STORIA V PROF. RAFFAELLA ARISTODEMO MODULO 2 L’ETA’ DEI TOTALITARISMI U.D. 1 IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA E IN EUROPA; GLI STATI UNITI E LA CRISI DEL ‘29 U.D. 2 IL FASCISMO U.D. 3 IL NAZISMO U.D. 4 LO STALINISMO U.D. 1 IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA E IN EUROPA; GLI STATI UNITI E LA CRISI DEL ‘29 GLI STATI UNITI E LA CRISI DEL’29. Quando gli Stati Uniti presero parte alla Prima Guerra Mondiale, loro Presidente era Woodrom Wilson, il quale si dimostrò interessato alle vicende fra i vari Stati europei, ai quali erano stati dati ingenti prestiti .Nel 1920 si tennero nuove elezioni e nuovo presidente divenne Warren Harding. Il nuovo governo adottò UNA POLITICA ISOLAZIONISTICA, basata cioè sulla non-ingerenza nei complicati affari europei del dopoguerra. All’isolazionismo politico si accompagnò UN ISOLAZIONISMO ECONOMICO, con cui si difesero le produzioni interne e si ridussero le esportazioni in Europa. Ciò creò in America una sovrapproduzione dei prodotti e un’incontrollata produzione industriale. Gli Stati Uniti per smaltire i prodotti in eccesso, riaprirono le esportazioni in Europa, ma i mercati internazionali non erano più in grado di assorbire le eccedenze produttive e i prodotti americani, essendo troppi, rimasero invenduti. La borsa di Wall Street crollo nell’ottobre del 1929, le banche fallirono, le fabbriche chiusero, la produzione industriale calò vertiginosamente, crebbero disoccupazione e povertà. A risolvere la crisi economica ci pensò il nuovo Presidente, eletto nel 1932 e poi nel 1936, Franklin Delano Roosevelt, che adottò un nuovo provvedimento economico, IL NEW DEAL(NUOVO CORSO). Tale piano mise da parte la tradizionale economia americana, troppo libera e incontrollata, e attuò un programma economico sotto stretto controllo dello Stato. L’attività produttiva doveva essere controllata dallo Stato. Sul piano economico Roosevelt combattè la disoccupazione, favorì l’aumento degli stipendi, realizzò lavori pubblici, concesse prestiti alle aziende, tassò i ceti più ricchi. U.D. 2 IL FASCISMO IL DOPOGUERRA IN ITALIA L’Italia restò delusa per il trattamento riservatoci alla Conferenza di pace dagli alleati più potenti ( la vittoria mutilata). L’Austria dovette cedere all’Italia il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e l’Istria, ma dovette contendersi con la Jugoslavia la Dalmazia e la città di Fiume. L’Italia intendeva annetterla contro il volere di Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Gabriele d’Annunzio, con un gruppo di legionari, marciò su Fiume per occuparla, lì instaurò un governo provvisorio proclamando l’annessione della città all’Italia. Lo fece contro il volere del presidente Nitti (giugno 1919-luglio 1920), il quale era succeduto ad Orlando. Il presidente Nitti si dimise e nel novembre 1920 risolse la questione il nuovo presidente Giovanni Giolitti, che stipulò un trattato con la Jugoslavia, il TRATTATO DI RAPALLO. Con tale accordo D’Annunzio fu allontanato da Fiume, questa fu dichiarata città libera, non appartenente né alla sovranità italiana né a quella jugoslava, si sancì l’annessione all’Italia di Zara, delle isole di Cherso, Lussino e Làgosta, mentre la restante parte della Dalmazia venne assegnata alla Jugoslavia. Il dopoguerra fu particolarmente difficile in Italia, dove vi fu una gravissima crisi economica. Durante il conflitto lo Stato aveva inoltre sostenuto spese ingentissime: aveva dovuto finanziare le industrie per consentire loro di trasformare gli impianti adattandoli alla produzione di materiali bellici, aveva quindi dovuto acquistare materiali ed equipaggiamenti per l’esercito, la marina, l’ aviazione, da produttori italiani e stranieri. Il Governo aveva cercato di far fronte alle enormi spese lanciando dei prestiti patriottici, che la gente sottoscrisse con slancio, ma che non furono sufficienti; si dovette allora ricorrere a grandi prestiti internazionali, che i paesi alleati più ricchi ( Stati Uniti, Francia, Inghilterra ) concessero all’Italia durante la guerra per aiutarla nel suo sforzo militare. Alla