Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo

Capitolo Secondo
Le situazioni giuridiche soggettive
del diritto amministrativo
Sommario: 1. Definizione di situazione giuridica soggettiva. - 2. Il diritto soggettivo. - 3. Gli interessi legittimi. - 4. Gli interessi semplici e gli interessi di fatto. - 5. Gli interessi superindividuali: gli interessi collettivi e gli interessi diffusi.
1. Definizione di situazione giuridica soggettiva
Si definisce situazione giuridica soggettiva una situazione sostanziale di interesse, che fa capo ad un soggetto o a un ente, tutelata dall’ordinamento giuridico.
Le situazioni soggettive vengono, infatti, attribuite da norme giuridiche e costituiscono il contenuto dei rapporti giuridici. In tali rapporti i soggetti sono portatori di posizioni soggettive che possono essere:
—attive, o di vantaggio (diritto, interesse legittimo, potere, potestà, aspettativa),
quando attribuiscono una posizione favorevole al titolare attribuendo all’interesse di quest’ultimo una prevalenza rispetto a quello di altri soggetti;
—passive, o di svantaggio (obbligazione, dovere, onere, soggezione), quando
attribuiscono una posizione sfavorevole al titolare, prevedendo la subordinazione dell’interesse di quest’ultimo a quello di altri soggetti.
Il concetto di situazione giuridica va tenuto distinto da quello di status. La situazione giuridica
attiene a specifici rapporti mentre lo status si riferisce ad una condizione da cui derivano un complesso di situazioni giuridiche, attive e passive. Per status si intende la posizione di un soggetto rispetto
ad un determinato gruppo (così, ad esempio, l’appartenenza ad una famiglia conferisce al soggetto
uno status, ossia un complesso di diritti ed obblighi riconducibili a tale condizione).
2. Il diritto soggettivo
Il diritto soggettivo è la posizione giuridica di vantaggio che l’ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un bene, nonché la tutela degli interessi afferenti al bene stesso in modo
pieno ed immediato.
La figura del diritto soggettivo è oggetto di particolare attenzione, al fine di distinguerla da
quella dell’interesse legittimo, in quanto la ripartizione della giurisdizione fra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, nelle controversie coinvolgenti la Pubblica Amministrazio-
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ne, è stabilita dalla legge (L. 2248/1865), in base alla natura della posizione giuridica soggettiva lesa; infatti:
— se chi agisce è titolare di un diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione, è
tenuto ad adire il giudice ordinario, salvi i casi in cui il diritto soggettivo si è costituito in una
materia devoluta dalla legge alla competenza giurisdizionale esclusiva del G.A.;
— se chi agisce, invece, è titolare di un interesse legittimo nei confronti della P.A., può ricorrere
soltanto innanzi al giudice amministrativo.
Tipica del diritto amministrativo è la distinzione tra:
—diritti soggettivi perfetti: sono quelli attribuiti in maniera diretta ed incondizionata al soggetto; il loro esercizio è libero, non condizionato ad alcun intervento autorizzatorio della P.A. la quale non può neppure incidere sfavorevolmente su di essi, comprimendoli o estinguendoli con un proprio provvedimento;
—diritti soggettivi condizionati: sono quelli il cui esercizio è subordinato ad un
provvedimento amministrativo permissivo (o autorizzatorio) ovvero sui quali la P.A. può incidere sfavorevolmente comprimendoli o estinguendoli con un
proprio provvedimento. In relazione a tali due ipotesi avremo dunque, rispettivamente, diritti in attesa di espansione e diritti suscettibili di affievolimento.
3. Gli interessi legittimi
A)Nozione
L’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva di vantaggio, conferente la pretesa alla legittimità dell’attività amministrativa, riconosciuta a
quel soggetto che, rispetto ad un dato potere della P.A., si trovi in una particolare posizione differenziata rispetto agli altri soggetti (cd. posizione legittimante).
Più precisamente, esso viene definito come la posizione giuridica soggettiva riconosciuta ai privati grazie alle quale essi incidono sull’attività amministrativa condizionandola, anche attraverso la partecipazione al procedimento per
tutelare un bene pertinente alla loro sfera di interessi (NIGRO).
