diritto soggettivo che si scontra con il potere della pubblica
amministrazione manifestatosi con un atto autoritativo, degrada, affievolisce, diventa
un interesse legittimo tutelabile davanti al giudice amministrativo.
Tuttavia quel provvedimento, impugnato davanti al G.A., qualora risulti adottato
illegittimamente è soggetto a caducazione: l’annullamento determina di nuovo la
riespansione dell’interesse legittimo all’originaria consistenza di diritto soggettivo,
tutelabile di fronte al giudice ordinario attraverso l’azione per risarcimento del danno.
La posizione del privato può affievolire soltanto quando la P.A. agisca nel rispetto
delle norme di legge.
3.1 La lesione dell’interesse pretensivo
Diversa l’ipotesi dell’interesse pretensivo. Si tratta di un interesse del soggetto ad
ottenere una modificazione migliorativa della sua posizione, ovvero una concessione,
un’autorizzazione, un’abilitazione, un’ammissione alla partecipazione ad una gara,
una pretesa all’inserimento in una certa struttura, a vincere un determinato concorso,
in generale un interesse a pretendere qualche cosa dalla pubblica amministrazione .
Ma è una pretesa la cui realizzazione è strettamente legata all’azione della P.A. la
quale può dare esito positivo o negativo a questa istanza del privato o addirittura non
prenderla nemmeno in considerazione rimanendo del tutto inerte.
Nell’ipotesi in cui l’istanza venga negata, poiché la posizione di interesse
pretensivo si caratterizza come una semplice posizione di attesa, l’unico tipo di tutela
possibile era quella tesa all’accertamento da parte del giudice amministrativo
dell’illegittimità del diniego.
Tuttavia, accertata e dichiarata dal Giudice amministrativo tale illegittimità la
questione tornava alla Pubblica Amministrazione che doveva nuovamente esaminare
l’istanza e che nuovamente avrebbe potuto negare il provvedimento ampliativi
magari con una motivazione più pregnante.
In questo modo la Pubblica Ammistrazione rimaneva esente da azioni di natura
risarcitoria sia per l’artificiosità del meccanismo del doppio binario, nel caso in cui si
fosse trattato di interessi oppositivi, sia perché, con riferimento agli interessi
pretesivi, ne era escluso a priori il risarcimento.
3.2 La sentenza n.500/1999 della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 500/1999 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato il
principio secondo cui l’interesse legittimo è risarcibile.
Qualche intervento in questo senso vi era già stato. Ad esempio l’art. 13 della
legge n. 142/1992 concernente la violazione della normativa comunitaria in tema di
appalti, aveva previsto il risarcimento del danno a fronte di una posizione di
interesse legittimo. Tuttavia, anche in questo caso, era necessario ottenere
l’annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara da parte del Giudice
amministrativo e soltanto in una fase successiva si poteva adire il Giudice ordinario.
Con ll Decreto legislativo n. 80 del 1998, art. 35, comma 1, si è delineata una
giurisdizione esclusiva per blocchi di materie in relazioni alle quali il giudice
7
amministrativo conosce sia dei diritti soggettivi che degli interessi legittimi. Da un
sistema attento agli interessi coinvolti nella controversia si è passati ad una
giurisdizione che si determina sul piano oggettivo della materia entro cui va
ricompressa.
Si tratta di una tutela risarcitoria relativa sia ai diritti soggettivi che agli interessi
legittimi in quanto in materia di giurisdizione esclusiva i diritti soggettivi e gli
interessi legittimi coesistono.
Finisce così il cosiddetto sistema del doppio binario e della pregiudizialità
amministrativa.
La legge n.59/1997 aveva previsto una delega ai fini dell’emanazione di un
decreto legislativo “per devolvere, entro giugno 1998, al giudice ordinario, ….tutte le
controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni”, disponendo “la contestuale estensione della giurisdizione del
giudice amministrativo alle controversie eventi ad oggetto diritti patrimoniali
coneguenziali ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia
edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresì un regime processuale
transitorio per i procedimenti pendenti”.
Con la previsione della trattazione anche dei diritti patrimoniali consequenziali è
stata attribuita al giudice amministrativo una giurisdizione piena, non limitato al solo
scrutinio delle questioni di legittimità dedotte in giudizio.
Ai sensi del comma 1 dell’art. 35 del D.Lgs. n.80/1998 il giudice amministrativo,
nelle materie di competenza, può disporre la reintegrazione in forma specifica a
titolo di risarcimento del danno ingiusto.
La Corte costituzionale ha stabilito che “ l'art. 33, comma 1, del decreto
legislativo n. 80 del 1998 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo,
nella
parte in cui, eccedendo i limiti della delega, ha devoluto alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutta la materia dei pubblici
servizi, e non si e' limitato ad estendere la giurisdizione amministrativa - nei
limiti in cui essa, in base alla disciplina vigente, gia' conosceva di quella materia,
sia a titolo di legittimita' che in via esclusiva - alle controversie concernenti i
diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del
danno.”
Va pure “dichiarato illegittimo il comma 3 dell'art. 33, il quale - modificando
l'art. 5 della legge n. 1034
del 1971 - comportava (conformemente alla
previsione di una
giurisdizione esclusiva su tutta la materia dei servizi
pubblici)
l'effetto di sottrarre le concessioni di servizi, gia' oggetto di
giurisdizione esclusiva, all'applicazione del secondo comma del medesimo art.
5, che faceva “salva la giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria per le
controversie concernenti indennita', canoni ed altri corrispettivi".
