Conclusioni
Chi entrava nella Vita Religiosa vari decenni fa trovava tutto chiaro: un senso di
ordine, di stabilità, definitività; ora invece si ha l’impressione di scompiglio,
confusione, incertezza, di disagio crescente. Cosa dovremmo inventare in una
situazione ultima come quella che stiamo attraversando? Continuare ad
accontentarsi semplicemente di guarnire il presente con piccoli interventi e molti
discorsi che sono un miscuglio consolatorio, fatto di guizzi attraverso cui appagarsi?
O continuare a scommettere sui noti strumenti amministrativi e di governo che in
regime di nuova cultura non hanno sortito cambiamento?
Di fatto il cambiamento si impone anche se intendessimo respingerlo, poiché
operare alla stessa maniera in un contesto diverso significa, operare diversamente.
In ogni caso questa situazione – per gli Istituti che avranno il coraggio di passare
dalla nostalgia al rischio - potrebbe essere una irrepetibile occasione. Si tratta di non
continuare a rattopparla rimanendo irretita da tanti abbarbicamenti per difendere il
«museo»: termine usato dal papa. «Perche il carisma non diventi sterile deve cercare
nuovi cammini» partendo dal «chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli
insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio» Quello di
continuare a girare attorno al già pensato è ciò che i Capitoli continuano
improduttivamente a fare: si continua picchiettare attorno al tronco antico, quando
invece la perennità dell’ulivo, nella sua vecchiaia, non è data prevalentemente dalla
sarchiatura del ceppo ma dal coltivarne i polloni. Ma i «modelli di pensiero
istituzionali fanno fatica ad intercettare nuove istanze spirituali, culturali, sociali» i,
perché prevale un certo «estetismo di prassi consolidate» che le porta a leggere il
tempo, dal passato verso il presente, piuttosto che dal futuro verso il presente ii. Ed è
così che i Capitoli discepoli di Goethe il quale diceva che «tutti i pensieri intelligenti
sono già stati pensati; occorre solo tentare di ripensarli», ripetono le cose sicure di
sempre e siccome i capitolari non ricordano o non hanno letto bene ciò che il
Capitolo precedente aveva detto, pensano di dire cose nuove solo perché le parole
sono nuove. Ma diceva Chenu: cambiamento non significa qualche modifica di
parole in un linguaggio stereotipato, al quale si aggiungerebbero alcune immagini
decorative; indica invece un’ ulteriore invenzione di concetti, di categorie, di simboli,
che siano omogenei alla mentalità, alla cultura, alla lingua, degli uomini d’oggi iii.
Cambiamento esige innanzitutto un nuovo modo di essere comunità
Oggi non si è più disponibili per una finta comunione. Non è più concepibile una
comunità religiosa, unita solo sul piano formale, giuridico, e occupazionale, priva di
una reale, fraterna comunicazione interpersonale. Si è invece disponibili per una
fraternità in cui ognuno si fa dono e gioisce del dono dell’altro: «un debito reciproco,
una gratitudine reciproca tiene uniti, e non la riscossione dei diritti di ciascuno»: da
qui l’ invito di passare da una comunità di «creditori» ad una comunità di «debitori»iv.
È la storia che rifiuta la Vita Religiosa o è la Vita Religiosa che rifiuta la storia?
La storia cammina veloce, non tenerne il passo conduce ad essere portatori di
una cultura residua, sbiadita. In un tempo poi in cui il cambiamento è sistemico, la
ri(e)voluzione non è più il cambiamento ma la «velocità del cambiamento» la quale
ha come conseguenza che ogni scelta non sarà mai veramente finale ma si porrà
solo come premessa ad altre nuove decisioni conseguenti a nuove inculturazioni del
carisma. Inoltre il dinamismo del nuovo implica anche la sua brevità, con il pericolo
che lo sviluppo veloce non sia solido. In ogni caso se un tempo la continuità era data
dalla immutabilità, per questa generazione la sopravvivenza sarà data dalla capacità
di mettersi in gioco senza reiterazioni del passato.
Ma se nel passato la VR si manteneva alta nel nome del sacro oggi da essa si
esige la santità, non quella “enunciata” ma quella che si rispecchia nella realtà;
non quella attaccata alle opere sovra-erogatorie cui nella parabola del fariseo e del
pubblicano viene negata ogni efficacia salvifica.
La Vita Religiosa, privata di vari elementi un tempo umanamente promozionali
vivrà se sarà riconosciuta quale forma trasparente di una esperienza di fede nata da
una fascinazione in cui la persona è stata conquistata da Cristo. Vivranno quindi
quelle forme che saranno in grado di modellare la VR in profili, non unicamente
«sacro-formali» oppure «aziendali», ma quelle rispondenti alle domande profonde di
quella spiritualità capace di dare risposte nell’attuale domanda di senso in contesto di
quella contemporaneità che porta con sé frutti umani di alto valore che chiedono di
essere assunti, perché rispondenti, in tanta parte, all’insegnamento del Vangelo
espresso con meno retorica teologica ma «più vita».
Cosa può fare un corpo sociale (Istituto) quando il passo si fa stanco e quindi
povero di forze per sondare vie nuove?
Quello che è da fare, è quanto farebbe un padre di famiglia: trasmettere gli
attrezzi, le «sapienze» e le speranze che lo hanno sorretto fino ad ora, sapendo che
saranno «altri», se capaci di assumerne l’eredità, a decidere cosa farne. Il problema
è trovare, o meglio l’aver precedentemente cercato e preparato questi «altri».
Accettando poi che, oggi molto più di ieri, ogni generazione abbia le sue vie.