fine della guerra si creò, inoltre, una grave inflazione: la lira del 1918 valeva un quinto di quella del 1914, e di conseguenza i prezzi erano aumentati di ben cinque volte. Seguì quindi un periodo di grave crisi economica. I Paesi alleati avevano cessato di fornirci prestiti; le industrie, naturalmente dovettero interrompere la produzione bellica, e poiché mancavano i capitali necessari per riadattare le loro attrezzature ad una normale produzione di pace, molte imprese cessarono ogni attività, altre licenziarono una parte notevole dei loro operai. Non pochi complessi industriali e bancari fallirono. L’imponente numero dei caduti in guerra aveva gettato nel lutto e spesso nella miseria moltissime famiglie. I soldati che tornavano dal fronte alla vita civile si trovarono quindi molto spesso senza possibilità di avere un lavoro e disoccupati. La crescente svalutazione della lira provocò un rialzo generale dei prezzi, soprattutto dei beni di prima necessità, salari e stipendi risultavano ogni giorno più inadeguati alle esigenze della vita. La crisi economica e il vertiginoso aumento del costo della vita conseguente all’inflazione provocarono grandi scioperi e violente agitazioni dei lavoratori (IL BIENNIO ROSSO 1919-1920). Il Governo era debole e non in grado di risolvere la situazione. IL PARTITO FASCISTA E LA MARCIA SU ROMA In questo quadro generale di crisi economica e politica e di agitazione sociale, si inserì il movimento fascista, fondato a Milano il 23 marzo del 1919 da Benito Mussolini e che divenne un vero e proprio partito nel 1921. Egli era un ex -socialista che in quegli anni aveva finito per volgersi decisamente verso posizioni di estrema destra, alla ricerca soprattutto del successo personale. Il suo nuovo movimento, dal programma confuso ma dai metodi sbrigativi e violenti, raccoglieva reduci scontenti della guerra, anche avventurieri e facinorosi, molti italiani scontenti per gli scarsi risultati economici, territoriali e materiali della vittoria. Più chiaro era invece ai fascisti quali fossero i loro nemici. Prima di tutto i socialisti, da cui si temeva una rivoluzione di tipo sovietico ma anche gli operai che destabilizzavano la situazione economica sociale e politica dell’Italia, poi i liberali. Essi si proclamavano nazionalisti, e portatori di una nuova civiltà; ma non erano d’accordo fra di loro su moltissimi punti, compreso quello che riguardava l’ ordinamento della nuova Italia: doveva diventare Regno o Repubblica? I fascisti organizzarono delle squadre d’ azione, “le squadracce”, che scatenarono una spietata guerriglia contro le organizzazioni dei lavoratori, prima socialisti e poi cattolici, i loro partiti ed i loro giornali, uccidendo esponenti di sinistra e compiendo delle spedizioni punitive contro i comuni in cui l’opinione pubblica era orientata prevalentemente a sinistra. Lo squadrismo fascista si sviluppò inizialmente nella regione bolognese. Nel 1921 l’allora Capo del Governo Giolitti si dimise; a lui seguì la formazione di un Governo presieduto da Bonomi (luglio 1921-febbraio 1922), durante il quale lo squadrismo potè dispiegarsi in tutta la sua ampiezza e violenza. Caduto il Governo Bonomi, fu formato un nuovo Ministero, presieduto da Luigi Facta, che si dimostrò inadeguato a ristabilire l’ordine. Mussolini seppe manovrare con straordinaria abilità la situazione: approfittando della inefficienza delle forze dello Stato, della indecisione e della discordia che regnavano tra i partiti democratici, si procurò l’appoggio di tutti coloro che temevano gli sconvolgimenti sociali, persuadendoli che solo con gli sbrigativi sistemi fascisti si poteva ristabilire l’ordine nel Paese. Borghesi, imprenditori, commercianti, militari cominciarono a considerare il Fascismo l’unica alternativa al caos e alla rivoluzione, e quindi si dettero ad appoggiarlo concretamente. Intanto il Socialismo italiano era gravemente indebolito dai contrasti interni: la divisione fra le varie correnti del partito era culminata nel 1921 a Livorno, con la scissione di una parte degli iscritti, che dettero vita al