A seguito dei rilievi formulati dalla Corte costituzionale con la sentenza 17 luglio
2000, n.292 il legislatore, con l’art.7 della legge n.205/2000, ha novato integralmente
gli artt.33,34 e 35 del d.lgs. n.80/1998 introducendo poteri in ambito risarcitorio sia
nella giurisdizione esclusiva che in quella generale di legittimità.
Il giudice amministrativo diviene il giudice del risarcimento del danno ingiusto
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causato dall’attività dei pubblici poteri con riferimento alla tutela anche degli
interessi legittimi coinvolti.
3.3 L’interpretazione dell’art.2043 Codice civile
In questo ambito si era consolidata l’idea secondo cui intanto sussiste una
responsabilità extracontrattuale non in quanto l’atto sia non conforme al diritto ma
che risulti emanato anche contra ius e comporti una lesione di un diritto soggettivo.
Si tratta di una tesi che la giurisprudenza ha via via posto in disparte perseguendo
l’ampliamento delle posizioni giuridiche soggettive risarcibili.
Centrale nella previsione dell’art. 2043 Cod. civ. è la fattispecie dell’ingiustizia
del danno. Il principio affermato dalla sentenza n. 500/1999 è che sussiste un danno
ingiusto nel momento in cui si sia procurato ingiustificatamente pregiudizio ad una
posizione giuridica che l’ordinamento ritiene rilevante.
Diventano, così, risarcibili anche gli interessi legittimi e vengono date alcune
indicazioni su quelle che devono essere le modalità con le quali andrà affrontato il
tema del risarcimento.
Con il gravame avverso un provve dimento di espropriazione ritenuto illegittimo,
si fa valere un interesse legittimo relativo alla titolarità del bene espropriato, in
sostanza si tende a tutelare il diritto di proprietà. Con la pretesa fatta valere nei
confronti della pubblica amministrazione volta ad ottenere una autorizzazione per
svolgere una determinata attività negata con un provvedimento illegittimo si intende
tutelare il principio del libero esercizio delle attività economiche sancito dalla
Costituzione.
In ordine al risarcimento degli interessi legittimi, la Cassazione, nella sentenza n.
500, si richiama alla tradizionale distinzione tra interessi legittimi oppositivi e
pretensivi.
Per i primi, occorre individuare quando viene sacrificato il bene della vita che è
sottostante all’interesse legittimo, determinando, ad. es., la privazione del bene o
l’impedimento allo svolgimento di un certo tipo di attività. In questo caso, i problemi
erano già risolti prima della sentenza in questione in quanto l’interesse legittimo era
correntemente tutelato innanzi al Giudice amministrativo, a protezione delle
situazioni ad esso correlate.
Più delicato è il caso degli interessi pretensivi perché qui si tratta di valutare la
fondatezza o meno dell’aspirazione del soggetto ad ottenere quel determinato
provvedimento favorevole e quindi di svolgere necessariamente un giudizio
prognostico, sicuramente ben più difficile da effettuare sotto il profilo risarcitorio.
Per gli interessi oppositivi, nel caso in cui si è stati illegittimamente privati di un
bene, si avrà come conseguenza un danno emergente e un lucro cessante. Se il bene
è, per esempio, rappresentato da un gregge, andato distrutto per un provvedimento in
materia di sanità che ne ha ordinato l’abbattimento, avrò sicuramente un danno
emergente, ma potrò chiedere anche un lucro cessante in relazione al latte che avrei
potuto ricavare dalle pecore abbat tute e vendere. Situazioni del genere possono
prefigurarsi anche per quanto riguarda una illegittima sospensione di lavori: se viene
bloccato un cantiere, si determina un lucro cessante perché, senza il blocco, i lavori
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sarebbero continuati e l’immobile sarebbe stato completato e locato, ma anche un
danno emergente perchè ad. es. con il blocco si è speso di più a causa dell’aumento
dei costi.
Per gli interessi pretesivi, invece, le questioni sono più complicate perché sono
legate ad un giudizio di prognosi dell’eventualità del verificarsi o meno di quella
situazione, che è uno dei punti veramente più delicati del nuovo sistema.
La sentenza n. 500/99 si trovava di fronte un quadro normativo così delineato:
un’ampia giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, con gli artt. 33 e 34 del
D.L.vo n. 80 del 1998 e la giurisdizione di legittimità del Giudice amministrativo.
In relazione allo stato dell’ordinamento all’epoca vigente, vi è un ulteriore aspetto
da sottolineare, che è quello della riserva al giudice ordinario dei giudizi di
risarcimento del danno, al di fuori dei casi della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. Ciò avviene sulla base dell’affermazione molto controversa, ma che
con la sentenza ha sentito di fare, della eliminazione del principio della necessaria
pregiudizialità del giudizio amministrativo di annullamento dell’atto rispetto
all’azione di risarcimento del danno.
Tale affermazione è coerente con le premesse della sentenza.
La previa pronuncia di annullamento del Giudice amministrativo veniva richiesta
perché era l’unico modo per fare riemergere e riacquistare la consistenza di diritto
soggettivo alla posizione giuridica del privato degradata ad interesse legittimo e come
tale legittimante il solo ricorso al giudice amministrativo. Se, però, si chiarisce che
ciò che si tutela in termini di responsabilità extracontrattuale è il danno ingiusto da
lesione di posizione giuridicamente rilevante, sia essa diritto soggettivo o interesse
legittimo, il passaggio davanti al giudice amministrativo non è più necessario: si può
adire direttamente il giudice ordinario.