I parametri che caratterizzano la figura dell’interesse legittimo sono:
—la differenziazione, cioè è titolare di un interesse legittimo colui che, rispetto all’esercizio di un potere pubblico, si trovi in una posizione differenziata rispetto a quella della generalità degli altri soggetti;
—la qualificazione, nel senso che la norma preordinata a disciplinare l’esercizio
del potere della P.A. per il perseguimento dell’interesse pubblico primario ha
indirettamente preso in considerazione, e quindi protetto, un interesse sostanziale individuale connesso o coincidente con l’interesse pubblico.
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Mentre il diritto soggettivo è una posizione autonoma, perché compiutamente configurata dalla stessa previsione di legge, e dunque spettante ad una persona sulla base di un titolo che può avere la natura più varia, ma che non dipende da una pubblica amministrazione (sono proprietario di
una casa perché l’ho comprata o ereditata), l’interesse legittimo si esprime in termini di posizione inautonoma in quanto l’utilità sperata cui tende l’interesse del privato dipende dalla intermediazione provvedimentale dell’amministrazione pubblica (PALMA). L’interesse legittimo è necessariamente correlato all’esercizio del potere amministrativo, come disciplinato dalla norma cd.
di azione (v. infra): il provvedimento amministrativo subentra comunque, o come oggetto di
un’aspirazione (domanda di concessione di suolo pubblico per installarvi un’edicola) o come oggetto di una ripulsa (impugnazione del decreto di espropriazione).
L’interesse legittimo concreta, in quanto tale (v. art. 113, comma 1, Cost.) una posizione:
—
—
—
—
giuridica in quanto si sostanzia in un potere giuridico avente la struttura della pretesa;
soggettiva, in quanto riconosciuta al singolo soggetto a tutela di un suo interesse materiale;
sostanziale, in quanto preesiste alla eventuale lesione di essa;
autonoma rispetto all’azione giurisdizionale derivante dall’eventuale lesione.
Alla luce della riforma introdotta dalla L. 15/2005 e, in particolare, con l’inserimento dell’art.
21octies nella L. 241/1990, è stata ulteriormente riconfermata la natura sostanziale dell’interesse
legittimo, nel senso che esso si correla ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita.
Dalla lettura del precitato articolo si evince, infatti, che la lesione dell’interesse legittimo intanto
può dirsi esistente, in quanto la violazione delle regole, nella quale la P.A. è incorsa, abbia pregiudicato la possibilità di realizzazione dell’interesse materiale.
L’effetto più importante prodotto dalla nuova impostazione dell’interesse legittimo si è avuto,
infatti, proprio con riferimento alla tutela processualistica: il giudizio amministrativo è gradualmente divenuto sempre più un giudizio sul rapporto più che sull’atto in sé, nel senso che la sua finalità
è quella di fornire una tutela adeguata alla pretesa fatta valere, andando oltre il solo sindacato sulla
legittimità dell’atto. Questa trasformazione è oggi tangibile nel Codice del processo amministrativo, approvato con il D.Lgs. 2-7-2010, n. 104, come da ultimo modificato dal D.Lgs. 14-9-2012,
n. 160, che sancisce il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
B)Distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi
Dottrina e giurisprudenza hanno proposto vari criteri distintivi fra diritti soggettivi ed interessi legittimi.
La differenza tra le due posizioni, secondo GUICCIARDI, va riferita alla natura della norma; l’Autore, infatti, divide le norme in due categorie:
a) norme giuridiche di relazione: regolano i rapporti tra la P.A. ed i cittadini,
attribuendo diritti ed obblighi reciproci; esse tracciano la linea di demarcazione tra la sfera della P.A. e quella del cittadino e la loro violazione da parte della P.A. comporta la lesione di un diritto soggettivo del cittadino;
b) norme di azione: regolano l’esercizio dei poteri della P.A., imponendole un
determinato comportamento. Se la P.A. viene meno a tale comportamento essa
lede un interesse (legittimo o semplice) del cittadino.
