Il codice penale COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 47 20-03-2015 10:08:16 R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398. Approvazione del testo definitivo del Codice penale (Suppl. alla Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 1930). Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia Vista la legge 24 dicembre 1925, n. 2260, che delega al Governo del Re la facoltà di emendare il codice penale; Sentito il parere della Commissione parlamentare, a’ termini dell’articolo 2 della legge predetta; Udito il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del Nostro Guardasigilli, Ministro Segretario di Stato per la giustizia e gli affari di culto; 1. Il testo definitivo del codice penale portante la data di questo giorno è approvato ed avrà esecuzione a cominciare dal 1° luglio 1931. 2. Un esemplare del suddetto testo definitivo del codice penale, firmato da Noi e contrassegnato dal Nostro Ministro Segretario di Stato per la giustizia e gli COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 48 affari di culto, servirà di originale e sarà depositato e custodito nell’Archivio del Regno. 3. La pubblicazione del predetto codice si eseguirà col trasmetterne un esemplare stampato a ciascuno dei Comuni del Regno, per essere depositato nella sala comunale, e tenuto ivi esposto, durante un mese successivo, per sei ore in ciascun giorno, affinché ognuno possa prenderne cognizione. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a S. Rossore, addì 19 ottobre 1930. VITTORIO EMANUELE Mussolini-Rocco Visto, il Guardasigilli: Rocco. Registrato alla Corte dei Conti, addì 22 ottobre 1930 - Atti del Governo, registro 301, foglio 58. Mancini 20-03-2015 10:08:16 49 Titolo I – Legge penale Libro I Dei reati in generale Titolo I Della legge penale 1. Reati e pene: disposizione espressa di legge. – Nessuno può essere punito (132) per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge (40, 42, 85), né con pene che non siano da essa stabilite (199; 25 Cost.) (1). (1) L’art. 1, primo comma, della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, stabilisce che nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. SOMMARIO: a) Principio di legalità; b) Norma penale in bianco. a) Principio di legalità. l Il principio di legalità della pena è vincolante non solo quando venga applicata una pena non prevista o diversa da quella contemplata dalla legge, ma anche quando venga applicata una pena che esula dalle singole fattispecie legali penali perché pena legale è anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, tra le quali rientrano le norme sulle circostanze aggravanti. (Affermando tale principio la Cassazione ha eliminato la pena della multa inflitta per il reato di corruzione ai sensi dell’art. 24, comma 2, c.p. che consente l’aggiunta della pena della multa per i delitti determinati da motivi di lucro puniti con la sola reclusione: all’uopo ha considerato che il reato ascritto all’epoca dei fatti era punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e che pertanto, per il principio di legalità della pena, esso rimaneva fuori della previsione aggravatoria di cui al suddetto articolo). * Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7505 (ud. 25 marzo 1994), Caputo. l Il principio di stretta legalità vigente in diritto penale impone al giudice di attenersi alla precisa dizione della norma incriminatrice, senza indulgere a interpretazioni analogiche e, ove la norma del tutto chiara non sia, di attenersi all’interpretazione giurisprudenziale imperante, che la abbia esplicitata, ad evitare diverse interpretazioni che espongano il cittadino a responsabilità di maggior contenuto a quelle cui il cittadino medesimo, in base al principio di cui all’art. 1 c.p., era espressamente chiamato dalla norma incriminatrice e dalla giurisprudenza al riguardo. (Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato di sentenza di condanna per avere l’imputato effettuato scarichi dai servizi civili, in un fosso adiacente alla propria fabbrica senza avere richiesto la prescritta autorizzazione, COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 49 Art. 1 la S.C. ha osservato che la coincidenza dell’epoca dell’accertamento dello scarico con quella del mutamento della giurisprudenza imperante, che non richiedeva l’autorizzazione, avrebbe imposto come soluzione obbligata l’assoluzione dell’imputato, la quale, oltreché dettata dall’art. 5 c.p. nella lettura fattane dalla Corte costituzionale, è suggerita, prima ancora, dal principio di stretta legalità). * Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 1994, n. 435 (ud. 6 ottobre 1993), Garofoli. l La norma intesa come imperativo o come giudizio ipotetico è sempre un unicum che proviene dal legislatore, il quale, anche quando collega il precetto alla sanzione, pur se attraverso un rinvio ad altre norme, è investito al riguardo di una competenza esclusiva, non esercitabile in funzione surrogatoria dall’interprete della legge. (Fattispecie in tema di reati militari). * Cass. pen., Sezioni Unite, 15 giugno 1984, n. 5655 (ud. 26 maggio 1984), Sommella. l La sanzione da applicare ad una fattispecie che ne sia priva non può essere rinvenuta attraverso l’interpretazione analogica. In caso contrario l’interprete della legge si trasformerebbe in legislatore con mancata incidenza negativa sia sul principio di sia sulla stessa efficacia deterrente delle disposizioni penali coinvolte in siffatta operazione interpretativa, diretta a correlare, con l’intervento del giudice il comportamento del soggetto attivo del reato ad una pena non costituente oggetto di specifica commentoria legislativa. (Applicazione in tema di reati militari puniti dagli artt. 186 e 189 cod. pen. mil. pace dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte sanzionatoria con la prospettazione delle punibilità da applicare a tutte le fattispecie di insubordinazione militare le sanzioni punite dalla legge penale comune). * Cass. pen., Sezioni Unite, 15 giugno 1984, n. 5655 (ud. 26 maggio 1984), Sommella. l Il principio di legalità della pena (art. 1 c.p.) è violato qualora venga applicata una pena non prevista o diversa da quella prevista dalla legge per un determinato reato. Rientra, tuttavia, nel concetto di legalità anche la pena comminata dalle singole fattispecie penali, nonché quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, nelle quali disposizioni, oltre le norme sulle circostanze (aggravanti o attenuanti) va ricompresa la normativa concernente il trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 81 c.p.* Cass. pen., Sezioni Unite, 8 giugno 1981, n. 5690 (ud. 7 febbraio 1981), Viola. b) Norma penale in bianco. l La norma o la prescrizione di rinvio, espressamente richiamata a completamento del precetto, viene a svolgere una funzione integratrice della norma penale in bianco e ad essere, quindi, in essa incorporata. Ne discende che la norma in bianco non è in contrasto con la riserva di legge di cui all’art. 25 Cost. poiché, attraverso il suddetto proce- 20-03-2015 10:08:17 Art. 2 Libro I – Dei reati dimento di integrazione, la fonte immediata della norma penale resta pur sempre la legge (in senso formale o sostanziale), mentre la norma regolamentare o l’atto della pubblica amministrazione riveste il ruolo di completamento ed integrazione del precetto nei limiti e con il contenuto indicati con sufficiente specificazione dalla norma primaria. (Nella specie tale rapporto di integrazione è stato individuato nell’art. 58 del regolamento di esecuzione del t.u. delle leggi di P.S. e l’art. 221 del t.u. medesimo, definita norma penale in bianco). * Cass. pen., Sezioni Unite, 30 giugno 1984, n. 6176 (ud. 24 marzo 1984), Romano. 2. Successione di leggi penali (1). – Nessuno può es- sere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (25 Cost.). Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali. Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135 (2). Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (648 c.p.p.) (3). Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti (14 prel.). Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nei casi di un decreto legge convertito in legge con emendamenti (77 Cost.) (4). (1) Si vedano gli artt. 10, 12 e 15 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile. (2) Questo comma è stato inserito dall’art. 14 della L. 24 febbraio 2006, n. 85. L’art. 15 della medesima legge prevede inoltre che alle violazioni depenalizzate dalla stessa legge si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 101 e 102 del D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507. (3) L’art. 30, quarto comma, della L. 11 marzo 1953, n. 87, contenente norme sul funzionamento della Corte costituzionale, stabilisce che, qualora in applicazione di una norma dichiarata incostituzionale sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessino l’esecuzione e tutti gli effetti penali. (4) La Corte costituzionale con sentenza 19 febbraio 1985, n. 51 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste, le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma di questo articolo. SOMMARIO: a) Ambito di operatività; b) Abolitio criminis; COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 50 50 c) Applicazione delle disposizioni più favorevoli al reo; d) Leggi eccezionali o temporanee; e) Disposizioni contenute in un decreto legge; f) In genere; f-1) Consumo di gruppo di stupefacenti; f-2) Circolazione stradale; f-3) Reati fallimentari; f-4) Reati societari; f-5) Servizio militare; f-6) Reati in tema di paesaggio; f-7) Oltraggio a pubblico ufficiale; f-8) Reati edilizi; f-9) Trasporto di oli minerali; f-10) Ricettazione; f-11) Adesione della Romania alla U.E; f-12) Reati doganali; f-13) Falsità in valori di bollo. a) Ambito di operatività. l Non può trovare applicazione la legge penale modificativa più favorevole entrata in vigore dopo la sentenza della Corte di cassazione che dispone l’annullamento con rinvio ai soli fini della determinazione della pena, ma prima della definizione di questa ulteriore fase del giudizio, poiché i limiti della pronuncia rescindente determinano l’irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale ed alla qualificazione dei fatti ascritti all’imputato. (Fattispecie relativa a condanna per concussione annullata limitatamente alla individuazione della pena prima dell’approvazione della legge 6 novembre 2012, n. 190). * Cass. pen., Sezioni Unite, 14 aprile 2014, n. 16208 (ud. 27 marzo 2014), C. [RV258654] l Le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e, pertanto, (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio “tempus regit actum” e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo. (Principio affermato in relazione alla modifica dell’art. 4 bis della legge n. 354 del 1975, relativo alla previsione della concedibilità dei permessi premio ai detenuti per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione solo in caso di collaborazione con la giustizia). * Cass. pen., sez. I, 12 marzo 2013, n. 11580 (5 febbraio 2013), Schirato. [RV255310]. Conforme, Cass. pen., sez. I, 17 marzo 1993, n. 108 (c.c. 14 gennaio 1993), Primerano. l In presenza di una successione di leggi che comporti la depenalizzazione di una fattispecie in precedenza prevista come reato, le sanzioni amministrative trovano immediata applicazione nel caso in cui il giudizio penale instaurato nella vigenza della legislazione precedente non risulti concluso alla data di entrata in vigore della legge di depenalizzazione. * Cass. pen., sez. fer., 7 novembre 2011, n. 40146 (ud. 23 agosto 2011), Zhu. [RV251659] l Il criterio di ragguaglio di euro 250 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva di cui all’art. 135 c.p. come modificato per effetto dell’art. 3, comma sessantaduesimo, della L. n. 94 del 2009, 20-03-2015 10:08:17 51 Titolo I – Legge penale non si applica, ai fini della sostituzione “ex” art. 53 L. n. 689 del 1981, ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della predetta modifica in quanto norma meno favorevole rispetto alla disciplina pregressa. * Cass. pen., sez. III, 19 maggio 2011, n. 19725 (ud. 14 aprile 2011), Proia. [RV250333] l Il principio “tempus regit actum” riguarda solo la successione nel tempo delle leggi processuali e non anche delle interpretazioni giurisprudenziali di queste ultime. * Cass. pen., sez. II, 25 maggio 2010, n. 19716 (c.c. 6 maggio 2010), Merlo. [RV247114] l In caso di successione di disposizioni diverse concernenti misure alternative alla detenzione, che non attengono né alla cognizione del reato, né all’irrogazione della pena, ma alle modalità esecutive di questa, non operano le regole dettate dall’art. 2 c.p., né il principio costituzionale di irretroattività delle disposizioni “in peius”, ma quelle vigenti al momento della loro applicazione. (Nella specie si è ritenuta corretta la dichiarazione di inammissibilità, nella vigenza del D.L. 23 febbraio 2009 n. 11, quando esso era in corso di conversione, di un’istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata da condannato per delitto di cui all’art. 609-quater c.p., commesso prima dell’entrata in vigore del predetto decretolegge; ed è stata tuttavia annullata con rinvio la decisione impugnata, sul rilievo di una modificazione “in melius” introdotta dalla successiva legge di conversione n. 38 del 2009 in ordine ai presupposti di concessione della misura). * Cass. pen., sez. I, 3 settembre 2009, n. 33890 (c.c. 26 giugno 2009), Miglioranza. [RV244831] l In tema di successione di leggi nel tempo, il principio di irretroattività della legge penale opera con riguardo alle norme incriminatrici e non anche alle misure di sicurezza, sicché la confisca obbligatoria del veicolo, con il quale sia stato commesso il reato di guida in stato di ebbrezza con accertamento di un tasso alcolemico superiore a g. 1,5 per litro, trova applicazione anche relativamente ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 4 della L. n. 125 del 2008, che l’ha introdotta. * Cass. pen., sez. IV, 5 marzo 2009, n. 9986 (c.c. 27 gennaio 2009), P.G. in proc. Favè. [RV243297] l In tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l’adesione della Romania all’Unione europea, con il conseguente acquisto da parte dei rumeni della condizione di cittadini europei, non ha determinato la non punibilità del reato di ingiustificata inosservanza dell’ordine del questore di allontanamento dal territorio dello Stato commesso dagli stessi prima del 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore del Trattato di ade- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 51 Art. 2 sione, in quanto quest’ultimo e la relativa legge di ratifica si sono limitati a modificare la situazione di fatto, facendo solo perdere ai rumeni la condizione di stranieri, senza che tuttavia tale circostanza sia stata in grado di operare retroattivamente sul reato già commesso). * Cass. pen., Sezioni Unite, 16 gennaio 2008, n. 2451 (ud. 27 settembre 2007), P.G. in proc. Magera. Conforme, Cass. pen., sez. I, 6 marzo 2008, n. 10265 (ud. 28 febbraio 2008), P.G. in proc. Cristofan. [RV238197] l La nuova formulazione delle norme che prevedono i delitti di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622), nel testo introdotto dall’art. 1 D.L.vo 11 aprile 2002, n.61, non ha comportato l’abolizione totale dei reati precedentemente contemplati, ma si pone in rapporto di continuità normativa con la fattispecie previgente, determinando una successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti, commessi prima dell’entrata in vigore del citato D.L.vo, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la decisione dei giudici di merito che aveva assolto gli imputati dal reato ex art. 2621 c.c. perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato anziché di procedere ad accertamento al fine di stabilire se l’originaria condotta contestata contenesse o meno tutti gli elementi richiesti dalla nuova normativa). * Cass. pen., sez. V, 20 ottobre 2004, n. 40823 (ud. 7 luglio 2004), P.M. in proc. Preatoni ed altro. [RV230258] l In tema di reati societari, il giudice penale che accerti l’avvenuta abolitio criminis del reato di impedito controllo della gestione sociale — originariamente previsto dall’art. 2623, n. 3, c.c. — ad opera dell’art. 2625 c.c., introdotto dal D.L.vo n. 61 del 2002, il quale prevede che la condotta di impedito controllo, quando non abbia cagionato danno ai soci, sia punita con sanzione pecuniaria amministrativa — non ha l’obbligo di trasmettere gli atti alla autorità amministrativa competente ad applicare le sanzioni in ordine all’illecito depenalizzato, non sussistendo alcuna disposizione transitoria del D.L.vo n. 61 del 2002 che preveda un tale obbligo, mentre il legislatore, laddove ha ritenuto necessaria tale trasmissione, ha dettato un’espressa previsione (ad esempio per gli illeciti valutari), posto che detto obbligo si pone in contrasto con il principio di irretroattività della sanzione amministrativa sancita dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, che non può essere derogato se non nelle ipotesi tassativamente previste. Né sono applicabili — trattandosi di violazione antecedente l’entrata in vigore del D.L.vo n. 61 del 2002 — le disposizioni transitorie di cui alla legge n. 689 del 1981, ovvero l’art. 2, comma terzo, c.p., in quanto tale previsione disciplina l’ipotesi di successione di leggi penali e non quella in cui sopravvenga una legge che trasforma il fatto costituente reato in illecito amministrativo. Con la conseguenza che in nessun caso l’autorità amministrativa può 20-03-2015 10:08:17 Art. 2 Libro I – Dei reati applicare alla violazione dell’art. 2623 n. 3 c.c. una sanzione ai sensi dell’art. 2625 c.c. come modificato. * Cass. pen., sez. V, 5 maggio 2004, n. 21064 (ud. 5 marzo 2004), De Mattei. [RV229236] l La fattispecie previgente dell’art. 2631 c.c. che disciplinava il conflitto di interessi non è stata riprodotta, a seguito dell’introduzione del D.L.vo n. 61 del 2002, nel vigente art. 2631 c.c. che prevede la violazione amministrativa di omessa convocazione dell’assemblea, ed è solo in parte riprodotta dal vigente art. 2634 c.c. che disciplina l’infedeltà patrimoniale; ne consegue — nell’ipotesi in cui il reato contestato all’imputato sia quello previsto dal previgente art. 2631 c.c. e non siano ravvisabili gli estremi della fattispecie criminosa di cui al vigente art. 2634 c.c. — che il giudice ha il dovere di assolvere l’imputato e non può ordinare la trasmissione degli atti all’Autorità amministrativa. * Cass. pen., sez. V, 26 febbraio 2004, n. 8673 (ud. 11 dicembre 2003), Torrisi e altro. [RV228744] l La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (art. 2 c.p.) si applica qualora la disposizione richiamata da una «norma penale in bianco» sia modificata o abrogata, ovvero nell’ipotesi in cui venga modificata una norma «definitoria» — ossia una disposizione attraverso la quale il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni incriminatrici, concorrendo a individuare il contenuto del precetto penale — oppure, infine, nel caso in cui una disposizione legislativa commini una sanzione penale per la violazione di un precetto contenuto in un’altra disposizione legislativa, che venga abrogata in tutto o in parte. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato l’affermazione di penale responsabilità di un sindaco in ordine al delitto di cui all’art. 323 e ha escluso l’applicabilità del’art. 2 c.p. alla luce dell’abrogazione, ad opera dell’art. 136 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 e della previsione, contenuta nell’art. 31 del citato D.P.R. 380/2001, secondo la quale il soggetto titolare del potere-dovere di provvedere in merito alle ingiunzioni di di demolizione, rimozione, ripristino non è il sindaco, ma il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale). * Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2004, n. 4296 (ud. 2 dicembre 2003), Stellaccio. [RV228152] l In tema di false comunicazioni sociali, al fine di verificare se i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61, siano sussumibili nell’attuale fattispecie criminosa di cui all’art. 2622 c.c. occorre che tutti gli elementi richiesti dalla nuova disciplina (quali, ad esempio, il superamento delle soglie di punibilità) siano stati contestati e abbiano formato oggetto di accertamento in contraddittorio. Ne consegue che nel giudizio di cassazione, nel quale la Corte è chiamata a decidere sulla base di un accertamento già compiuto dal giudice di merito, se i nuovi elementi non hanno formato oggetto di valutazione nella decisione impugnata, il fatto- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 52 52 reato rientra nell’ambito dell’abolitio criminis. * Cass. pen., sez. V, 26 novembre 2003, n. 45712 (c.c. 3 ottobre 2003), Fodde. [RV226918] l In tema di successione di leggi penali nel tempo, la punibilità di un fatto commesso nel vigore di una norma generale, che sia stata sostituita da una norma speciale, non costituisce applicazione retroattiva di questa, ma piuttosto ne esclude l’efficacia abolitrice per la porzione della fattispecie prevista dalla norma generale che coincide con quella della norma successiva, salvo che il legislatore con la medesima legge speciale stabilisca, in deroga alla disposizione dell’art.2, terzo comma, c.p., la non punibilità dei reati in precedenza commessi. * Cass. pen., Sezioni Unite, 16 giugno 2003, n. 25887 (ud. 26 marzo 2003), Giordano ed altri. [RV224608] l In tema di false comunicazioni sociali, il dato che emerge con evidenza dalla nuova disciplina introdotta con il D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, è rappresentato dalla suddivisione dell’originaria unica fattispecie nelle due, oggetto dei nuovi artt. 2621 (come figura contravvenzionale) e 2622 (come figura delittuosa) del codice civile. L’area di punibilità del vecchio art. 2621 c.c. risulta, da un lato fortemente circoscritta, attraverso le novità introdotte, e dall’altro, articolata nelle due nuove disposizioni. Nell’ambito di una fattispecie alquanto ampia, specie nell’interpretazione che ne aveva dato la giurisprudenza, sono state ritagliate fattispecie molto più circoscritte e assai più blandamente punite, ma deve riconoscersi che i fatti rientranti nelle nuove previsioni erano punibili anche in base al precedente testo dell’art. 2621 c.c., dovendo perciò concludersi che i fatti commessi sotto il vigore della precedente legge, nei limiti in cui rientrano nella previsione della nuova legge, rimangono punibili, a norma dell’art. 2, comma 3, c.p., mentre gli altri non costituiscono più reato, per un effetto abolitivo delle nuove disposizioni che a norma dell’art. 2, comma 2, c.p., travolge anche il giudicato di condanna. * Cass. pen., Sezioni Unite, 16 giugno 2003, n. 25887 (ud. 26 marzo 2003), Giordano ed altri, in Riv. pen. 2003, 700. l In tema di false comunicazioni sociali, la nuova formulazione del reato, introdotta dall’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, comporta che, per i fatti pregressi giudicati con sentenza irrevocabile, spetta al giudice dell’esecuzione, sulla base dello schema procedimentale dell’art. 666, comma quinto, c.p.p., accertare se sussistano nella fattispecie, già giudicata, i requisiti previsti dalla nuova disciplina (quali, ad esempio, il superamento delle soglie di punibilità). In ipotesi di accertamento negativo, si determinano gli effetti dell’abolitio criminis, in quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato, con conseguente possibilità di revoca della sentenza definitiva, ai sensi degli artt. 2, comma secondo, c.p. e 673 c.p.p. * Cass. pen., sez. V, 11 marzo 2003, n. 11345 (c.c. 6 novembre 2002), Dell’Utri. [RV224111] 20-03-2015 10:08:17 53 Titolo I – Legge penale l In tema di successione di leggi penali nel tempo, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2, comma 2, c.p., sono norme extrapenali integratrici solo quelle che determinano, o concorrono a determinare, il contenuto del precetto penale. Tali non sono, con riguardo ai reati fallimentari, le norme civilistiche (artt. 10 e 11 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 - Disciplina del fallimento, applicabili anche al socio illimitatamente responsabile di società fallita, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 66 del 1999), che disciplinano i limiti temporali entro cui deve intervenire la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che le vicende relative alle predette norme restano ininfluenti rispetto al fatto di reato anteriormente commesso. * Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2002, n. 41499 (c.c. 26 settembre 2002), Crescenzo. [RV222978] l La fattispecie di bancarotta impropria da reato societario di cui all’art. 223 della legge fallimentare, come sostituita dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, si pone in rapporto di specialità rispetto alla precedente, in quanto introduce, come elemento nuovo ed ulteriore rispetto alla precedente formulazione, il rapporto di causalità tra il delitto di false comunicazioni sociali, od altro reato societario tra quelli specificamente richiamati dalla norma, ed il dissesto della società fallita. Trattandosi, tuttavia, di specialità per aggiunta, deve ritenersi che essa comporti una totale abolizione della fattispecie abrogata, in quanto l’elemento aggiuntivo è tale da attribuire alla nuova fattispecie un significato lesivo del tutto diverso da quello della precedente fattispecie. In questa, infatti, assumeva rilievo la sola idoneità della condotta a rappresentare falsamente le condizioni economiche della società, nella nuova configurazione, invece, assume rilievo soprattutto la sua idoneità a contribuire al dissesto dell’impresa. L’abolizione del più grave delitto di cui all’art. 223 legge fallimentare non esclude, nondimeno, la configurabilità, in concreto, dell’ipotesi residuale del falso in bilancio, in quanto fattispecie generale rispetto a quella della bancarotta impropria. * Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2002, n. 24622 (ud. 8 ottobre 2002), Benzi ed altri. [RV222432] l La nuova formulazione del reato di false comunicazioni sociali, introdotta dal D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, e quella precedente configurano fattispecie omogenee sia per la struttura portante, consistente nella falsa rappresentazione delle condizioni economiche della società, sia per il significato lesivo della condotta. Le stesse si differenziano, invece, solo per l’introduzione, nella nuova formula, di limiti quantitativi di rilevanza penale in relazione all’entità dei dati economici falsamente rappresentati. Pertanto, stante il rapporto di specialità per specificazione, sussiste continuità e non abrogazione rispetto alla precedente norma, tranne che per la man- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 53 Art. 2 cata previsione, tra i soggetti attivi qualificati, dei soci fondatori e dei promotori, rispetto ai quali si è avuta abolizione secca del reato. Passando dall’analisi astratta delle due formulazioni normative all’esame della fattispecie concreta risultante dal capo d’imputazione, potrà aversi, in applicazione della norma di cui all’art. 2, comma terzo, c.p., che per i fatti rientranti in entrambe le fattispecie, quella precedente e quella speciale, risulterà applicabile la norma più favorevole tra le due; per i fatti rientranti solo nella norma generale si avrà invece abolitio criminis, con la revoca anche delle sentenze definitive. (Nel caso di specie, la Suprema Corte, dopo aver affermato che il reato di false comunicazioni sociali può residuare all’originaria contestazione di bancarotta fraudolenta impropria, ha ritenuto che, avuto riguardo alla contestazione, sarebbe stata applicabile la contravvenzione prevista dal nuovo testo dell’art. 2621 c.c., rispetto alla quale, nondimeno, risultava ormai maturato il più breve termine prescrizionale, sicché, qualificato l’originario reato di bancarotta fraudolenta impropria come contravvenzione di cui al nuovo art. 2621 c.c., ha annullato l’impugnata sentenza senza rinvio per intervenuta prescrizione). * Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2002, n. 34622 ud. (8 ottobre 2002, Benzi ed altri. [RV222433] ) l Il reato di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 c.c., nella formulazione introdotta dal D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61, non presenta differenze strutturali rispetto alla fattispecie descritta nella precedente formulazione della norma incriminatrice, identici essendo rimasti l’interesse protetto, l’indicazione dei soggetti attivi del reato e l’esigenza del dolo specifico, precedentemente espressa con la parola «fraudolentemente» ed attualmente con le parole «intenzione di ingannare i soci o il pubblico al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto» (dizione più puntuale e specifica rispetto al vecchio testo). Le differenze risultano quindi limitate alle soglie di punibilità, all’intensità della pena ed a vari elementi circostanziali del reato, per cui, essendovi continuità tra le due fattispecie, va applicata, per i fatti pregressi, quella più favorevole al reo, previa verifica che la concreta contestazione del fatto sia tale da integrare il reato anche nella sua nuova formulazione. * Cass. pen., sez. V, 19 giugno 2002, n. 23449 (ud. 21 maggio 2002), Fabri ed altro. [RV221921] l In tema di falso in bilancio, a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, si è verificato un fenomeno di successione di norme nell’ambito del quale la vigente disciplina si pone in rapporto di specialità rispetto alla precedente. Infatti, la fattispecie astratta, originariamente delineata dal legislatore, risulta ricompresa in quella ora incriminata con l’aggiunta di elementi specializzanti (come la tipicizzazione del dolo specifico, l’idoneità delle false esposizioni e delle omesse comunicazioni ad indurre in errore i 20-03-2015 10:08:17 Art. 2 Libro I – Dei reati destinatari, la previsione di un evento di danno nell’ipotesi delittuosa di cui al nuovo art. 2622 c.c., peraltro punibile a querela di parte), sicché, mentre i fatti attualmente punibili già lo erano in precedenza, non tutti quelli rilevanti penalmente in passato lo sono tuttora. Pertanto, è necessario accertare se la concreta contestazione contenga i nuovi elementi in modo da rendere possibile la difesa. (Nel caso di specie, la suprema Corte ha ritenuto che, esclusa la punibilità della condotta con riferimento all’ipotesi delittuosa di cui al nuovo art. 2621 c.c., per quanto riguardava la contravvenzione non era enunciato nell’imputazione, e conseguentemente verificato, il duplice intento in cui deve concretarsi il dolo specifico né l’idoneità oggettiva dell’azione ad ingannare, sicché, non rientrando la condotta ascritta nella vigente previsione legislativa, si imponeva l’annullamento della sentenza impugnata con la formula perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, con eliminazione della relativa pena). * Cass. pen., sez. V, 3 giugno 2002, n. 21532 (ud. 8 maggio 2002), Torrenti. [RV222429] l La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (art. 2 c.p.) non si applica alla variazione nel tempo delle norme extra-penali e degli atti o fatti amministrativi che non incidono sulla struttura essenziale e circostanziata del reato, ma si limitano a precisare la fattispecie precettiva, delineando la portata del comando, che viene a modificarsi nei contenuti a far data dal provvedimento innovativo; in detta ipotesi, rimane fermo il disvalore ed il rilievo penale del fatto anteriormente commesso, sicché il relativo controllo sanzionatorio va effettuato sulla base dei divieti esistenti al momento del fatto (Principio affermato in tema di responsabilità per la gestione di centri trasfusionali con riguardo al reato di cui all’art. 17 della legge 4 marzo 1990 n. 107, configurato per inosservanza di norme regolamentari contenute nel D.M. 27 dicembre 1990, poi sostituito dal D.M. 25 gennaio 2001). * Cass. pen., sez. III, 14 maggio 2002, n. 18193 (ud. 12 marzo 2002), Pata V. [RV221943] l Le norme che disciplinano le misure alternative alla detenzione, e quindi anche quelle relative alla detenzione domiciliare, non attengono alla cognizione del reato e all’irrogazione della pena, ma riguardano invece le modalità esecutive della pena stessa. Esse, pertanto, non sono norme penali sostanziali e ad esse non si riferisce il dettato dell’art. 2 del codice penale, né il principio costituzionale di cui all’art. 25 Cost. Conseguentemente, la detenzione domiciliare è disposta dalla magistratura di sorveglianza, secondo la legge vigente al momento della sua applicazione. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretto l’operato del giudice di merito che, a fronte di richiesta di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena, aveva applicato la misura della detenzione domiciliare, in forza dello ius superveniens, osservando che, in base a quest’ultimo, non si pone COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 54 54 più un’alternativa tra detenzione domiciliare e carcere, bensì tra la prima e la libertà conseguente all’eventuale differimento, da concedere solo quando non si debba o non si possa, in concreto, disporre la misura alternativa). * Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 2000, n. 6297 (c.c. 17 novembre 1999), Brunello. Conforme, Cass. pen., sez. I, 5 maggio 1992, n. 1469, Calascibetta. [RV215217] l Il principio di irretroattività della legge penale, sancito dagli artt. 2 c.p. e 25, comma secondo, Cost., è operante nei riguardi delle norme incriminatrici e non anche rispetto alle misure di sicurezza, sicché la confisca può essere disposta anche in riferimento a reati commessi nel tempo in cui non era legislativamente prevista ovvero era diversamente disciplinata quanto a tipo, qualità e durata. (Fattispecie nella quale, in sede di patteggiamento, il giudice aveva rigettato la richiesta del P.M. di confisca delle autovetture usate per commettere il reato di agevolazione dell’ingresso clandestino in Italia di cittadini extracomunitari e la S.C., investita di ricorso sul punto, ha ritenuto legittima la statuizione sulla base del diritto vigente all’epoca del fatto, pur disponendo, poi, direttamente essa stessa la misura di sicurezza, in forza del sopravvenuto art. 2 del decreto legislativo n. 113 del 1999, contemplante espressamente la confisca del mezzo di trasporto «anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti». * Cass. pen., sez. I, 7 luglio 1999, n. 3717 (c.c. 19 maggio 1999), P.G. in proc. Musliu. Conforme, quanto al principio, Cass. pen., sez. I, 16 marzo 2006, n. 9269 (c.c. 1 marzo 2006), Colombari. [RV213941] l In tema di abuso di ufficio, a seguito della nuova formulazione dell’art. 323 c.p. ad opera della legge 16 luglio 1997, n. 234, occorre verificare, in base all’art. 2 c.p., riguardante la successione delle leggi penali nel tempo, se le condotte contestate all’imputato sulla base della fattispecie previgente siano tali da integrare reato anche in base al nuovo testo del predetto articolo; e ciò tenendo presente che la nuova fattispecie, al fine di realizzare una maggiore tipicizzazione della condotta del pubblico ufficiale, richiede specificatamente che questi abbia agito intenzionalmente in violazione di leggi o di regolamenti; che essa configura ora un reato di evento, postulando che il comportamento del pubblico ufficiale abbia determinato un ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri ovvero un danno ingiusto per altri; che essa contempla la sussistenza del carattere patrimoniale del vantaggio ingiusto, mentre tale carattere, prima della novella, valeva solo a contraddistinguere la ipotesi più grave di cui al comma secondo dell’art. 323 c.p. previgente. * Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 1998, n. 2328 (ud. 14 gennaio 1998), Branciforte ed altro. In termini, Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 1997, n. 11204, P.M. in proc. Vitarelli ed altri. [RV209781] 20-03-2015 10:08:18 55 Titolo I – Legge penale l L’art. 2 c.p. che regola la successione nel tempo della legge penale, riguarda quelle norme che definiscono la natura sostanziale e circostanziale del reato, comprese quelle norme extrapenali richiamate espressamente ad integrazione della fattispecie incriminatrice nonché le leggi costituenti indispensabile presupposto o comunque concorrenti ad individuare il contenuto sostanziale del precetto. Esula da tale normativa la successione di atti o fatti amministrativi che, senza modificare la norma incriminatrice o comunque su di essa influire, agiscano sugli elementi di fatto — modificandoli — sì da non renderli più sussumibili sotto l’astratta fattispecie normativa. (Fattispecie in tema di rigetto di eccepita inapplicabilità dell’art. 468 c.p., alla contraffazione dei sigilli posti sulla calotta del contatore elettrico per non essere più l’Enel, a seguito della legge n. 395 del 1992, ente pubblico economico). * Cass. pen., sez. V, 8 maggio 1997, n. 4114 (ud. 25 febbraio 1997), De Lisi. [RV207479] l In virtù del combinato disposto degli artt. 199 e 200 c.p. e dei principi affermati dall’art. 25 Cost., deve escludersi che in tema di applicazione delle misure di sicurezza operi il principio di irretroattività della legge di cui all’art. 2 c.p., sicché le misure predette sono applicabili anche ai reati commessi nel tempo in cui non erano legislativamente previste ovvero erano diversamente disciplinate quanto a tipo, qualità e durata. (Fattispecie relativa all’applicazione della confisca prevista dall’art. 12 sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 306 — come introdotto all’art. 2 D.L. 20 giugno 1994 n. 399 — ad un reato di usura commesso precedentemente all’entrata in vigore delle predette disposizioni). * Cass. pen., sez. II, 6 marzo 1997, n. 3651 (c.c. 3 ottobre 1996), Sibilia. [RV207140] l Quando la legge punisce condotte contrarie a prescrizioni poste con atto amministrativo, che influisce su singoli casi, l’emanazione di nuovi atti, o il mutamento del loro contenuto, non costituiscono novazione legislativa rilevante ex art. 2 comma secondo c.p., in quanto non si prospetta alcuna modificazione di regole generali di condotta. Invero tale atto amministrativo (che, nel caso in esame, prevedeva i limiti di accettabilità degli scarichi valevoli per l’insediamento dell’imputato) integra il precetto penale in un elemento normativo della fattispecie; cioè l’atto amministrativo è il presupposto di fatto della legge penale incriminatrice, la quale ne sanziona la trasgressione. Ne deriva che il mutamento dell’atto amministrativo non comporta una differente valutazione della fattispecie legale astratta, bensì determina la modifica del precetto e l’instaurazione di una nuova fattispecie incriminatrice, sicché, regolando le due norme fatti storicamente diversi, non sorge problema di successione di leggi. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, era stata dedotta violazione dell’art. 2 c.p. per non avere la corte di merito ritenuto applicabile la regola della retro- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 55 Art. 2 attività della legge più favorevole; ciò in quanto il valore dei solventi organici era conforme ai nuovi, e più permissivi, limiti fissati dal consorzio interprovinciale successivamente alla commissione del reato). * Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 1996, n. 9163 (ud. 24 settembre 1996), Rizzi. [RV206419] l Il disposto dell’art. 200, comma 1, c.p. — secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione — va interpretato nel senso che non potrà mai applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che, al momento della sua commissione non costituiva reato, mentre è possibile, fermo quanto sopra in ordine al presupposto, la suddetta applicazione per un fatto di reato per il quale originariamente non era prevista la misura; deve invero considerarsi che il principio di irretroattività della legge penale, di cui agli artt. 25, comma 2 della Costituzione e 2 comma 1, c.p., riguarda le norme incriminatrici, ossia le disposizioni in forza delle quali un fatto è previsto come reato e non invece le misure di sicurezza. * Cass. pen., sez. VI, 6 novembre 1995, n. 3391 (c.c. 29 settembre 1995), Trischitta ed altri. [RV203314] l Le misure alternative alla detenzione, eccezion fatta per la liberazione anticipata, possono essere concesse ai condannati per delitti indicati nell’art. 4 bis della L. 26 luglio 1975 n. 354 solo se risulti prestata attività di collaborazione ex art. 58 ter della stessa legge. Ciò vale anche se la condanna è intervenuta prima dell’entrata in vigore di tali restrizioni, introdotte con il D.L. n. 306 del 1992, convertito nella L. n. 356 del 1992, non operando in materia il principio dell’irretroattività della legge penale più sfavorevole, riferibile solo a leggi penali sostanziali, tra le quali non sono annoverabili le norme che attengono all’esecuzione della pena e alle misure a questa alternative, comprese le condizioni per la loro applicazione. * Cass. pen., sez. I, 11 ottobre 1995, n. 4421 (c.c. 20 settembre 1995), P.M. in proc. Molinas. [RV202514] b) Abolitio criminis. l In materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno “abolitio criminis” è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l’intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. * Cass. pen., Sezioni Unite, 12 giugno 2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009), Rizzoli. [RV243585] 20-03-2015 10:08:18 Art. 2 Libro I – Dei reati l L’abrogazione dell’istituto dell’amministrazione controllata e la soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (art. 147 D.L.vo n. 5 del 2006) hanno determinato l’abolizione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura concorsuale (art. 236, comma secondo, R.D. n. 267 del 1942). Conseguentemente, qualora sia intervenuta condanna definitiva per tale reato, il giudice dell’esecuzione è tenuto a revocare la relativa sentenza. * Cass. pen., Sezioni Unite, 12 giugno 2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009), Rizzoli. [RV243586] l In caso di abrogazione di una norma incriminatrice, per accertare se le tipologie di fatti in essa comprese siano riconducibili ad altra disposizione generale preesistente, è necessario procedere al confronto strutturale tra le due fattispecie astratte, integrando all’occorrenza tale criterio attraverso una valutazione dei beni giuridici rispettivamente tutelati, al fine di verificare l’eventuale intenzione dell’intervento abrogativo di non attribuire più rilievo al disvalore insito nella fattispecie incriminatrice soppressa. * Cass. pen., Sezioni Unite, 12 giugno 2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009), Rizzoli. [RV243587] l La questione concernente la «abolitio criminis» è pregiudiziale rispetto alla questione — esaminabile in assenza di cause di inammissibilità del ricorso per cassazione — relativa all’estinzione del reato per prescrizione. * Cass. pen., Sezioni Unite, 15 maggio 2008, n. 19601 (ud. 28 febbraio 2008), Niccoli. [RV239400] l Al personale militare partecipante alla missione in Iraq si applica anche per i reati commessi prima della sua entrata in vigore, a norma dell’art. 2 comma 4 c.p., sopravvenuta e più favorevole disciplina dettata dal codice penale militare di pace, secondo l’art. 2, comma 26 della legge 4 agosto 2006, n. 247 (fattispecie in materia di appropriazione di cosa smarrita di cui all’art. 236 c.p.m.p., commessa in data antecedente all’entrata in vigore della citata legge, per la quale è stata correttamente esclusa l’applicabilità del più grave regime sanzionatorio stabilito dall’art. 47 del codice penale militare di guerra). * Cass. pen., sez. I, 14 luglio 2007, n. 25811 (ud. 6 giugno 2007), X. l La sospensione della chiamata obbligatoria alla leva, introdotta con L. n. 331 del 2000 e successive integrazioni, non ha abolito il servizio di leva militare obbligatoria, ma ne ha limitato l’operatività a specifiche situazioni e a casi eccezionali riferiti anche al tempo di pace, sicchè il reato di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza non è stato abrogato, ma è stato modificato il contenuto del precetto, che non ricomprende più la condotta penalmente sanzionata dalle precedenti disposizioni legislative, con la conseguenza che per i fatti anteriormente commessi, sempre che non sia stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, deve farsi applicazione delle nuove più favorevoli disposizioni, per le quali la condot- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 56 56 ta di rifiuto non è più reato. * Cass. pen., sez. I, 23 marzo 2007, n. 12363 (ud. 9 marzo 2007), P.G. in proc. Ramundo. [RV236224] l La sospensione del servizio militare di leva, previsto dall’art. 7 D.L.vo n. 215 del 2001, non ha determinato la totale abolizione del servizio militare obbligatorio, che continua ad essere previsto in riferimento a specifiche situazioni e a determinati casi eccezionali riferibili anche al tempo di pace ai sensi dell’art. 2 L. 14 novembre 2000 n. 331. Ne consegue, da un lato, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 7 in relazione all’art. 52 Cost. e, dall’altro, che alla fattispecie di reato di mancata chiamata alle armi, di cui agli artt. 151 e 154 c.p.m.p., non essendo stata essa abolita, si applica il quarto e non il secondo comma dell’art. 2, c.p., secondo cui «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile». * Cass. pen., sez. I, 11 maggio 2006, n. 16228 (ud. 2 maggio 2006), Brusaferri. [RV233446] l A seguito dell’istituzione del servizio militare professionale, realizzata dalla L. 14 novembre 2000 n. 331, entrata definitivamente a regime il 31 ottobre 2005, deve ritenersi abolito il servizio militare obbligatorio in tempo di pace e, di conseguenza, abrogato il delitto di rifiuto di prestare lo stesso da parte dei cittadini ad esso tenuti per chiamata di leva, ai sensi dell’art. 14, comma secondo, L. n. 230 del 1998. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 2, comma secondo, c.p., da un lato non è punibile la condotta di chi in precedenza, quando detto servizio era obbligatorio, ha rifiutato di prestarlo e, dall’altro, vengono a cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna eventualmente subita. (La Corte, nell’enunciare il principio, ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna dell’imputato «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato»). * Cass. pen., sez. I, 2 marzo 2006, n. 7628 (ud. 24 gennaio 2006), Bova. [RV233445] l Non è nullo il provvedimento di revoca della sentenza di condanna, per sopravvenuta « abolitio criminis» del reato, emesso dal giudice dell’esecuzione senza l’avviso alle parti civili dell’udienza camerale ex art. 666 comma terzo c.p.p., in quanto i soggetti costituiti parte civile nel processo di cognizione non hanno interesse a partecipare all’incidente di esecuzione dal quale non potrebbe derivare alcun vantaggio o pregiudizio per le situazioni soggettive di cui essi sono titolari, dal momento che il loro diritto al risarcimento permane anche a seguito dell’abrogazione del reato, trovando applicazione non l’art. 2 comma secondo c.p., ma l’art. 11 delle preleggi. * Cass. pen., sez. V, 29 luglio 2005, n. 28701 (c.c. 24 maggio 2005), P.G. in proc. Romiti ed altri. [RV231866] l Non deve procedersi alla revoca delle sospensioni condizionali precedentemente concesse 20-03-2015 10:08:18 57 Titolo I – Legge penale con riferimento a condanne per fatti non piú previsti dalla legge come reato, in quanto l’abolitio criminis fa cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna, tra i quali deve annoverarsi l’attitudine della medesima a costituire precedente ostativo alla reiterazione della sospensione condizionale della pena. (Fattispecie in cui il P.M. aveva chiesto la revoca della sospensione condizionale riguardante precedenti condanne per fatti di emissione di assegni a vuoto, reato depenalizzato con il D.L.vo n. 507 del 1999). * Cass. pen., sez. V, 29 luglio 2005, n. 28714 (c.c. 4 luglio 2005), P.M. in proc. Savegnago. [RV231867] l Quando a seguito di successione di leggi penali, ai sensi dell’art. 2 c.p., venga meno il fatto di reato posto a fondamento della misura cautelare, il giudice dell’impugnazione, anche nell’ambito incidentale del procedimento cautelare e pur nel rispetto del principio tantum devolutum quantum appellatum, deve rilevare la eventuale sopravvenuta abrogatio criminis. * Cass. pen., sez. III, 22 aprile 2004, n. 18697 (c.c. 11 marzo 2004), Patriarca, in Riv. pen. 2004, 848. l La sopravvenuta abolitio criminis, avendo efficacia ablatoria completa, comporta la cessazione di tutte le conseguenze giuridiche che si riconnettono alla condanna, ivi compresa l’attitudine di quest’ultima a costituire precedente formalmente ostativo ad una nuova concessione della sospensione condizionale della pena. * Cass. pen., sez. I, 26 marzo 2004, n. 14928 (c.c. 20 febbraio 2004), P.M. in proc. Sampana, in Riv. pen. 2004, 607. l L’abrogazione della norma incriminatrice fa cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna, tra i quali ultimi deve annoverarsi l’attitudine della medesima a costituire precedente formalmente ostativo alla reiterazione della sospensione condizionale della pena. Tale effetto si produce indipendentemente dalla formale dichiarazione di revoca della condanna, quale prevista dall’art. 673 c.p.p., avendo tale dichiarazione natura meramente dichiarativa. Pertanto, non può essere disposta la revoca, ai sensi dell’art. 168, comma quarto, c.p., della sospensione condizionale della pena che sia stata concessa una terza volta, in apparente violazione dell’art. 164, comma quarto, stesso codice, a soggetto che ne aveva già fruito in relazione a due precedenti condanne, quando queste, ancorché non sia per esse intervenuta la revoca ex art. 673 c.p.p., risultino comunque pronunciate per fatti non più costituenti reato (nella specie, emissione di assegni a vuoto). * Cass. pen., sez. I, 23 febbraio 2004, n. 7652 (c.c. 11 febbraio 2004), Cunsolo. [RV227192] l Il giudicato interno formatosi a seguito dell’annullamento parziale della Corte di cassazione non prevale sull’abolitio criminis, la quale fa venir meno, prima ancora che la validità e l’efficacia della norma penale iscriminatrice, la sua stessa esistenza nell’ordinamento giuridico, sicché il giu- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 57 Art. 2 dice, formalmente investito della cognizione della fattispecie, oggetto di abrogazione, deve preliminarmente dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all’art. 2 c.p. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui il fatto di reato, oggetto dell’abolitio criminis, sia stato giudicato come unito dal vincolo della continuazione con altro reato, la sentenza, limitatamente a tale capo, va annullata senza rinvio e dalla pena, a suo tempo determinata a titolo di continuazione, deve essere scomputato l’aumento riferibile al reato abrogato. * Cass. pen., sez. VI, 18 giugno 2003, n. 26112 (ud. 16 aprile 2003), Costa A. [RV226010] l Quando intervenga abolitio criminis dopo una sentenza assolutoria di primo grado, con la formula “perché il fatto non sussiste”, il giudice di appello, di fronte alla non evidenza dell’innocenza dell’imputato, legittimamente pronuncia l’assoluzione con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, non potendosi compiere ulteriori indagini in ordine ad un fatto divenuto privo di rilevanza penale. * Cass. pen., sez. IV, 21 maggio 2003, n. 22334 (ud. 16 maggio 2002), Giannangeli E. [RV224836] l Quando l’abolitio criminis viene dedotta in sede esecutiva, al giudice è richiesta la valutazione in astratto della fattispecie oggetto della sentenza rispetto al nuovo assetto del sistema penale, ciò anche se la norma incrimintrice non sia stata interamente abrogata, ma sia stata riscritta con una riduzione del relativo ambito di operatività. In tale ipotesi, il giudice dell’esecuzione, qualora non ritenga sufficiente l’analisi del capo di imputazione, può anche scendere all’esame degli atti processuali per verificare ed accertare, attraverso di essi, la consistenza ed i contorni della condotta, senza però valutare di nuovo il fatto, mediante un giudizio di merito non consentito. (Fattispecie concernente il reato di cui all’art. 323 c.p., commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 234 del 1997). * Cass. pen., sez. VI, 21 maggio 2003, n. 22539 (c.c. 10 marzo 2003), Di Nardo. [RV226196] l Sussiste l’abolitio criminis del reato di contrabbando doganale (art. 282 D.P.R. n. 43 del 1973) consistente nell’omissione del pagamento del dazio ad valorem del 6% gravante sull’alluminio in pani proveniente dalla Repubblica Federale Yugoslava in virtù della sopravvenienza del regolamento comunitario n. 2007 del 2000, integrato e modificato dal regolamento n. 2563 del 2000 che ha sottratto tale merce ai diritti di confine sulla stessa gravanti, in quanto le norme impositive del dazio costituiscono norme extrapenali integratrici del precetto penale ed, in quanto tali, rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 2 c.p. * Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2003, n. 14329 (c.c. 4 febbraio 2003), Pertot. [RV224243] l In caso di abolitio criminis intervenuta dopo la sentenza assolutoria di primo grado o per insussistenza del fatto, il giudice di appello 20-03-2015 10:08:18 Art. 2 Libro I – Dei reati prima di riformare la decisione e dichiarare non doversi procedere a carico dell’imputato perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato deve indicare le ragioni per le quali il fatto deve ritenersi sussistente, atteso che tra le diverse cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p. la formula «perché il fatto non sussiste» deve prevalere su qualsiasi altra formula, sia perché indicata prioritariamente nell’elencazione contenuta nel citato art. 129, sia perché preclusiva di eventuale azione civile. * Cass. pen., sez. III, 21 dicembre 2001, n. 45562 (ud. 21 novembre 2001), Raguseo V. [RV220740] l L’intervenuta abrogazione, per effetto dell’art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, dell’art. 341 c.p. ha dato luogo non ad una pura e semplice abolitio criminis, disciplinata dall’art. 2, comma secondo, c.p., ma ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nelle previsioni di cui al successivo terzo comma dello stesso articolo; ciò in quanto la condotta già qualificata come oltraggio a pubblico ufficiale dall’abrogata norma incriminatrice sarebbe stata — ed è rimasta — punibile, sia pure meno severamente, in assenza di detta norma, a titolo di ingiuria o di minaccia aggravate ai sensi dell’art. 61 n. 10 c.p. Ne consegue che, facendosi espressamente salvi, nella disciplina dettata dal terzo comma dell’art. 2 c.p., gli effetti del giudicato, non può darsi luogo a revoca, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale divenuta esecutiva prima dell’intervento abrogativo. * Cass. pen., sez. I, 7 giugno 2000, n. 3137 (c.c. 26 aprile 2000), P.M. in proc. Saoud A. In termini, Cass. pen., sez. I, 25 maggio 2000, n. 2744, Guerrini. Difforme la massima che segue. [RV216096] l L’intervenuta abrogazione, per effetto dell’art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 341 c.p., non ha dato luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, quale disciplinato dall’art. 2, comma terzo, c.p., ma ad una vera e propria abolitio criminis rientrante, come tale, nelle previsioni di cui al secondo comma dello stesso articolo. Ne consegue che la permanenza nell’ordinamento penale dei reati di ingiuria e di minaccia, aggravati (se commessi in danno di un pubblico ufficiale), ai sensi dell’art. 61 n. 10 c.p. e rispetto ai quali il reato di oltraggio si poneva in rapporto non di specialità ma di assorbimento, non può costituire valida ragione per negare la revoca, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., di una condanna per oltraggio inflitta con sentenza divenuta esecutiva prima dell’intervento abrogativo. * Cass. pen., sez. I, 7 giugno 2000, n. 3165 (c.c. 27 aprile 2000), Longo. [RV216098] l In caso di abolitio criminis, poiché tale evento fa venire meno, ancor più che la validità e la efficacia della norma penale incriminatrice, la sua stessa esistenza nell’ordinamento, ogni giudice che sia formalmente investito della co- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 58 58 gnizione sulla fattispecie oggetto di abrogazione ha il compito di dichiarare, ex art. 129, primo comma, c.p.p., che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all’art. 2, secondo comma, c.p., per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. In altri termini, essendo venuto meno l’oggetto sostanziale del rapporto processuale penale, e cioè il nesso tra un fatto penalmente rilevante e l’accusato (imputazione-imputato), tale declaratoria è necessariamente pregiudiziale rispetto ad ogni altro accertamento (quale quello relativo alle cause di inammissibilità della impugnazione) che implichi, invece, la formale permanenza di una res judicanda; e ciò non diversamente da quanto è imposto al giudice nella ipotesi di morte dell’imputato, ove pure — in questo caso per il venir meno della componente soggettiva — il rapporto processuale è risolto. (Fattispecie avente ad oggetto il reato di cui all’art. 341 c.p., nella quale la Corte di cassazione, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, ha dichiarato che il fatto non è previsto come reato, a norma dell’art. 18 della L. 25 giugno 1999, n. 205, pur dando atto della inammissibilità dei motivi di ricorso). * Cass. pen., sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 356 (ud. 15 dicembre 1999), El Quaret. [RV215285] l Quando nell’imputazione recepita nel dispositivo non siano indicati con chiarezza gli elementi di illiceità penale sopravvissuti all’abolitio criminis può e deve essere analizzata la sentenza revocanda nel suo complesso anche motivazionale allo scopo di verificare quali accertamenti e valutazioni del fatto storico rilevanti siano contenuti in motivazione. Ove, poi, anche gli elementi di fatto valutati e ritenuti per certi nella motivazione siano o neutri o dubbi ovvero non rilevanti al fine di delineare la condotta (e la sua conseguente liceità o illiceità a confronto col parametro normativo abolito o residuo), può il giudice dell’esecuzione passare all’esame degli atti processuali per verificare ed accertare attraverso di essi la consistenza ed i contorni della condotta. (Fattispecie in materia di vendita di sostanze stupefacenti). * Cass. pen., sez. IV, 4 luglio 1996, n. 1397 (c.c. 29 maggio 1996), Baluì. [RV205415] l Gli effetti delle sentenze irrevocabili e dei decreti esecutivi, concernenti fatti rientranti nella previsione della L. 28 dicembre 1993, n. 561 — che ha trasformato in illeciti amministrativi alcuni reati minori, tra cui quello, nella fattispecie, di cui all’art. 195 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (per avere l’imputato senza la preventiva autorizzazione installato sulla propria autovettura un impianto radioelettrico di telecomunicazione) — sono in generale regolati dal principio, posto dall’art. 2, comma 2, c.p., dell’iperretroattività della decriminalizzazione successiva al fatto, ad eccezione di quelli disciplinati direttamente dalla stessa legge. (Nella specie la S.C. ha revocato la 20-03-2015 10:08:18 59 Titolo I – Legge penale sentenza pretorile nella parte relativa all’applicazione della pena dell’arresto, ferma restando la confisca disposta con la medesima sentenza; ha dichiarato cessata l’esecuzione della pena detentiva ed ha annullato l’ordine di carcerazione; ha dichiarato, altresì, cessati gli effetti penali della stessa sentenza). * Cass. pen., sez. III, 1 giugno 1995, n. 1426 (c.c. 24 aprile 1995), P.M. in proc. Pischedda. [RV202378] l L’effetto abrogativo del D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171 — che ha concluso la procedura referendaria diretta all’abrogazione di talune norme del testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope approvato con il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 — ha comportato, rispetto alla detenzione di sostanze stupefacenti e psicotrope per uso personale, una vera e propria abolitio criminis, quale prevista dall’art. 2, comma 2, c.p. e rilevante ai sensi dell’art. 673 c.p.p., una norma che opera non soltanto quando una fattispecie legale criminosa nel suo complesso sia eliminata dal sistema penale, ma anche quando venga resa inapplicabile la norma incriminatrice in uno dei casi che, in precedenza, rientravano nell’area dei fatti penalmente sanzionati come reati. Ove, dunque, ci si trovi in presenza di una condanna definitiva, la procedura prevista dall’art. 673 c.p.p. non può essere assimilata ad una impugnazione, per cui è da intendere precluso qualsiasi nuovo esame delle prove e degli elementi raccolti emersi nella precedente fase di cognizione, ormai del tutto esaurita; compito del giudice dell’esecuzione è, infatti, quello di interpretare il giudicato e di renderne esplicito il contenuto ed i limiti, ricavando dalla decisione irrevocabile tutti gli elementi, ancorché non chiaramente espressi, che si rendano necessari ai fini della disciplina prevista dal più volte ricordato art. 673. Quindi, pur dovendosi tenere fermo il principio che il giudicato si è formato in corrispondenza delle statuizioni racchiuse nel dispositivo della sentenza, qualora non sia possibile individuare già dal capo di imputazione contestato la finalità per la quale la sostanza stupefacente era detenuta, al fine di escludere la ipotesi della detenzione per uso personale, ben può essere utilizzata la motivazione della decisione, quando si tratti, non di modificare il dispositivo, ma di stabilire il significato e la portata di esso, nell’indiscusso presupposto che il rapporto tra parte motiva e parte dispositiva della sentenza non può che essere di integrazione. * Cass. pen., sez. VI, 20 agosto 1994, n. 1542 (c.c. 13 aprile 1994), Rosati. l Per aversi abolitio criminis a seguito di successione di legge penale nel tempo, ai fini dell’art. 2 comma terzo c.p. e dell’art. 673 comma primo c.p.p., è necessaria l’eliminazione, oltre che del titolo del reato, anche dell’intera fattispecie di rilievo penale. Non è invece rilevante, a tal fine, la modifica, l’introduzione o l’eliminazione di elementi accidentali o accessori del reato, quali sono le circostanze. (Nella fattispecie la Corte di cassazione COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 59 Art. 2 ha rigettato il ricorso avverso ordinanza che aveva respinto l’istanza diretta al giudice dell’esecuzione volta a rideterminare la pena inflitta per i delitti di cui agli artt. 71 e 74 legge n. 685/1975, previa concessione dell’attenuante di cui all’art. 73 comma settimo D.P.R. n. 309/90, introdotta con legge successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna). * Cass. pen., sez. VI, 17 giugno 1994, n. 1490 (c.c. 8 aprile 1994), De Angelis. l La successione di norme giuridiche integrative di una norma penale in bianco o anche soltanto di un elemento normativo della norma penale di per sé non dà luogo ad una successione di leggi penali e tanto meno determina una ipotesi di abolitio criminis, occorrendo accertare se tale successione comporti o meno, rispetto al «fatto», quella effettiva immutatio legis, che è la ratio giustificatrice del principio di retroattività della legge più favorevole sancito dall’art. 2, comma 2, c.p. (Fattispecie in tema di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale — art. 684 c.p. — in cui la Corte di cassazione, sulla base del principio di diritto di cui in massima, ha annullato la sentenza di merito che aveva escluso la configurabilità del reato sul rilievo che l’art. 114 del nuovo c.p.p., a differenza dell’art. 164 c.p.p. 1930, non contempla più tra gli atti protetti dal divieto di pubblicazione quello conclusivo della fase processuale antecedente al dibattimento, che sostituisce l’ordinanza di rinvio a giudizio del giudice istruttore). * Cass. pen., sez. VI, 14 giugno 1994, n. 6864 (ud. 9 marzo 1994), P.G. c. Paris. l In base all’art. 2, secondo comma, c.p. — richiamato anche dall’art. 1, L. 21 ottobre 1988, n. 455 («depenalizzazione degli illeciti valutari») — l’intervenuta abolitio criminis determina la cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna. Dalla dizione della norma si evince argomentando a contrario che le obbligazioni civili nascenti dal reato non «cessano» e sono quindi soggette ad esecuzione. Nella nozione di obbligazioni civili vanno annoverate quelle verso lo Stato al pagamento delle spese processuali. Tra queste ultime vanno comprese, oltre quelle anticipate per la celebrazione del processo e di eventuale custodia cautelare, anche quelle per l’iscrizione ipotecaria eventualmente disposta nel contesto dell’originario processo. * Cass. pen., sez. III, 29 maggio 1993, n. 1029 (ud. 30 aprile 1993), Vago. Conforme, Cass. pen., sez. V, 2 febbraio 2006, n. 4266 (c.c. 20 dicembre 2005), Colacito. l Qualora un fatto perda il carattere di illecito penale a seguito di una modifica legislativa intervenuta successivamente che concerna la disciplina normativa extra penale di riferimento per attribuire la qualità di soggetto attivo di un reato proprio si applica il principio di retroattività della legge più favorevole affermato dall’art. 2 c.p. perché per legge incriminatrice deve intendersi il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto tra cui, nei reati propri 20-03-2015 10:08:19 Art. 2 Libro I – Dei reati è indubbiamente compresa la qualità del soggetto attivo. (Nella fattispecie è stata ritenuta non più ravvisabile l’ipotesi del reato di peculato nella condotta di un dipendente di una Cassa di risparmio perché è stata esclusa, a seguito di novatio legis, l’attribuibilità allo stesso della qualifica di pubblico ufficiale). * Cass. pen., Sezioni Unite, 16 luglio 1987, n. 8342 (ud. 23 maggio 1987), Tuzet. c) Applicazione delle disposizioni più favorevoli al reo. l A seguito della sentenza della Grande Chambre della Corte EDU n. 10249 del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola c. Italia, il condannato alla pena dell’ergastolo con sentenza passata in giudicato può ottenere in sede esecutiva la riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen. a condizione che abbia chiesto e sia stato ammesso al rito abbreviato tra il 2 gennaio ed il 24 novembre 2000 (e, cioè, nella vigenza dell’art. 30, comma primo, lett. b., L. 479 del 1999) e la decisione sia stata pronunciata dopo il 24 novembre 2000, con applicazione del D.L. 341del 2000 che ripristinava l’ergastolo senza isolamento diurno. * Cass. pen., sez. I, 3 giugno 2013, n. 23931 (c.c. 17 maggio 2013), Lombardi. [RV256257] l In tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, non costituisce un principio dell’ordinamento processuale, nemmeno nell’ambito delle misure cautelari, poiché non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell’ordinamento processuale. * Cass. pen., Sezioni Unite, 14 luglio 2011, n. 27919 (c.c. 31 marzo 2011), P.G. in proc. Ambrogio. [RV250196] l Il principio di retroattività della legge più favorevole non trova applicazione in riferimento alla successione di leggi amministrative che abbiamo a regolare le procedure per lo svolgimento di attività, il cui carattere criminoso dipenda dall’assenza di autorizzazioni. (Nella specie, l’attività di recupero di rifiuti non pericolosi era stata avviata dall’imputato previa comunicazione di inizio attività inviata alla competente Provincia ma in difetto del nulla osta comunale, necessario all’epoca dei fatti, e non più richiesto a seguito dell’entrata in vigore della Legge Reg. Lombardia n. 8 del 2007). * Cass. pen., sez. III, 22 giugno 2011, n. 25035 (ud. 25 maggio 2011), Pasinetti e altro. [RV250616] l In tema di successione di leggi penali nel tempo, la norma posteriore che abbia sostituito l’originaria comminatoria di pena detentiva congiunta a pena pecuniaria con quella della sola pena pecuniaria, deve essere sempre considerata COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 60 60 più favorevole ai fini dell’art. 2, comma quarto, c.p. (Fattispecie riguardante il reato di cui all’art. 186 c.s., così come modificato dalla L. n. 160 del 2007, la cui formulazione è stata ritenuta, nei casi in cui prevede l’applicazione della sola sanzione pecuniaria, più favorevole rispetto a quella in precedenza introdotta dalla legge n. 214 del 2003, non rilevando in senso contrario la convertibilità della sanzione detentiva originariamente prevista ovvero la sopravvenuta limitazione del regime dell’impugnazione conseguente al mutamento del tipo di sanzione o, infine, l’eventualità che la nuova disposizione incriminatrice preveda sanzioni amministrative accessorie più severe rispetto a quelle contemplate dalla norma previgente). * Cass. pen., sez. IV, 12 agosto 2008, n. 33397 (ud. 14 luglio 2008), De Brida. [RV240966] l In tema di successione di leggi penali, deve applicarsi quella che prevede il trattamento sanzionatorio ritenuto più favorevole al reo, anche quando la legge posteriore, che l’ha modificata, abbia ripristinato le pene più severe previste da altra legge anteriore che la stessa aveva a sua volta modificato. (Fattispecie in tema