Anche se si tratta di una tesi che potrebbe dar luogo a giudicati contrastanti.
“Talvolta si individua la responsabilità per attività provvedimentale del soggetto
pubblico in una forma di responsabilità precontrattuale, talaltra, diversamente, si
ritiene configurabile una responsabilità da contatto qualificato, ascrivibile al genus
della responsabilità contrattuale, secondo alcuni, o della culpa in contraendo
secondo altre pronunce”(5).
Sussiste poi il problema della intervenuta inoppugnabilità del provvedimento: una
volta che il provvedimento sia diventato inoppugnabile in quanto non impugnato nei
termini decadenziali è legittimo adire il giudice ordinario nel termine di prescrizione.
Con gli interventi legislativi successivi si è proceduto ad un ampliamento della
giurisdizione dichiarato incostituzionale dalla citata sentenza con riferimento ai
servizi pubblici per eccesso di delega.
Le modifiche apportate al d.lgs. n.80/1998 dalla legge n. 205 del 2000 che
sottopone a novazione l’art. 7 della legge TAR affidano al giudice amministrativo
poteri risarcitori in tutte le materie delta sua giurisdizione esclusiva legittimità.
______________
(5) A. Sagna, Il risarcimento del danno nella responsabilità precontrattuale, Giuffrè,
Milano 2004, p.480 e ss..
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Non ci si è limitati quindi soltanto ai servizi, espropriazioni, edilizia, ma si è
ampliato l’ambito di applicazione anche alle altre ipotesi di giurisdizione esclusiva,
come, ad esempio, quella in tema di accesso.
Si tratta di un’innovazione forte con la quale si è estesa la cognizione del Giudice
amministrativo ai diritti patrimoniali consequenziali anche nella sua giurisdizione di
3.4 L’azione di annullamento e quella di risarcimento
Ricondotto ad unità il sistema in precedenza bifasico Essendo il TAR l’unico
giudice, si è posto il problema di stabilire la domanda di annullamento dell’atto o del
comportamento lesivo e quella realtiva alle istanze risarcitorie debbano essere
proposte o meno congiuntamente.
E’ possibile, infatti, sostenere che il privato possa presentare congiuntamente, con
lo stesso atto, nello stesso giudizio, una richiesta di eliminazione dell’atto e, quale
conseguenza dell’accoglimento della sua domanda, anche una domanda di
risarcimento del danno. Ma occorre chiedersi, altresì, se sia preclusa un’altra
possibilità, ossia quella che i due rimedi, quello dell’annullamento e quello del
risarcimento, possano trovare una tutela separatamente l’uno dall’altro.
In particolare si tratta di vedere se il privato possa disinteressarsi
dell’annullamento dell’atto e percorrere la sola richiesta risarcitoria.
Soprattutto nelle ipotesi in cui la prima azione non sortirebbe alcun effetto atteso
che l’annullamento non porterebbe alcuna utilità dal momento che il provvedimento
ha completamente esaurito i suoi effetti.
Si consideri una gara di appalto in cui vi sia stata, non solo l’aggiudicazione, ma
anche l’esecuzione della fornitura, oppure l’ipotesi in cui l’adozione di un
provvedimento al quale il privato aspirava sia definitivamente preclusa per effetto
dello ius superveniens.
In questo ultimo caso, se l’Amministrazione si fosse attivata tempestivamente, in
base alla legislazione antecedente alla legge che vieta quella determinata attività,
avrebbero potuto esserci le condizioni per accordare il provvedimento ampliativo. Ne
consegue: che il privato ha subito un danno e che l’azione risarcitoria è azione
autonoma.
Si potrebbe ipotizzare un ritorno alla giurisdizione del Giudice ordinario che è
giudice del risarcimento del danno.
Non si ritiene, tuttavia, di poter condividere tale soluzione.
L’esigenza di concentrazione risponde a principi di effettività, rapidità,
ragionevolezza del tempo necessario ad ottenere giustizia e l’ultima tesi che si è
prospettata sembra contrastante con queste esigenze.
Non risulta necessario che il ricorso annullatorio e la domanda di risarcimento
del danno debbano essere congiunte e tuttavia è necessario che entrambe siano
conosciute da un unico Giudice, quello amministrativo.
Il Giudice ordinario in rapporto alla pubblica Amministrazione ha un campo
d’azione molto ridotto. Restano di sua competenza le azioni risarcitorie conseguenti
alle attività materiali della P.A. che evocano comportamenti sulla stesso piano dei
privati. Non coinvolgono poteri pubblici o attività di privati che siano stati investiti di
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funzioni pubbliche.
Il giudice ordinario dell’atto ricognitivo, dell’atto di accertamento, dell’atto
paritetico, là dove l’area dell’attività amministrativa perde i suoi connotati di
discrezionalità, di esercizio del potere e si riconduce nei limiti della prestazione di un
servizio o nello svolgimento di una attività, che trovano compiuta, analitica, specifica
e puntuale disciplina in una norma di legge alla quale l’Amministrazione deve limitarsi a dare o non dare applicazione. In queste situazioni, forse, non è più il caso di
ragionare in termini di interessi legittimi e di intervento del Giudice amministrativo,
recuperando l’intervento del Giudice ordinario.
Anche in questo campo, infatti, il Giudice ordinario potrebbe intervenire perché la
diserezionalità, come è ben noto, è ponde razione di interessi contrapposti mentre
stabilire, qual è il grado di acidità di un olio, qual è il grado di alcolieità di un vino,
se ci sono o non ci sono i requisiti di ammissione ad un certo albo, sono meri
accertamenti di fatto.