Un altro criterio di distinzione si fonda sulla natura vincolata o discrezionale dell’attività esercitata: nei confronti di un atto vincolato il privato può vanta-
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re un diritto soggettivo perfetto; nei confronti di un atto discrezionale può vantare solo un interesse legittimo.
Un terzo criterio, largamente utilizzato in giurisprudenza, si fonda sulla distinzione tra carenza assoluta e cattivo esercizio del potere; in particolare:
—nel caso di cattivo uso, da parte della P.A., del proprio potere discrezionale,
sussistendo una norma di legge che attribuisce alla P.A. il potere di emanare
l’atto, si avrà solo la lesione di un interesse legittimo, rappresentato dall’interesse del privato a che la P.A., nell’emanare l’atto, osservi i limiti, le forme ed
il procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere (interesse che può
essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa);
—nell’ipotesi di carenza assoluta di potere, quando cioè manchi in radice il potere discrezionale della P.A. di interferire nella sfera giuridica del privato, ovvero non sussistano i presupposti di fatto che consentano l’esercizio di tale potere, l’atto amministrativo è considerato inidoneo ad incidere legittimamente sul diritto soggettivo del privato, che quindi sussiste nella sua integrità e
può essere fatto valere davanti al giudice ordinario.
Pertanto, tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell’amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si
ha questione di diritto soggettivo e la giurisdizione è del G.O. quando si contesta la stessa esistenza del potere. In tal modo si è posto il collegamento seguente:
carenza di potere-diritto soggettivo, cattivo uso del potere-interesse legittimo.
C)Tipologia
Nell’ambito della categoria degli interessi legittimi, in base al tipo di interesse materiale protetto (NIGRO), si distingue tra:
—interessi legittimi pretensivi: si sostanziano in una pretesa del privato a che
l’amministrazione adotti un determinato provvedimento o ponga in essere un
dato comportamento;
—interessi legittimi oppositivi: legittimano il privato ad opporsi all’adozione
di atti e comportamenti da parte della pubblica amministrazione, che sarebbero pregiudizievoli per la propria sfera giuridica.
Una diversa dottrina (GIANNINI) seguita dalla giurisprudenza distingue tra:
—interesse sostanziale: considera il momento in cui l’interesse del privato ad
ottenere o a conservare un bene della vita, viene a confronto con il potere della P.A. di soddisfare l’interesse o di sacrificarlo;
—interesse procedimentale: è l’interesse del privato che emerge nel corso di un
procedimento amministrativo. Tali interessi possono essere fatti valere in giudizio al fine di eliminare quegli atti e quei comportamenti preclusivi della prosecuzione del procedimento.
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Interesse procedimentale e sostanziale rappresentano due aspetti dell’interesse legittimo, in quanto il primo è strumentale alla tutela degli interessi sostanziali, rappresentandone la proiezione in giudizio.
Vanno, poi, menzionati gli interessi discrezionalmente protetti, ossia quegli interessi protetti non a livello di ordinamento generale, bensì al livello di ordinamento particolare dell’amministrazione. Questi interessi non sono tutelabili
davanti al giudice, ma esclusivamente davanti all’amministrazione (ad esempio,
tramite i ricorsi amministrativi). Tra essi è possibile inserire quelli relativi al merito dell’azione amministrativa, cioè al merito della scelta operata dall’amministrazione. Scelta che, di regola, non è direttamente sindacabile o sostituibile dal
giudice, ma che può trovare riesame nell’ambito dell’amministrazione e con una
revisione della scelta da parte della stessa autorità o di altra in genere gerarchicamente sopraordinata (così Malinconico).
Tutela dell’interesse legittimo alla luce del diritto dell’Unione europea
L’avvento del diritto dell’UE e la sua sempre più profonda penetrazione nel tessuto normativo nazionale pongono delicati problemi sia in relazione ai confini che alla stessa sopravvivenza della nozione, tipicamente nazionale, di interesse legittimo.