di guida in stato di ebbrezza consumata prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 274 del 2000, che aveva attribuito alla competenza del giudice di pace il reato, ma giudicato dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 151 del 2003 convertito nella L. n. 214 del 2003, che ha invece ripristinato l’originaria competenza del giudice ordinario). * Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2007, n. 38548 (ud. 21 settembre 2007), De Bernardin. Conforme, Cass. pen., sez. II, 9 settembre 2009, n. 35079 (ud. 7 luglio 2009), Sylla. [RV237653] l L’art. 6, comma secondo, del Trattato istitutivo dell’Unione Europea assicura il rispetto, in quanto principio generale del diritto comunitario, dei diritti fondamentali dell’uomo garantiti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri; tra essi, non rientra, peraltro, la retroattività della legge penale più favorevole, poiché il valore da essa tutelato può essere sacrificato da una legge ordinaria in favore di interessi di analogo rilievo (quali, ad esempio, quelli dell’efficienza del processo e della salvaguardia dei diritti dei soggetti che in vario modo sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi od esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a valori costituzionali di rilievo primario). (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato una richiesta «ex» art. 234 Trattato UE, di rimessione della questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea). (Conf. Corte cost. n. 393 del 2006). * Cass. pen., sez. II, 21 settembre 2007, n. 35257 (ud. 16 maggio 2007), Felicetti e altro. [RV237909] l È legittimo il provvedimento con cui il Tribunale di sorveglianza rigetta l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale — proposta da un condannato al quale sia stata applicata la recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma quar- 20-03-2015 10:08:19 61 Titolo I – Legge penale to, c.p., con sentenza passata in giudicato prima dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005 che all’art. 7 limita la concessione dei benefici penitenziari ai recidivi — considerato che le norme che disciplinano le misure alternative alla detenzione, riguardando le modalità esecutive della pena, non hanno natura di norme penali sostanziali e, quindi, non sono ad esse riferibili le previsioni di cui all’art. 2 c.p. e 25 Cost., con la conseguenza che sono, in virtù del principio tempus regit actum immediatamente applicabili. * Cass. pen., sez. I, 11 ottobre 2006, n. 34040 (c.c. 22 settembre 2006), Helt. [RV235189] l L’art. 5 della legge 24 febbraio 2006 n. 85 ha modificato l’art. 292 c.p., prevedendo per l’ipotesi aggravata di vilipendio alla bandiera una pena più mite, sicché, attesa la sostanziale continuità strutturale delle fattispecie criminose disciplinate dalle leggi penali succedutesi nel tempo, il più favorevole regime sanzionatorio è applicabile ai sensi dell’art. 2, comma quarto, c.p. nei processi pendenti in relazione a fatti commessi nel vigore della precedente normativa. * Cass. pen., sez. I, 3 luglio 2006, n. 22891 (ud. 6 giugno 2006), Di Costanzo. [RV234279] l In caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, deve ritenersi inapplicabile il principio previsto dall’articolo 2, comma terzo, c.p. qualora si tratti di modifiche della disciplina integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando; ciò si verifica, in particolare, allorquando la nuova disciplina non abbia inteso far venir meno il disvalore sociale della condotta, e quindi l’illiceità penale della stessa, ma si sia limitata a modificare i presupposti per l’applicazione della norma incriminatrice penale. (Il principio è stato affermato dalla S.C. in una vicenda relativa al trattamento da riservare alla sostanza «norefredina» o «fenilpropanolamina» che, successivamente alla commissione dei fatti sub iudice relativamente ai quali era stato contestato il reato di cui all’articolo 73 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, era stata ricompresa tra i «precursori» ossia tra le sostanze suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Secondo la difesa, da ciò sarebbe dovuto derivare, in ossequio al disposto dell’articolo 2, comma terzo, c.p., che la disciplina applicabile avrebbe dovuto essere quella, più favorevole, di cui all’articolo 70 dello stesso D.P.R.; la Corte ha invece rigettato la doglianza con le argomentazioni di cui sopra, evidenziando, peraltro, che del principio espresso dall’articolo 2, comma terzo, c.p. si sarebbe dovuto semmai fare applicazione solo nella diversa ipotesi in cui la nuova disciplina, anziché limitarsi a regolamentare diversamente i presupposti per l’applicazione della norma penale, avesse esclusa COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 61 Art. 2 l’illiceità oggettiva della condotta: ad esempio, nel caso di una modifica tabellare che avesse portato ad escludere la natura stupefacente di una determinata sostanza). * Cass. pen., sez. IV, 18 maggio 2006, n. 17230 (c.c. 22 febbraio 2006), Sepe ed altri. Conforme, Cass. pen., sez. III, 18 aprile 2011, n. 15481, Guttà e altro. [RV234029] l In tema di sospensione condizionale della pena nei confronti di persona che ne abbia già usufruito, la disposizione dell’art. 165, comma secondo, c.p.p., introdotta dall’art. 2, comma primo lett. a) L. 11 giugno 2004 n. 145, può, nonostante la sua natura sostanziale, essere applicata retroattivamente, ai sensi dell’art. 2, comma terzo, c.p., anche in relazione a fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, siccome previsione più favorevole per l’imputato, il quale, a differenza che in passato, può scegliere che il beneficio sia subordinato ad una condizione da lui ritenuta meno gravosa di ciascuna di quelle che il giudice, ai sensi della legge previgente, avrebbe dovuto altrimenti obbligatoriamente applicare. (Fattispecie in tema di nuova concessione, ai sensi dell’art. 165, comma secondo, c.p.p., come modificato dall’art. 2, comma primo lett. a) L. n. 145 del 2004, della sospensione condizionale della pena, già in precedenza applicata, subordinata alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività per un periodo di tempo determinato, per fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 145 del 2004). * Cass. pen., sez. I, 29 dicembre 2005, n. 47291 (c.c. 30 novembre 2005), De Filippo. [RV234093] l Poichè le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi previste dall’art. 53 legge 24 novembre 1981 n. 689 hanno natura di vere e proprie pene, le norme che le disciplinano hanno natura sostanziale e, in caso di successione di leggi nel tempo, sono soggette alla disciplina di cui all’art. 2, comma terzo, c.p.. Ne consegue che la legge sopravvenuta piú favorevole (nel caso di specie, legge 12 giugno 2003 n. 134) non può essere applicata dal giudice dell’esecuzione, non potendo estendersi analogicamente il potere riconosciuto al giudice dell’esecuzione dall’art. 671 c.p.p. ai casi previsti dall’art. 673 c.p.p. * Cass. pen., sez. I, 4 luglio 2005, n. 24652 (c.c. 25 maggio 2005), Silvestro. [RV231669] l Nel novero delle norme integratrici della legge penale, cui è applicabile il principio di retroattività della legge più favorevole, ai sensi dell’art. 2, comma terzo, c.p., debbono ricomprendersi tutte quelle che intervengano nell’area di rilevanza penale di un fatto umano, escludendola, riducendola o comunque modificandola in senso migliorativo per l’agente; e ciò quand’anche la nuova norma non rechi testuale statuizione in tal senso ma, comunque, regoli significativamente il fatto in termini incompatibili con la precedente disciplina penalistica ovvero incidenti, per il nuovo caso regolato, nella struttura della norma incriminatrice o, quanto meno, sul giudizio di di- 20-03-2015 10:08:19 Art. 2 Libro I – Dei reati svalore in essa espresso. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che potesse valere ad escludere la configurabilità del reato di violazione di domicilio — addebitato ad un esponente di un’associazione per la tutela degli animali per essersi egli introdotto e trattenuto, per dichiarate finalità ispettive, contro la volontà del proprietario, in un locale privato adibito a canile — la sopravvenuta emanazione di una norma regionale che imponeva ai gestori di strutture di ricovero per animali di consentire l’accesso, senza bisogno di speciali procedure o autorizzazioni, ai responsabili locali delle associazioni protezionistiche o animalistiche). * Cass. pen., sez. V, 2 marzo 2005, n. 8045 (ud. 4 febbraio 2005), Battaglia ed altri. [RV230567] l In virtù del principio del favor rei stabilito nell’art. 2, comma terzo, c.p., il trattamento sanzionatorio in concreto più favorevole, con riguardo al reato di guida in stato di ebbrezza (art. 186, comma secondo, c.s.), commesso prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 274 del 2000 che attribuisce detto reato alla competenza del giudice di pace, è quello previsto dall’art. 52, comma secondo, lett. c) del citato D.L.vo n. 274 del 2000, il quale deve essere applicato nella sua integralità, anche se il reato sia stato giudicato da un giudice diverso da quello di pace. Ne deriva che, in tal caso, è illegittima l’applicazione della previsione sanzionatoria originaria del codice della strada, in quanto la pena detentiva, ad essa connessa, è, in ogni caso, meno favorevole di quella pecuniaria, anche se applicata unitamente al beneficio della sospensione condizionale della pena, la quale, peraltro, una volta individuata la disposizione più favorevole nell’art. 52 citato, non può trovare applicazione, giusta l’espressa previsione di cui all’art. 60 D.L.vo n. 274 del 2000. * Cass. pen., sez. IV, 6 ottobre 2004, n. 39069 (ud. 3 giugno 2004), P.G. in proc. Basville. [RV230619] l In materia di successione nel tempo di leggi penali, è incontroverso che, una volta individuata la disposizione complessivamente più favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua integralità, senza poter combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativo dell’altra legge secondo il criterio del favor rei, perché in tal modo verrebbe ad applicare una terza fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal legislatore, violando così il principio di legalità. (Nella specie, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza del Tribunale che, giudicando del reato di guida in stato di ebbrezza ex art. 186, comma secondo, c.s., in epoca successiva all’entrata in vigore del D.L.vo 2000, n. 274 — e prima della legge 1 agosto 2003, n. 214 —, pur applicando il trattamento sanzionatorio più favorevole previsto per i reati divenuti di competenza del giudice di pace, aveva tuttavia ritenuto di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante il relativo divieto). * Cass. pen., COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 62 62 sez. IV, 17 settembre 2004, n. 36757 (ud. 4 giugno 2004), Perino. Conformi: Cass. pen., sez. IV, 26 ottobre 2004, n. 41702, Nuciforo; Cass. pen., sez. IV, 30 dicembre 2005, n. 47339 (ud. 28 giugno 2005), P.G. in proc. Bourzama. [RV229687] l In tema di diffamazione addebitata al parlamentare, la previsione di cui all’art. 3, comma quarto, della legge n. 140 del 2003 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 Cost.) — attribuendo alle Camere la competenza a valutare se i comportamenti posti in essere dai loro membri rientrino o meno nell’esercizio delle funzioni parlamentari e siano, quindi, coperti dall’insindacabilità — implica che tale valutazione rivesta carattere pregiudiziale e che il giudice non abbia, al riguardo, alcun potere discrezionale. Ne deriva che egli deve provvedere, qualora vi sia esplicita eccezione di parte, alla acquisizione della deliberazione della Camera cui appartiene il parlamentare, sospendendo il processo e inviando gli atti alla Camera di appartenenza ai fini della risoluzione della pregiudiziale costituzionale; tale previsione, costituendo norma penale più favorevole, è applicabile all’imputato, anche se sopravvenuta, in virtù dell’art. 2, comma secondo, c.p. * Cass. pen., sez. V, 23 luglio 2004, n. 32354 (ud. 12 luglio 2004), P.G. in proc. Siciliani. [RV229338] l In base al principio dell’applicazione della legge sopravvenuta piú favorevole (art. 2, comma terzo, c.p.), nel caso di reati attribuiti, in assenza di aggravanti, alla competenza del giudice di pace, ai sensi dell’art. 4 del D.L.vo 28 agosto 2000 n. 274, qualora gli stessi siano stati commessi prima dell’entrata in vigore di detto D.L.vo e, pur essendo aggravati, l’effetto delle aggravanti sia stato neutralizzato dall’avvenuto riconoscimento di circostanze attenuanti, la sanzione applicabile dev’essere quella, piú favorevole, prevista dalla normativa sopravvenuta (principio affermato in tema di diffamazione). * Cass. pen., sez. V, 22 giugno 2004, n. 28006 (ud. 18 maggio 2004), Bartoccelli. [RV228712] l In materia di successione di leggi penali, l’art. 2 comma terzo c.p. prende in considerazione tutti i mutamenti legislativi intervenuti, stabilendo che deve applicarsi la legge le cui disposizioni sono piú favorevoli al reo; pertanto una volta che sia entrata in vigore una legge piú favorevole, questa deve essere sempre applicata anche se, successivamente, il legislatore ritenga di modificarla in senso meno favorevole. (Principio applicato dalla Corte in una fattispecie relativa al reato di guida in stato di ebbrezza, previsto dall’art. 186 comma secondo cod. strad., commesso prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, che ha attribuito tale contravvenzione al giudice di pace, con conseguente applicazione delle nuove sanzioni paradetentive della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, e giudicato dal tribunale dopo le modifiche apportate dal D.L. 27 giugno 2003, n. 151, convertito nella Legge 1 agosto 2003, n. 214, con cui è stata ripristinata 20-03-2015 10:08:19 63 Titolo I – Legge penale la competenza del giudice ordinario, con la previsione della pena dell’arresto). * Cass. pen., sez. IV, 20 maggio 2004, n. 23613 (c.c. 18 marzo 2004), P.G. in proc. Vilhar. [RV228786] l In tema di successione di leggi penali, ai fini dell’individuazione della normativa di favore per il reo, non si può procedere a una combinazione delle disposizioni piú favorevoli della nuova legge con quelle piú favorevoli della vecchia, in quanto ciò comporterebbe la creazione di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella in vigore, ma occorre applicare integralmente quella delle due che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla vicenda concreta oggetto di giudizio, piú vantaggiosa al reo. (Fattispecie relativa ai delitti previsti dall’art. 4, comma primo, lett. d) della legge 7 agosto 1982 n. 516 e dall’art. 2 D.L.vo 3 ottobre 2000 n. 74 in tema di dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture inesistenti, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto piú favorevole la normativa abrogata, in quanto dalla sua applicazione integrale discendeva l’intervenuta prescrizione del reato). * Cass. pen., sez. III, 19 maggio 2004, n. 23274 (ud. 10 febbraio 2004), Wanderling. [RV228728] l Per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace, commessi prima della data di entrata in vigore del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274 e giudicati dal giudice togato, devono applicarsi, in base alla disciplina transitoria prevista dal combinato disposto degli artt. 64 e 63 comma primo del citato D.L.vo, le nuove sanzioni indicate dall’art. 52 dello stesso D.L.vo, in quanto più favorevoli ai sensi dell’art. 2 comma terzo c.p. (nella specie si trattava della contravvenzione di guida in stato di ebbrezza e la Corte ha individuato la disciplina più favorevole nella pena pecuniaria prevista dall’art. 52 D.L.vo 274/2000, precisando che nel raffronto tra i due diversi sistemi sanzionatori non può darsi rilievo alla possibilità di sostituzione della pena detentiva ex art. 53 legge n. 689/1981, tenuto conto che la sua applicazione è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice e, inoltre, che la stessa sostituzione può essere oggetto di successiva revoca). * Cass. pen., sez. IV, 29 aprile 2004, n. 20156 (c.c. 9 dicembre 2003), P.M. in proc. Bukavec. [RV228343] l In tema di assegni bancari, la nuova disciplina relativa all’inosservanza delle sanzioni amministrative accessorie, introdotta dal D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507, non ha depenalizzato le violazioni dei divieti commesse nella vigenza della normativa antecedente, atteso che l’art. 7 della L. 15 dicembre 1990, n. 386, come sostituito dall’art. 32 del citato D.L.vo, conserva immutata la sua ratio in relazione al permanere della previsione di illiceità penale della medesima condotta, consistente nella inottemperanza al divieto temporaneo di emettere assegni; pertanto, con riferimento alle condotte trasgressive del divieto di emettere assegni, poste in essere in epoca antece- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 63 Art. 2 dente all’entrata in vigore della nuova disciplina di cui al D.L.vo 507 del 1999, trova applicazione il delitto previsto dall’art. 389 c.p., in luogo di quello punito più gravemente dall’art. 7 della L. n. 386 del 1990 e ciò in forza del principio del favor rei di cui all’art. 2 terzo comma c.p. * Cass. pen., sez. VI, 20 novembre 2003, n. 44733 (ud. 24 settembre 2003), Nigro. [RV226903] l L’individuazione, tra una pluralità di disposizioni succedutesi nel tempo, di quella più favorevole al reo, va eseguita non in astratto, sulla base della loro mera comparazione, bensì in concreto, mediante il confronto dei risultati che deriverebbero dall’effettiva applicazione di ciascuna di esse alla fattispecie sottoposta all’esame del giudice. (Nella specie, relativa al reato di violazione del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive — qualificato come contravvenzione e punito con pena esclusivamente detentiva dall’art. 6 della L. n. 401 del 1989 nel suo testo originario, ma configurato come delitto punito con pena detentiva della stessa durata, alternativa a quella pecuniaria, nella versione di tale articolo modificata dal D.L. n. 336 del 2001, convertito con modificazioni nella L. n. 377 del 2001 —, la Corte ha giudicato corretto l’operato del giudice di merito che aveva ritenuto in concreto più favorevole al reo l’applicazione della precedente normativa, la quale configurava il reato come contravvenzione, ma senza prevedere la pena pecuniaria alternativa a quella detentiva). * Cass. pen., sez. I, 28 ottobre 2003, n. 40915 (c.c. 2 ottobre 2003), Fittipaldi. [RV226475] l Il principio del favor rei stabilito dall’art. 2 c.p. non comporta che, in caso di depenalizzazione con trasformazione del reato in illecito amministrativo e conseguente previsione di trasmissione degli atti all’autorità amministrativa, allorché la causa estintiva della prescrizione sia maturata dopo la depenalizzazione del fatto debba procedersi alla dichiarazione di estinzione del reato per decorso del tempo. * Cass. pen., sez. III, 1 febbraio 2001, n. 3952 (ud. 26 ottobre 2000), Reggiani G. [RV218532] l La disciplina della revoca della patente prevista dal nuovo codice della strada è più favorevole all’imputato di quella precedente in quanto, mentre nella vigenza del codice della strada abrogato spettava alla discrezionalità del giudicante individuare i casi di particolare gravità che consentivano la revoca dell’autorizzazione alla guida, l’art. 222, comma terzo, D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, prevede la possibilità della revoca detta esclusivamente nell’ipotesi di recidiva reiterata specifica verificatasi entro il periodo di cinque anni a decorrere dalla data della condanna definitiva per la prima violazione. * Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 2000, n. 3881 (c.c. 28 giugno 2000), Aramini M. [RV217481] l È da considerare norma più favorevole sopravvenuta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 20-03-2015 10:08:19 Art. 2 Libro I – Dei reati 2, comma terzo, c.p., anche quella con la quale sia reso perseguibile a querela un reato precedentemente perseguibile d’ufficio. * Cass. pen., sez. III, 14 giugno 2000, n. 6983 (ud. 27 aprile 2000), P.G. in proc. R., in Riv. pen. 2001, 77. l Non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 2, terzo comma, c.p. quando lo stesso fatto sia punito in base a due leggi coeve, allorché una di esse identifichi come reato, sanzionandola in modo meno grave, una delle condotte integranti gli estremi di un diverso reato previsto dall’altra, se la prima legge rimanga in vigore e la seconda venga abrogata. In tal caso, non si verifica l’automatica “espansione” della legge ancora vigente, sia perché il terzo comma dell’art. 2 c.p. — riferendosi a “leggi posteriori” — prevede l’ipotesi di una legge successiva rispetto ad altra anteriore (che non ricorre nella specie), sia perché una diversa interpretazione susciterebbe dubbi di legittimità costituzionale, in quanto comporterebbe l’applicazione della norma rimasta in vigore a un fatto anteriormente verificatosi (art. 25 Cost.), così violandosi il principio di irretroattività della legge penale, e urterebbe, inoltre, con l’art. 112 Cost., giacché la norma penale coeva ancora in vigore risulterebbe applicata in mancanza dell’esercizio della azione penale. In ogni caso, l’applicazione di tale norma contrasterebbe con la natura del fenomeno della abrogazione, che opera “ex nunc”: la norma abrogata resta, infatti, vigente, per il periodo anteriore alla abrogazione, impedendo, per lo stesso periodo, l’applicazione della legge rimasta in vigore, onde sarebbe contrario al sistema considerare ampliato, ora per allora, il raggio di azione di quest’ultima norma. (Nel caso, in cui era stato impugnato il provvedimento emesso in sede di incidente di esecuzione di diniego di revoca della sentenza di condanna per il reato di oltraggio, passata in giudicato, la Corte ha revocato questa sentenza, affermando il principio di cui in massima, ed escludendo che, a seguito della abrogazione dell’art. 341 c.p. — che prevedeva il reato di oltraggio — per effetto dell’art. 18 della L. 25 giugno 1999, n. 205, possa perseguirsi il fatto per i reati di ingiuria o di minaccia). * Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2000, n. 518 (c.c. 28 gennaio 2000), Marini F. [RV215738] l Allorché la modifica della competenza per materia sia posta in maniera autonoma dalla nuova legge — e non indirettamente come nel caso di diversa determinazione della sanzione edittale — la relativa norma è di carattere processuale e non sostanziale, e pertanto trova immediata applicazione in virtù del principio generale vigente in materia processuale tempus regit actum, onde non ci si può riferire, al fine di stabilire la competenza per materia, all’art. 2, comma terzo, c.p., che riguarda un profilo di diritto sostanziale e non di diritto processuale. (Fattispecie in tema di reato di omissione di atti di ufficio contestato come permanente, con inizio della condotta in COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 64 64 data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 286 del 1990). * Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 1998, n. 6789 (c.c. 2 dicembre 1997), confl. comp. in proc. Della Maggiore. [RV209531] l In tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, il concetto di “modica quantità” di cui all’art. 72 della L. 22 dicembre 1975, n. 685, è diverso da quello di “fatto di lieve entità” di cui all’art. 73, quinto comma, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309: la prima disposizione riguarda infatti solo un aspetto della detenzione, e cioé quello concernente la quantità della sostanza, mentre la “lieve entità” cui si riferisce la legge vigente riguarda il fatto per intero, di cui devono essere presi in considerazione tutta una serie di parametri quali i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, la quantità e qualità delle sostanze. Ne consegue che, trattandosi di fattispecie non omologabili, non si pone un problema di applicazione della legge più favorevole ai sensi dell’art. 2, terzo comma, del codice penale. (In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale si deduceva che, avendo il giudice di primo grado ritenuto la modica quantità delle sostanze oggetto di spaccio, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare la sopravvenuta norma più favorevole di cui al quinto comma dell’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990). * Cass. pen., sez. VI, 2 dicembre 1997, n. 4266 (c.c. 31 ottobre 1997), Sorzi. [RV209033] l Il regime di procedibilità d’ufficio per i reati di violenza sessuale previsto dall’art. 609 septies c.p., introdotto dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66, non può produrre effetti sui fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Il problema dell’applicabilità dell’art. 2 c.p., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità. Infatti, il principio dell’applicazione della norma più favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto, specie quando il legislatore in una determinata materia modifichi profondamente fattispecie, pene, denominazione dei delitti, come è avvenuto in quella dei reati di violenza sessuale, sottratti all’area della moralità pubblica e concepiti come reati contro la persona. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso del P.M. avverso rigetto di appello contro diniego di applicazione di custodia cautelare in carcere, la S.C. ha osservato altresì che la rilevante portata dell’intervento innovativo e la mancanza di norme transitorie, certamente non dovuta a disattenzione, denotano inequivocabilmente che si è voluto dare alla normativa, che ha introdotto un regime di maggiore afflittività per chi commette abusi ses- 20-03-2015 10:08:19 65 Titolo I – Legge penale suali, operatività con esclusivo riferimento a condotte poste in essere dopo la sua entrata in vigore, sicché il peggioramento del regime di procedibilità per talune ipotesi di reato non può produrre effetti su preesistenti situazioni la cui perseguibilità e punibilità erano rimesse alla volontà della persona offesa dal reato). * Cass. pen., sez. III, 20 agosto 1997, n. 2733 (c.c. 8 luglio 1997), P.M. in proc. Frualdo. [RV209188] l La norma dell’art. 30 ter, terzo comma, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario), introdotta dall’art. 1 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito con modificazioni in legge 12 luglio 1991 n. 203 (in base alla quale, fra l’altro, nel caso di condanna per taluno dei delitti previsti dall’art. 4 bis del medesimo ordinamento, la concessione dei permessi è ammessa solo dopo l’espiazione di metà della pena inflitta, e non solo di un quarto, come in precedenza), trova applicazione anche con riferimento a condanne precedenti all’entrata in vigore del citato D.L. n. 152 del 1991, non dando ciò luogo alla violazione del principio di irretroattività della legge penale, stabilito dall’art. 25 Cost. e dall’art. 2 c.p., atteso che tale principio si riferisce unicamente alle norme penali sostanziali e non anche a quelle inerenti alle modalità di esecuzione della pena e all’applicazione di misure alternative o altri benefici in favore del condannato, la cui disciplina resta affidata ai poteri discrezionali del legislatore ordinario. Tuttavia, poiché la concessione dei permessi-premio, che costituisce parte integrante del trattamento, è pur sempre legata alla regolare condotta e all’assenza di pericolosità sociale del condannato, deve ritenersi che, con la previsione di un più ampio limite temporale per la loro fruizione, il legislatore abbia posto una presunzione legale di pericolosità sociale riferita ai condannati per uno dei gravi delitti previsti dal primo comma dell’art. 4 bis. Conseguentemente, se tale presunzione è stata già superata con la concessione, sotto il vigore della precedente normativa, di uno o più permessi-premio, è evidente che l’applicazione della più grave restrizione prevista dalla nuova norma non ha alcun senso e può rivelarsi addirittura deleteria, perché potrebbe interrompere quel programma di trattamento che, in conformità dei principi costituzionali, deve pur sempre tendere alla rieducazione del condannato. * Cass. pen., sez. I, 19 aprile 1997, n. 433 (c.c. 21 gennaio 1997), Cerra. [RV207344] l Nel caso in cui la pena per il delitto — nella specie ritenuto tentato — di atti di libidine violenti, di cui all’art. 521 c.p., non sia stata fissata nei limiti minimi, non viene in discussione l’applicazione della legge 15 febbraio 1996, n. 66. (Norme contro la violenza sessuale): in tal caso il raffronto tra la normativa abrogata e quella sopravvenuta deve essere risolto nell’applicare la disposizione del 1930, che, con riferimento ai massimi edittali irrogabili, è COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 65 Art. 2 più favorevole. * Cass. pen., sez. III, 5 marzo 1997, n. 2074 (ud. 23 gennaio 1997), Rodà. [RV207284] l Nel caso di successione di norme incriminatrici nel tempo, tra due disposizioni, delle quali la prima prevede la pena detentiva e la seconda la pena alternativa, è sempre più favorevole quest’ultima, consentendo l’inflizione della sola pena pecuniaria, perché la conversione, ex art. 53 legge 24 novembre 1981 n. 689, della pena detentiva inflitta necessariamente per effetto della prima norma, pur potendo in concreto condurre ad una pena pecuniaria (sostitutiva) meno elevata, oltre ad essere eventuale, in quanto sempre discrezionale, sarebbe comunque esposta al rischio della revoca ai sensi del successivo art. 72, ricorrendone le condizioni. È pacifico, infatti, che le cause di revoca contemplate in tale norma si riferiscono a tutte le pene sostitutive, ivi compresa quindi quella pecuniaria, giacché consistono nel verificarsi di quelle condizioni che, se sussistenti al momento della sostituzione, sarebbero state ostative alla stessa. * Cass. pen., sez. III, 6 febbraio 1997, n. 1058 (ud. 4 dicembre 1996), Telese. [RV207102] l Il principio del favor rei stabilito dall’art. 2 c.p. comporta che, in caso di depenalizzazione con la trasformazione del reato in illecito amministrativo con la previsione dell’obbligo di trasmissione degli atti all’autorità competente, debba in ogni caso procedersi alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione anche quando la causa estintiva sia maturata dopo la depenalizzazione. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha ritenuto dovesse dichiararsi estinto il reato per prescrizione con riferimento alle violazioni della normativa sulla mancata consegna al lavoratore del libretto di lavoro e del prospetto paga depenalizzate dal D.L.vo 19 dicembre 1994 n. 758 poiché l’applicazione della formula «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato» avrebbe determinato conseguenze deteriori per l’imputato derivanti dalla trasformazione del reato in illecito amministrativo). * Cass. pen., sez. III, 25 maggio 1996, n. 1948 (c.c. 26 aprile 1996), Romano. [RV205435] l In tema di successione di leggi penali nel tempo, ai fini dell’applicazione della legge più favorevole al reo il giudice deve valutare in concreto, caso per caso, quale sia la soluzione di maggior favore tenendo presente che la pena detentiva è sempre, per sua stessa natura, più grave e meno favorevole della pena pecuniaria, rimanendo a tal fine irrilevante il criterio di ragguaglio previsto dall’art. 135 c.p. La pena detentiva deve perciò essere considerata più afflittiva anche quando dall’eventuale conversione di quest’ultima dovesse derivare una quantificazione pecuniaria inferiore di quella prevista con l’applicazione della pena pecuniaria prevista in alternativa alla detenzione. (Nel caso di specie la Corte ha confermato la sentenza con la quale i giudici di appello avevano, in applicazione del D.L. 17 marzo 1995, n. 79, 20-03-2015 10:08:20 Art. 2 Libro I – Dei reati convertito con L. 17 maggio 1995, n. 172, applicato all’imputato, condannato in primo grado per il reato previsto dall’art. 21 della L. 10 maggio 1976, n. 319, una pena pecuniaria, in alternativa a quella detentiva, di entità superiore a quella che sarebbe derivata dalla conversione della pena detentiva irrogata con la sentenza di primo grado). * Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 1996, n. 2143 (ud. 15 dicembre 1995), Misconel. [RV204567] l Il giudice nel valutare in concreto la norma più favorevole deve considerare non solo le modificazioni concernenti la pena ma anche l’incidenza sulla prescrizione, quando quest’ultima, in seguito all’applicazione della nuova disciplina sopravvenuta, sia applicabile, ed, in genere, sugli altri effetti penali quali la non iscrivibilità sul casellario giudiziale, ove non venga applicato il beneficio ex art. 163 c.p. (Ipotesi in cui il termine prescrizionale non era ancora decorso e l’intervenuta modificazione della sanzione — da pena alternativa a solamente pecuniaria — ed il sensibile aumento del minimo edittale determinano anche una consistente diminuzione del termine massimo prescrizionale — da quattro anni e sei mesi a tre anni — e la non iscrivibilità della condanna nel certificato giudiziale, sicché, in assenza di esplicita richiesta di applicazione del beneficio ex art. 163 c.p., l’irrogazione di una pena pecuniaria di poco superiore a quella stabilita precedentemente in via alternativa costituisce ipotesi più favorevole). * Cass. pen., sez. III, 16 febbraio 1996, n. 1797 (ud. 16 gennaio 1996), Lombardi. [RV205385] l Le disposizioni in tema di «sostituzione» delle pene detentive brevi, dettate dagli artt. 53 e seguenti della L. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto costituenti un sistema sanzionatorio «parallelo» a quello «ordinario» hanno un inequivocabile carattere di norme penali sostanziali. Ne consegue la soggezione di dette disposizioni al principio generale dettato dal comma 3 dell’art. 2 c.p. che sancisce l’operatività, nel caso di successione di leggi diverse da quella vigente al tempo di commissione del reato. Pertanto — nell’ipotesi di reato commesso prima dell’entrata in vigore della «novella» n. 402 del 5 ottobre 1993 introduttiva del più gravoso parametro di lire 75.000 per ogni giorno di pena detentiva sostituita — deve applicarsi il parametro di ragguaglio di lire 25.000 fissato dall’art. 135 c.p. nel testo vigente prima della suindicata L. 5 ottobre 1993, n. 402. * Cass. pen., sez. I, 29 dicembre 1995, n. 12732 (ud. 27 ottobre 1995), Abbatelli. Conformi: Cass. pen., sez. I, 23 agosto 1994, n. 3114, P.G. c. Valentini; Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 1996, n. 4523, P.G. in proc. Grissi ed altro; Cass. pen., sez. I, 18 gennaio 1996, n. 574, P.M. in proc. Ercoli. [RV203349] l Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, previste dall’art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689, per il loro carattere afflittivo, per la loro convertibilità, in caso di revoca, nella pena sostituita residua, per lo stretto collegamento esi- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 66 66 stente con la fattispecie penale cui conseguono, hanno natura di vere e proprie pene e non di semplici modalità esecutive della pena detentiva sostituita: le disposizioni che le contemplano, pertanto, hanno natura sostanziale e sono soggette, in caso di successioni di leggi nel tempo, alla disciplina di cui all’art. 2, comma 3, c.p., che prescrive l’applicazione della norma più favorevole per l’imputato. Ne consegue che il principio del favor rei trova attuazione, per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge, anche con riferimento ai nuovi criteri di ragguaglio fra pena pecuniaria e pena detentiva introdotti dalla L. 5 ottobre 1993, n. 402, di modifica dell’art. 135 c.p., in base ai quali si effettua, in virtù del richiamo a quest’ultima disposizione operato dal suddetto art. 53, L. n. 689 del 1981, il calcolo della sanzione sostitutiva. * Cass. pen., Sezioni Unite, 22 novembre 1995, n. 11397 (ud. 25 ottobre 1995), P.M. in proc. Siciliano. [RV202870] l In tema di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale o impiegato in atto pubblico (artt. 479 e 493 c.p.), non danno luogo a successioni di leggi penali i mutamenti di regime giuridico che hanno via via interessato l’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, trasformandola dapprima in ente Ferrovie dello Stato (L. n. 210/1985) e poi in società per azioni (delibera CIPE 12 agosto 1992, in esecuzione della L. n. 35/1992 e L. n. 359/1992). L’applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole, sancito dall’art. 2, comma 3, c.p., presuppone una modifica in via generale — e non in via particolare, riferita al caso concreto — della fattispecie incriminatrice, cioè di quelle norme che definiscono il reato nella sua struttura essenziale e circostanziata, comprese le norme extrapenali che la integrano. Esula quindi dall’istituto la successione di atti o fatti amministrativi che, pure influendo sulla punibilità o meno di determinate condotte, non implica una modifica della norma incriminatrice anche integrativa. Le trasformazioni che hanno interessato l’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato non hanno modificato la fattispecie incriminatrice descritta negli artt. 479 e 493 c.p. * Cass. pen., sez. VI, 28 settembre 1995, n. 9927 (ud. 10 luglio 1995), Caliciuri ed altri. [RV202873] l In tema di individuazione dalla norma più favorevole al reo, da applicare in caso di successione di leggi nel tempo, la disciplina più favorevole va individuata sulla base di un raffronto oggettivo fra le norme applicabili e non già in considerazione della convenienza che ne deriverebbe all’imputato all’esito di una valutazione discrezionale del giudice. Quando, però, una norma prevede la pena dell’ammenda e quella successiva quella dell’arresto convertibile astrattamente in una pena pecuniaria di entità minore dell’ammenda prevista dalla precedente normativa, è comunque da applicarsi la norma precedente che non contemplava la pena detentiva. * Cass. 20-03-2015 10:08:20 67 Titolo I – Legge penale pen., sez. III, 29 agosto 1995, n. 9234 (ud. 4 luglio 1995), Sartorio. [RV202445] l L’art. 231, comma 1 del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, recante il nuovo codice della strada, ha abrogato il codice stradale previgente (D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393) e quindi anche l’art. 6 L. 31 maggio 1965, n. 575, che prevedeva il reato di guida senza patente o con patente revocata ai sensi degli artt. 82 e 91, secondo e terz’ultimo comma, n. 2 D.P.R. n. 393/59, già modificato per effetto della L. 3 agosto 1988, n. 237, che aveva soppresso la misura di prevenzione della diffida. Peraltro, la condotta di coloro che guidano autoveicoli, senza avere ottenuto la patente, in quanto privi dei requisiti morali previsti dall’art. 120 c.s. vigente o senza essere in possesso della patente perché revocata a causa del difetto di quei requisiti, è sanzionata oggi dall’art. 116, nn. 13 e 14 del suddetto codice stradale. Da ciò consegue che con l’abrogazione dell’art. 6 L. n. 575/65 non vi è stata abolitio criminis, ma solo successione di norme incriminatrici, essendo diversamente disciplinato un fatto considerato come reato dalla legge precedente. (Fattispecie nella quale si è applicato come più favorevole, in virtù del dettato dell’art. 2, comma 3, c.p., l’art. 116 c.s. vigente, atteso il più mite trattamento sanzionatorio). * Cass. pen., sez. V, 7 luglio 1995, n. 7601 (ud. 13 giugno 1995), Soloperto. [RV202238] l La disciplina delle misure cautelari ha carattere processuale e perciò, in linea di massima, nella fase delle indagini preliminari il giudice non può discostarsi dalla contestazione mossa dal pubblico ministero e non gli è consentita alcuna valutazione sul suo contenuto. Tuttavia, quando risulti con evidenza, in base alla sola data del commesso reato così come precisata nell’imputazione, che debba essere applicata all’indagato, in base all’art. 2 del c.p., una normativa più favorevole inequivocabilmente individuabile raffrontando la disciplina sanzionatoria precedente e quella indicata nella contestazione, è alla prima che il giudice dovrà fare riferimento nel computare i termini di durata massima della custodia cautelare non potendosi trascurare il carattere sostanziale dell’afflittività delle misure cautelari personali e la tutela dello status libertatis con le relative implicazioni di carattere costituzionale che lo presidiano. (La Corte ha ritenuto che giustamente il tribunale avesse accolto il ricorso con il quale si chiedeva la scarcerazione per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare in un caso in cui all’indagato era stata contestata la violazione dell’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ma dalla data di commissione del reato emergeva con evidenza che la norma applicabile era quella prevista dall’art. 71 della L. 22 dicembre 1975 n. 685 che, ai fini della durata massima della custodia cautelare, prevede un termine più breve che era già scaduto). * Cass. pen., sez. I, 10 maggio 1995, n. 1783 (c.c. 24 marzo 1995), P.M. in proc. Faccini. [RV201363] COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 67 Art. 2 l Il principio della retroattività della norma più favorevole posto dall’art. 2, terzo comma, c.p., che assicura al cittadino il trattamento penale più mite tra quello previsto dalla legge penale vigente al momento del fatto e quello previsto dalle leggi successive, purché precedenti la sentenza definitiva di condanna, opera solo con riferimento all’ipotesi della successione tra fattispecie incriminatrici, accertabile in base al criterio della continenza, e non è estensibile al caso della successione di norma che degradi un fatto previsto come illecito penale a illecito amministrativo. * Cass. pen., Sezioni Unite, 27 giugno 1994, n. 7394 (ud. 16 marzo 1994), Mazza. l Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di legge sopravvenute, ai sensi dell’art. 2 c.p., non è sufficiente che queste siano più favorevoli all’imputato in astratto, ma occorre che lo siano altresì in concreto, ossia non soltanto sulla base della mera comparazione fra le due normative succedutesi nel tempo, ma anche confrontando i risultati che deriverebbero dalla effettiva applicazione di esse alla fattispecie concreta; tale valutazione in concreto è necessaria specie quando la nuova norma, per il suo contenuto, non opera automaticamente in maniera più favorevole nei confronti della normativa in vigore al tempo del commesso reato, ma fa dipendere tale risultato, che è comunque eventuale, da un giudizio affidato ai poteri discrezionali del giudice e dalla verifica dei dati presupposti. Sicché, se è vero che in caso di successione di leggi penali si deve applicare integralmente quella che risulta più favorevole all’imputato, valutata nel suo complesso, non è men vero che tale principio va calato in ciascuna fattispecie concreta, in relazione all’interesse specifico dell’imputato, senza inframmettenze astratte e sia pure con divieto di applicazione simultanea di vecchie e nuove disposizioni. (Alla stregua di tale principio la Corte ha annullato la sentenza pretorile la quale aveva applicato ad un fatto pregresso la pena pecuniaria, sostitutiva di quella detentiva, in ragione del nuovo e più gravoso criterio di ragguaglio introdotto dalla L. 5 ottobre 1993, n. 402, sul presupposto che quest’ultima dovesse considerarsi comunque norma più favorevole per l’ampliata possibilità di applicazione della sospensione condizionale della pena, che, nella fattispecie, non risultava tuttavia né concessa né richiesta). * Cass. pen., sez. I, 22 giugno 1994, n. 2336 (c.c. 18 maggio 1994), Arata. l Nel caso di successioni di leggi penali incriminatrici, il principio dell’applicazione della norma più favorevole trova un limite nella formazione del giudicato, a norma dell’art. 2 terzo comma, c.p. La cosa giudicata si forma sull’intero oggetto del rapporto processuale concernente una singola imputazione, cosicché non è consentita — salvo l’ipotesi del reato continuato — la scissione della sentenza per punti, al fine di identificare la irrevocabilità di un punto, distinguendo quello 20-03-2015 10:08:20 Art. 2 Libro I – Dei reati concernente la colpevolezza da quello relativo alla concessione di attenuanti. In particolare il giudice della esecuzione non può alterare il giudicato ritenendo esistente un’attenuante non ravvisata dal giudice della cognizione ovvero procedendo alla comparazione tra circostanze di segno opposto, e ciò neppure nel caso di sopravvenuta disposizione di legge che, ai fini della declaratoria di estinzione della pena, valorizzi una circostanza ovvero un determinato esito della comparazione tra circostanze di segno opposto, in termini non previsti al momento della decisione di merito. Ne consegue che il giudice dell’esecuzione non può concedere l’attenuante di cui all’art. 73 comma settimo D.P.R. n. 309/90, introdotta dall’art. 14 L. 26 giugno 1990 n. 162 successivamente alla formazione della irrevocabilità della sentenza, e rideterminare la pena, sia perché detto potere non gli è riconosciuto dall’art. 671 c.p.p. sia perché vi osta l’art. 2 comma terzo c.p., secondo cui, nell’ipotesi di successione di leggi penali incriminatrici, non può essere applicata la legge più favorevole, in caso di avvenuta formazione del giudicato. (Nella fattispecie, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso avverso ordinanza che aveva respinto l’istanza diretta al giudice dell’esecuzione volta a rideterminare la pena inflitta per i delitti di cui agli artt. 71 e 74 legge n. 685/1975, previa concessione dell’attenuante di cui all’art. 73 comma settimo, D.P.R. n. 309/90, introdotta con legge successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna). * Cass. pen., sez. VI, 17 giugno 1994, n. 1490 (c.c. 8 aprile 1994), De Angelis. l Il criterio della norma più favorevole al reo può essere utilizzato solo al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, non quella processuale quale è, indubbiamente, quella disciplinante la competenza tra i diversi organi giudicanti, per la quale, in mancanza di un’apposita norma transitoria, si deve fare riferimento al principio generale del tempus regit actum secondo il quale la nuova disciplina processuale, anche se immuta competenza precostituita, trova immediata applicazione nei procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore. Ciò, naturalmente, avviene solo nell’ipotesi in cui il giudice non sia stato già legittimamente investito del relativo giudizio in quanto, in tali casi, essendosi già radicata la competenza, la nuova disciplina processuale non ha efficacia. (Fattispecie in tema d’abuso d’ufficio). * Cass. pen., sez. I, 19 gennaio 1993, n. 5011 (c.c. 2 dicembre 1992), Cuberi. l In tema di successione di leggi penali e di individuazione della legge più favorevole ai sensi dell’art. 2, comma terzo, c.p., il trattamento più favorevole va scelto in concreto, con la verifica di tutte le conseguenze che derivano da ciascuna della due norme e, operata la scelta, la normativa va applicata in toto, senza possibilità di trattamenti combinati. Ne consegue che nel caso COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 68 68 in cui le norme che vengono in rilievo siano l’art. 323 comma secondo c.p., come sostituito dall’art. 13 della L. n. 86 del 1990, e l’abrogato art. 324 dello stesso codice, norma più favorevole deve considerarsi quest’ultima, che prevede una pena detentiva inferiore nel minimo (sei mesi rispetto ai due anni previsti dall’altra norma) anche se alla pena detentiva aggiunge quella pecuniaria. * Cass. pen., sez. VI, 11 ottobre 1990, n. 13321 (ud. 18 maggio 1990), Carpagnano. l L’art. 2, terzo comma, c.p. prevede le ipotesi in cui una legge posteriore al tempo del commesso reato modifichi la fattispecie incriminatrice anteriore, senza abolire l’incriminazione né crearne di nuove, e fissa il principio dell’applicabilità della disposizione più favorevole all’imputato, cioè dell’irretroattività delle modificazioni sfavorevoli e della retroattività di quelle favorevoli. Ai fini della determinazione della legge più favorevole, il giudizio di comparazione tra leggi susseguentesi nel tempo deve avere come unico oggetto il raffronto tra le disposizioni che disciplinano la stessa materia, vale a dire il reato contestato e le sue circostanze, e non può, pertanto, trovare applicazione ai sensi dell’art. 2, terzo comma, c.p., nel giudizio di Cassazione relativo di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti (art. 72 L. 22 dicembre 1975, n. 685), l’art. 61, n. 4 c.p. — modificato dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19 — nel caso in cui non abbia formato oggetto di richieste o di cessione nel corso dei primi due gradi di giudizio, in quanto tale norma non prevede, neanche nella nuova formulazione, una circostanza attenuante di carattere «speciale» con riferimenti ai reati in materia di stupefacenti, ma una attenuante «comune». * Cass. pen., sez. VI, 11 ottobre 1990, n. 13348 (ud. 31 maggio 1990), Biscotti. l La norma di cui all’art. 2, comma terzo, c.p. riguardante l’applicazione della legge più favorevole al reo, in caso di successione di leggi nel tempo, deve essere applicata d’ufficio. Ciò, però, nel presupposto che ne ricorrano le condizioni di fatto, rispetto alle quali l’imputato, domandando l’applicazione dello ius novum a lui più favorevole, ha l’onere dell’allegazione, quando tali condizioni non risultano dagli atti del processo. * Cass. pen., sez. VI, 17 luglio 1990, n. 10414 (ud. 12 dicembre 1989), Bettinelli. l Il principio della retroattività degli effetti extrapenali, in conseguenza d’una legge che abbia trasformato in illeciti amministrativi le condotte punibili, non può operare allorquando il reato siasi già estinto, posto che diversamente si sancirebbe la reviviscenza d’una realtà giuridica in contrasto con lo spirito e la lettera dell’art. 2 c.p., il quale, ispirandosi al favor rei, non può mai risolversi in un nocumento per l’imputato. (Fattispecie in tema di detenzione di sottoprodotto della vinificazione, non denaturato con la prescritta sostanza rivelatrice, rientrante nell’amnistia ex art. 1 d.p.r. 18 dicembre 1981, n. 744, e depenalizzata dall’art. 32, primo comma, della 20-03-2015 10:08:20 69 Titolo I – Legge penale legge 24 novembre 1981, n. 689, che ha previsto la sola sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro. Si è così, sulla base dell’enunciato principio, precisato che, essendo la estinzione del reato intervenuta anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione e dovendo l’anzidetta causa estintiva prevalere su quella di abolitio criminis, era da escludersi la trasmissione degli atti all’autorità competente per la irrogazione di sanzioni amministrative; e ciò in conformità al dettato dell’art. 2, terzo comma, c.p.). * Cass. pen., Sezioni Unite, 26 aprile 1983, n. 3802 (ud. 22 gennaio 1983), Marinelli. d) Leggi eccezionali o temporanee. l La successione, intervenuta durante il decorso del termine di vigenza ovvero nella permanenza della situazione eccezionale, di norme, rispettivamente, tutte temporanee o eccezionali aventi la stessa ratio e dirette a una migliore messa a punto della normativa destinata a fronteggiare la medesima situazione è regolata non già dalla disciplina derogatoria prevista dall’art. 2, comma quinto, c.p., bensì da quella di cui al precedente comma quarto. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto l’applicabilità della più favorevole disciplina del c.p. militare di pace al militare partecipante alle missioni di cui alla L. 4 agosto 2006, n 247 anche in relazione ai fatti commessi nella vigenza della disciplina anteriore a tale legge che rinviava al c.p. militare di guerra, affermando pertanto la sopravvenuta inapplicabilità dell’art. 47 c.p.m.g.). * Cass. pen., sez. I, 1 luglio 2008, n. 26316 (ud. 27 maggio 2008 ), Cau. [RV240396] l La normativa penalistica concernente la partecipazione italiana alle missioni internazionali all’estero prevista, nella specie, dal D.L. 10 luglio 2003 n. 165, conv., con modif., nella L. 1 agosto 2003 n. 219 e dalla L. 2 agosto 2006 n. 247 ha natura di legge temporanea. (In motivazione, la S.C. ha escluso che tale normativa abbia natura di legge eccezionale). * Cass. pen., sez. I, 1 luglio 2008, n. 26316 (ud. 27 maggio 2008), Cau. [RV240397] l Il regolamento CE n. 3274/93 del 29 novembre 1993, istitutivo del divieto di fornitura di taluni beni e servizi alla Libia, norma extrapenale integratrice del precetto penale, costituisce un complesso di norme eccezionali, in quanto derogatrici al principio della libertà di commercio tra gli Stati e temporanee, cioè destinate ad operare per un tempo determinato, e pertanto rientra nella disciplina dettata dal quarto comma dell’art. 2 c.p. Costituisce pertanto reato, indipendentemente dalla vigenza nel tempo del suddetto embargo, sospeso con il regolamento CE n. 863/99, l’esportazione in Libia, in violazione del divieto comunitario, di merce di cui era vietata l’esportazione verso detto Stato, sanzionata a norma dell’art. 11 R.D.L. 14 novembre 1926 n. 1923. * Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2000, n. 3905 (ud. 22 febbraio 2000), Asaad Nagy Nawar. [RV215952] COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 69 Art. 2 e) Disposizioni contenute in un decreto legge. l In tema di conversione di decreto legge, all’introduzione di emendamenti nella legge di conversione non sempre può ricondursi la conseguenza di determinare automaticamente la perdita di efficacia ex tunc del decreto legge, né, correlativamente, quella di attribuire valore ex nunc al precetto della legge di conversione a mezzo del quale ha trovato ingresso la modificazione, dovendo, al contrario, aversi riguardo allo specifico contenuto degli emendamenti e alla reale portata dei mutamenti al testo del decreto. Pertanto, solo gli emendamenti sostitutivi (o innovativi) e quelli soppressivi, disponendo la riscrittura ovvero l’eliminazione della decretazione d’urgenza, hanno efficacia ex nunc, mentre quelli semplicemente modificativi, consistendo in una variazione che non investe il nucleo precettivo fondamentale della norma del decreto legge, si saldano con quest’ultima in modo continuo, sì che hanno efficacia ex tunc, decorrente dalla data della normazione di urgenza. (Fattispecie relativa ai rapporti tra D.L. n. 59 del 1978 e legge di conversione n. 191 del 1978. In riferimento alla scissione, nella legge di conversione, dell’unica ipotesi delittuosa di cui all’art. 630 c.p. — sostituita dall’art. 2 del decreto legge con l’introduzione della figura del «sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione», — la S.C. ha ritenuto che vi fosse una mera modificazione del nomen juris, senza alcuna significativa alterazione degli elementi strutturali della fattispecie e pertanto ha riconosciuto efficacia ex tunc alla relativa disciplina. In riferimento, però, al comma quinto dello stesso art. 289 bis, che detta ex novo una speciale regolamentazione delle circostanze attenuanti, la S.C. ha ritenuto il suo carattere totalmente innovativo, riconoscendogli efficacia ex nunc ed escludendo la sua applicabilità nel processo, per essere esso entrato in vigore quando era definitivamente cessata la condotta criminosa, sì da non poterglisi riconoscere valore retroattivo, in quanto meno favorevole al reo). * Cass. pen., sez. I, 24 giugno 1998, n. 7451 (ud. 21 maggio 1998), Maccari. [RV210887] l Le norme che disciplinano l’applicazione di misure cautelari hanno carattere processuale, ma, per la loro influenza immediata sullo status libertatis, hanno rilevanza sostanziale, con la conseguenza che, in tale materia, si applicano le norme sulla successione di leggi nel tempo proprie delle disposizioni sostanziali. Pertanto, in caso di norme più favorevoli introdotte con decreto legge non convertito, si applicano le disposizioni vigenti nel momento della commissione del fatto, per effetto dell’art. 77, comma terzo, Cost. e della sentenza della Corte costituzionale 19 febbraio 1995, n. 51, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2, comma quinto, c.p., nella parte in cui rende applicabili, nel caso di decreto legge non convertito, le disposizioni dei commi secondo e terzo dello stesso articolo (i principi anzidetti 20-03-2015 10:08:20 Art. 2 Libro I – Dei reati sono stati affermati in una fattispecie relativa all’art. 2 del decreto legge 14 luglio 1994, n. 440, non convertito, che aveva introdotto il comma 3 bis nell’art. 275 c.p.p., con il quale si era inibita l’adozione di provvedimenti di custodia cautelare per delitti diversi da quelli indicati nel comma 3 dello stesso articolo e dell’art. 380 c.p.p.: la Corte ha conseguentemente valutato corretta la soluzione dei giudici di merito che non avevano ritenuto caducati gli effetti di una misura cautelare per effetto della entrata in vigore del decreto legge citato). * Cass. pen., sez. VI, 9 giugno 1998, n. 595 (c.c. 19 febbraio 1998), Russo G. [RV211083] l Una volta decaduto il decreto-legge contemplante un’ipotesi di reato, la condotta illecita posta in essere nel periodo della sua vigenza non può essere più perseguita e sanzionata, a nulla rilevando che la norma che ne prevedeva l’illiceità, sanzionandola penalmente, sia stata reiterata in successivo decreto-legge o che una legge successiva abbia regolamentato i rapporti sorti sulla base di decreti-legge non convertiti, stante il divieto di retroattività della legge incriminatrice stabilito dall’art. 25, comma secondo, Cost. * Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 1998, n. 7058 (c.c. 16 dicembre 1997), P.M. in proc. Karomi. Conformi: Cass. pen., sez. I, 15 giugno 1999, n. 3209, P.M. in proc. Litim; Cass. pen., sez. I, 17 dicembre 1996, n. 10821, Barinoski ed altro. [RV209351] l La mancata conversione, entro il termine fissato dall’art. 77 Cost., di un decreto legge contenente una previsione di reato comporta il venir meno della punibilità di quest’ultimo, anche qualora al decreto legge non convertito faccia seguito, senza soluzione di continuità, un altro contenente analoga previsione. Tale principio rimane valido anche a fronte della sentenza della Corte costituzionale 21 marzo 1996 n. 84, essendosi la Corte, con tale pronuncia, limitata ad affermare soltanto la permanente validità della propria investitura in ordine ad una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto una disposizione successivamente sostituita da altra di identico contenuto; il che non incide sulla invalidità ex tunc, in base al disposto di cui al citato art. 77, comma 3, Cost., del decreto legge non convertito, e sulla conseguente impossibilità giuridica, ai sensi dell’art. 2, comma 1, c.p., di continuare a considerare punibili, in base ad esso, fatti commessi durante la sua vigenza, pur quando la previsione di essi come reato sia ripresa dal nuovo decreto legge, giacché quest’ultimo, come qualsiasi norma di carattere penale, non può disporre che per l’avvenire. * Cass. pen., sez. I, 20 giugno 1996, n. 3506 (c.c. 22 maggio 1996), Sakho. [RV205156] l Fra diversi decreti legge non esaminati dal Parlamento e succedutisi nel tempo sulla stessa materia senza soluzioni di continuità si verifica, ferma restando la loro precarietà, il fenomeno della cosiddetta successione di leggi nel tempo, regolato dall’art. 2 c.p. e ad essi deve ritenersi applicabile COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 70 70 la norma di cui al comma quinto di questo. (Nella specie relativa ad annullamento senza rinvio di sentenza di condanna, perché il fatto non era dalla legge previsto come reato, la S.C. ha osservato che all’epoca del giudizio di primo grado era in vigore il D.L. n. 449 del 1994 che aveva depenalizzato il fatto di reato ascritto ai ricorrenti (scarico effettuato, senza osservare le prescrizioni del provvedimento di autorizzazione in quanto eccedente i limiti tabellari), sicché costoro avevano acquisito il diritto alla applicazione della norma di cui all’art. 22 legge n. 319 del 1976, come modificata dall’art. 4 del detto decreto legge, sebbene il medesimo fatto fosse stato considerato illecito penale con decreto legge n. 537 del 1994 e altri successivi). * Cass. pen., sez. III, 3 marzo 1995, n. 3489 (ud. 27 febbraio 1995), Pangrazi. [RV202065] l Allorché, successivamente alla sentenza che abbia applicato la pena su richiesta delle parti con riferimento a una pluralità di fatti legati dal vincolo della continuazione, decada, per mancata conversione, il decreto legge che aveva previsto come reato quei fatti, viene meno il fondamento della richiesta di patteggiamento nei termini in cui essa è stata formulata. Ne consegue che, in mancanza di specificazione, in sentenza, della violazione ritenuta più grave, ne va disposto l’annullamento con rinvio per la rideterminazione della pena con riferimento ai residui reati. (Fattispecie relativa a pena patteggiata in relazione, tra l’altro, anche al reato di volontaria sottrazione dello straniero al provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato introdotto dal D.L. 13 aprile 1993, n. 107, non convertito nei termini). * Cass. pen., sez. I, 11 marzo 1994, n. 916 (c.c. 22 febbraio 1994), P.G. c. Bala Ninet. f) In genere. f-1) Consumo di gruppo di stupefacenti. l A seguito del più favorevole trattamento sanzionatorio previsto, dopo la l. n. 49 del 2006, dall’art. 73, comma primo, d.P.R. 309 del 1990 quanto al minimo edittale per le droghe cosiddette pesanti, il giudice d’appello deve rimodulare la pena di ufficio anche nel caso in cui il primo giudice, anteriormente alla novella, abbia determinato la pena base, o sia comunque partito dal suo calcolo, in misura superiore al minimo edittale. * Cass. pen., sez. VI, 16 dicembre 2013, n. 50614 (ud. 6 dicembre 2013), P.G. in proc. Chukwumah. [RV257655] l Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, nell’ipotesi del mandato all’acquisto collettivo ad uno degli assuntori, e nella certezza originaria dell’identità degli altri, non è punibile ai sensi dell’art. 73, comma primo bis, lett. a), D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a seguito delle modifiche apportate a tale disposizione dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49. * Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2011, n. 21375 (c.c. 27 aprile 2011), Masucci. [RV250064] 20-03-2015 10:08:21 71 Titolo I – Legge penale l Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti conseguente al mandato all’acquisto collettivo ad uno degli assuntori e nella certezza originaria dell’identità degli altri non è punibile ai sensi dell’art. 73, comma primo bis, lett. a), D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche dopo le modifiche apportate a tale disposizione dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49. * Cass. pen., sez. VI, 2 marzo 2011, n. 8366 (ud. 26 gennaio 2011), P.G. in proc. D’Agostino. [RV249000] f-2) Circolazione stradale. l Dall’entrata in vigore del D.L.vo n. 159 del 2011 (cosiddetto Codice antimafia), il sottoposto a misura di prevenzione al quale sia stata sospesa, revocata o negata la patente di guida che viene colto alla guida di auto o motociclo è punito ai sensi dell’“art. 73 del medesimo D.L.vo n. 159, norma quest’ultima da considerarsi speciale rispetto all’art. 116 C.d.S. * Cass. pen., sez. I, 26 giugno 2013, n. 27828 (ud. 13 giugno 2013), Magliuolo, in Arch. giur. circ. n. 12/2013. [RV255992] l La fattispecie di cui all’art. 186, comma primo, lett. a), Cod. strada (guida in stato di ebbrezza con tasso alcoolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8) è stata depenalizzata dall’art. 33, comma quarto, L. n. 120 del 2010. (La Corte ha anche ritenuto di non dover trasmettere gli atti alla competente autorità amministrativa, in considerazione del principio di legalità-irretroattività, sancito per gli illeciti amministrativi dall’art. 1, L. n. 689 del 1981, richiamata dallo stesso art. 194 Cod. strada, non rinvenendosi nella L. n. 120 del 2010 una apposita previsione che possa far ritenere derogato il suddetto principio). * Cass. pen., sez. IV, 3 novembre 2010, n. 38692 (ud. 28 settembre 2010), La Mantia, in Riv. pen. n. 2/2011 e Arch. Giur. circ. n. 4/2011, con nota di Giuseppe Luigi Fanuli. [RV248407] l In applicazione della regola fondamentale di cui al comma 2 dell’art. 2 c.p., l’inosservanza dell’ordine di presentarsi ad un organo di polizia per l’esibizione di documenti attinenti alla circolazione dei veicoli — accertata prima dell’entrata in vigore del nuovo codice della strada, emanato con D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, vale a dire prima dell’1 gennaio 1993 (art. 240 del testo citato) — essendo ora espressamente prevista come illecito amministrativo dall’art. 180, comma 8, del predetto codice, non realizza più l’ipotesi criminosa dell’art. 650 c.p. Tale inosservanza non può neppure essere sanzionata in via amministrativa ostandovi il disposto dell’art. 1, comma 1, L. 24 novembre 1981, n. 689, giacché il codice della strada non contiene alcuna norma transitoria analoga a quella dettata dall’art. 40 della legge stessa che deroga al principio di legalità enunciato in via generale. Ne consegue che in siffatta ipotesi non deve essere disposta la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa. * Cass. pen., sez. I, 5 aprile 1996, n. 3425 (ud. 20 novembre 1995), P.M. in proc. Spataro. [RV204327] COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 71 Art. 2 l L’inosservanza dell’ordine impartito dall’autorità per esibire i documenti di circolazione ricade nella previsione di cui all’art. 180, comma ottavo, del nuovo codice della strada, di cui al D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 e la sanzione applicabile è di natura amministrativa. Pertanto, nel caso di violazione commessa prima dell’entrata in vigore dell’indicato nuovo codice, deve trovare applicazione il comma secondo dell’art. 2 c.p., a tenore del quale nessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non è più sanzionato penalmente. (Fattispecie relativa ad imputazione ex art. 650 c.p.). * Cass. pen., sez. I, 16 aprile 1993, n. 974 (c.c. 9 marzo 1993), Varriale. f-3) Reati fallimentari. l Il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso. * Cass. pen., Sezioni Unite, 15 maggio 2008, n. 19601 (ud. 28 febbraio 2008), Niccoli. [RV239398] l In tema di reati fallimentari, alle procedure concorsuali e penali avviate prima della data di entrata in vigore della L. n. 5 del 2006, che ha modificato la nozione di piccolo imprenditore contenuta nell’art. 1, comma secondo, L. fall., resta applicabile la legge fallimentare previgente, anche per quanto attiene alla identificazione del soggetto assoggettabile al fallimento ed alla nozione di piccolo imprenditore, considerato che l’art. 150 della L. n. 5 del 2006 detta una chiara disciplina transitoria per la quale «i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 5 del 2006, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore». * Cass. pen., sez. V, 17 maggio 2007, n. 19297 (ud. 20 marzo 2007), Celotti. [RV237025] l La nuova figura di reato del falso in prospetto, prevista dall’art. 2623 c.c., nel testo introdotto dall’art. 1 del D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61, non rientra nel novero delle fattispecie di reati societari, la cui consumazione costituisce requisito per la integrazione del delitto di cui all’art. 223 legge fall., e quindi la corrispondente condotta non è più prevista come reato di bancarotta fraudolenta impropria societaria. (In motivazione la Corte ha osservato che il reato di falso in prospetto, pur ponendosi in rapporto di continuità normativa con 20-03-2015 10:08:21 Art. 2 Libro I – Dei reati quello di false comunicazioni sociali delineata dall’art. 2621 c.c. nel testo antecedente all’entrata in vigore del citato decreto, è attualmente configurato in una autonoma figura criminosa che non è stata richiamata fra quelle espressamente elencate dall’art. 223 legge fall.). * Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 2005, n. 45714 (c.c. 19 settembre 2005), Patti. [RV233205] l Per la configurabilità del reato di bancarotta c.d. impropria, previsto dall’art. 223, comma 2, n. 1 del R.D. 16 marzo 1952, n. 267, come modificato dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, si richiede la sussistenza di un rapporto di causalità tra il falso in bilancio di cui all’art. 2621 c.c. (o un altro dei reati societari indicati nella norma incriminatrice) posto in essere dagli amministratori e il dissesto della società. * Cass. civ., sez. I, 24 settembre 2002, n. 31828 (ud. 15 maggio 2002), Mazzei. [RV222378] l Sebbene la nuova disciplina introdotta dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, abbia ristretto i margini di punibilità del reato di bancarotta c.d. impropria previsto dall’art. 223, comma 2, n. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, sussiste continuità normativa fra la nuova e la vecchia fattispecie, configurandosi una ipotesi di successione di leggi e non di abolitio criminis, con la conseguenza che va applicata la norma più favorevole al reo, previa verifica, limitata all’esame dei dati emergenti dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado, che la concreta contestazione del fatto sia tale da integrare il reato anche nella sua nuova formulazione (nel caso di specie, tuttavia, la Corte non ha applicato la nuova disposizione, in quanto ha ritenuto che, a seguito del precedente annullamento con rinvio limitato alla determinazione della pena, si fosse già formato il giudicato parziale interno sulla responsabilità dell’imputato). * Cass. pen., sez. I, 24 settembre 2002, n. 31828 (ud. 15 maggio 2002), Mazzei. [RV222379] f-4) Reati societari. l In tema di reati societari, non sussiste continuità normativa tra il reato di indebita concessione di prestiti e garanzie ad amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società commerciali (art. 2624 c.c.) e il reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c., introdotto con il D.L.vo n. 61 del 2002), in quanto, dall’esame strutturale delle suddette fattispecie incriminatrici, emerge un’irriducibile divergenza degli elementi strutturali. Infatti, mentre il reato di cui al previgente 2624 c.c. è delitto di mera condotta e di pericolo presunto, il delitto di cui al vigente art. 2634 è reato di evento, richiedendo la sussistenza di un danno patrimoniale, intenzionalmente arrecato alla società, che deve essere, pertanto, previsto e legato alla condotta da un rapporto di diretta ed immediata causalità. Diverso è, inoltre, l’elemento soggettivo richiesto dalle due fattispecie, dolo COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 72 72 specifico per il reato di cui all’art. 2634 c.c. e dolo generico per il previgente art. 2624 c.c. Ne deriva che, stante la radicale novità introdotta dall’art. 2634 c.c., è applicabile l’art. 2, comma secondo, c.p., in forza della sopravvenuta, integrale abrogazione della previgente norma incriminatrice. * Cass. pen., sez. V, 20 luglio 2007, n. 29268 (ud. 20 febbraio 2007), Dal Ben ed altro. [RV237599] f-5) Servizio militare. l La causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere è inapplicabile, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 66 del 2010 (c.d. codice dell’ordinamento militare) che ha abrogato la L. n. 382 del 1978, al militare che adempia ad un ordine impartitogli da un superiore gerarchico e la cui esecuzione costituisca manifestamente reato, essendo questi tenuto a non eseguirlo e ad informare al più presto i superiori. (In motivazione la Corte ha escluso l’applicabilità dell’esimente putativa dell’art. 51 c.p., invocata da un ufficiale dei carabinieri, precisando, da un lato, che l’erronea convinzione della sua esistenza si traduce in ignoranza inescusabile della legge penale e, dall’altro, che la manifesta criminosità di un ordine costituente reato non può essere ignorata quando il destinatario sia un ufficiale di polizia giudiziaria). * Cass. pen., sez. III, 13 maggio 2011, n. 18896 (ud. 10 marzo 2011), Riccio e altro. [RV250284] l Il rifiuto del servizio militare per ragioni di coscienza, posto in essere prima dell’entrata in vigore della L. 14 novembre 2000 n. 331, ove non sussistano le condizioni nelle quali, ai sensi dell’art. 2, comma primo, lett. f), di detta legge, sarebbe tuttora possibile il reclutamento su base obbligatoria, deve ritenersi non più idoneo a rendere configurabile il reato di cui all’art. 14 della L. 8 luglio 1998; ciò in applicazione della regola dettata dall’art. 2, comma quarto, c.p., atteso che la nuova disciplina sul reclutamento, non avendo del tutto eliminato il servizio militare obbligatorio, non ha comportato una totale « abolitio criminis» ma soltanto una riduzione della possibile sfera di operatività dell’illecito penale. * Cass. pen., sez. I, 13 luglio 2006, n. 24270 (ud. 18 maggio 2006), Lampedone. [RV234839] l La sospensione del servizio militare di leva, previsto dall’art. 7 D.L.vo n. 215 del 2001, non ha determinato la totale abolizione del servizio militare obbligatorio, che continua ad essere disciplinato, in riferimento a specifiche situazioni e a determinati casi eccezionali riferibili anche al tempo di pace, ai sensi dell’art. 2 L. 14 novembre 2000 n. 331. Ne consegue che alla fattispecie di reato di mancata chiamata alle armi, di cui agli artt. 151 e 154 c.p.m.p., non essendo stata essa abolita, si applica il quarto e non il secondo comma dell’art. 2 c.p., secondo cui «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizio- 20-03-2015 10:08:21 73 Titolo I – Legge penale ni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile». (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice dell’esecuzione che aveva rigettato l’istanza di revoca della condanna per abolitio criminis). * Cass. pen., sez. I, 22 giugno 2006, n. 21823 (c.c. 11 aprile 2006), Gabriele. [RV234623] l L’abolizione del servizio militare di leva ridisegna la fattispecie penale del delitto di rifiuto della relativa prestazione eliminando il disvalore sociale della condotta incriminata. Ne consegue che l’art. 1, comma sesto, della legge 14 novembre 2000 n. 331, deve essere considerato norma integratrice del precetto penale e che, con riferimento alle situazioni da esso disciplinate, trova applicazione l’art. 2, secondo comma, c.p., sicchè l’abolizione del servizio di leva comporta la non punibilità della condotta di chi in precedenza, allorchè detto servizio era obbligatorio, ha rifiutato di prestarlo. Tuttavia, in applicazione della normativa transitoria prevista dal combinato disposto degli artt. 3, comma primo, legge n. 331 del 2000, 7, comma primo, D.L.vo n. 215 del 2001 e 1 della legge n. 226 del 2004, per i giovani nati prima del 1985 e già chiamati alle armi, il servizio militare resta obbligatorio sino al 31 ottobre 2005, data di cessazione dal servizio dell’ultimo contingente chiamato alle armi il 31 dicembre 2004, sicchè, nei confronti di coloro che versino in tale situazione e rifiutino di prestare il servizio militare di leva, continuano a ricorrere gli estremi del reato contestato. * Cass. pen., sez. I, 31 marzo 2005, n. 12316 (ud. 10 febbraio 2005), P.G. in proc. Caruso. [RV231721] f-6) Reati in tema di paesaggio. l L’abrogazione integrale della legge 7 marzo 2001 n. 78 (Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale), operata dall’art. 2268, comma primo, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, con effetto dall’8 ottobre 2010, ha determinato l’”abolitio” del reato contravvenzionale previsto dall’art. 10, comma secondo della legge citata per gli interventi di modifica, restauro o manutenzione che abbiano determinato la perdita, il danneggiamento irreparabile o l’alterazione essenziale delle vestigia belliche specificate nell’art. 1, comma secondo, lettere a), b), c), e) della stessa legge, con la conseguenza che la successiva soppressione della norma abolitrice, operata dal D.Lgs. 24 febbraio 2012, n. 20, avendo determinato la “nuova entrata in vigore” della fattispecie incriminatrice, non può retroagire ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto da ultimo citato, ostandovi il principio dell’irretroattività della pena sancito dall’art. 2 cod. pen. * Cass. pen., sez. III, 8 novembre 2013, n. 45159 (ud. 16 luglio 2013), Piffer e altro. [RV257622] l In tema di paesaggio, la disposizione di cui all’art. 181, comma primo ter, del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 41, introdotta dall’art. 1, comma terzo COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 73 Art. 2 lett. c), della legge 15 dicembre 2004 n. 308, ai sensi del quale le sanzioni penali previste dal comma primo dello stesso art. 181 non si applicano qualora l’autorità amministrativa accerti la compatibilità paesaggistica di quanto realizzato, si applica, in presenza delle condizioni prescritte, anche ai fatti pregressi, ai sensi dell’art. 2, comma secondo, c.p.. * Cass. pen., sez. III, 17 maggio 2005, n. 18205 (ud. 12 aprile 2005), Stubing. [RV231648] f-7) Oltraggio a pubblico ufficiale. l L’abrogazione, ad opera dell’art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, del reato di oltraggio a pubblico ufficiale previsto dall’art. 341 c.p. non dà luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, quale previsto e disciplinato dall’art. 2, comma terzo, c.p., per cui nulla si oppone, qualora per detto reato sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, alla revoca della stessa a norma dell’art. 673 c.p.p.; revoca dalla quale vanno, peraltro, ovviamente esclusi gli eventuali reati connessi o unificati sotto il vincolo della continuazione (nella specie, lesioni) ai quali l’abrogazione non si riferisce. * Cass. pen., sez. VI, 8 novembre 2000, n. 1455 (c.c. 24 marzo 2000), P.M. in proc. Tell., in Riv. pen. 2001, 41. l Attesa l’affinità tra l’abrogata figura criminosa dell’oltraggio a pubblico ufficiale e quella, tuttora valida, dell’ingiuria aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale della persona offesa (la quale si differenzia dalla prima esclusivamente sotto il profilo della eterogeneità degli interessi giuridici protetti), ed avuto riguardo alla disciplina dettata in materia di successioni di leggi penali nel tempo dall’art. 2, comma terzo, c.p. (la cui operatività può estendersi anche all’ipotesi in cui la norma abrogata fosse contemplata nel contesto sistematico repressivo antecedente come fattispecie) «speciale» rispetto alla coeva fattispecie «generale» rimasta inalterata, con conseguente espansione della sfera di applicazione di quest’ultima anche ai casi prima rientranti nelle previsioni della prima), deve escludersi che l’abrogazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale abbia dato luogo ad una vera e propria abolitio criminis e che la condanna definitivamente inflitta per detto reato sia quindi soggetta a revoca ai sensi dell’art. 673 c.p.p. * Cass. pen., sez. I, 29 settembre 2000, n. 3144 (c.c. 26 aprile 2000), P.M. in proc. Marandin, in Riv. pen. 2001, 41. f-8) Reati edilizi. l Costituisce una successione di disposizioni integratrici della norma penale (art. 20 lett. b, della legge n. 47 del 1985), rilevante ai sensi dell’art. 2 c.p., il mutamento della disciplina relativa alla costruzione di parcheggi in area pertinenziale esterna ad un fabbricato (art. 17, comma 90, legge n. 127 del 1997) che esclude la necessità della concessione per siffatte opere. * Cass. pen., sez. 20-03-2015 10:08:21 Art. 3 Libro I – Dei reati III, 21 settembre 2000, n. 9893 (ud. 25 maggio 2000), Saccone R. e altro. [RV217866] l In tema di reati edilizi la richiesta ed il rilascio della concessione in sanatoria nei casi in cui nei confronti del richiedente sia già intervenuta sentenza definitiva di condanna sono esclusivamente quelli previsti dall’art. 38 comma 3 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 (annotazione dell’oblazione nel casellario giudiziario e irrilevanza della condanna ai fini dell’applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della pena). In nessun caso è possibile richiedere la sospensione dell’esecuzione della sentenza invocando, ex art. 2 c.p., la cessazione degli effetti della condanna poiché il condono costituisce semplicemente una causa sopravvenuta di non punibilità che non comporta necessariamente l’estinzione della pena quando sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna. * Cass. pen., sez. III, 3 maggio 1996, n. 1265 (c.c. 15 marzo 1996), Nastro G. [RV205234] f-9) Trasporto di oli minerali. l Sussiste continuità normativa — valutabile, dopo l’abrogazione del principio di ultrattività penale (art. 24, comma 1, D.L.vo n. 507 del 1999), alla luce dell’art. 2 c.p. — tra il reato di irregolarità nella circolazione (art. 49 D.L.vo 26 ottobre 1995, n. 504) ed il reato di trasporto di oli minerali senza il prescritto certificato di provenienza (art. 15 legge n. 474 del 1957), avuto riguardo sia alla natura di testo unico del D.L.vo n. 504 del 1995 nonché alla permanente continuità di tutela del bene protetto dalla fattispecie originaria, sia alla corrispondenza del fatto contestato a quello che costituisce oggetto della nuova disciplina, sia alla immutata valutazione legislativa della fattispecie. * Cass. pen., sez. III, 19 luglio 2000, n. 8352 (ud. 9 maggio 2000), Giuliano G. [RV217133] f-10) Ricettazione. l In tema di ricettazione, la provenienza da delitto dell’oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, di talchè l’eventuale abrogazione o le modifiche di tale norma non assumono rilevanza ai sensi dell’art. 2 c.p., e la rilevanza del fatto, sotto il profilo in questione, deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui è intervenuta la condotta tipica di ricezione della cosa od intromissione affinchè altri la ricevano. (Nella fattispecie è stata ritenuta la non revocabilità, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., di una sentenza di condanna per il delitto di ricettazione, sebbene il reato nella specie presupposto, e cioè l’emissione di assegno senza autorizzazione della banca trattaria, fosse stato depenalizzato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza stessa). * Cass. pen., sez. II, 22 settembre 2003, n. 36281 (c.c. 4 luglio 2003), P.M. in proc. Paperini. [RV228412] COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 74 74 f-11) Adesione della Romania alla U.E. l L’adesione della Romania alla Unione Europea a decorrere dal 1° gennaio 2007 non comporta l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 2, commi secondo e quarto, c.p. con riferimento al reato previsto dall’art. 22, comma dodicesimo, D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286 commesso, prima di tale data, in relazione all’occupazione illecita di cittadini romeni. * Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2008, n. 6392 (ud. 30 ottobre 2007), Giampaolo. [RV239074] f-12) Reati doganali. l In tema di reati doganali, l’art. 562. lett. e) del regolamento CEE del 4 maggio 2001, n. 993, che ha esteso a 18 mesi il periodo di tempo durante il quale le imbarcazioni da diporto iscritte nei registri navali dei paesi, non facenti parte della Comunità Europea, possono restare nel territorio doganale comunitario una volta ammesse all’istituto della temporanea importazione per uso privato, previsto dalla Convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956, ratificata e resa esecutiva con legge 3 novembre 1961, n. 1553, è norma integratrice di un elemento normativo della fattispecie di cui all’art. 216 T.U. n. 43 del 1973, la cui modifica non può essere sottratta all’applicazione del principio della successione delle leggi penali posto dall’art. 2 c.p. * Cass. pen., sez. III, 10 ottobre 2002, n. 33934 (c.c. 26 giugno 2002), P.M. in proc. Nanni. [RV222298] f-13) Falsità in valori di bollo. l In tema di falsità in valori di bollo, la legge sul bollo integra un elemento della norma incriminatrice solo per quanto riguarda la individuazione dei valori suddetti e non anche i casi in cui ne è richiesto l’uso; ne consegue che la modifica o la abrogazione di norme che disciplinano tali casi, non incidendo sulla struttura essenziale del reato ma comportando soltanto una variazione del contenuto del precetto, non configurano successione di leggi penali nel tempo, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 c.p. (Fattispecie relative all’uso di bollo contraffatto di tassa di concessione governativa per la patente, la cui apposizione sul documento di guida non è più richiesta dalla legge). * Cass. pen., sez. V, 13 maggio 2002, n. 18068 (ud. 3 marzo 2002), Versace D. [RV221917] 3. Obbligatorietà della legge penale. – La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato (42, 2423), salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale (10, 68, 90, 1224 Cost.) (1). La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all’estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima (7 ss.) o dal diritto internazionale (1080 c.n.; 17, 18 c.p.m.p.) (1). (1) Le eccezioni previste dal diritto pubblico interno riguardano: 20-03-2015 10:08:21 75 Titolo I – Legge penale a) il Capo dello Stato; b) i membri del Parlamento, i consiglieri regionali, i giudici della Corte costituzionale e i membri del Consiglio superiore della magistratura. Le eccezioni previste dal diritto internazionale riguardano: a) la persona del Sommo Pontefice; b) i Capi di Stato esteri e i reggenti; c) i Capi di governo e ministri di Stati esteri o rappresentanti di questi in conferenze o organizzazioni internazionali e i membri stranieri di tribunali arbitrali; d) gli Agenti diplomatici presso il Capo dello Stato, i membri della famiglia dell’agente conviventi, i membri delle missioni militari e tecniche e le loro famiglie, il personale amministrativo e le loro famiglie purché conviventi a carico e gli appartenenti al personale di servizio per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni salvo che non si tratti di cittadini dello Stato ospitante o di persone che abbiano fissato la loro residenza in Italia; e) i membri del Parlamento europeo; f) i Consoli, i vice consoli e gli Agenti consolari; g) i giudici della Corte dell’Aia; h) i membri delle istituzioni specializzate e i rappresentanti dell’O.N.U.; i) i corpi o reparti di truppe straniere, con particolare riferimento ai membri e alle persone al seguito delle forze armate della N.A.T.O. l In tema di immunità previste dal diritto internazionale, poiché alla Repubblica del Montenegro non spetta, nell’ambito della comunità internazionale, la qualifica di Stato sovrano e di soggetto autonomo e indipendente (che fa capo solo allo Stato Unione di Serbia e Montenegro), il presidente della Repubblica e il capo del governo del Montenegro non godono delle immunità dalla giurisdizione penale italiana riconosciute ai capi di Stato e di governo e ai Ministri degli esteri degli Stati sovrani e soggetti di diritto internazionale. (Fattispecie nella quale la Corte ha annullato l’ordinanza del tribunale del riesame che, a conferma della decisione del g.i.p., aveva rigettato, sul rilievo di tale immunità, una richiesta, avanzata nei confronti del Presidente della Repubblica del Montenegro, di misura cautelare per associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di t.l.e.). * Cass. pen., sez. III, 28 dicembre 2004, n. 49666 (c.c. 17 settembre 2004), P.M. in proc. Djukanovic. [RV230222] l L’immunità, che comporta la sottrazione per taluni soggetti all’applicabilità delle sanzioni penali, costituendo un’eccezione al principio di obbligatorietà della legge penale, non può che derivare da disposizioni legislative ed è insuscettibile di interpretazioni estensive ed analogiche, come del resto avverte l’art. 3 c.p. nel limitarla ai soli casi stabiliti dal diritto pubblico interno e dal diritto internazionale. Il diritto internazionale riconosce l’immunità ai soli capi di Stato per il fatto che essi rappresentano i rispettivi Stati. Tutte le altre immunità non possono che sorgere da specifiche norme legislative, le quali non solo devono formulare il collegamento tra l’organo e la COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 75 Art. 4 sua qualità di rappresentante dello Stato straniero, ma devono altresì indicare se l’esonero è generale, ovvero limitato ai fatti commessi nell’esercizio delle loro funzioni. Pertanto l’immunità non può essere riconosciuta al deputato alla sanità e sicurezza sociale del Congresso di stato di S. Marino. * Cass. pen., sez. III, 12 maggio 1998, n. 1011 (c.c. 17 marzo 1997), P.M. in proc. Ghiotti R. [RV210861] l Le immunità dalla giurisdizione previste dalle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e consolari, ratificate e rese esecutive in Italia con L. 9 agosto 1967, n. 804, non sono limitate ai soli rappresentanti diplomatici veri e propri. L’art. 43 della Convenzione del 24 aprile 1963 sulle relazioni consolari, infatti, stabilisce, al primo comma, che anche i «funzionari consolari» e gli «impiegati consolari» non possono essere sottoposti a giudizio dalle autorità giudiziarie e amministrative dello Stato di residenza per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni consolari. (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale per il fatto compiuto dall’imputato — e ritenuto integrare la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. — nell’esercizio delle funzioni di sovrintendente del Cimitero militare americano di Nettuno e di membro della missione diplomatica degli Stati Uniti). * Cass. pen., sez. I, 19 gennaio 1994, n. 469 (ud. 12 novembre 1993), P.M. in proc. Bevilacqua. 4. Cittadino italiano. Territorio dello Stato (1). – Agli effetti della legge penale, sono considerati «cittadini italiani» i cittadini delle colonie, i sudditi coloniali (2), gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità dello Stato e gli apolidi residenti nel territorio dello Stato (2423). Agli effetti della legge penale, è «territorio dello Stato» il territorio «della Repubblica», quello delle colonie (3) e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera (2, 3, 4 c.n.). (1) Si veda la L. 5 febbraio 1992, n. 91 recante nuove norme sulla cittadinanza italiana. (2) I riferimenti ai cittadini delle colonie ed ai sudditi coloniali devono ritenersi non più operanti. (3) Il riferimento al territorio delle colonie deve ritenersi non più operante. l È perseguibile in base alla legislazione italiana e davanti al giudice italiano la violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro accertata a bordo di una nave battente bandiera straniera, attraccata in un porto italiano, quando detta violazione, ed i conseguenti 20-03-2015 10:08:22 Art. 5 effetti lesivi, non abbiano interessato soggetti appartenenti alla c.d. «comunità navale» sottoposta, come tale, alla giurisdizione dello Stato cui la nave appartiene, ma bensì soggetti estranei alla detta comunità quali, nella specie, lavoratori italiani addetti alle operazioni di carico. (Fattispecie in cui delle lesioni colpose di un lavoratore, socio di una cooperativa, caduto dall’alto durante lo stivaggio di una nave è stato ritenuto responsabile il presidente della cooperativa). * Cass. pen., sez. IV, 24 giugno 2000, n. 7409 (ud. 2 maggio 2000), D’Este F. [RV216605] l In caso di perpetrazione di reato su nave mercantile che si trovi nelle acque territoriali di altro Stato, prevale la giurisdizione dello Stato di bandiera allorché l’illecito concerna esclusivamente le attività e gli interessi della comunità nazionale cui appartiene il natante, mentre prevale quella dello Stato costiero ove le conseguenze del fatto compiuto a bordo si ripercuotano o siano idonee a ripercuotersi all’esterno incidendo su interessi primari della comunità territoriale. Tali interessi vanno valutati con riferimento non solo al bene giuridico tutelato dalla norma di cui si assume la violazione, ma anche alla situazione verificatasi in concreto che diviene rilevante per lo Stato costiero allorquando per le sue connotazioni realizzi una condizione di effettivo pericolo che, rendendo probabile l’offesa per la pace pubblica del paese o per il buon ordine del mare territoriale, imponga l’intervento dello Stato costiero. (Fattispecie relativa a ritrovamento su nave mercantile straniera nelle acque territoriali italiane di armi da guerra costituenti dotazione della nave stessa regolarmente iscritte nei libri di bordo e denunciate alle competenti autorità straniere. La Corte di cassazione ha escluso la giurisdizione del giudice italiano). * Cass. pen., Sezioni Unite, 26 gennaio 1990, n. 1002 (ud. 16 novembre 1989), Zaid Avraham. l La legge doganale 25 settembre 1940 n. 7424, art. 33, eleva a dodici miglia marine dalla costa la zona di vigilanza doganale, comprendendo in essa fino a sei miglia il vero e proprio mare territoriale, e da sei a dodici la zona contigua, così che, ai fini della giurisdizione dello Stato italiano, deve ritenersi commesso entro il territorio dello Stato italiano il reato di contrabbando commesso entro le dodici miglia dalla costa. * Cass. pen., Sezioni Unite, 19 gennaio 1952, Poitral. 5. Ignoranza della legge penale. – Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale (473) (1). (1) La Corte costituzionale, con sentenza 24 marzo 1988, n. 364, ha dichiarato l’incostituzionalità di questo articolo, nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. SOMMARIO: a) Nozione e ratio; COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 76 76 Libro I – Dei reati b) Ignoranza inevitabile — Errore scusabile; c) Buona fede nei reati contravvenzionali; d) Casistica. a) Nozione e ratio. l L’errore di diritto inevitabile esclude la colpevolezza anche quando cada sulla norma extrapenale integratrice. * Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2011, n. 43646 (ud. 22 giugno 2011), S. [RV251044] l La valutazione dell’inevitabilità dell’errore di diritto, rilevante ai fini dell’esclusione della colpevolezza, deve tenere conto tanto dei fattori esterni che possono aver determinato nell’agente l’ignoranza della rilevanza penale del suo comportamento, quanto delle conoscenze e delle capacità del medesimo. (Fattispecie relativa al reato di concorso della madre dell’infante nel delitto di cui all’art. 348 c.p., avente ad oggetto la ritenuta rilevanza dell’ignoranza della natura medica della circoncisione praticata per motivi rituali e della conseguente necessità che ad effettuarla sia un soggetto abilitato all’esercizio della professione medica, e ciò per essere quella madre di recente immigrata da un paese straniero in cui tale pratica è diffusa per tradizione etnica, dalla quale la stessa è risultata essere fortemente influenzata in ragione del suo basso grado di cultura). * Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2011, n. 43646 (ud. 22 giugno 2011), S. [RV251045] l Non può essere invocata l’ignoranza della legge penale ex art. 5 c.p. — alla luce dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale — da parte di chi, professionalmente inserito in un campo di attività collegato alla materia disciplinata dalla legge integratrice del predetto penale, non si uniformi alle regole di settore, per lui facilmente conoscibili a ragione dell’attività professionale svolta. (Nella fattispecie, la S.C. ha escluso che l’errore sulla qualifica demaniale di un’area o terreno, in riferimento al reato di occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo, possa essere invocato da un soggetto, legale rappresentante di una società operante nell’ambito dei cantieri navali). * Cass. pen., sez. III, 14 maggio 2004, n. 22813 (ud. 15 aprile 2004), Ferri. [RV229228] l Deve escludersi che l’errore del pubblico ufficiale circa le proprie facoltà di disposizione del pubblico denaro per fini diversi da quelli istituzionali possa assumere qualsivoglia efficacia scriminante perché, pur essendo la destinazione delle somme determinata da una norma di diritto amministrativo, tale norma deve intendersi richiamata dalla norma penale, della quale integra il contenuto. Pertanto, l’illegittimità della destinazione, anche se imputabile ad ignoranza dell’agente sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un errore di fatto su legge diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza della legge penale e, come tale, non vale ad escludere l’elemento soggettivo del reato di peculato che 20-03-2015 10:08:22 77 Titolo I – Legge penale consiste nella coscienza e volontà di far proprie somme di cui il pubblico ufficiale ha il possesso per ragioni del suo ufficio. Né potrebbe essere utilmente richiamato il decisum della sentenza costituzionale n. 364 del 1988 che ha dichiarato illegittimo l’art. 5 c.p., nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. Infatti, i soggetti che esplicano professionalmente una determinata attività rispondono anche in virtù della culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica; da ciò deriva che per la scusabilità dell’ignoranza (e, dunque, anche dell’errore) occorre che da un comportamento degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale venga tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto. * Cass. pen., sez. VI, 5 ottobre 1994, n. 10458 (ud. 30 giugno 1994), Diene ed altri. b) Ignoranza inevitabile — Errore scusabile. l La valutazione dell’inevitabilità dell’errore di diritto, rilevante ai fini dell’esclusione della colpevolezza, deve tenere conto tanto dei fattori esterni che possono aver determinato nell’agente l’ignoranza della rilevanza penale del suo comportamento, quanto delle conoscenze e delle capacità del medesimo. (Fattispecie relativa al reato di concorso della madre dell’infante nel delitto di cui all’art. 348 c.p., avente ad oggetto la ritenuta rilevanza dell’ignoranza della natura medica della circoncisione praticata per motivi rituali e della conseguente necessità che ad effettuarla sia un soggetto abilitato all’esercizio della professione medica, e ciò per essere quella madre di recente immigrata da un paese straniero in cui tale pratica è diffusa per tradizione etnica, dalla quale la stessa è risultata essere fortemente influenzata in ragione del suo basso grado di cultura). * Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2011, n. 43646 (ud. 22 giugno 2011), S. [RV251045] l La scusabilità dell’ignoranza della legge penale, può essere invocata dall’operatore professionale di un determinato settore solo ove dimostri, da un lato, di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e, dall’altro, di essersi informato in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così adempiendo il dovere di informazione. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto inescusabile l’ignoranza, da parte del titolare di uno stabilimento di depurazione e stabulazione di molluschi, delle procedure di rinnovo delle concessioni demaniali marittime, invocata per l’asserita “farraginosità “ della disciplina tale da giustificare l’emanazione di una norma di interpretazione autentica, nonché” per la difficoltà di reperire corrette informazioni sul trasferimento di competenze alla Regione). * Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 2011, n. 35694 (ud. 5 aprile 2011), Pavanati. [RV251225] COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 77 Art. 5 l L’esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo. Ne consegue che in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che, in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall’intervento, con l’espletamento di qualsiasi utile accertamento volto a conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia. (Fattispecie in tema di coltivazione per uso personale di sostanze stupefacenti). * Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 6991 (ud. 25 gennaio 2011), Sirignano e altro. [RV249451] l Deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per <<legge diversa dalla legge penale>> ai sensi dell’art. 47 c.p. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l’art. 76 D.L.vo n. 115 del 2002, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 95 stesso D.L.vo, non costituisca legge extrapenale). * Cass. pen., sez. IV, 21 ottobre 2010, n. 37590 (ud. 7 luglio 2010), P.G. in proc. Barba. [RV248404] l L’inevitabilità dell’errore sulla legge penale non si configura quando l’agente svolge una attività in uno specifico settore rispetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto legittima la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la sussistenza del reato di cui all’art. 220, comma secondo, L. fall. nei confronti del socio accomandatario di una s.a.s. che aveva invocato l’ignoranza senza colpa del precetto penale, avendo assunto la qualifica di amministratore per fare un favore ad un amico). (Corte cost. n. 364 del 1988). * Cass. pen., sez. V, 3 giugno 2008, n. 22205 (ud. 26 febbraio 2008), Ciccone. [RV240440] l La esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione normativa; ma in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo 20-03-2015 10:08:22 Art. 5 Libro I – Dei reati sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che in caso di dubbio si determina l’obbligo di astensione dall’intervento e dell’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia. (Fattispecie relativa al regime vincolistico successivo alla scadenza temporale di validità dei programmi pluriennali di attuazione per le edificazioni in zone oggetto di pianificazione al momento di entrata in vigore della legge 8 agosto 1985 n. 431). * Cass. pen., sez. III, 24 giugno 2004, n. 28397 (ud. 16 aprile 2004), P.G. in proc. Giordano. Conforme, Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 6991 (ud. 20 gennaio 2011), Sirignano e altro. [RV229060] l L’ignoranza della legge penale, l’agente abbia fatto tutto il possibile per adeguarsi al dettato della norma e questa sia stata violata per cause indipendenti dalla sua volontà. Ne consegue che non è sufficiente ad integrare gli estremi della scriminante il comportamento passivo dell’agente, essendo invece necessario che questi si attenga con l’ordinaria diligenza all’obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto non scriminare l’agente dall’aver dichiarato falsamente alla Capitaneria di porto di essere in possesso dei requisiti morali richiesti dal D.P.R. 9 ottobre 1997, n. 431 per l’ammissione agli esami per il conseguimento della patente nautica, il fatto che sul modulo prestampato predisposto dalla P.A. fosse richiamato genericamente il suddetto regolamento, senza citarne gli estremi). * Cass. pen., sez. V, 31 ottobre 2003, n. 41476 (ud. 25 settembre 2003), Izzo. [RV227042] l L’errore di diritto scusabile, ai sensi dell’art. 5 c.p. è configurabile soltanto in presenza di una oggettiva ed insuperabile oscurità della norma o del complesso di norme aventi incidenza sul precetto penale. Ne consegue che non è scusabile l’errore riferibile al calcolo dell’ammontare degli interessi usurari sulla base di quanto disposto dall’art. 644 c.p., trattandosi di interpretazione che, oltre ad essere nota all’ambiente del commercio, non presenta in sé particolari difficoltà. * Cass. pen., sez. VI, 22 settembre 2003, n. 36346 (ud. 5 febbraio 2003), Delucca. [RV226911] l La esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall’errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi, dal mero errore di interpretazione, che diviene scusabile quando è determinato da un atto della pubblica amministrazione o tragga la convinzione della correttezza dell’interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta. * Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2000, n. 4951 (ud. 17 dicembre 1999), Del Cuore F. Conformi: Cass. pen., sez. III, 7 gennaio 2008, n. 172 (ud. 6 novembre 2007), Picconi; Cass. pen., sez. III, 30 dicembre 2009, n. 49970 (ud. 4 novembre 2009), Cangialosi ed altri. [RV216561] COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 78 78 l L’errore su legge diversa da quella penale, idoneo ad escludere la punibilità, è solo quello che riguarda una norma destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamata né esplicitamente né implicitamente nella norma penale. Non è perciò scusabile l’errore che incide su precetti e termini di altre branche del diritto, introdotti ad integrazione della norma penale, proprio perché essi determinano il contenuto del comando penale. (Nella fattispecie, relativo alla pretesa dell’imputato di veder riconosciuto l’errore sulle norme in tema di società, la Corte ha affermato che la figura dell’amministratore di una società è espressamente richiamata dagli artt. 2621 c.c. e 223 legge fallimentare che prevedono reati propri). * Cass. pen., sez. V, 23 febbraio 2000, n. 2174 (ud. 11 gennaio 2000), Di Patti ed altri. [RV215480] l In materia di tutela ambientale e in tema di ignoranza della legge penale, l’affittuario di un fondo sottoposto al vincolo di cui alla legge n. 431/1985, che agisca in violazione dello stesso, non può addurre la carenza dell’elemento soggettivo del reato per il modesto livello d’istruzione o per l’esecuzione, prolungata nel tempo, di lavori d’aratura, consistenti, nella fattispecie, nel completo sradicamento di macchia mediterranea, senza alcun controllo da parte delle autorità preposte alla tutela del vincolo; infatti, l’accertamento dello stato della legislazione è tanto più necessario, quanto minore è la preparazione tecnica dell’agente. * Cass. pen., sez. III, 18 giugno 1997, n. 5961 (ud. 3 giugno 1997), Piras ed altro, in Riv. pen. 1997, 821. l Il fondamento costituzionale della «scusa» della inevitabile ignoranza della legge penale vale prima di tutto per chi versa in condizioni soggettive di sicura inferiorità e non può certo essere strumentalizzato per coprire omissioni di controllo o atteggiamenti indifferenti di soggetti dai quali, per la loro elevata condizione sociale e tecnica, sono esigibili particolari comportamenti realizzativi di obblighi strumentali di diligenza nel conoscere le leggi penali; l’ipotesi di un soggetto sano e maturo di mente che commetta fatti criminosi ignorandone la antigiuridicità è concepibile soltanto quando si tratti di reati che, sebbene presentino un generico disvalore sociale, non siano sempre e dovunque previsti come illeciti penali, ovvero di reati che non presentino neppure un generico disvalore sociale. In relazione a tali categorie di reati possono essere prospettate due ipotesi: quella in cui il soggetto si rappresenti effettivamente la possibilità che il suo fatto sia antigiuridico e quella in cui tale possibilità non si rappresenti neppure; mentre nella prima di dette ipotesi esistendo, in concreto, più che la possibilità di conoscenza dell’effettiva illiceità del fatto, la concreta previsione di essa, non può ravvisarsi ignoranza inevitabile della legge penale (dovendo il soggetto risolvere il «dubbio eventuale» attra- 20-03-2015 10:08:22 79 Titolo I – Legge penale verso l’esatta conoscenza della specifica norma o, in caso di soggettiva invincibilità di esso, astenersi dall’azione), nella seconda ipotesi è riservato al giudice il compito di una valutazione attenta delle ragioni per le quali l’agente, che ignora la legge penale, non si è neppure prospettato un dubbio sulla illiceità del fatto e, se l’assenza di simile dubbio risulti discendere — in via principale — da personale ed incolpevole mancanza di socializzazione dello stesso, l’ignoranza della legge penale va, di regola, ritenuta inevitabile. * Cass. pen., sez. III, 12 giugno 1996, n. 2149 (c.c. 9 maggio 1996), Falsini. [RV205513] l In tema di elemento soggettivo del reato, è configurabile l’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale anche nei confronti di quei soggetti dotati di particolari conoscenze giuridiche o dediti ad attività professionali o mestieri, che presuppongono tali condizioni, qualora la normativa, attinente alla specifica disciplina, oggetto di regolamentazione, presenti rilevanti ed oggettivi connotati di equivocità, che rendano ragionevolmente oscuro il precetto, contenente il divieto d’agire ovvero l’ordine di operare. In tal caso non può essere mosso alcun addebito di rimproverabilità all’agente, qualunque sia il suo grado di «socializzazione», non potendosi pretendere dal singolo un’astensione (tra l’altro impossibile nelle ipotesi di ordine positivo) o una paralisi di attività della vita di relazione, non dovuta, perché ascrivibili non alla coscienza d’illiceità della condotta da parte del privato, ma al cattivo funzionamento dell’apparato ordinamentale. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che trova piena applicazione il suddetto principio, reputata estremamente complessa la normativa [legislazione vigente in materia di sussistenza dei vincoli paesistici con riferimento ai piani pluriennali di attuazione ed alla possibilità di inquadrare tra questi ultimi i piani di zona per l’edilizia economica e popolare - Peep] e, nella sua diversificata formulazione, oggettivamente oscura per gli stessi tecnici del diritto, come dimostrato dai contrasti interpretativi in sede cautelare ed in sede di cognizione, ciò in presenza di vari atti dell’assessore all’urbanistica, il quale si era ripetutamente espresso per la non necessità del nulla osta in riferimento agli interventi di edilizia residenziale pubblica). * Cass. pen., sez. III, 27 maggio 1996, n. 5244 (ud. 23 aprile 1996), Gatto. [RV205109] l Deve ritenersi inevitabile l’ignoranza della legge penale, quando l’agente sia incorso nella trasgressione nonostante si sia attenuto correttamente e con l’ordinaria diligenza all’obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi, posto a carico di tutti i consociati quale esplicazione dell’ampio dovere di solidarietà sociale e l’accertamento di tale diligenza deve essere particolarmente approfondito per chi esercita professionalmente in un determinato settore un’attività alla quale inerisce la disciplina predisposta dalle norme violate, sicché non è sufficiente ad inte- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 79 Art. 5 grare gli estremi della scriminante un comportamento meramente passivo dell’agente, mentre è necessario che si tratti di un reato di creazione legislativa e non di una norma corrispondente ad un’esigenza morale universalmente avvertita. (Fattispecie in tema di omessa annotazione sulle scritture contabili di cessioni di beni). * Cass. pen., sez. III, 3 maggio 1996, n. 4464 (ud. 20 marzo 1996), Stefanelli. [RV204431] l A seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto «dovere di informazione», attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto. (Fattispecie relativa a reati urbanistici, in relazione ai quali la Suprema Corte ha confermato l’assoluzione pronunciata dal giudice di merito per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, motivata dalla convinzione degli imputati dell’assenza del vincolo di inedificabilità, più volte affermata in provvedimenti del giudice amministrativo, nonché in specifici atti ufficiali del Ministero dei beni culturali e ambientali e del Comune interessato, e ha conseguentemente ritenuto assorbita, perché irrilevante, la questione della sindacabilità, da parte del giudice ordinario, della concessione «macroscopicamente illegittima»). * Cass. pen., Sezioni Unite, 18 luglio 1994, n. 8154 (ud. 10 giugno 1994), P.G. in proc. c. Calzetta ed altro. Conforme, Cass. pen., sez. IV, 18 agosto 2010, n. 32069 (c.c. 15 luglio 2010), P.M. in proc. Albuzza e altri. l L’incertezza che potrebbe derivare da contrastanti indirizzi giurisprudenziali, nell’interpretazione ed applicazione di una norma, non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile della legge penale. Al contrario, il dubbio sulla liceità o meno, così originato, deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino, cioè (secondo l’esplicito pensiero espresso nella sentenza della Corte costituzionale 24 marzo 1988, n. 364) all’estensione dell’azione, se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità dell’azione stessa; 20-03-2015 10:08:22 Art. 5 Libro I – Dei reati e ciò, perché il dubbio, non essendo equiparabile allo stato di inevitabile ed invincibile ignoranza, non esclude la consapevolezza della illiceità. * Cass. pen., sez. III, 2 luglio 1994, n. 7550 (ud. 1 giugno 1994), Cherubini. Conforme, Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 1995, n. 6175 (ud. 27 marzo 1995), Bando. l In tema di ignoranza scusabile della legge penale, su coloro che esercitano professionalmente un’attività incombe il dovere, nell’ipotesi di dubbio sulla liceità dell’azione, di astenersi dal compierla. * Cass. pen., sez. III, 23 giugno 1994, n. 7287 (ud. 6 maggio 1994), Bonsignore. l Non può ritenersi inquadrabile nell’ambito delle situazioni soggettive che, solo eccezionalmente, alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364/1988 (dichiarativa della parziale incostituzionalità dell’art. 5 c.p.), consentono di ritenere inoperante il principio generale, tuttora valido, della inescusabilità della ignoranza della legge penale, la situazione di chi, sol perché straniero, adduca a sua giustificazione la diversità della legge italiana rispetto a quella del suo paese d’origine. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse attribuirsi rilevanza, in un caso di violenza carnale presunta, in quanto commessa su soggetto infraquattordicenne, all’assunto difensivo dell’imputato, cittadino marocchino, secondo il quale in Marocco i rapporti sessuali con minori sarebbero considerati leciti dalla legge). * Cass. pen., sez. III, 15 marzo 1994, n. 3114 (ud. 7 dicembre 1993), Tabib. l Si verifica in ipotesi di ignoranza inescusabile della legge penale, nel caso in cui il soggetto, pur dimostrando di conoscere appieno il precetto penale non vi si conformi in base a mere notizie giornalistiche, inerenti alla eventuale imminente modifica della norma in senso più favorevole. In tal caso l’agente, deve accertare in modo irrefutabile l’avvenuto cambiamento, attenendosi fino a quel momento alla disposizione vigente. * Cass. pen., sez. III, 6 ottobre 1993, n. 9092 (ud. 18 giugno 1993), Santarelli. l Ai fini della configurabilità dell’ignoranza scusabile della legge penale, la scriminante della buona fede può trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui l’agente abbia fatto tutto il possibile per adeguarsi al dettato della norma e questa sia stata violata per cause indipendenti dalla volontà dell’agente medesimo, al quale non può essere mosso alcun rimprovero, neppure di semplice leggerezza. Non è sufficiente ad integrare gli estremi dell’esimente un comportamento meramente passivo, essendo necessario che l’interessato si attivi per adeguarsi all’ordinamento giuridico. * Cass. pen., sez. III, 23 luglio 1993, n. 7161 (ud. 3 giugno 1993), Cardia. l L’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, che a seguito della sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, rende scusabile COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 80 80 la ignoranza stessa, non va valutata alla stregua di criteri esclusivamente soggettivi, ma si ricollega all’effettiva possibilità di conoscere la legge penale ed ai doveri di informazione o di attenzione sulle norme penali; doveri che sono alla base della convivenza civile. * Cass. pen., sez. VI, 20 maggio 1993, n. 5225 (ud. 12 marzo 1993), Sicurella. l L’errore di diritto scusabile, in quanto dovuto ad ignoranza «inevitabile» della legge penale nella sua esatta delimitazione e nel suo preciso significato (alla stregua di quanto affermato dalla sentenza della Corte costituzionale 24 marzo 1988 n. 364, dichiarativa della parziale illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p.), è configurabile solo in presenza di una oggettiva e insuperabile oscurità della norma o del complesso di norme da cui deriva il precetto penalmente sanzionato; condizione, questa, che non si verifica nel caso di cui al combinato disposto degli artt. 2 comma terzo, 11 e 23 della L. 18 aprile 1975, n. 110, in forza del quale costituisce delitto la detenzione di un’arma ad aria compressa (nella specie trattavasi di una carabina), non sottoposta, entro il termine di legge, alle prescritte operazioni di immatricolazione. * Cass. pen., sez. I, 25 novembre 1992, n. 11360 (ud. 14 ottobre 1992), Zentile. l Pur obbligando la legge penale italiana tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, la disposizione dell’art. 5 c.p., a seguito della nota sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, deve intendersi nel senso che l’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si tratti di ignoranza inevitabile: statuizione, quest’ultima, che implica il dovere per le pubbliche autorità, nei congrui casi, di formulare norme, regolamenti e provvedimenti in modo riconoscibile per i loro destinatari. (Nella specie è stata eslcusa la configurabilità della contravvenzione all’art. 15 T.U.L.P.S. nella condotta di uno straniero inottemperante all’invito a presentarsi in questura, sul rilievo che non risultava che conoscesse la lingua italiana e che lo stesso non era stato informato delle conseguenze penali in caso di inosservanza dell’ordine ricevuto). * Cass. pen., sez. I, 9 maggio 1992, n. 5436 (ud. 20 marzo 1992), Faicel. l Si può ritenere inevitabile l’ignoranza della legge penale, quando l’agente sia incorso nella trasgressione nonostante che si sia attenuto correttamente e con l’ordinaria diligenza all’obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi, posto a carico in generale di tutti i consociati quale esplicazione dell’ampio dovere di solidarietà sociale, ed in particolare di quelli professionalmente inseriti in un determinato settore di attività al quale inerisce la disciplina predisposta dalle norme violate. * Cass. pen., sez. III, 7 dicembre 1991, n. 12407 (ud. 28 ottobre 1991), Lisci. Conforme, Cass. pen., sez. III, 17 gennaio 1996, n. 494 (ud. 5 dicembre 1995), Rainone. 20-03-2015 10:08:22 81 Titolo I – Legge penale c) Buona fede nei reati contravvenzionali. l L’ignoranza della legge penale scusa l’autore dell’illecito qualora sia inevitabile, e quindi incolpevole, facendo venir meno l’elemento soggettivo del reato, anche se contravvenzionale. Tale condizione deve ritenersi sussistente per il cittadino comune, soprattutto se sfornito di specifiche competenze, allorché egli abbia assolto il dovere di conoscenza con l’ordinaria diligenza attraverso la corretta utilizzazione dei mezzi di informazione, di indagine e di ricerca dei quali disponga. (Fattispecie concernente la riconducibilità alla categoria delle armi di un apparecchio che trasmette impulsi elettrici). (V. Corte cost., 23 marzo 1988 n. 364). * Cass. pen., sez. I, 9 giugno 2004, n. 25912 (ud. 18 dicembre 2003), Garzanti. [RV228235] l In materia contravvenzionale è configurabile la buona fede ove la mancata coscienza della illiceità del fatto derivi non dall’ignoranza inescusabile della legge, ma da un elemento positivo, cioè da una circostanza che induce nella convinzione della sua liceità, come un comportamento dell’autorità amministrativa. (Nella specie l’imputato aveva ritenuto che l’autorizzazione di agibilità dei locali del suo insediamento produttivo rilasciatogli dal sindaco fosse comprensiva anche dell’autorizzazione allo scarico dei reflui provenienti dallo stesso insediamento, in tale erronea convinzione essendo stato indotto dal comportamento dell’autorità amministrativa). * Cass. pen., sez. III, 3 marzo 1992, n. 2336 (ud. 31 gennaio 1992), Santori. Conforme, Cass. pen., sez. III, 21 aprile 1989, n. 6160 (ud. 8 marzo 1989), Greco. u Si veda anche sub art. 42. d) Casistica. l In tema di reati contro il patrimonio, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2, L. 23 dicembre 1986, n. 898 (indebito conseguimento di contributi a carico del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia, cosiddetta frode comunitaria), l’eventuale ignoranza da parte del reo del contenuto della domanda e delle attestazioni effettuate e sottoscritte non esclude il dolo ex art. 5 c.p. in relazione alla sentenza della Corte cost. n. 364 del 1988, in quanto non si versa in tal caso in una ipotesi di ignoranza inevitabile della legge penale essendo noto il disvalore sociale della condotta. * Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2008, n. 2257 (ud. 30 novembre 2007), Di Stefano. [RV238627] l Ai fini della configurabilità del delitto di evasione dagli arresti domiciliari, ritenere che la notifica di un decreto di citazione per l’udienza autorizzi implicitamente ad allontanarsi dal luogo di restrizione, è un errore di diritto, in quanto afferisce alla disciplina degli arresti domiciliari che integra la fattispecie penale, e pertanto non può essere scusabile neppure per lo straniero, il quale, come il cittadino italiano, quando è destinatario di un regime di arresti domiciliari, deve osservare COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 81 Art. 5 con la massima diligenza la regola fondamentale dell’assoluto divieto di allontanamento dal proprio domicilio, senza preventiva autorizzazione del giudice. * Cass. pen., sez. VI, 16 aprile 2004, n. 17687 (ud. 9 gennaio 2004), Caku. [RV228465] l Ai fini della sussistenza del reato di falso in scrittura privata non ha alcuna rilevanza il consenso o l’acquiescenza della persona di cui venga falsificata la firma, in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l’agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sè un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l’erroneo convincimento sull’effetto scriminante del consenso si risolve in una inescusabile ignoranza della legge penale. * Cass. pen., sez. II, 10 novembre 2003, n. 42790 (ud. 24 ottobre 2003), Del Miglio. [RV227615] l Nel reato di illegale detenzione di armi e munizioni l’elemento psicologico nel dolo generico, e cioè nella coscienza e volontà di avere a disposizione materialmente l’arma o le munizioni senza averne fatto denuncia, mentre a nulla rileva l’eventuale buona fede dell’agente ovvero l’erroneo convincimento circa l’obbligo della denuncia che si risolve in ignoranza della legge penale, inescusabile per il principio generale sancito dall’art. 5 c.p. * Cass. pen., sez. I, 2 aprile 2001, n. 12911 (ud. 19 dicembre 2000), Bortoluzzi. [RV218441] l Poiché lo scopo della L. 4 aprile 1956, n. 212 (norme per la disciplina della propaganda elettorale) è quello di tutelare la par condicio di coloro che concorrono nella competizione elettorale, l’art. 8, comma 3 della legge punisce non solo chiunque affigge manifesti elettorali fuori delle superfici globalmente destinate alla propaganda elettorale, ma a maggior ragione, punisce anche chiunque affigge manifesti dentro quelle superfici globali e tuttavia fuori della specifica superficie assegnata alla lista o al concorrente uninominale propagandato dal manifesto affisso. (Nella specie, la Suprema Corte ha altresì osservato che «non può ritenersi errore scusabile sulla interpretazione della norma incriminatrice quello in cui sarebbero incorsi gli imputati: è nozione di comune esperienza che gli «attacchini» elettorali sono adeguatamente edotti sulle norme da osservare per le affissioni; e che se essi violano tali norme, le violano coscientemente o comunque per ignoranza non scusabile»). * Cass. pen., sez. III, 4 ottobre 1995, n. 10132 (ud. 27 giugno 1995), Sacco ed altro. [RV203086] l L’ignoranza della legge penale può ritenersi inevitabile, e quindi scusabile, quando l’agente sia incorso nella trasgressione nonostante che si sia attenuto correttamente, e con l’ordinaria diligenza, all’obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi posto in generale a carico di tutti i consociati. (Fattispecie relativa ad impu- 20-03-2015 10:08:23 Art. 6 Libro I – Dei reati tato il quale aveva sostenuto la tesi dell’inevitabilità dell’errore assumendo di aver ignorato la legge penale — specificamente in materia di detenzione di armi — vivendo in condizioni eremitiche. La Suprema Corte — nel rigettare il ricorso proposto dall’imputato avverso la sentenza di condanna — ha enunciato il principio di cui in massima). * Cass. pen., sez. I, 27 giugno 1995, n. 7323 (ud. 4 maggio 1995), Bindi. [RV201919] l In tema di reato di maltrattamento di animali (art. 727 c.p.), il cosiddetto «dovere di informazione» cui il comune cittadino è tenuto, è esigibile anche dal cacciatore, che esercita un’attività normativamente disciplinata e condizionata dal rilascio di un’autorizzazione e non può, pertanto, invocare l’ignoranza scusabile della norma penale. (Fattispecie relativa alla detenzione di volatili, fungenti da richiamo, in minuscole gabbie, ossia in una condizione incompatibile con la loro natura). * Cass. pen., sez. III, 16 giugno 1995, n. 6897 (ud. 24 aprile 1995), Parussolo. [RV201787] l In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella forma dell’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, non si può invocare l’errore di fatto, né l’ignoranza della legge penale sotto il profilo della sua inevitabilità, poiché l’obbligo sanzionato deriva da inderogabili principi di solidarietà, ben radicati nella coscienza della collettività, prima ancora che nell’ordinamento. (Fattispecie nella quale il difetto del dolo era stato sostenuto dall’imputato adducendo che l’udienza presidenziale di separazione tra i coniugi era stata rinviata, senza che alcun provvedimento fosse stato adottato riguardo al mantenimento). * Cass. pen., sez. V, 12 maggio 1995, n. 5447 (ud. 26 aprile 1995), De Padua. [RV201328] l L’ignoranza inevitabile della legge penale è configurabile solo se emerga che nessun rimprovero, neppure di leggerezza, possa essere mosso all’imputato per avere egli fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge. (Fattispecie relativa ad imputato che aveva scaricato nelle acque di un canale i reflui derivanti dalla propria attività produttiva ed era stato assolto dal giudice di merito per avere commesso il fatto in stato di ignoranza inevitabile della legge penale ingeneratogli dalla oscurità e difficoltà interpretativa della legislazione in materia e dai relativi contrasti giurisprudenziali circa la natura civile o produttiva degli insediamenti. La Corte di cassazione nell’annullare tale decisione ha osservato che quanto allegato avrebbe al più potuto ingenerare dubbio sulla qualifica dell’insediamento di cui l’imputato era a capo, risolvibile con l’ausilio di esperti, ma non dargli la certezza che si trattasse di un insediamento civile al quale fosse consentito rimettere in acque superficiali scarichi inquinanti). * Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1994, n. 3959 (ud. 31 gennaio 1994), Gualdi. l In tema di smaltimento di rifiuti senza autorizzazione, non è invocabile l’errore inescusabile COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 82 82 sulla illiceità della condotta, quando l’imputato abbia mostrato consapevolezza della necessità del provvedimento amministrativo, avanzando alla competente autorità la relativa istanza. * Cass. pen., sez. III, 30 luglio 1991, n. 8429 (ud. 5 luglio 1991), Jeanmonod. l In materia di stupefacenti, è da escludere ogni ipotesi di ignoranza inevitabile (art. 5 c.p. a seguito della sentenza n. 364/1988 della Corte cost.), in considerazione degli interventi normativi del legislatore, ripetuti e risalenti nel tempo (L. 16 gennaio 1933, n. 130, che approvava la Convenzione di Ginevra del 13 luglio 1931 per limitare la fabbricazione e regolare la distribuzione degli stupefacenti; L.. 22 ottobre 1954, n. 1041, L. 22 dicembre 1975, n. 685, mod. dalla L. 26 giugno 1990, n. 162 e trasfusa nel T.U. 9 ottobre 1990, n. 309) e dell’enorme rilevanza della materia, con conseguente larghissima diffusione della comunicazione sociale intorno ad essa. (Fattispecie in tema di coltivazione di n. 991 piantine di papaver sonniferum, in cui era stata invocata l’ignoranza della legge da parte dell’imputato analfabeta). * Cass. pen., sez. VI, 28 giugno 1991, n. 6931 (ud. 22 febbraio 1991), La Porta. 6. Reati commessi nel territorio dello Stato. – Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato (3, 42) è punito secondo la legge italiana (11). Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione. SOMMARIO: a) Individuazione del reato commesso in territorio italiano — In genere; b) Reato concorsuale; c) Reati commessi via Internet. a) Individuazione del reato commesso in territorio italiano — In genere. l In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sè carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico “iter” delittuoso da considerarsi come inscindibile. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto sottoposto alla giurisdizione italiana 20-03-2015 10:08:23 83 Titolo I – Legge penale il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in riferimento a persona operante all’estero per conto di una consorteria la cui attività in Italia, posta in essere da altri sodali, era consistita esclusivamente nello sbarco di casse di tabacchi lavorati esteri e nella vendita di tali prodotti di contrabbando, senza esplicazione del metodo mafioso). * Cass. pen., sez. I, 3 ottobre 2014, n. 41093 (ud. 6 maggio 2014), Cuomo e altri. [RV260703] l In tema di mandato di arresto europeo, il motivo di rifiuto della consegna previsto dall’art. 18, comma primo, lett. p), L. 22 aprile 2005, n. 69, sussiste quando anche solo una parte della condotta si sia verificata in territorio italiano, purchè tale circostanza risulti con certezza, non potendosi ritenere sufficiente la mera ipotesi che il reato sia stato commesso in tutto o in parte in Italia. * Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 2013, n. 20281 (ud. 24 aprile 2013), Vetro. [RV257025] l In tema di mandato di arresto europeo, quando la richiesta di consegna riguardi fatti commessi in parte nel territorio dello Stato ed in parte in territorio estero, la sussistenza del motivo di rifiuto previsto dall’art. 18, comma primo, lett. p), L. 22 aprile 2005, n. 69, deve essere valutata alla luce dell’art. 31, comma secondo, della Decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, il quale fa salvi eventuali accordi o intese bilaterali o multilaterali, vigenti al momento della sua adozione e volti a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna della persona richiesta. (Fattispecie relativa ad un m.a.e. emesso dall’autorità tedesca per reati in tema di stupefacenti, alcuni dei quali commessi in parte in Italia, in cui la S.C. ha ritenuto applicabile l’art. II dell’Accordo bilaterale italo-tedesco del 24 ottobre 1979, ratificato con legge 11 dicembre 1984, n. 969, con il quale le parti avevano limitato l’incidenza del motivo di rifiuto di cui all’art. 7 della Convenzione europea di estradizione del 1957, nell’ipotesi in cui la domanda di consegna avesse riguardato anche reati non soggetti alla giurisdizione dello Stato di rifugio, e fosse risultato opportuno far giudicare tutti i reati nello Stato richiedente). * Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 2013, n. 20281 (ud. 24 aprile 2013), Vetro. [RV257024] l Sono punibili, secondo la legge italiana, come se commessi per intero in Italia, anche i reati la cui condotta sia avvenuta solo in parte nel territorio dello Stato o il cui evento si sia ivi verificato, ancorché si tratti di frammento di condotta privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto commesso in Italia il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, sub specie di offerta, messa in vendita e cessione di sostanze stupefacenti, in quanto lo scambio della droga, ancorché materialmente avvenuto in territorio estero, era stato preceduto da contatti telefonici con i singoli acquirenti i COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 83 Art. 6 quali percepivano la disponibilità alla cessione della droga in Italia da dove chiamavano). * Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 2012, n. 44837 (ud. 11 ottobre 2012), Pmt in proc. Krasniqi. [RV254968] l Il reato omissivo colposo si considera commesso nello Stato, in applicazione del principio di territorialità della legge penale, qualora abbia avuto luogo in tale territorio anche una sola parte della omissione causativa dell’evento. * Cass. pen., sez. IV, 1 giugno 2011, n. 22147 (ud. 10 marzo 2011), Bernard. [RV250701] l In tema di ricettazione, il reato deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato qualora in Italia si sia proceduto alla sola predisposizione, mediante la creazione di un doppio fondo, del veicolo utilizzato per importare la merce illecita successivamente acquistata all’estero, non rilevando in proposito che l’originario programma criminoso prevedesse l’acquisto di beni, comunque di natura illecita, di genere diverso rispetto a quelli poi effettivamente acquisiti. (Fattispecie in tema di ricettazione di armi da guerra acquistate all’estero in luogo dell’originario programmato acquisto di una partita di stupefacente). * Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2008, n. 15280 (ud. 7 marzo 2008), Lentini. [RV239610] l Ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificata anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, e, quindi, un qualsiasi atto dell’iter criminoso. Connotazione che tuttavia non può essere riconosciuta ad un generico proposito, privo di concretezza e specificità, di commettere all’estero fatti delittuosi, poi lì integralmente realizzati, sotto il profilo soggettivo e oggettivo (fattispecie in tema di mandato di arresto europeo). * Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2008, n. 1180 (c.c. 7 gennaio 2008), Lichtemberger, in Riv. pen. 2008, 502. Conformi: Cass. pen., sez. VI, 29 ottobre 2008, n. 40287 (c.c. 28 ottobre 2008), Erikci; Cass. pen., sez. IV, 22 aprile 2009, n. 17026 (ud. 17 dicembre 2008), Vigi. [RV238228] l In tema di stupefacenti, nel caso in cui il «corriere» della droga proveniente da uno Stato estero, sia sbarcato in un aeroporto italiano al solo fine di transitarvi verso una ulteriore destinazione estera, il delitto di importazione di sostanze stupefacenti deve ritenersi comunque consumato in Italia con conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice italiano, individuato, sotto il profilo della competenza territoriale, in quello del luogo d’ingresso della droga entro il confine di Stato. * Cass. pen., sez. IV, 6 settembre 2007, n. 34116 (ud. 13 giugno 2007), Vilardell Bonadona. [RV236943] l In base al dettato dell’art. 6 c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione od omissione che lo costituisce è ivi avvenuta, in tutto od in parte, ovvero si è verificato nel territorio italiano l’evento che è conseguenza dell’azione od omissione; pertanto, 20-03-2015 10:08:23 Art. 6 Libro I – Dei reati la condotta del reato di frode in commercio che abbia avuto inizio in Italia, con la consegna della merce da parte dell’imputato al vettore per la spedizione agli acquirenti, in territorio estero, radica la giurisdizione del giudice italiano. * Cass. pen., sez. III, 12 aprile 2005, n. 13151 (ud. 2 febbraio 2005), Vignola. [RV231828] l Per il principio della territorialità, previsto dall’art. 6 c.p., è sufficiente che un frammento dell’iter criminoso si sia verificato in Italia, purché risulti preordinato, con valutazione ex post, al raggiungimento dell’obiettivo criminoso. Ne consegue che la giurisdizione appartiene all’autorità giudiziaria italiana, anche se l’omicidio è stato commesso all’estero allorché l’arma del delitto e la benzina per bruciare il cadavere siano state procurate in Italia, in quanto si tratta di condotte preordinate a raggiungere l’obiettivo criminoso. * Cass. pen., sez. I, 27 settembre 2004, n. 38019 (ud. 12 maggio 2004), Selvaggi. [RV229734] l In caso di commissione di un reato su parte del territorio italiano successivamente ceduto ad altro Stato in virtù di un trattato di pace, la giurisdizione spetta all’autorità giudiziaria dello Stato cessionario, in quanto la cessione di un territorio sulla base di un atto legittimo dà luogo — salvo patto contrario — ad un immediato trasferimento della sovranità e delle connesse potestà già esercitate sui luoghi ceduti (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana in relazione ad un reato commesso nel 1945 nella città di Fiume, ceduta dall’Italia alla Repubblica Jugoslava con il trattato di pace del 15 settembre 1947). * Cass. pen., sez. I, 4 maggio 2004, n. 20925 (ud. 6 febbraio 2004), P.O. in proc. Piskulic. [RV229180] l Agli effetti della legge penale non può considerarsi commesso, neanche in parte, nel territorio dello Stato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale di cittadini extracomunitari previsto dall’art. 12, primo e terzo comma, del D.L.vo n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 11 della L. n. 189 del 2002, allorché, essendosi la condotta concretata nel trasporto clandestino degli stranieri a mezzo di un autocarro traghettato su nave non battente bandiera italiana, la scopera del “carico umano” sia avvenuta in acque internazionali, in quanto in tale eventualità le persone trasportate, dal momento della scoperta, cessano di trovarsi nella disponibilità di fatto del trasportatore. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l’occultamento degli stranieri operato dal trasportatore sotto copertura di un apparente carico di merce era stato commesso per intero all’estero e che il risultato finale voluto, e cioè quello dell’introduzione dei clandestini in territorio italiano, non era ricollegabile allo stratagemma a tal fine escogitato dall’autore del fatto, bensì all’autonoma decisione del comandante della nave di adottare, in relazione al luogo e al momento del- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 84 84 l’accertamento, le misure impostegli dal dovere di condurla a destinazione per apprestare efficace soccorso a persone che, per le disumane condizioni di trasporto, versavano in concreto pericolo di danni all’integrità fisica). * Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2004, n. 5583 (ud. 28 ottobre 2003), P.G. in proc. Efstathiadis. [RV226953] l In considerazione della natura istantanea del reato di ricettazione, il quale si consuma nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa, nessun rilievo può essere attribuito, a fini della perseguibilità in Italia, al luogo in cui viene accertata la detenzione della res (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto commesso all’estero il delitto di ricettazione di un bene consegnato al ricettatore, cittadino italiano, in territorio estero, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, difettando nella specie la condizione di procedibilità della richiesta del Ministero della giustizia prevista dall’art. 9 c.p.). * Cass. pen., sez. II, 5 maggio 2003, n. 20198 (ud. 14 aprile 2003), Torlo. [RV225725] l Il bene giuridico protetto dall’art. 9 della legge n. 497 del 1974 è la sicurezza interna dello Stato e la salvaguardia dell’ordine pubblico interno. Ne consegue che i reati in materia di armi previsti da tale norma sono rigorosamente soggetti al principio di territorialità della legge penale, potendo quindi essere commessi soltanto da chi abbia posto in essere almeno in parte la condotta vietata o abbia realizzato l’evento nel territorio italiano, nei termini specificati dal secondo comma dell’art. 6 c.p. (Nell’applicare tale principio con riferimento al trasferimento di armi da guerra da paesi dell’Est Europa alla Liberia in violazione di risoluzioni dell’Onu, la Corte ha tra l’altro escluso nel caso di specie l’applicabilità dell’art. 25 della legge 9 luglio 1990 n. 185, in quanto non estensibile a situazioni realizzate integralmente all’estero da chi, non iscritto nell’apposito registro, abbia effettuato esportazioni senza alcun transito nel territorio italiano e senza che in Italia siano state compiute attività finalizzate al movimento delle armi «estero su estero»). * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 2002, n. 38401 (c.c. 17 settembre 2002), Minin. [RV222925] l La preparazione, in territorio italiano, di un prodotto destinato al mercato estero avente caratteristiche diverse da quelle dichiarate è qualificabile come tentativo punibile di frode nell’esercizio del commercio (artt. 56 e 515 c.p.) ed è perseguibile, per il principio di territorialità di cui all’art. 6 c.p., davanti al giudice italiano (nella specie, trattatasi di condotta costituita dall’imbottigliamento, in uno stabilimento sito in territorio italiano, di olio destinato al mercato britannico, descritto nelle etichette già applicate sulle bottiglie come proveniente esclusivamente dalla spremitura di olive di produzione italiana, mentre una parte di esso era in realtà ricavato dalla spremitura di olive di diversa provenienza). 20-03-2015 10:08:23 85 Titolo I – Legge penale * Cass. pen., sez. III, 6 maggio 2002, n. 16386 (ud. 14 marzo 2002), Del Papa G. [RV221714] l Deve ritenersi commesso in Italia, ai sensi dell’art. 6 c.p., il reato di associazione per delinquere (nella specie, di tipo mafioso), e sussiste, quindi, la giurisdizione del giudice penale italiano, nell’ipotesi in cui gli associati acquistino in uno Stato straniero (nel quale l’importazione di tabacchi non sia soggetta ad alcuna imposta) tabacchi lavorati esteri prodotti in altro Stato straniero al fine di introdurli, per la vendita, nel territorio italiano, in violazione di norme doganali, se, in tale territorio, siano predisposte strutture stabili per lo scarico, il controllo e lo «stoccaggio» delle merci illecitamente introdotte e sia organizzata una rete di corrieri che trasportino in territorio estero a scopo di riciclaggio la valuta ricavata dalla vendita in Italia. (Nella specie, concernente un procedimento incidentale de libertate, la Corte Suprema ha confermato il provvedimento dei giudici di merito che, allo stato delle indagini, avevano ritenuto che il reato associativo fosse stato commesso in territorio italiano, essendo emerso che l’associazione acquistava in Montenegro tabacchi lavorati prodotti in Svizzera e li importava in Italia, trasportandoli con motoscafi attraverso il canale d’Otranto e sbarcandoli sul litorale pugliese). * Cass. pen., sez. VI, 1 agosto 2000, n. 2329 (c.c. 16 maggio 2000), Bossert F. [RV217564] l Deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice italiano nei confronti del cittadino straniero che, pur senza essere mai stato in Italia, abbia collaborato, nella consapevolezza che si dava esecuzione ad un reato delibeato sul territorio della Repubblica, con un cittadino italiano per l’acquisto di sostanze stupefacenti all’estero in vista della importazione in Italia, atteso che una porzione del fatto giuridicamente ascrivibile allo straniero si è, in tal caso, svolta nello Stato, con conseguente applicabilità dell’art. 6 c.p., potendosi qualificare il comportamento della persona che abbia svolto l’indicata attività all’estero quale concorso nell’esecuzione di un delitto plurisoggettivo, in cui le singole azioni perdono la loro individuabilità e di esse ciascun agente risponde per l’intero. * Cass. pen., sez. VI, 2 giugno 2000, n. 6605 (ud. 11 maggio 2000), Valianos K. [RV217554] l In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana è sufficiente, a norma dell’art. 6 c.p., che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione da parte di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sè carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 85 Art. 6 iter delittuoso da considerarsi come inscindibile; la circostanza che l’autore (o gli autori) del reato siano già stati giudicati all’estero per lo stesso fatto non è di ostacolo alla rinnovazione del giudizio in Italia, atteso che nel nostro ordinamento, salvo diversi accordi a livello internazionale, non vige il principio del ne bis in idem internazionale. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto possibile la rinnovazione del giudizio in Italia a carico di persone già giudicate in Germania, non essendo intervenuti, tra l’Italia e la Germania, accordi bilaterali di ratifica né in relazione alla Convenzione Europea sulla validità internazionale di giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con legge n. 305 del 1977, né in relazione alla Convenzione di Bruxelles resa esecutiva in Italia con legge n. 350 del 1989). * Cass. pen., sez. VI, 6 aprile 2000, n. 4284 (ud. 16 dicembre 1999), Pipicella ed altri. Conforme, quanto al principio, Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2009, n. 12142 (ud. 11 febbraio 2009), P.G. in proc. Porcacchia e altri. [RV216833] l In tema di abusiva organizzazione di scommesse su competizioni sportive svolgentisi in Stati esteri, il principio di ubiquità accolto dall’art. 6 c.p. comporta che quando nel territorio italiano si effettui anche solo una parte della organizzazione di pubbliche scommesse, come ad es. la raccolta delle puntate, trovano applicazione le disposizioni dell’art. 88 T.U.L.P.S. e della legge 13 dicembre 1989, n. 401, e pertanto l’esercizio senza licenza è punito ai sensi dell’art. 4 lett. c) L. cit., sebbene il resto dell’organizzazione faccia capo a società straniere e i giuochi e le competizioni oggetto delle scommesse si svolgano all’estero. * Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 2000, n. 124 (c.c. 13 gennaio 2000), Foglia P. Conforme, Cass. pen., sez. III, 29 luglio 1999, n. 1963, Barbati. [RV216223] l In tema di territorialità della giurisdizione penale, a norma dell’art. 6, comma secondo, c.p., deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato il delitto di favoreggiamento concretatosi nella consegna in territorio estero a un latitante di documenti falsificati, trattandosi di attività parzialmente maturatasi in Italia, da dove l’agente era partito per raggiungere il latitante, dopo avere concordato con quest’ultimo le modalità della consegna attraverso contatti telefonici. * Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 2000, n. 225 (ud. 15 novembre 1999), Moceri. [RV216402] l In virtù del principio di territorialità della legge penale di cui al secondo comma dell’art. 6 c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato anche quando l’azione o l’omissione, che ne costituisce la condotta, si è ivi realizzata soltanto in parte, dovendosi tale termine intendersi in senso naturalistico, come un momento dell’iter criminoso che, considerato unitariamente ai successivi atti compiuti all’estero, viene a integrare un’ipotesi di delitto tentato o consumato. Pertanto, con riferimento al reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, l’adesione al soda- 20-03-2015 10:08:23 Art. 6 Libro I – Dei reati lizio criminoso che si è formato e ha operato in Italia, integra partecipazione a un reato commesso nel territorio dello Stato anche se l’aderente materialmente rimanga sempre all’estero, ove la sua condotta di partecipazione all’associazione si sia svolta per intero, con l’apporto di contributi apprezzabili alla organizzazione. * Cass. pen., sez. VI, 8 marzo 1999, n. 3089 (ud. 21 maggio 1998), Caruana G. e altri. [RV213572] l Per l’applicabilità del principio di territorialità, di cui all’art. 6 c.p., è sufficiente che in Italia sia avvenuta una parte dell’azione anche piccola, purché preordinata — secondo una valutazione ex post — al raggiungimento dell’obiettivo delittuoso. Ne consegue che, in tema di traffico internazionale di stupefacenti, se l’accordo tra i coimputati e la predisposizione dei mezzi occorrenti all’importazione e all’occultamento della droga, realizzati in Italia, appaiono preordinati all’acquisto e alla detenzione della stessa, poi effettivamente consumati all’estero, il reato deve ritenersi commesso in Italia. * Cass. pen., sez. IV, 23 luglio 1997, n. 7204 (ud. 22 maggio 1997), Franzoni. [RV208534] l A norma dell’art. 6 c.p., che è diretto ad affermare il principio di territorialità del diritto penale ed a privilegiare la giurisdizione italiana, è sufficiente, perché il reato si consideri commesso nel territorio dello Stato, che quivi si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, e, quindi, un qualsiasi atto dell’iter criminis. In conseguenza non è necessaria la richiesta del Ministro di grazia e giustizia per il delitto di tentata importazione di droga, sequestrata all’estero, ma diretta in Italia, qualora nel territorio italiano siano avvenuti atti preliminari e strumentali, quali la domanda di spedizione o il consenso, in qualsiasi forma espresso, all’inoltro o alla ricezione della droga, atti che incidono, in modo rilevante, sull’elemento psicologico del reato. * Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 1997, n. 873 (ud. 14 ottobre 1996), P.M. Colecchia ed altri. [RV206903] l La regola posta al comma 2 dell’art. 6 c.p., secondo la quale, in applicazione del principio della territorialità della legge penale, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, va intesa nel senso che il reato si considera commesso in Italia anche quando sia stato posto in essere anche uno solo degli atti del processo criminoso essenziali per la configurabilità del reato medesimo; nel novero di tali atti, considerato sotto l’aspetto naturalistico, vale a dire come frammenti di un’azione più ampia preordinata al raggiungimento di un determinato obiettivo, rientra pertanto il conferimento di un mandato ad uccidere, accettato dal mandatario, direttamente o per interposta persona, in quanto costituente il momento iniziale della condotta produttiva dell’evento dannoso. * Cass. pen., sez. I, 11 marzo 1996, n. 2640 (ud. 7 dicembre 1995), D’Agostino ed altri. [RV204359] COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 86 86 l A norma dell’art. 6 c.p. sono punibili secondo la legge italiana, come fossero commessi per intero in Italia, anche i reati la cui condotta è avvenuta solo in parte nel territorio dello Stato o ivi si è verificato l’evento. Ne risulta che anche i reati commessi in parte all’estero, al pari di quelli realizzatisi soltanto nel territorio nazionale, assumono rilevanza penale per l’ordinamento italiano nella loro globalità, ivi compresa la parte della condotta realizzata all’estero e, pertanto, debbono essere valutati e puniti dai giudici italiani nella loro interezza, avendo riguardo pure alle modalità e alla gravità della parte dell’azione verificatasi al di fuori dello Stato. Ne consegue che deve tenersi conto di questa parte della condotta anche ai fini dell’individuazione dell’inizio della permanenza, non essendo consentito considerare isolatamente la frazione della condotta realizzatasi in Italia. (Nella specie, per un reato permanente la cui consumazione era iniziata all’estero la Corte ha escluso l’operatività, quale criterio di riparto fra i giudici italiani, dell’art. 8, terzo comma, c.p.p., dovendosi in tal caso la competenza determinare secondo il criterio suppletivo di cui all’art. 9 primo comma c.p.p., con riferimento all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione). * Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 1994, n. 1972 (ud. 17 dicembre 1993), Murdocca. l In tema di competenza per territorio in ordine a reati permanenti commessi in parte all’estero, si applica il criterio dettato dall’art. 8, terzo comma, c.p.p. quando la condotta criminosa ha avuto inizio in una individuata località nel territorio nazionale, proseguendo poi all’estero. Invece, il luogo d’inizio della permanenza non può fungere quale criterio di riparto fra i giudici italiani se è ubicato al di fuori dello Stato. In tal caso, la competenza si stabilisce secondo il criterio suppletivo di cui all’art. 9 primo comma c.p.p., con riferimento all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione. * Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 1994, n. 1972 (ud. 17 dicembre 1993), Murdocca. l È sufficiente, perché il reato si consideri commesso nel territorio dello Stato, che ivi si sia verificato anche solo un frammento dell’iter criminoso e costituiscono parte dell’azione tutti i movimenti che, attuando una modificazione del mondo esteriore, possono contribuire alla consumazione del reato. (Nella fattispecie, trattavasi di imputato giudicato all’estero dopo essere stato arrestato dalla polizia francese perché sorpreso a trasportare, diretto in Italia, droga nascosta in un doppio fondo ricavato nel serbatoio di benzina dell’auto su cui viaggiava. I giudici, rilevato che il reato era iniziato in Italia quando era stato deciso il disegno criminoso, progettata ed organizzata l’operazione, preparati i serbatoi di benzina dell’auto, hanno escluso che fosse necessaria la richiesta del Ministero di grazia e giustizia per giudicare nuovamente nello Stato l’imputato). * Cass. pen., sez. IV, 22 febbraio 1993, n. 1544 (ud. 9 dicembre 1992), Romanelli. 20-03-2015 10:08:23 87 Titolo I – Legge penale b) Reato concorsuale. l In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sé carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico iter delittuoso da considerarsi come inscindibile. Ne consegue che anche per il cittadino straniero il quale, pur essendo stato sempre all’estero, abbia collaborato con un cittadino italiano per l’importazione in Italia di sostanza stupefacente, nella consapevolezza che si dava esecuzione a un reato quivi deliberato, il reato stesso deve considerarsi commesso nel territorio dello Stato. * Cass. pen., sez. VI, 16 luglio 2003, n. 29702 (ud. 10 aprile 2003), Dattilo ed altri. Conforme, Cass. pen., sez. V, 20 ottobre 2008, n. 39205 (ud. 9 luglio 2008), Di Pasquale e altro. [RV225486] l Ai fini della applicazione del principio di territorialità della legge penale (art. 6 c.p.), per azione deve intendersi il complesso dei comportamenti consapevolmente finalizzati al raggiungimento dello scopo o dell’evento delittuoso, sicché fra essi rientra, nel caso di accordo fra più persone che con le loro condotte partecipano concorsualmente al reato, anche tutto ciò che, pur essendo limitato all’elemento psicologico (il quale rientra tra quelli essenziali del reato), può essere ricondotto al determinismo volitivo coagulante o influente sulle condotte dei correi. Ne consegue che un’azione delittuosa ispirata o rafforzata nella volontà ovvero ordinata da concorrenti morali in Italia, deve essere considerata penalmente quivi realizzata ancorché l’esecuzione materiale, l’evento o l’omissione che costituisce il reato siano posti in essere all’estero da taluno dei concorrenti materiali. E ciò anche se i contatti organizzativi si siano verificati solo fra alcuni dei correi e non fra tutti, in quanto il reato è effetto del contributo di ciascun correo e di tutti insieme, attesa la comune finalizzazione partecipativa. * Cass. pen., sez. VI, 12 maggio 1994, n. 5617 (ud. 15 febbraio 1994), Di Matteo. l In tema di reati associativi, per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana occorre verificare soprattutto il luogo dove si è realizzata, in tutto o in parte, la operatività della struttura organizzativa, mentre va attribuita importanza secondaria al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso, a meno che questi, per il numero e la consistenza, rivelino il luogo di operatività del disegno. Da ciò consegue che COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 87 Art. 7 la partecipazione di un soggetto ad un sodalizio criminoso che ha diramazioni e centri operativi in varie parti del mondo acquista rilevanza ai fini della giurisdizione se uno o più dei centri sia operante in Italia perché in caso positivo il reato dovrà ritenersi interamente punibile secondo la legge italiana e ad opera dell’autorità giudiziaria dello Stato. Il tutto secondo quanto si desume dall’art. 6 c.p., una norma che interpreta e definisce l’interesse dello Stato a punire coloro che, in qualche modo, abbiano posto in essere un’attività illecita che abbia violato le norme penali, attribuendo così valenza espansiva ad una frazione di attività commessa nel territorio dello Stato anche da taluno che partecipi al sodalizio, in modo che l’applicazione della norma penale si estenda a tutti i compartecipi ed a tutta l’attività criminosa dovunque realizzata. * Cass. pen., sez. VI, 31 luglio 1993, n. 7478 (ud. 9 dicembre 1992), Carnana. Conforme, Cass. pen., sez. VI, 25 marzo 1998, n. 4378, Cao Len Hout. l Nell’ipotesi di concorso di più persone nel reato, alcune delle quali abbiano realizzato una parte della condotta in Italia ed una parte all’estero, oppure totalmente all’estero alcune e totalmente in Italia altre, coloro che attuarono una collaborazione nella esecuzione del fatto in territorio estero risponderanno del reato come se commesso in Italia, perché la loro condotta è considerata come un aspetto o come una frazione di un tutto che ha trovato la sua attuazione anche nel territorio dello Stato e, ai sensi dell’art. 6 c.p., suscita l’interesse punitivo dello Stato e ne determina l’intervento e la persecuzione in sede penale. * Cass. pen., sez. VI, 31 luglio 1993, n. 7478 (ud. 9 dicembre 1992), Carnana. c) Reati commessi via Internet. l Il giudice italiano è competente a conoscere della diffamazione compiuta mediante l’inserimento nella rete telematica (Internet) di frasi offensive e/o immagini denigratorie, anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all’estero e purché l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovino in Italia; invero, in quanto reato di evento, la diffamazione si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono la espressione ingiuriosa. * Cass. pen., sez. V, 27 dicembre 2000, n. 4741 (c.c. 17 novembre 2000), P.M. in proc. ignoti. [RV217745] 7. Reati commessi all’estero. – È punito secondo la legge italiana (112) il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati (10 c.p.p.): 1) delitti contro la personalità dello Stato italiano (1) (241 ss.); 2) delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto (467); 20-03-2015 10:08:24 Art. 8 Libro I – Dei reati 3) delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano (453 ss.); 4) delitti commessi da pubblici ufficiali (357) a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni (61, n. 9, 314 ss.); 5) ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge (2) (269, 5014, 537, 5912, 604, 6424; 17, 18 c.p.m.p.; 1080 c.n.) o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana (3). (1) La parola: «italiano» è stata aggiunta dall’art. 1, comma 2, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438. (2) Si veda anche l’art. 48 della L. 24 gennaio 1979, n. 18, recante disposizioni in tema di elezione dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo, il quale stabilisce che per i reati, previsti dalla suindicata legge, commessi dal cittadino o dallo straniero in territorio estero, si applichi la legge italiana. (3) Si veda l’art. 22, primo comma, della L. 27 maggio 1929, n. 810 che ha reso esecutivo il trattato fra la Santa Sede e l’Italia stipulato l’11 febbraio 1929, il quale stabilisce che a richiesta della Santa Sede, l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano, salvo quando l’autore del delitto si sia rifugiato nel territorio italiano, nel qual caso si procederà senz’altro contro di lui a norma delle leggi italiane. l È perseguibile secondo la legge italiana, ai sensi dell’art. 7, n. 4 c.p. l’appuntato dei carabinieri, in servizio presso una sede diplomatica italiana all’estero, che si attivi, dietro compenso, per procurare visti d’ingresso illegale in Italia a cittadini extracomunitari. * Cass. pen., sez. VI, 25 novembre 2008, n. 43848 (c.c. 24 settembre 2008), P.M. in proc. Di Nuzzo. [RV242230] l Il reato commesso all’estero non può rientrare nella giurisdizione del giudice italiano per il solo fatto che sia legato dal vincolo della continuazione con altro reato commesso in Italia, trattandosi di ipotesi non compresa tra quelle che, ai sensi degli artt. da 7 a 10 del c.p., comportano deroga al principio di territorialità sul quale si basa la giurisdizione dello Stato italiano. * Cass. pen., sez. VI, 25 luglio 2006, n. 25889 (ud. 23 giugno 2006), Manzato. [RV234843] l Ai fini della perseguibilità secondo la legge italiana dei reati commessi in territorio estero da parte di pubblici ufficiali a servizio dello Stato, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla loro funzione, non è necessario un rapporto stabile di servizio con la pubblica Amministrazione, ben potendo rientrare nella previsione normativa anche lo svolgimento di compiti temporanei e/o di una missione occasionale. (Principio affermato con riferimento a concussione commessa all’estero da contrattiste dell’Amministrazione degli affari esteri). * Cass. pen., sez. VI, 5 maggio 2004, n. 21088 (ud. 10 febbraio 2004), Micheletti ed altro. [RV228872] COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 88 88 l Ai fini della perseguibilità secondo la legge italiana dei reati commessi in territorio estero da parte di pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alla loro funzione, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 4, c.p. non è necessario un rapporto stabile di servizio con l’amministrazione, ben potendo rientrare nella previsione normativa anche lo svolgimento di una missione occasionale. (Fattispecie relativa a missione di aiuti in Albania). * Cass. pen., sez. VI, 29 novembre 2000, n. 4089 (c.c. 6 novembre 2000), Tenaglia L. [RV217909] l In tema di reati commessi all’estero e di rinnovamento del giudizio (artt. 7 e seguenti, 11 c.p.), la qualificazione delle fattispecie penali deve avvenire esclusivamente alla stregua della legge penale italiana, a nulla rilevando che l’ordinamento dello Stato nel cui territorio il fatto è stato commesso non preveda una persecuzione penale dello stesso fatto. Le norme in questione prevedono, infatti, limitatamente ai casi da esse contemplati e in presenza di alcune condizioni, la perseguibilità dei fatti penalmente rilevanti «secondo la legge italiana» al di là dei limiti territoriali, senza richiedere che tali fatti siano penalmente perseguiti anche nel territorio dello Stato in cui sono stati commessi. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, premesso che il principio della doppia incriminazione, invocato dal ricorrente è sancito dalla legge penale esclusivamente in tema di estradizione, è stato ritenuto del tutto indifferente che l’evasione e il porto e detenzione illegale di armi siano o non siano perseguiti penalmente nell’ordinamento della Confederazione elvetica). * Cass. pen., sez. II, 16 marzo 1992, n. 2860 (ud. 6 dicembre 1991), Buquicchio. 8. Delitto politico commesso all’estero. – Il cittadino o lo straniero (3, 4), che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel n. 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia (112, 128, 129; 10, 342 c.p.p.). Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela (120-127; 336 ss. c.p.p.). Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino (48-54 Cost.). È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici (241 ss.). l In tema di estradizione per l’estero, ai fini dell’individuazione dell’ambito di operatività del divieto di estradizione di cui agli artt. 10, comma quarto, e 26, comma secondo Cost., il reato va considerato politico anche quando, indipendentemente dal bene giuridico offeso dalla condotta 20-03-2015 10:08:24 89 Titolo I – Legge penale illecita, vi sia fondata ragione di ritenere che, proprio per la “politicità” della condotta illecita, l’estradando possa essere sottoposto nello stato straniero richiedente ad un processo non equo o all’esecuzione di una pena discriminatoria ovvero ispirata da iniziative persecutorie per ragioni politiche che ledono diritti fondamentali dell’individuo quali il diritto al rispetto del principio di uguaglianza, il diritto ad un equo processo ed il divieto di trattamenti disumani o degradanti verso i detenuti. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso il divieto di estradizione con riferimento a condanna pronunciata all’esito di processo celebrato nel rispetto dei diritti fondamentali per reati in materia di armi asseritamente commessi al fine di tutelarsi contro iniziative di appartenenti ad altri gruppi etnici all’interno di uno Stato democratico). * Cass. pen., sez. VI, 31 gennaio 2014, n. 5089 (c.c. 23 gennaio 2014), Suljejmani. [RV258148] l La qualificazione di un delitto come politico data dall’art. 8 c.p. va letta alla luce dell’art. 10 cost., secondo il quale l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale, tra le quali si pone in particolare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, che obbliga gli Stati al rispetto di alcuni diritti fondamentali nei confronti di ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione. Ne consegue che vanno definiti come politici i delitti di oggettiva gravità, commessi in danno di cittadini italiani residenti in Argentina, in esecuzione di un preciso piano criminoso diretto all’eliminazione fisica degli oppositori al regime senza il rispetto di alcuna garanzia processuale e al solo scopo di contrastare idee e tendenze politiche delle vittime, iscritte a sindacati, o partiti politico o ad associazioni universitarie, in quanto tali delitti non solo offendono un interesse politico dello Stato italiano, che ha il diritto ed il dovere di intervenire per tutelare i propri cittadini, ma anche i diritti fondamentali delle stesse vittime. * Cass. pen., sez. I, 17 maggio 2004, n. 23181 (ud. 28 aprile 2004), Suarez. [RV228663] l Un reato comune è soggettivamente politico, ai sensi dell’art. 8, comma terzo, c.p., allorchè sia qualificato da un movente di natura politica, nel senso che l’agente sia stato determinato, in tutto o in parte, a delinquere al fine di incidere sull’esistenza, costituzione e funzionamento dello Stato ovvero favorire o contrastare idee o tendenze politiche proprie dello Stato, o anche offendere un diritto politico del cittadino, sì che non è sufficiente ad escludere la natura politica del delitto comune la circostanza che esso sia stato commesso per motivi in parte o non prevalentemente politici. (In applicazione di tale principio la Corte ha disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale di Roma, costituito ex art. 309 c.p.p., rilevando che l’omicidio in territorio afgano della giornalista italiana Maria Grazia Cu- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 89 Art. 8 tuli, e degli altri che si trovavano con lei, era stato commesso non solo a scopo di rapina, ma anche per dimostrare all’opinione pubblica mondiale che la coalizione militare straniera, tra la quale l’Italia, che in vario modo si opponeva al regime dei talebani, non aveva acquisito il controllo del paese). * Cass. pen., sez. I, 8 aprile 2004, n. 16808 (c.c. 23 marzo 2004), P.M. in proc. Mohmmad ed altro. [RV228826] l Un reato comune è soggettivamente politico, ai sensi dell’art. 8, comma 3, c.p., allorché sia qualificato da un movente strettamente politico, il che si verifica quando il colpevole abbia agito per conseguire fini e scopi che investano la collettività sociale e incidano sull’esistenza, costituzione e funzionamento dello Stato o siano diretti a contrastare o consolidare idee e tendenze politiche e sociali, mentre non è sufficiente che il reato abbia ricadute sull’ordinamento italiano, se tali effetti non siano direttamente vouti e perseguiti. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto che l’eccidio delle Fosse Ardeatine — per cui era stato condannato un ex ufficiale delle SS — non ha connotazione politica, in quanto ordinato al fine di mantenere e rafforzare la supremazia militare dell’esercito tedesco sulle organizzazioni partigiane e sui resti dell’esercito italiano, così determinando un esito della guerra in atto (dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943) favorevole alla Germania, costituendo le ricadute della strage sulla costituzione e sul funzionamento dello Stato italiano un semplice effetto collaterale). * Cass. pen., sez. I, 12 settembre 2003, n. 35488 (c.c. 27 giugno 2003), Priebke. [RV226389] l La perseguibilità dei reati contro le leggi e gli usi della guerra commessi all’estero è prevista negli articoli 13 e 231 c.p.m., secondo cui per tali reati, ove commessi in danno dello Stato italiano o di un cittadino italiano o di uno Stato alleato o di un cittadino di questo, non esistono limiti territoriali e le relative norme si applicano anche ai militari stranieri. Ne consegue che al delitto di cui agli artt. 13 e 185 commi 1 e 2 c.p.m. guerra (concorso in violenza come omidicio aggravato e continuato in danno di cittadini italiani) non è applicabile la previsione dell’art. 8 c.p. e, di conseguenza, tale delitto non può essere ricondotto alla categoria dei delitti politici, ex art. 8, comma 3, c.p.. In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto che non sia applicabile l’indulto, di cui all’art. 2 D.P.R. n. 922 del 1953 — previsto per i reati politici e connessi nonché «per i reati inerenti a fatti bellici commessi da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate» (e non agli appartenenti alle Forze armate, cfr. sent. Corte cost. n. 298 del 2000) — nei confronti di un ex ufficiale delle SS., condannato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine. * Cass. pen., sez. I, 12 settembre 2003, n. 35488 (c.c. 27 giugno 2003), Priebke. [RV226388] l In tema di estradizione per l’estero, la nozione di reato politico a fini estradizionali trova 20-03-2015 10:08:24 Art. 9 Libro I – Dei reati fondamento non nell’art. 8 c.p., nel quale il reato politico è definito in funzione repressiva, bensì nelle norme costituzionali, che lo assumono in una più ampia funzione di garanzia della persona umana, finalizzata a limitare il diritto punitivo dello Stato straniero. Per quanto concerne il cittadino straniero in Italia, la Costituzione non fornisce una nozione rigida di reato politico, ma la subordina alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tra tali norme si pongono le convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dallo Stato italiano, ed in particolare la Convenzione europea sul terrorismo del 1977, nella quale, indipendentemente dalle loro finalità, sono definiti non politici determinati atti delittuosi (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito con la quale veniva dichiarata l’estradabilità in favore della Francia di un cittadino tunisino con riferimento alla condotta di partecipazione ad associazione criminale diretta al compimento di atti terroristici diretti all’eversione dello Stato francese, con modalità violente comprensive dell’uso di materie espodenti e attentati alla vita e all’integrità fisica di cittadini ignari). * Cass. pen., sez. VI, 23 luglio 2003, n. 31123 (c.c. 19 giugno 2003), Baazaoui. [RV226520] l Nell’evoluzione della normativa internazionale, approdata — come atto tra i più significativi — alla Convenzione europea contro il terrorismo, ratificata dall’Italia con L. 26 novembre 1985, n. 719, emerge l’intento di contemperare non tanto la nozione in sè di reato politico, quanto la sua rilevanza a fini estradizionali, con la necessità di tutelare valori umani universali che possono risultare gravemente offesi da delitti di ispirazione politica; il che si verifica o quando il delitto abbia determinato un pericolo collettivo per la vita, l’integrità fisica e la libertà delle persone ovvero quando abbia colpito o messo in pericolo persone estranee ai moventi politici che l’hanno ispirato, ovvero, ancora, quando è stato realizzato con mezzi crudeli e con perfidia. Elementi, tutti, che lo Stato italiano, nel formulare la riserva all’atto della ratifica riguardo alla convenzione dell’estradizione per reati politici, si è impegnato a considerare. Ne deriva che la nozione di reato politico a fini estradizionali trova la sua definizione nel bilanciamento tra il valore insito nel principio costituzionale del rifiuto di consentire alla persecuzione dei cittadini e dello straniero per motivi politici e quello dei valori umani primari — consacrati nella Carta costituzionale — quando l’aggressione di tali valori abbia quei caratteri di gravità individuabili alla stregua dei criteri ora ricordati. * Cass. pen., sez. I, 24 marzo 1992, n. 767 (c.c. 17 febbraio 1992), El Jassem. 9. Delitto comune del cittadino all’estero. – Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 90 90 quale la legge italiana stabilisce [la pena di morte (1) o] l’ergastolo (22), o la reclusione (23) non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato (42; 10 c.p.p.). Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia (128, 129; 342 c.p.p.), ovvero a istanza (130; 341 c.p.p.) o a querela (120-127; 336 ss. c.p.p.) della persona offesa. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero (2) o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che l’estradizione (13; 697 ss. c.p.p.) di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto (112). (1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. (2) Le parole: «a danno di uno Stato estero», sono state sostituite dalle attuali: «a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero» dall’art. 5 della L. 29 settembre 2000, n. 300. SOMMARIO: a) In genere; b) Richiesta del Ministro di grazia e giustizia; c) Presenza nel territorio dello Stato. a) In genere. l In tema di estradizione per l’estero, la condizione di reciprocità, prevista dall’art. 7 della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, nel caso in cui il reato motivante la domanda d’estradizione sia stato commesso fuori del territorio della Parte richiedente, consente il rifiuto dell’estradizione se la legislazione della Parte richiesta non autorizza la «perseguibilità» di un reato dello stesso genere commesso fuori del suo territorio. Ne consegue che, facendo riferimento la norma alla sola punibilità, non rilevano le condizioni previste dal codice penale per la procedibilità dei reati commessi all’estero (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione della Corte d’appello che aveva ritenuto sussistenti le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione avanzata dalla Repubblica di Germania per il reato di importazione di stupefacente commesso in Ecuador ed Olanda, non 20-03-2015 10:08:24 91 Titolo I – Legge penale ritenendo rilevante che per tale reato in Italia l’art. 9 c.p. richiede, come condizione di reciprocità, la presenza del reo nel territorio). * Cass. pen., sez. VI, 14 maggio 2003, n. 21251 (c.c. 1 aprile 2003), Schumann. [RV226042] l Sono utilizzabili ai fini della decisione, perché non in contrasto con i principi fondamentali e inderogabili dell’ordinamento giuridico italiano, ed in particolare con le garanzie costituzionali del diritto di difesa e del contraddittorio, le prove dichiarative assunte all’estero nella fase dibattimentale mediante rogatoria internazionale, con l’assistenza e la rappresentanza defensionale, ma senza la presenza dell’imputato, detenuto in Italia, la cui istanza di trasferimento temporaneo, pur regolarmente inoltrata dallo Stato richiedente, sia stata respinta dallo Stato richiesto in base alla normativa pattizia. (Nella specie la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata il 20 aprile 1959). * Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2003, n. 19678 (ud. 3 marzo 2003), Figini, in Riv. pen. 2003, 848. [RV225744] l L’iscrizione nei registri dello stato civile, quale cittadino italiano, in forza dell’art. 5 comma primo legge 21 aprile 1983 n. 123, ha efficacia meramente dichiarativa: dell’essersi cioè realizzata la fattispecie complessa, prevista dalla legge per l’acquisto, in forza di essa soltanto, della cittadinanza. Ove in sede penale si accerti che taluno si sia falsamente attribuita la qualità di figlio di madre o di padre italiano, ben può il giudice penale rilevarlo — per negare a costui la cittadinanza italiana, così fraudolentemente e solo apparentemente conseguita — nell’esercizio del potere-dovere posto dall’art. 2 comma primo c.p.p., il quale fissa la regola dell’autonoma cognizione del giudice penale per quanto concerne le questioni strumentali rispetto alla decisione finale, salva l’eventuale sospensione del processo a norma dell’art. 3 c.p.p. Ne consegue che, accertata la falsa attribuzione della cittadinanza italiana, per il caso di delitto comune commesso all’estero, non può farsi applicazione dell’art. 9 bensì, se ne ricorrono le condizioni, del successivo art. 10 c.p. * Cass. pen., sez. I, 4 aprile 1995, n. 3624 (ud. 12 gennaio 1995), Shoukry. [RV201931] l Ai fini della punibilità per reati commessi dal cittadino all’estero, al giudice penale non è consentito alcun sindacato, neanche in via incidentale, sulle ragioni di acquisto e di perdita della cittadinanza che avvengono secondo i casi e con le modalità prescritte dalla legge speciale in materia. * Cass. pen., sez. I, 16 gennaio 1991, n. (c.c. 31 ottobre 1990, n. 3699), Shoukry. b) Richiesta del Ministro di grazia e giustizia. l La richiesta di procedimento di cui agli artt. 9, terzo comma, c.p. e 342 c.p.p. — al pari del rifiuto di dar corso ad una rogatoria dall’estero o per l’estero e del decreto di estradizione — seppure connotata da una larga discrezionalità, COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 91 Art. 9 riveste natura giuridica di atto amministrativo, sottoposto all’obbligo di motivazione e alla gerarchia delle fonti normative e perciò suscettibile di sindacato da parte del giudice amministrativo per i tipici vizi di legittimità propri del procedimento amministrativo. Tale provvedimento infatti non può essere definito come atto politico, in quanto non inerisce all’esercizio della direzione suprema degli affari dello Stato né concerne la formulazione in via generale e al massimo livello dell’indirizzo politico e programmatico del Governo, conseguendo invece essa ad una scelta vincolata al perseguimento dei fini determinati di politica criminale e connotata altresì dal requisito dell’irretrattabilità. Ne consegue che l’esercizio del potere di firma di tale provvedimento può essere delegato dal Ministro della giustizia al dirigente dell’articolazione ministeriale competente in materia — direttore generale o capo dipartimento — secondo le specifiche direttive dell’organo di vertice politico (ad es. quella di informare il Ministro della natura e del contenuto del singolo atto). * Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2003, n. 19678 (ud. 3 marzo 2003), Figini. [RV225745] l Qualora, a seguito di richiesta del Ministro di grazia e giustizia ai sensi dell’art. 9 c.p., si sia proceduto contro un soggetto per il delitto di cui all’art. 590 c.p. commesso in territorio estero e vi sia stata condannata del predetto a pena pecuniaria, è da escludere che sia venuta meno la condizione di punibilità prevista dall’art. 9 citato, rappresentata dall’irrogazione della pena detentiva; in quanto la pena restrittiva della libertà personale, dalla legge considerata per rendere perseguibile il delitto comune commesso dal cittadino all’estero, è quella astrattamente stabilita dal codice e non quella in concreto comminata. Pertanto, in caso di sanzioni alternative, la procedibilità dell’azione non può essere compromessa dall’avvenuta inflizione della sola pena pecuniaria. * Cass. pen., sez. IV, 7 febbraio 1995, n. 1179 (ud. 16 novembre 1994), Boldrini. l La condizione di procedibilità della richiesta del Ministro di grazia e giustizia, ex art. 9, secondo comma, c.p., non può ritenersi integrata nel caso in cui la richiesta non sia stata sottoscritta personalmente dal ministro bensì da un funzionario del suo dicastero, senza neppure il rilascio di una specifica delega. Tale soluzione è imposta sia dal tenore dell’art. 342 c.p.p., che espressamente richiede la sottoscrizione dell’autorità competente, sia dal carattere di discrezionalità politica dell’atto, la cui adozione non può, pertanto, che essere riservata all’organo politicamente responsabile indicato dalla legge o, al più, delegata ad altro soggetto politico quale un sottosegretario di Stato. * Cass. pen., sez. I, 23 maggio 1994, n. 1837 (c.c. 22 aprile 1994), Giraldi. l La condizione di procedibilità prevista dall’art. 9 c.p. (delitto comune del cittadino all’estero) si realizza con la richiesta del Ministro 20-03-2015 10:08:24 Art. 10 Libro I – Dei reati di grazia e giustizia: quest’ultimo, però, è preso in considerazione non già come persona, ma quale organo politico rappresentante del governo nella specifica materia. Sicché, non trattandosi di reati di natura politica o comunque aventi riferimento alla suprema direzione della cosa pubblica, la richiesta può essere effettuata, su delega, da altro organo della stessa amministrazione della giustizia. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, era stata dedotta la violazione dell’art. 9 c.p. per esser stata la richiesta avanzata dal direttore generale degli affari penali del Ministero e non già dal Ministro di grazia e giustizia). * Cass. pen., sez. III, 27 maggio 1993, n. 5364 (ud. 15 aprile 1993), Albante. Conforme, Cass. pen., sez. II, 8 aprile 1999, n. 1117, D’Ambrosio. c) Presenza nel territorio dello Stato. l Ai fini della punibilità dei delitti comuni commessi dal cittadino in territorio estero, il requisito della presenza sul territorio dello Stato deve necessariamente sussistere al momento dell’esercizio dell’azione penale, a nulla rilevando che venga meno in un momento successivo. * Cass. pen., sez. II, 10 giugno 2008, n. 23304 (ud. 19 marzo 2008), Dumas e altro. [RV242047] l La condizione di procedibilità prevista dall’art. 9, comma terzo, c.p. è realizzata quando l’Autorità giudiziaria estera, non avvalendosi della facoltà di chiedere l’estradizione, trasmetta all’autorità giudiziaria italiana tutti gli atti di indagine compiuti e chieda di dare seguito alla procedura penale in Italia. * Cass. pen., sez. I, 27 settembre 2004, n. 38019 (ud. 12 maggio 2004), Selvaggi. [RV229735] l La condizione della presenza nel territorio dello Stato posta, ai fini della punibilità dei delitti comuni del cittadino all’estero, dal primo comma dell’art. 9 del codice penale, è, a maggior ragione richiesta anche per i delitti previsti dal secondo comma che rispetto a quelli previsti dal primo comma sono di minor gravità, con la conseguenza che il termine per la richiesta di procedimento è quello di tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato e non già quello di tre mesi dal giorno in cui l’autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce reato. * Cass. pen., sez. IV, 25 ottobre 1991, n. 10743 (ud. 17 aprile 1991), Boccardo. l La presenza del cittadino nel territorio dello Stato, nel caso di delitto comune commesso dal medesimo cittadino all’estero è condizione di procedibilità e non di punibilità. La carenza dei requisiti obiettivi, siano essi sostanziali o processuali (tra questi ultimi, appunto, le condizioni di procedibilità) atti a legittimare l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, si traduce in infondatezza dell’azione la quale trova la sua naturale ed esclusiva sanzione non nella nullità formale dei singoli atti del procedimento già compiuti, ma nel rigetto, da parte del giudice della presenza punitiva che, mediante l’azione, il COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 92 92 pubblico ministero ha inteso far valere, con l’unica differenza che, ove difettino i requisiti sostanziali, il rigetto sarà definitivo, mentre ove difettino quelli processuali l’azione penale potrà eventualmente essere riproposta. * Cass. pen., sez. I, 13 giugno 1991, n. 6698 (ud. 10 maggio 1991), Di Bella. l La sussistenza o meno della condizione di procedibilità richiesta dalla legge penale quale quella della presenza del cittadino nel territorio dello Stato in caso di delitto comune commesso all’estero, va valutata non in riferimento al momento in cui viene iniziata l’azione penale, ma con riferimento al momento della definizione del giudizio di merito, di primo o anche di secondo grado. È pertanto necessario e sufficiente che i presupposti sui quali la condizione si fonda sussistano in quel momento, a nulla rilevando la loro originaria carenza, una volta che quest’ultima non sia stata rilevata all’atto della definizione giurisdizionale di alcune delle fasi processuali, tanto da consentire la prosecuzione del procedimento. (Fattispecie di ritenuta illegittimità della declaratoria di improcedibilità originaria dell’azione penale, pronunciata dal giudice d’appello, pur apparendo dagli atti che la condizione della presenza del cittadino, imputato di reato comune commesso all’estero, si era comunque verificata anteriormente alla sentenza di primo grado). * Cass. pen., sez. I, 13 giugno 1991, n. 6698 (ud. 10 maggio 1991), Di Bella. l Al fine dell’applicabilità della legge penale italiana nel caso di delitto comune del cittadino italiano all’estero è necessaria la condizione della presenza del colpevole nel territorio dello Stato italiano sia nelle ipotesi previste dal primo comma dell’art. 9 c.p., sia, pur se non espressamente enunciata, in quelle configurate nel secondo comma dello stesso articolo. * Cass. pen., sez. II, 22 giugno 1990, n. 9093 (ud. 8 marzo 1989), Trivellato. 10. Delitto comune dello straniero all’estero. – Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce [la pena di morte (1) o] l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato (42), e vi sia richiesta del Ministro della giustizia (112; 128, 129; 342 c.p.p.), ovvero istanza (130; 341 c.p.p.) o querela (120-127; 336 ss. c.p.p.) della persona offesa. Se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero (2) o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia (112, 128, 129), sempre che: 1) si trovi nel territorio dello Stato (42, 1282); 2) si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena [di morte (1) o] dell’ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni; 3) l’estradizione (104 Cost.; 13; 697 ss. c.p.p.) di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata 20-03-2015 10:08:25 93 Titolo I – Legge penale dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene. (1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. (2) Le parole: «a danno di uno Stato estero» sono state sostituite dalle attuali: «a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero» dall’art. 5 della L. 29 settembre 2000, n. 300. SOMMARIO: a) Condizioni di procedibilità; b) Casistica. a) Condizioni di procedibilità. l Nel caso di delitti commessi all’estero da uno straniero in danno di un cittadino italiano, la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p. per la loro perseguibilità in Italia, costituisce condizione di procedibilità la cui sussistenza è richiesta anche ai fini dell’applicazione di misure cautelari da adottarsi nella fase delle indagini preliminari. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento del tribunale che, in accoglimento di gravame proposto dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 310 c.p.p., aveva disposto l’applicazione della custodia in carcere nei confronti di taluni soggetti, non presenti nel territorio nazionale, cui si addebitava l’omicidio, commesso in Afghanistan, di una giornalista italiana). * Cass. pen., sez. I, 30 ottobre 2003, n. 41333 (c.c. 11 luglio 2003), Mohammad ed altri, in Arch. nuova proc. pen. 2004, 47. [RV225751] l In tema di reati commessi all’estero, al di fuori dei casi tassativamente indicati all’art. 7 c.p., è condizione indispensabile per il perseguimento dei reati commessi all’estero dallo straniero che questi risultino punibili come illeciti penali oltre che dalla legge penale italiana anche dall’ordinamento del luogo dove sono stati consumati, ancorché con nomen iuris e pene diversi (in applicazione di tale principio la Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento coercitivo impugnato riguardante la cessione di armi da guerra avvenuta esclusivamente in territorio estero in violazione dell’embargo stabilito da risoluzioni dell’Onu, non tradottesi peraltro all’interno dell’ordinamento italiano in norme vincolanti). * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 2002, n. 38401 (c.c. 17 settembre 2002), Minin. [RV222924] l La presenza dello straniero nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p. ai fini della COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 93 Art. 10 perseguibilità in Italia del delitto comune commesso all’estero dal medesimo straniero in danno dello Stato o di un cittadino italiano, è normativamente strutturata come condizione di procedibilità ed è quindi da considerare soggetta a tutte le regole proprie di siffatta condizione. * Cass. pen., sez. I, 8 marzo 1993, n. 377 (c.c. 29 gennaio 1993), Shoukry Tarek. l Per la perseguibilità in Italia di un reato commesso all’estero in danno di un cittadino italiano, in ordine al quale vi sia stata la richiesta di procedimento del Ministro della giustizia occorre anche la querela della persona offesa ove si tratti di reato che se commesso in Italia sarebbe procedibile a querela. * Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 1993, n. 4144 (c.c. 19 ottobre 1992), Shoukry Tarek. l La richiesta, l’istanza e la querela risultano regolate nel sistema penalistico quali condizioni che non attengono alla struttura del fatto-reato o alla sua punibilità, bensì alla procedibilità dell’azione penale. Anche la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p. per la «punibilità» di taluni reati commessi all’estero dallo straniero è normalmente strutturata come condizione di procedibilità, soggetta quindi alle regole proprie di queste, e l’inizio di tale presenza costituisce, quindi, il dies a quo di decorrenza del termine (non soggetto a sospensioni o ad interruzioni) per l’esercizio dell’azione penale. * Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 1993, n. 4144 (c.c. 19 ottobre 1992), Shoukry Tarek. l L’art. 90, terzo comma, c.p.p., prevede che qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà ed i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti (art. 307, quarto comma, c.p.) della medesima. Tra tali diritti rientra anche quello di proporre l’istanza prevista dall’art. 10, primo comma, c.p., per la perseguibilità di taluni delitti comuni commessi all’estero da uno straniero. (Fattispecie in tema di omicidio pluriaggravato commesso da uno straniero in danno di una cittadina all’estero). * Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 1993, n. 4144 (c.c. 19 ottobre 1992), Shoukry Tarek. l Non è configurabile alcuna improcedibilità nel caso in cui lo Stato estero, nel cui territorio siano stati commessi i reati non solo non si avvalga della facoltà di richiedere l’estradizione, ma porti a conoscenza dello Stato italiano, nel cui territorio si trovi il reo, l’esistenza dei delitti, collaborando alla raccolta delle prove e dimostrando così d’avere rinunciato a punire direttamente l’autore dei fatti. * Cass. pen., sez. I, 24 ottobre 1989, n. 13988 (ud. 14 luglio 1989), Hamdan. b) Casistica. l Integra il delitto di sequestro di persona (art. 630 c.p.), punibile secondo la legge italiana, la condotta di cittadini turchi di nazionalità curda che — superando con violenza gli agenti della 20-03-2015 10:08:25 Art. 11 Libro I – Dei reati questura — penetrino all’interno del Consolato Generale della Grecia, rinchiudendo il Console nel suo Ufficio, al fine di fargli spedire un fax al Primo Ministro della Repubblica Ellenica, in quanto la legge penale da osservare nei locali, ancorché inviolabili, di un consolato estero in Italia è, anche a seguito della Convenzione di Vienna, quella che si applica in qualsiasi parte del territorio italiano, qualunque siano le norme dello Stato ospitato e indipendentemente dall’immunità riconosciuta agli addetti ed all’inviolabilità dei locali strettamente riservati all’esercizio delle funzioni diplomatiche, le quali non implicano affatto l’extraterritorialità delle sedi diplomatiche. * Cass. pen., sez. V, 4 ottobre 2010, n. 35633 (ud. 25 giugno 2010), Taskiran e altri. [RV248894] l Nel caso di delitto commesso in territorio estero da uno straniero in danno di altro straniero, la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p. per la sua perseguibilità in Italia, deve essere sussistente prima della richiesta di rinvio a giudizio, a nulla rilevando l’eventuale allontanamento dello straniero in un momento successivo all’avveramento della citata condizione di procedibilità. * Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 2006, n. 2955 (ud. 7 dicembre 2005), El Hallal. [RV233424] l In materia di falso, il concorso nel reato, che esclude la punibilità della diversa ipotesi criminosa prevista dall’art. 489 c.p. (uso di atto falso), deve configurarsi in termini di concreta punibilità. Ne consegue che, se la falsificazione è stata commessa all’estero e non vi sia la richiesta del Ministro della giustizia ex art. 10 c.p., il soggetto che abbia prodotto o concorso a produrre l’atto falso risponde, ricorrendone le condizioni, del reato di uso dello stesso, ai sensi dell’art. 489 c.p. (Fattispecie relativa alla contraffazione dei dati anagrafici su un passaporto di Paese straniero e su un visto di ingresso in Italia, esibiti alla frontiera). * Cass. pen., sez. V, 4 gennaio 2006, n. 65 (c.c. 25 ottobre 2005), P.G. in proc. Hugi. [RV232714] l Poiché la competenza territoriale a conoscere di un reato associativo si radica nel luogo in cui la struttura criminosa destinata ad agire nel tempo diventa concretamente operante, a nulla rilevando il luogo di consumazione dei singoli reati oggetto del “pactum sceleris”, per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana occorre verificare in quale luogo si è realizzata l’operatività della struttura medesima, dovendosi attribuire importanza secondaria al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso a meno che non rivelino essi stessi, per il loro numero e consistenza, il luogo di operatività predetto. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso la giurisdizione del giudice italiano con riferimento all’imputazione di associazione per delinquere elevata — in assenza di richiesta del Ministro di giustizia — a carico di un cittadino americano COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 94 94 che, a mezzo di posta elettronica, offriva in vendita organi umani a scopo di trapianto). * Cass. pen., sez. II, 7 aprile 1999, n. 993 (c.c. 25 febbraio 1999), Cohan. [RV212974] l Il giudice dell’incidente de libertate non può rivalutare autonomamente una questione pregiudiziale e strettamente connessa alla definizione del merito già esaminata dal giudice della cognizione e da costui risolta con la relativa sentenza. Invero con il procedimento incidentale in materia cautelare non può porsi in discussione una questione che, pur attenendo anche alla legittimità della misura cautelare, sia stata, per la sua confluenza nel giudizio di merito, già decisa dal giudice competente, con possibilità di riforma ormai rimessa unicamente al giudice di cognizione del successivo grado. (Fattispecie relativa ad un reato di omicidio volontario commesso all’estero, in cui nel giudizio di merito di primo grado il giudice aveva escluso la necessità, per la procedibilità in ordine al reato suddetto, della richiesta o istanza di cui all’art. 10 c.p., avendo ritenuto che il prevenuto fosse cittadino italiano e che quindi fosse sufficiente la sua presenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 9 stesso codice; la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del tribunale che, in sede di appello avverso l’ordinanza che aveva respinto la richieta di revoca della misura della custodia cautelare in carcere, aveva escluso che potesse addivenirsi alla richiesta di revoca, fondata sulla pretesa insussistenza della condizione di procedibilità di cui al comma 1 dell’art. 10 c.p., sul rilievo che appunto la questione era già stata affrontata e risolta in senso sfavorevole all’imputato nel giudizio di merito). * Cass. pen., sez. I, 8 giugno 1994, n. 2128 (c.c. 9 maggio 1994), Tarek. 11. Rinnovamento del giudizio. – Nel caso indicato nell’art. 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all’estero (138, 201; 730 ss. c.p.p.). Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all’estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta (128, 129; 342 c.p.p.). SOMMARIO: a) Giurisprudenza costituzionale; b) Reati commessi nel territorio dello Stato (comma primo); c) Delitti commessi all’estero (comma secondo). a) Giurisprudenza costituzionale. l L’art. 11 comma secondo, c.p., in quanto consente la rinnovazione del giudizio per determinati fatti già giudicati all’estero, non contrasta con gli artt. 10 comma primo e 24 comma secondo Cost., asseritamente violando il principio dell’irripetibilità del giudizio penale, da osservare, quale 20-03-2015 10:08:25 95 Titolo I – Legge penale norma internazionale generalmente riconosciuta ai sensi del citato art. 10 comma primo Cost. e ponendosi altresì in contrasto con il diritto inviolabile dell’uomo ad un processo giusto. * Corte cost., 8 aprile 1976, n. 69. b) Reati commessi nel territorio dello Stato (comma primo). l Il processo celebrato all’estero nei confronti del cittadino non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non vige il principio del “ne bis in idem” internazionale, prevedendo l’art. 11, comma primo, c.p. la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall’art. 6 c.p., cioè quando l’azione o l’omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato (La Corte ha, altresì, escluso l’applicabilità dell’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, essendo stata la condanna emessa in Croazia ed avendo quel Paese sottoscritto il trattato di adesione all’Unione Europea in data 9 dicembre 2011 con decorrenza 1° luglio 2013, data successiva alla celebrazione del processo in Italia). * Cass. pen., sez. II, 1 ottobre 2013, n. 40553 (ud. 21 maggio 2013), Tropeano. [RV256469] l A seguito dell’entrata in vigore in data 26 ottobre 1997 delle disposizioni contenute nella Legge n. 388/93 attuativa dell’accordo di Schengen, il cui articolo n. 54 stabilisce che: «una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra parte contraente, a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di sede di esecuzione attualmente o, secondo la Legge della parte contraente di condanna, non possa piú essere eseguita» trova applicazione il principio del ne bis in idem stabilito, con riguardo a sentenze penali pronunciate in Europa, sia dall’art. 53 della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con Legge 16 maggio 1977, n. 305, che dalla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con Legge 16 ottobre 1989, n. 350, sull’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, recepito con la Legge 30 settembre 1993, n. 388. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento che dichiarava inapplicabile il principio del ne bis in idem, non riconoscendo allo stesso la natura di principio o consuetudine di carattere internazionale e per questo necessariamente recessivo nei casi in cui sia ravvisata la giurisdizione dell’A.G. in base alle norme di diritto interno, quando manchi una Convenzione depositata e ratificata tra gli Stati interessati). * Cass. pen., sez. I, 23 giugno 2004, n. 28299 (c.c. 3 giugno 2004), Desiderio. [RV228779] l Poiché nell’ordinamento italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale, la sen- COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 95 Art. 11 tenza penale emessa in un Paese extra-europeo nei confronti di un cittadino italiano non impedisce la rinnovazione del giudizio in Italia per lo stesso fatto, sempre che il cittadino si trovi nel territorio italiano ed il Ministro della giustizia ne faccia richiesta ai sensi dell’art. 11, comma secondo c.p. Il pregresso riconoscimento della sentenza penale straniera sullo stesso fatto — eventualmente richiesto dal Ministro della giustizia nel caso in cui non esista trattato di estradizione con lo Stato estero ex art. 12, comma secondo, c.p. — non preclude il possibile esercizio dell’azione penale in Italia, in quanto l’istituto del riconoscimento non comporta il recepimento integrale della decisione straniera, ma produce i limitati effetti tassativamente indicati e non è in relazione di alternatività od incompatibilità con la rinnovazione del giudizio, soprattutto quando il Ministro della giustizia non abbia potuto esercitare contestualmente — per circostanze oggettive — l’eventuale opzione tra i due istituti. (Nel caso all’esame della S.C., il riconoscimento della sentenza penale emessa dalla Corte Suprema del Sud Africa era stato richiesto quando l’imputato si trovava ancora all’estero per l’espiazione della pena colà inflittagli, mentre le condizioni per richiedere il rinnovamento del giudizio, per il delitto di omicidio volontario commesso all’estero, erano divenute sussistenti solo in seguito al suo rientro in Italia). * Cass. pen., sez. I, 17 marzo 2004, n. 12953 (ud. 5 febbraio 2004), Di Blasi. [RV227852] l Il principio del ne bis in idem stabilito con riguardo alle sentenze penali pronunciate dai Paesi dell’Unione Europea dall’art. 54 della legge 30 settembre 1993, n. 388, attuativa della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, presuppone l’identità del fatto. Nel caso di partecipazione all’estero ad un’associazione criminale (nella specie: delitto di banda armata, per la partecipazione alla struttura “estero” delle Brigate Rosse) formatasi ed operante in Italia, da parte di un cittadino italiano, tale condotta è rilevante ai fini della giurisdizione penale italiana, risultando il reato associativo non solo commesso in Italia ma caratterizzato dal programma criminoso di compiere atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico dello Stato italiano. Ne consegue che non può ritenersi ostativa la sentenza definitiva pronunciata nel Paese straniero a carico del predetto in relazione alla responsabilità per la fattispecie generale di delitto associativo (nella specie association de mailfaiteurs in quanto il fatto già giudicato è del tutto diverso da quello in relazione al quale viene esercitata la giurisdizione penale in Italia. * Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2004, n. 12098 (ud. 3 novembre 2003), Giunti. [RV228481] l Il ne bis in idem non costituisce principio né consuetudine di diritto internazionale e, pertanto, ove sia ravvisata la giurisdizione in base alle norme di diritto interno, queste devono cedere il passo a quelle internazionali solo in virtù di con- 20-03-2015 10:08:25 Art. 11 Libro I – Dei reati venzione fra gli Stati, ratificata, resa esecutiva e depositata, la quale vincola unicamente gli Stati contraenti e nei limiti del patto tra essi raggiunto. La Convenzione europea tra gli Stati membri delle comunità europee, relativa all’applicazione del principio del ne bis in idem, firmata in Bruxelles il 25 maggio 1987 e ratificata dall’Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 350, non è ancora in vigore sul piano internazionale, non essendo avvenuto il deposito degli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione da parte di tutti gli Stati membri delle Comunità europee alla data dell’apertura della firma, così come previsto dall’art. 6, comma 2, della Convenzione. La predetta Convenzione trova tuttavia applicazione nelle relazioni tra Italia, Danimarca e Francia dal 16 giugno 1992, in quanto questi sono gli unici Stati che hanno depositato il proprio strumento di ratifica, come risulta dal comunicato del Ministero degli esteri, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 135 del 10 giugno 1992. Ne consegue che la predetta Convenzione non può trovare applicazione nei rapporti con Stati diversi, quale la Confederazione Elvetica. * Cass. pen., sez. VI, 12 maggio 1994, n. 5617 (ud. 15 febbraio 1994), Di Matteo. l Nell’ordinamento giuridico italiano non esiste il principio del ne bis in idem rispetto a sentenze straniere, in quanto l’art. 11 c.p. impone espressamente di giudicare nello Stato il cittadino o lo straniero che ivi abbia commesso reato, anche se sia stato già giudicato all’estero. Di ciò è conferma nell’art. 138 stesso codice il quale, per l’ipotesi di giudizio seguito all’estero e rinnovato in Italia, prevede come legittima l’esecuzione della pena inflitta dall’autorità giudiziaria italiana, disponendo che vi venga sempre computata la pena scontata all’estero. * Cass. pen., sez. VI, 8 maggio 1993, n. 621 (c.c. 3 marzo 1993), Palazzolo. c) Delitti commessi all’estero (comma secondo). l Il processo celebrato all’estero nei confronti del cittadino non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non vige il principio del “ne bis in idem” internazionale, prevedendo l’art. 11, comma primo, cod. pen. la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall’art. 6 cod. pen., cioè quando l’azione o l’omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato (La Corte ha, altresì, escluso l’applicabilità dell’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, essendo stata la condanna emessa in Croazia ed avendo quel Paese sottoscritto il trattato di adesione all’Unione Europea in data 9 dicembre 2011 con decorrenza 1° luglio 2013, data successiva alla celebrazione del processo in Italia). * Cass. pen., sez. II, 1 ottobre 2013, n. 40553 (ud. 21 maggio 2013), Tropeano. [RV256469] l Un processo celebrato nei confronti di cittadino straniero in uno Stato con cui non vigono COM_662_CodicePenaleCommentato_2015_1.indb 96 96 accordi idonei a derogare alla disciplina dell’art.11 cod. pen. non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, non essendo il principio del “ne bis in idem” principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell’ordinamento interno. * Cass. pen., sez. I, 13 maggio 2013, n. 20464 (ud. 5 aprile 2013), N. [RV256162] l Non è ostativa alla celebrazione del giudizio, in base all’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, la precedente condanna riportata per lo stesso fatto in uno Stato aderente alla suddetta Convenzione, quando la relativa pena non sia stata eseguita, né sia in corso di esecuzione, anche se sia ancora eseguibile. * Cass. pen., sez. VI, 2 ottobre 2006, n. 32609 (ud. 25 settembre 2006), Manieri. [RV234766] l Il processo celebrato all’estero nei confronti del cittadino italiano non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per lo stesso fatto, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale. La richiesta del Ministro di grazia e giustizia, quale condizione di procedibilità in Italia, nei confronti del cittadino o dello straniero già giudicato all’estero, è imposta, a norma degli artt. 11, secondo comma, c.p., soltanto nelle ipotesi, espressamente richiamate dalla disposizione, previste dai precedenti artt. 7, 8, 9 e 10 che concernono il delitto commesso interamente all’estero. Ai sensi dell’art. 11, primo comma, c.p., non è richiesta, invece, alcuna condizione di procedibilità per la rinnovazione del giudizio in ordine al reato commesso in Italia. E, invero, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 6, secondo comma, c.p., quando è ivi avvenuta, in tutto o in parte, l’azione o l’omissione che lo costituisce. * Cass. pen., sez. V, ord. 5 ottobre 1998, n. 3362 (c.c. 29 maggio 1998), Bortesi. [RV211504] l Il principio del ne bis in idem stabilito, con riguardo a sentenze penali pronunciate in Europa, dall’art. 53 della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con legge 16 maggio 1977 n. 305, non trova applicazione con riguardo a sentenze pronunciate in Germania, giacché fra il detto Paese e l’Italia non è ancora intervenuta ratifica della Convenzione summenzionata; né a tale lacuna può sopperirsi mediante richiamo alla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con legge 16 ottobre 1989 n. 350 sull’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, recepito con legge 30 settembre 1993 n. 388, non essendosi formato, né per l’una né per l’altro, un incontro bilaterale di volontà fra l’Italia (che ha dato esecuzione all’Accordo di Schengen). Rimane, quindi, in tale situazione, applicabile la regola generale di cui all’art. 11 c.p., secondo cui è consentita la rinnovazione in Italia del giudizio relativo a fatti per i quali l’imputato sia stato già giudicato all’estero. * Cass. pen., sez. I, 10 settembre 1997, n. 4625 (c.c. 3 luglio 1997), Sesta. [RV208348] 20-03-2015 10:08:25