Da altro punto di vista, come è evidente, l’applicabilità in concreto di questo
nuovo sistema dipenderà da come il Giudice amministrativo si orienterà nel
riconoscere la risarcibilità degli interessi legittimi pretensivi superando le difficoltà
del giudizio prognostico che importa una sorta di simulazione del possibile esito del
procedimento amministrativo.
Il giudizio prognostico ha vari gradi di difficoltà, a seconda del tipo di attività che
l’Amministrazione è chiamata a svolgere. E’ chiaro che in ipotesi di attività
strettamente vincolata il giudizio prognostico è facile: Tizio si sarebbe, ad esempio,
dovuto ammettere a partecipare al concorso perché in possesso dei requisiti. Il
giudizio, quindi, è piuttosto semplice per quanto riguarda l’attività vincolata
Estremamente utile è il ricorso al risarcimento del danno in forma specifica che,
nel caso nostro, è l’adozione del provvedimento. Se l’attività è strettamente vincolata,
per cui si tratta di dare attuazione ad un ceno precetto normativo, che prevede quali
sono presupposti e requisiti per l’adozione del provvedimento, ben potrà il Giudice
amministrativo sostituirsi alla Pubblica amministrazione.
Altri casi in cui il Giudice amministrativo è agevolato nel giudizio prognostico
sono quelli così detti di discrezionalità tecnica, espressione che in realtà è una
contraddizione in termini in quanto associa due concetti non accostabili, in quanto
una cosa è la discrezionaIità, altra cosa è il tecnicismo.
Si tratta delle ipotesi in cui l’Amministrazione agisce “intermediando” tra la
norma e la situazione di fatto, con lo svolgimento di accertamenti e di valutazioni
tecniche. Anche qui si ritiene che il giudizio prognostico sia facilitato, soprattutto
grazie ad una innovazione del processo amministrativo, ovvero il riconoscimento
della possibilità di disporre la consulenza tecnica d’ufficio.
In presenza di problemi tecnici, il Giudice amministrativo ben può nominare un
consulente tecnico che accerti quale sarebbe stata la conclusione del procedimento
qualora non fosse intervenuto il provvedimento negativo che ha interrotto per il
privato lo svolgimento ve rso l’auspicato esito. La consulenza, quindi, consente di
stabilire se la pretesa del privato doveva essere accolta in quanto era una pretesa
fondata.
Ben più difficile è l’esercizio di questi poteri nell’ ambito dei giudizi prognostici
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relativi ad attività discrezionali della Pubblica amministrazione, ovvero laddove la
PA. per giungere all’adozione del provvedimento debba compiere un’attività di
valutazione ponderata dei vari interessi in gioco.
La ricostruzione del percorso logico-giuridico che avrebbe dovuto condurre
l’Amministrazione ad adottare o meno quel provvedimento - siamo sempre nel
settore degli interessi legittimi pretensivi - è una valutazione estremamente
complessa. La prognosi è difficile. Sicuramente non si possono adottare risarcimenti
in forma specifica, perché il Giudice amministrativo che si sostituisse
all’Amministrazione nell’esercizio di una attività discrezionale invaderebbe quella
sfera riservata la cui violazione potrebbe, a mio avviso, dèterminare l’impugnazione
di tale pronuncia davanti alle Sezioni Unite per motivi attinenti alla giurisdizione.
Affinché sorga la responsabilità risarcitoria della Pubblica amministrazione è
necessario, a condizione che si inquadri questo tipo di responsabilità nell’ambito
dell’an. 2043 Cod. civ., un elemento soggettivo. Le Sezioni Unite, nella sentenza n.
500, sostengono che bisogna ragionare in termini di illecito aquiliano per cui, dovrà
valutarsi di volta in volta la sus sistenza della colpa.
Il vecchio orientamento era, invece, nel senso delta piena equivalenza tra
illegittimità e colpevolezza: l’atto è illegittimo e nell’illegittimità dell’atto è
compresa la colpa.
3.5 La necessità della colpa
Le Sezioni Unite tendono a far rilevare che l’illegittimità non sinonimo di
illiceità; l’atto può essere illegittimo, ma non illecito, ossia non riuscire ad integrare
la fattispecie di cui all’ art. 2043 Cod. civ. per mancanza di alcuni requisiti. Perché ci
sia l’illiceità, infatti, devono essere presenti alcuni elementi: deve esserci l’elemento
soggettivo della colpevolezza e deve essere una colpevolezza dell’Amministrazione
come apparato e non del singolo funzionario, quindi una colpa da disorganizzazione.
“Sulla scorta dell'orientamento inaugurato con la sentenza n. 500/1999, infatti, il
giudice è chiamato a svolgere una "più penetrante indagine [...] estesa alla
valutazione della colpa non del funzionario agente [...] ma della p.a. intesa come
apparato [...] che sarà configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione
dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse danneggiato) sia avvenuta in violazione
delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali
l'esercizio delle funzione amministrazione deve ispirarsi e che il giudice ordinario
può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità".
La pretesa risarcitoria, dunque, non può trovare automatico accoglimento in seguito
alla riconosciuta illegittimità del provvedimento amministrativo, posto che
quest'ultima deve risultare, per così dire, aggravata dall'inosservanza dei principi di
imparzialità, correttezza e buona amministrazione.” (Consiglio di Stato n.1261/2004)
Comunque la colpa di cui si accenna nella sentenza è una colpa da
disorganizzazione. L’organizzazione è un fatto interno: la PA. si organizza secondo
modalità che il privato destinatario del provvedimento non conosce.