Segnatamente, occorre, nell’indagine in esame, prendere le mosse da due presupposti:
1) il diritto dell’UE non conosce la categoria, prettamente nostrana, di interesse legittimo;
2) il principio di supremazia e di effettività del diritto dell’UE impongono che le situazioni
soggettive di rilievo europeo, ossia le posizioni create e protette dalle fonti europee, non
possano subire un vuoto o una minorazione di tutela sotto il profilo qualitativo una volta
immesse nell’ordinamento giuridico nazionale.
Il punto 1) riporta ad una sentenza della Corte di Giustizia (sentenza 5-3-1980, in causa n.
265/78) che esclude per il diritto europeo la possibilità di spingersi fino al punto di sindacare la scelta nazionale in punto di qualificazione della posizione soggettiva e di designazione del giudice naturale.
La scelta del giudice naturale è pertanto rimessa all’ordinamento interno — ossia alla Costituzione attraverso l’interpretazione delle fonti primarie — che può insindacabilmente sancire la giurisdizione del giudice amministrativo.
Circa il punto 2), si è osservato che il giudice nazionale deve disapplicare tutte le norme processuali che possano recare pregiudizio all’obiettivo dell’effettività della tutela del diritto dell’UE.
D)La risarcibilità degli interessi legittimi
Sul tema della risarcibilità degli interessi legittimi, riconosciuta pacificamente
nel nostro ordinamento a seguito della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione n. 500 del 1999, nonché oggetto di specifica trattazione da parte del Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010), vedi amplius Cap. 10, §9.
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4. Gli interessi semplici e gli interessi di fatto
A)Interessi semplici
Sono quegli interessi, detti anche amministrativamente protetti, vantati dal cittadino nei confronti della P.A. a che questa, nell’esercizio del suo potere discrezionale, osservi le regole di buona amministrazione, di opportunità e convenienza (cd. merito amministrativo). Essi sono tutelabili solo amministrativamente
attraverso lo strumento del ricorso gerarchico, salvo i casi tassativamente indicati dalla legge in cui il privato può adire il G.A. per vizi di merito.
B)Interessi di fatto
Gli interessi di fatto possono essere definiti come quelle situazioni giuridiche soggettive non protette, cui, cioè, l’ordinamento non accorda alcuna tutela.
Tipici interessi di fatto sono quelli vantati da tutti all’osservanza da parte
dell’amministrazione dei doveri pubblici posti a vantaggio della collettività indifferenziata (es.: illuminazione, manutenzione delle strade).
Sono interessi, dunque, che, essendo privi del carattere della differenziazione,
tipico dell’interesse legittimo, non ricevono alcun tipo di tutela.
5. Gli interessi superindividuali: gli interessi collettivi e gli interessi diffusi
A)Profili generali
Le posizioni giuridiche soggettive possono assumere una dimensione superindividuale. A tal fine, si distingue tra interesse collettivo e interesse diffuso:
a) interessi diffusi (o adespoti) sono quelli comuni a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. Si tratta, cioè, di interessi relativi a beni insuscettibili di appropriazione individuale
(es. ambiente, salute, qualità della vita) e, per questo, definiti «adespoti», cioè
senza portatori, privi di titolari;
b) interessi collettivi (o di categoria) sono, invece, quelli che hanno come portatore un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (es. ordini professionali, associazioni private riconosciute, associazioni di fatto), ma autonomamente individuabile.
B)In particolare, le caratteristiche dell’interesse collettivo
L’interesse collettivo è:
—differenziato, in quanto fa capo ad un soggetto individuato e cioè ad una organizzazione di tipo associativo che si distingue tanto dalla collettività che dai
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singoli partecipanti; da ciò consegue che la lesione dell’interesse collettivo legittima al ricorso solo l’organizzazione e non i singoli che di essa fanno parte;
—qualificato: nel senso che è previsto e considerato sia pure indirettamente, dal
diritto oggettivo.
C)Tutela degli interessi collettivi
Discusso è il problema della tutelabilità davanti al giudice degli interessi collettivi.
Dottrina e giurisprudenza, pur se con periodici tentennamenti, sono pervenute
al riconoscimento della tutelabilità giurisdizionale degli interessi diffusi, purché
siano imputabili a gruppi sociali determinati. A quest’ultima categoria soltanto
viene dato il nome di «interessi collettivi».