In quest’ora della storia abbiamo delle opportunità bellissime, basterebbe
svincolare Gesù Cristo, come sta facendo papa Francesco, per impossessarci dei
gesti di questo Dio che percorre le stanze della convivialità, facendoci vedere che
l’uomo; ha bisogno, più che di ricette intellettuali, di chi sappia far vibrare le corde del
cuore come nessun altro prima aveva saputo fare.
L’antropologia ricca della tenerezza di papa Francesco è il dono «magisteriale»
che la Vita Religiosa deve fare proprio. Il suo modo di fare ha rappresentato
l’irruzione del futuro facendo intravedere che La qualità della fede cristiana, la sua
credibilità, si gioca sulla capacità di rendere pienamente umano l'uomo, aprendolo a
quel Dio che si è svelato pienamente, si è reso incontrabile e accessibile nella
splendida interpretazione che abbiamo visto e toccato nell'umanità di Gesù.
In tutto questo c’è Il tratto identitario del cristianesimo che consiste proprio
nell’offrire all'umanità la testimonianza sempre più purificata e autentica del volto
umano di Dio rivelato in Cristo. Testimonianza che passa dal portare la relazione ad
altezza dello sguardo, o ancora meglio all’altezza del cuore come indicato dal Papa
all’inizio del suo magistero: «non abbiate paura della tenerezza».
Il futuro del cristianesimo – dice il biblista Silvano Fausti. - è affidato alla
testimonianza di persone ricche di umanità, di libertà, di responsabilità, di simpatia, di
relazioni vere».
Non è profezia misurare la Vita Religiosa, in termini di opere o edifici, di mezzi
busti o pubblicazioni, ma solo in termini di vita v, quella che porta a dire «questa è
vita!». Una vita quale forma dell’amore, espresso nell’essere «fratelli», «sorelle»,
«padri», «madri», da parte di persone formate ad essere, in qualche misura,
«maestri della sapienza del cuore»vi.
Perfezione? No, lo terrorizzerebbe e lo allontanerebbe, ma una persona il cui
modo di vivere faccia trasparire l'adulto nella fede e non solo il praticante; il credente
evangelico piuttosto che il credente istituzionale, con negli occhi quella luce che dice
che la scelta fatta ne valeva la pena e ne vale ancora oggi; una persona da cui
traspaia che credere non è un farsi imbrigliare l’umanità, la corporeità, la vitalità, la
bellezza, la spontaneità (avrebbe allora ragione Nietzsche), ma semmai farla
esplodere in pienezza.
La vita religiosa ridotta a un sistema etico non incanta più. Questa forma
discepolare è invece chiamata ad essere un «cammino» nato dall’ ascolto di Dio
nella sua Parola, per renderla circolante nella vita, portandola all'esperienza
personale di un Dio invisibile ma vivente.
Ma al di sopra di tutto, chi si avvicina ad un consacrato/a dovrebbe incontrare
una persona non segnata dalla noia e dalla stanchezza spirituale, dall’apatia
«L’ostacolo alla testimonianza – dice il Papa – non è dato tanto dall’essere
peccatori, ma dall’essere indifferenti, nel non sentirsi davvero appassionati e vitali nel
credere»
Non sarà che stiamo cambiando il Vangelo? «Non è il Vangelo che cambia –
disse Giovanni XXIII - siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio».
Questo momento storico, come i precedenti, non è il punto fermo di un cammino.
Diversamente dal pensare di un tempo, la verità è sempre e necessariamente
apertura a un processo evolutivo che implica l’irruzione di situazioni inedite, perché
Colui che è autore della storia, ne accetta altresì il divenire. Una verità, non di ordine
fisico ma «incarnatorio», è una verità che «si fa», si compie nella storia, si realizza in
essa, fermo restando il nucleo centrale del kerigma.
Scrive S.Dianich: «Il carattere di assolutezza della fede, è proprio del Signore,
non delle forme storiche nelle quali la Chiesa ne vive e ne esplora la signoria»vii
Anche la «tradizione» è una realtà vivente e non la trasmissione materiale di un
contenuto che viene ripreso tale e quale. È la vita di un principio attraverso tutta la
sua storia, poiché tutto è storiaviii. Il punto di partenza sta nel credere che la verità
evangelica, la rivelazione, non è data, in pienezza, una volta per tutte ma nel tempo:
è nel grembo della storia che c’è il seme generativo che dà corpo al «vero» e al
«buono» di ogni nuova stagione. La storia continua. Sorgeranno ancora altri modi e
altre possibilità per la fede di incarnarsi e di rendere possibile l’incontro di salvezza
dell’uomo con Dioix. La verità dunque non si possiede ma la si cerca attraverso i
segni iscritti nelle pieghe del tempo. È allora auspicabile l’introduzione nella mente
dei credenti di una concezione dinamico-evolutiva della verità e non più soltanto
statico-dottrinaria. «La verità – dice E.Salmann - non è premessa, ma si dà, solo in
un processo sterminato di approssimazioni, congetture, trasformazioni».
i
Test. 8/2010 Dal Piaz
Il futuro ha un cuore di tenda, Ronchi 13
iii
in “Témoignage chrétien. 7 6.’63
iv
E. Ronchi, Come un girasole, Ed messaggero, Padova 2011, 115.
v
Katia Roncalli in Cosacrazione e Servizio gen.feb.2013.p.38*;
vi
B.Secondin
vii
S.Dianich, Chiesa e laicità dello stato, ed s.Paolo 2011, p.61
viii
Y.Congar, Conversazioni d’autunno, Queriniana 1987, p.13
ix
L.Boff, Chiesa carisma e potere, ed. Borla 1978 p.149
ii