E allora ci si trova già di fronte ad un primo problema che è quello dell’onere della
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prova. Il privato dell’onere di fornire la prova di fatti che egli ignora e sulla cui
ricostruzione non ha elementi in quanto non conosce della PA. anche se attraverso
l’accesso agli atti può averne una rappresentazione molto vicina alla realtà.
In altri ordinamenti, l’onere della prova nel caso concreto è disciplinato in base al
principio della vicinanza o della riferibilità della prova; la prova di una situazione
deve essere fornita da chi è nel possesso degli elementi attraverso i quali si può
provare quella situazione. Secondo tale principio, allora, la colpa da
disorganizzazione è una colpa che impone all’Amministrazione di provare essa stessa
che disorganizzazione non vi fu e che nella condotta complessiva non vi sono
elementi di colpa.
Casi in cui la normativa applicabile era oscura, la situazione era complessa e sul
punto vi era contrasto di giurisprudenza oppure vi erano state direttive a livello
superiore che avevano imposto l’adozione di quel certo provvedimento.
E’ allora necessario utilizzare criteri ed escamotage che in definitiva giocano
sull’onere della prova: ossia le presunzioni che sono mezzi di prova assolutamente di
pari dignità rispetto agli altri. Il provvedimento illegittimo, allora, pone il dubbio sul
fatto che ci sia stato qualcosa che non abbia funzionato bene nell’attività della
Pubblica amministrazione. Sorge, quindi, il problema del ribaltamento dell’onere
della prova, oppure del far gravare sulla PA. l’onere della dimostrazione nel caso
concreto di un errore scusabile.
Alcune pronunce recenti del Consiglio di Stato si è configurato il rapporto tra PA.
e privato in termini di c.d. “contatto sociale”, che obbliga le parti al rispetto dei
principi di correttezza e buona fede in senso oggettivo, propri del dritto privato.
Sicuramente i Giudici amministrativi non potranno, poi, decampare da quelli che
sono i paletti che pone il Codice civile in termini di danno: il risarcimento limitato al
danno emergente e al lucro cessante (liquidato con ragionevole apprezzamento del
caso concreto) e la vigenza dell’art. 2058 Cod. civ. secondo il quale il risarcimento in
forma specifica non può essere disposto dal giudice d’ufficio, ma deve essere
richiesto dall’interessato.
3.6 La pregiudiziale amministrativa
La giustizia amministrativa, ritenendo che affinché il titolare di un interesse leso
possa essere risarcito si debba preliminarmente impugnare l’atto stesso, con esito
positivo, per rimuoverlo.
Sul punto, in realtà, dottrina e giurisprudenza si erano, sin dall’inizio, divise.
Una parte riteneva che fosse sempre possibile (nei limiti della prescrizione) agire
per il risarcimento del danno indipendentemente dall’impugnazione dell’atto. Ciò sul
presupposto che il giudice potesse disapplicare l’atto amministrativo.
D’altro canto, non mancava chi sosteneva che la rimozione del provvedimento
amministrativo fosse condizione essenziale per avanzare pretese risarcitorie.
Secondo questa tesi, infatti, l’autonomia del giudizio risarcitorio da quello
d’impugnazione rischierebbe di compromettere la perentorietà del termine per
l’impugnazione stessa; inoltre, non vi sarebbe alcuna norma che preveda il potere del
giudice amministrativo di disapplicare l’atto illegittimo.
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Proprio in questo senso si è espresso il Consiglio di Stato ( Adunanza Plenaria
29.01.2003 n.1) che proprio sulle considerazioni sopra esposte fonda il suo
orientamento. Il problema del termine di decadenza, in realtà, è solo apparente. La
richiesta di risarcimento non mira a mettere in discussione la validità e l’efficacia di
un atto che, con la mancata impugnazione nei termini, ha definitivamente consolidato
i suoi effetti, bensi è finalizzato al solo ristoro dei danni cagionati.
Quanto alla seconda eccezione, non sembra che il risarcimento del danno
presupponga la disapplicazione del provvedimento lesivo, ma ne comporta una mera
verifica ai fini della configurabilità della responsabilità extracontrattuale.
Ed allora non si comprende come il giudice amministrativo non possa accertare, in
sede autonoma di risarcimento del danno, la illegittimità dell’atto in via
esclusivamente incidentale, senza che ciò comporti una disapplicazione dello stesso.
Al contrario, è evidente come sia la strada intrapresa dalla Corte di Cassazione nella
sentenza 500/99 a dover costituire un punto di partenza per giungere alla nuova
concezione della responsabilità amministrativa.
Il risultato da raggiungere è la dichiarazione di pari dignità tra responsabilità
amministrativa e civile; solo in questo modo, l’azione della P.A., sempre più ispirata
da criteri e principi di diritto privato, potrà veramente confrontarsi con pari dignità.
4. Condizioni per la risarcibilità del danno
Ai fini del risarcimento del danno scaturente dalla lesione dell’interesse legittimo è
necessario che ricorrano: danno ingiusto, nesso di causalità ed elemento psicologico.