Il più recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, in tema di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, ha elaborato il criterio procedimentale. Trattasi di un criterio in forza del quale la legittimazione processuale va ricollegata
alla partecipazione procedimentale: quando, per legge, l’organizzazione è ammessa a partecipare alla fase della formazione del provvedimento amministrativo, si deve ritenere configurabile in capo alla medesima un interesse differenziato
e qualificato, con conseguente sua legittimazione ad impugnare il provvedimento, ove questo si riveli lesivo di un suo interesse.
Il suddetto criterio assume un particolare rilievo pratico alla luce dell’intervento della L. 241/1990,
la quale, all’art. 9, ha sancito la legittimazione procedimentale dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati. Si può, quindi, ritenere che tale norma costituisca una fonte normativa generale della legittimazione processuale dei portatori di interessi diffusi, con la conseguenza che la legittimazione processuale stessa va ascritta a tutte quelle organizzazioni che siano abilitate a partecipare al procedimento amministrativo successivamente sfociato nell’atto da impugnare.
Ulteriore riferimento normativo è rappresentato dall’art. 4 D.P.R. 184/2006 (regolamento in materia di accesso ai documenti amministrativi) laddove prevede che le disposizioni sulle modalità di
accesso si applicano anche ai portatori di interessi diffusi o collettivi.
D)Le azioni collettive di risarcimento (class action)
Il Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005) fornisce un nuovo modello di tutela degli interessi collettivi dinanzi al G.O. L’art. 140bis, come sostituito dall’art.
49 L. 99/2009, e da ultimo modificato dal D.L. 24-1-2012, n. 1, conv. in L. 24-32012, n. 27 (cd. decreto cresci Italia) ha introdotto nel nostro ordinamento l’azione di classe (cd. class action). Si tratta di un’azione collettiva condotta, a tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori e degli interessi collettivi, da uno o più soggetti che richiedono il risarcimento del danno non solo a
loro nome, ma per tutta la «classe», ossia per tutti coloro che hanno subito il
medesimo illecito.
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In particolare, il legislatore del 2012 ha precisato che l’azione di classe ha per oggetto l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore
degli utenti consumatori.
L’attuale disciplina, in vigore dal 1° gennaio 2010 (ex D.L. 78/2009, conv. in
L. 102/2009), dispone che attraverso la class action sono tutelabili:
a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a
contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;
b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o
servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori
e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
Nelle ipotesi sopra delineate, ciascun componente della classe, anche mediante
associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento
della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
In materia occorre anche ricordare quanto previsto dal D.Lgs. 20 dicembre
2009, n. 198, che ha disciplinato la class action nei confronti della P.A.
Il decreto citato prevede che gli utenti dei servizi pubblici possano agire nei
confronti della P.A. e dei concessionari, per la violazione degli standard qualitativi ed economici degli obblighi contenuti nelle carte dei servizi, ovvero per
l’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori, ovvero ancora per la mancata emanazione degli atti amministrativi nei termini previsti (art. 1).
Lo scopo di tale azione è quello di garantire il corretto svolgimento della funzione amministrativa o la corretta erogazione dei servizi, affidando la supervisione ed il controllo dei parametri di efficienza, efficacia ed economicità ai singoli
utenti, ovvero alle associazioni rappresentative dei loro interessi.
Sotto il profilo più strettamente procedurale, prima dell’azione vera e propria,
è necessario diffidare ad adempiere l’ente entro un termine di novanta giorni.
Decorso inutilmente tale termine, e comunque entro il termine di un anno, è
possibile esperire l’azione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, da parte sia di singoli cittadini, che di associazioni, in caso di lesione di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti.
Trattasi nella specie di un’ipotesi di giurisdizione amministrativa esclusiva (art.
1, comma 7, D.Lgs. 198/2009).
La non immediata proponibilità del ricorso evidenzia chiaramente la finalità di
repentina eliminazione del disservizio e ripristino di un’azione amministrativa regolare ed efficiente, propria dell’azione di classe costruita dal legislatore.