4.1 Il danno ingiusto
Il
danno ingiusto risarcibile ex art. 2043 Cod. civ. e inteso solitamente quale
danno contro jus cioè lesivo di un diritto soggettivo assoluto e non jt’re ovverosia
non giustificato in alcun modo dall’ordinamento giuridico. Invero, l’evoluzione
dottrinaria e giurisprudenziale ha, nel tempo, dilatato i confini della risarcibilità fino
a ricomprendere la lesione più in generale di ogni situazione protetta nella vita di
relazione. Oggi, il concetto della “ingiustizia” della lesione viene riferito al “danno”
procurato e non alla “condotta” serbata dal soggetto agente; viene valorizzato
l’aspetto della ricostituzione patrimoniale della diminutio patita rispetto a quello della
sanzione del comportamento antido veroso. In tale prospettiva, il sistema della
responsabilità civile imperniato sullart. 2043 Cod. Civ. ruota attorno al principio
dell’atipicità dell’illecito. Infatti, la sentenza delle SS.UU. riconosce nell’interesse
legittimo la “natura sostanziale” nel senso che esso: “si correla ad un interesse
materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di
insoddisfazione) può concretizzare un danno”. Anche con riguardo specifico alla
posizione giuridica soggettiva dell’interesse legittimo: “l’interesse effettivo che
l’ordinamento intende proteggere è pur sempre l’interesse ad un bene della vita: ciò
che caratterizza l’interesse legittimo e Io distingue dal diritto soggettivo è soltanto il
modo o la misura con cui l’interesse sostanziale ottiene protezione”. In tale ottica, la
pronuncia della Cassazione definisce l’interesse legittimo come: “la posizione di
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vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un
provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri
idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la
realizzazione dell’interesse del bene”. Per sancire la responsabilità
dell’Amministrazione occorre verificare con un “giudizio prognostico’ circa la
spettanza del provvedimento, connesso al bene della cita~ che viene richiesto dal
soggetto utente. In particolare, è necessario distinguere a seconda che si tratti di:
1) attività vincolata;
2) attività discrezionale;
3) attività tecnico-discrezionale.
Nell’ipotesi di attività amministrativa c.d. vincolata, non sussistono particolari
difficoltà. In tal caso, infatti, si tratta di verificare i presupposti previsti dalla legge e
gli elementi corrispondenti presenti nella realtà. Qualora la P.A. abbia omesso
illegittimamente l’atto ampliativo spettante ovvero abbia emanato un atto ablatorio
illegittimo, il soggetto privato può ben agire per ottenere, oltre all’annullamento, il
risarcimento del danno eventualmente anche in forma specifica. Nella seconda ipotesi
di attività amministrativa discrezionale, alla P.A. compete un margine di scelta tra più
opzioni tutte egualmente consentite giuridicamente e possibili materialmente, sicché
si pone il problema di assumere la decisione migliore rispondente al pubblico
interesse. In tale evenienza, il giudice è chiamato ad effettuare un giudizio
prognostico circa l’assetto degli interessi che si sarebbe realizzato nel caso normale
di corretto esercizio del potere discrezionale, onde valutare se il privato ha
effettivamente subito una ingiustizia lesione dei suoi interessi. La situazione che si
prospetta risulta di difficile soluzione e ciò che appare veramente decisivo è riuscire a
dimostrare la compromissione di reali chances di esito favorevole all’istanza che ha
aperto un dato procedimento amministrativo.
La risarcibilità in caso di attività discrezionale non va affatto esclusa a priori,
bensì va valutata in concreto a seconda delle evenienze.
Nell’ultima ipotesi, quella dell’attività amministrativa tecnica, l’Amministrazione
esercita poteri tecnico-discrezionali ovverosia non pondera interessi, bensì esperisce
acclaramenti (semplici) o accertamenti (complessi) sulla base di criteri e principi
eminentemente tecnico-scientifici su determinati dati fattuali (presenti in natura o
anche esternati dall’azione umana), sicché la decisione amministrativa assunta
dall’autorità è di carattere tecnico e non perviene ad una assetto degli interessi
contrapposti. In siffatta eventualità, il giudizio effettuato dalla PA. sugli elementi
tecnici, che integrano il tessuto della disposizione normativa, deve poter essere
pienamente verificabile al fine di sancire l’eventuale scorrettezza ed illegittimità del
giudizio valutativo compiuto.
4.2 Il nesso di causalità
Il nesso di causalità costituisce un ulteriore ed importante criterio di verifica per
l’asserzione della risarcibilità dell’interesse legittimo e va valorizzato proprio perché
non tutte le lesioni d’interesse legittimo sono connesse con il bene della vita la cui
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sola compromissione, in realtà, legittima il risarcimento.
L’ordinamento tutela i beni degli individui che assumono rilievo per l’interesse
peculiare che la persona umana nutre nei confronti degli stessi. Nel caso
dell’interesse legittimo vi è l’inerenza dell’interesse pubblico a “complicare” il
quadro, proprio perché confluiscono sullo stesso “bene della vita” sia l’interesse
privato del singolo che l’interesse pubblico della collettività.
La P.A. può sacrificare (in toto o in parte) l’interesse privato soltanto se “osserva”
la legge, ove venga in evidenza un’attività amministrativa illegittima, il soggetto
interessato può ben agire per ottenere l’annullamento dell’atto e la rimozione degli
effetti, nonché il risarcimento dei danni derivanti, secondo criteri di normalità ed
adeguatezza causale.
4.3 L’elemento soggettivo
Complessa è la questione del profilo soggettivo della responsabilità da atto
illegittimo lesivo di interessi legittimi. Uno dei principali ostacoli che si incontrano in
via generale per il riconoscimento della risarcibilità dell’interesse legittimo è proprio
la difficoltà di rintracciare e, poi, imputare una “volontà” antigiuridica causativa di
un danno. D’altro canto, la Cassazione con la sentenza n. 500/99 si riferisce ad un
elemento soggettivo da riferirsi all’organizzazione della pubblica amministrazione in
astratto e non già ad un elemento soggettivo evincibile in capo ad un determinato
soggetto facente parte della P.A.
In questa sede, va detto che la fondamentale sentenza n. 500/99 ha inteso segnalare
la esigenza di individuare la componente soggettiva (dolo o colpa) della
responsabilità, la quale quindi non può essere ritenuta in re ipsa nell’alveo della
stessa illegittimità dell’atto. L’imputazione della responsabilità deve essere accertata
tramite una valutazione della colpa, non del funzionario competente, ma della PA.
intesa come apparato: “configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione
dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione
delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali
l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi”.
Andrebbe valutato il comportamento dell’Amministrazione da intendersi anche
quale “disorganizzazione” o “attività amministrativa negligente o imperita” che ha
determinato l’illegittimità dell’atto e, quindi, il danno al soggetto inciso. Difatti, va
osservato che — in linea teorica di principio — la colpa può essere di due tipi
fondamentali:
1) generica, se riconducibile ai casi di incuria (o negligenza in senso proprio),
imprudenza o imperizia;
2) specifica o professionale (c.d. illegalità), se riportata alla inosservanza delle
norme giuridiche che prevedono specifiche misure idonee ad evitare o diminuire il
pericolo di danni ingiusti e ciò, nel caso di attività amministrativa, significa dire che
l’azione della PA. non deve produrre atti illegittimi che ledano l’interesse legittimo
dei soggetti amministrati.
Quanto detto dimostra come la colpa della PA. sia sempre di tipo specifico e la
prova è insita nei vizi di illegittimità addotti con il ricorso. La P.A. è, infatti, in colpa
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per aver dato luogo ad un atto amministrativo illegittimo e con ciò violando prescritte
norme di legge, che aveva il dovere istituzionale di osservare per l’ottimale cura
dell’interesse pubblico senza la ingiusta compromissione degli interessi dei privati. In
pratica, risulta decisiva la dimostrazione dei specifici vizi che inficiano in
provvedimento al punto da qualificarlo illegittimo e, quindi, suscettibile di
annullamento su ricorso giurisdizionale.
5. Il danno da ritardo
Il Consiglio di Stato con la decisione n.87/2003 si è recentemente pronunciato
sulla spettanza del risarcimento del danno in caso di ritardo della PA. nel rilascio di
una concessione edilizia. In particolare, rilevata la sussistenza degli elementi
costitutivi
dell’illecito
ex
2043
compresa
l’esistenza
della
colpa
dell’Amministrazione nel comportamento inerte dinanzi alla legittima richiesta di
rilascio del titolo abitativo , e l’avvenuta verificazione del danno, la Corte riconosceva
la spettanza del diritto al risarcimento. Sulla base dell’assunto per cui in caso di
richiesta di concessione edilizia conforme alle previsioni urbanistiche, la PA. è
chiamata a svolgere un’attività amministrativa di natura vincolata, la Corte ha
rilevato che il colpevole ritardo nello svolgimento della suddetta attività determina
con certezza un comportamento illecito, trattandosi, poi, nel caso preso in esame di
attività edilizia, illecitamente impedita, finalizzata ad attività evidentemente
commerciali, la Corte ha ritenuto di poter determinare l’ammontare della somma da
risarcire non solo con riferimento all’aumento dei costi effettivi, reali per la
costruzione, ma anche comprendendo la quantificazione del pregiudizio patrimoniale
sofferto dalla società ricorrente a causa del mancato rispetto degli obblighi
contrattuali assunti con i promettenti acquirenti e della consequenziale perdita di
guadagno costituita dall’omessa, tempestiva alienazione degli immobili.
“Ai fini della delibazione della domanda risarcitoria, la prospettazione,
contenuta nell’atto d’appello, della necessaria valutazione della spettanza del bene
della vita (nella specie l’attività edilizia) connesso all’interesse pretensivo leso
dall’azione amministrativa giudicata illegittima (cfr. Cass., SS. UU., n.500/99),
l’ammissibilità e la praticabilità di siffatta verifica, ai fini del riconoscimento
dell’illecito aquiliano, vanno concretamente controllate con riferimento alla natura,
vincolata o meno (e, quindi, surrogabile o meno), dell’azione amministrativa ritenuta
illegittima. Ove, infatti, la valutazione sottesa alla determinazione amministrativa
assunta come lesiva risulti vincolata, può giudicarsi ammissibile (anzi doverosa), ai
fini che qui interessano, la valutazione della concreta idoneità del provvedimento ad
impedire il conseguimento del bene della vita, e della connessa utilità economica,
effettivamente spettante all’interessato. Là dove, viceversa, l’apprezzamento
riservato all’Amministrazione risulti caratterizzato da valutazioni discrezionali, deve
reputarsi preclusa al Giudice la delibazione della spettanza del bene della vita
correlato all’interesse pretensivo leso (verificandosi, altrimenti, un’inammissibile
sostituzione dell’organo giudiziario a quello amministrativo, per legge unicamente
competente a compiere quella valutazione), con la conseguenza che in queste ultime
ipotesi ci si dovrà riferire a diversi parametri ai fini della verifica della sussistenza
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di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito e della determinazione del pregiudizio
risarcibile”. (Consiglio Stato n.87/2003)
In precdenza il Tar Calabria, sentenza n.617/1999, chiamato a risarcire il danno a
seguito di annullamento giurisdizionale di ordine sindacale di demolizione e per la
precedente sospensione dei lavori, ha affermato la risarcibilità del danno conseguente
al fatto dell’inedificabilità per il tempo relativo all’illegittimo ordine di sospensione
dei lavori.
Il ritardo nell’esercizio del diritto di edificare e nel conseguente godimento del
bene casa è stato ritenuto danno in re ipsa, la cui esistenza non ha bisogno di prova
specifica. In mancanza di mezzi istruttori sull’entità del danno forniti dalla parte, il
Tar ha utilizzato lo strumento previsto dall’art. 35 comma 2 D.lgs. 80/98, ed ha
ordinato all’amministrazione di proporre il pagamento di una somma commisurata al
valore locativo medio del bene per il periodo intercorrente tra la notifica del
provvedimento (sospensione lavori) ed il deposito della sentenza.
Il Tar Lecce sentenza n.1179/1999 ha concesso il risarcimento per l’illegittimo
ritardo nel rilascio di una concessione edilizia per la costruzione di un albergo. La
colpa dell’amministrazione è stata ravvisata nella violazione di norme che
impongono la conclusione del procedimento nei termini prefissati ed è stato ritenuto
colpevole da parte della pubblica amministrazione l’aver trascurato i numerosi
solleciti del privato e la successiva azione giudiziaria.
Il danno è stato quantificato tenendo presenti i maggiori costi dell’investimento e
l’aumento delle spese di progettazione.
Il Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 1945/2003 si è quindi pronunciato sulla
spettanza del diritto al risarcimento del danno nell’ipotesi di danno derivante da
perdita di chance.
Il risarcimento del danno da perdita di chance presuppone che sussista una
consistente probabilità di successo, onde evitare che diventino ristorabili anche mere
possibilità statisticamente non significative. In particolare, la concretezza della
probabilità deve essere statisticamente valutabile con un giudizio sintetico che
ammettache il pericolo di non verificazione dell’evento favorevole,
indipendentemente dalla condotta illecita, sarebbe stato inferiore al cinquanta per
cento.
Nei casi in cui, pur a seguito dell’annullamento dell’atto illegittimo, persistano in
capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura, il
risarcimento può essere riconosciuto solo dopo e a condizione che
l’Amministrazione, riesercitato il proprio potere, come le compete per effetto del
giudicato, abbia riconosciuto al ricorrente quanto richiesto; in tale ipotesi il danno
risarcibile non potrà che ridursi al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel
conseguimento del bene spettante.
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6. Il danno da disturbo
Il danno da disturbo, di costruzione giurisprudenziale, “pur connesso al ritardo che i
provvedimenti contestati in primo grado hanno implicato nell’esplicazione
dell’attività costruttiva, già assentita con la sospesa concessione edilizia, presenta
connotazioni nettamente diverse da quelle tipiche del danno da ritardo. Volendo
utilizzare le classificazioni oramai tradizionali dell’interesse pretensivo e di quello
oppositivo, può dirsi, infatti, che il danno c.d. da ritardo è normalmente individuato
nella lesione di un interesse legittimo pretensivo, cagionata dal ritardo con cui la
P.A. ha emesso il provvedimento finale, inteso ad ampliare la sfera giuridica del
privato; viceversa nella specie i ricorrenti agiscono per ottenere il ristoro del
pregiudizio asseritamene subito in conseguenza dell’illegittima compressione delle
facoltà di cui erano già titolari, in quanto destinatari del titolo concessorio abilitante
la sospesa attività edificatoria. I ricorrenti, in sostanza, non agiscono per ottenere il
ristoro del ritardo illegittimo con cui la P.A. avrebbe, in ipotesi, emanato un
provvedimento ampliativo della loro sfera giuridica; al contrario, in quanto già
titolari di un’iniziale posizione qualificata (rappresentata dal diritto a svolgere – sul
presupposto del rilascio, in loro favore, di regolare concessione edilizia– lavori di
costruzione di taluni immobili), fanno valere la pretesa ad essere risarciti del danno
da disturbo, subito a causa dell’intervenuta adozione del decreto del Ministero dei
beni culturali e ambientali del 6.10.1996, con il quale i beni di proprietà degli stessi
appellanti sono stati dichiarati di notevole interesse pubblico, e della conseguente
ordinanza sindacale di sospensione dei lavori assentiti con concessione edilizia n.
140 del 22.12.1995. Trattasi, pertanto, di una situazione diversa da quella
solitamente posta a fondamento del postulato diritto al risarcimento del danno cd. da
ritardo, e caratterizzata dalla lesione di un interesse di tipo cd. oppositivo
consistente nella pretesa a non essere "disturbato" nel libero esercizio delle facoltà
inerenti al diritto dominicale. Della descritta consistenza della situazione soggettiva
asseritamene compromessa è necessario tener conto nel vagliare la fondatezza della
proposta domanda risarcitoria e nell’accertare quindi: 1) se la P.A. abbia agito,
nella vicenda in esame, in violazione di norme e principi dall’ordinamento; 2) se la
condotta pubblica sia qualificabile come colposa; 3) se, infine, sussista il necessario
nesso eziologico tra la condotta e il danno. Presenti gli indicati elementi costitutivi
della fattispecie di responsabilità, sarà ancora necessario procedere alla
quantificazione del pregiudizio ristorabile” (Consiglio di Stato n.1261/2004,
estensore Garofoli).
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