Partito Comunista Italiano. Nello stesso anno Mussolini aveva trasformato il suo movimento in Partito Nazionale Fascista (PNF) e si preparava ad approfittare fino in fondo della situazione che evolveva a suo favore. Il 22 ottobre 1922, infatti, squadre fasciste, militarmente armate, per ordine di Mussolini marciarono su Roma per impadronirsi del potere ( la cosìddetta “Marcia su Roma”). Il Presidente del Consiglio Facta propose al Re di decretare lo stato d’assedio, cioè di mandare le truppe contro le camicie nere (i fascisti) che, marciando, il 22 ottobre 1922 si erano accampati alle porte di Roma. La “Marcia su Roma” era un’ azione dimostrativa e intimidatoria, con la quale i fascisti reclamavano il potere. Il re Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare il decreto e non volle che l’ esercito si opponesse a questo colpo di mano; anzi il 28 ottobre affidò a Mussolini l’incarico di formare il nuovo Governo: i fascisti erano così arrivati al potere.Gli alleati del Fascismo ritenevano che la formazione del nuovo Governo fosse l’inizio della normalizzazione e della ripresa dell’ordine costituzionale, per Mussolini invece l’incarico di Presidente del Consiglio era il coronamento del colpo di Stato ed il primo passo verso un regime personale dittatoriale. LA DITTATURA FASCISTA All’inizio il governo Mussolini, di cui facevano parte anche rappresentanti di altri partiti, sembrò rispettoso della legalità costituzionale; ma poco a poco avvenne la trasformazione del potere fascista in una dittatura totalitaria. Subito dopo fu approvata dalla Camera una legge (3 dicembre 1922), che conferiva al Governo ampi poteri, che furono usati per affidare agli elementi fascisti la direzione dei più importanti settori dell’amministrazione (la cosìdetta Fascistizzazione dello Stato). Nell’aprile del ’24 vi furono nuove elezioni, condotte con brogli ed intimidazioni, che diedero la maggioranza al cosìdetto “Listone”, caratterizzato da candidati fascisti. All’indomani delle elezioni, il deputato socialista Giacomo Matteotti pronunziò alla Camera un discorso, nel quale furono denunciate le illegalità e le violenze con le quali erano state fatte le elezioni. Qualche giorno dopo fu rapito e ucciso dagli squadristi. Ciò provocò sdegno nel Paese, Se ne ritenne indirettamente responsabile Mussolini, e per un momento sembrò vacillare il regime che si veniva costruendo. L’opposizione in Parlamento, in segno di protesta, abbandonò la Camera (Secessione dell’Aventino). Ma la crisi fu superata, soprattutto grazie all’appoggio che il Re Vittorio Emanuele continuò a dare a Mussolini, rifiutando di aderire alle proposte fatte dall’opposizione parlamentare di farlo dimettere. Il 3 gennaio del 1925, con un discorso al Parlamento, Mussolini assumeva la responsabilità morale del delitto Matteotti, così il Fascismo si trasformava apertamente in dittatura e diventava regime, anche se nato illegalmente. Tutti i partiti ad eccezione del Partito Nazionale Fascista, venivano sciolti e se ne vietava la ricostituzione. I deputati dell’opposizione venivano proclamati decaduti. Solo formalmente rimase in vigore lo statuto albertino. Il Senato rimase, come prima, di nomina regia, ma i nuovi senatori furono da quel momento scelti esclusivamente tra uomini favorevoli al regime fascista. Capo dello dello Stato continuò ad essere il re, tuttavia le prerogative della monarchia vennero controllate da un nuovo organo legislativo, IL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO, un’assemblea dei maggiori esponenti del partito, che divenne l’organismo ufficiale dello Stato. Esso poteva interferire anche nella questione della successione al trono. Fu poi istituita la MILIZIA VOLONTARIA PER LA SICUREZZA NAZIONALE, vera e propria guardia del corpo del duce e del regime. Fu poi istituito un TRIBUNALE SPECIALE che giudicava i reati di antifascismo. Mussolini adottò una serie di leggi repressive, con le quali abolì la distinzione tra potere esecutivo e legislativo, che accentrò nelle proprie mani. Per controllare gli enti locali sostituì i sindaci con podestà di sua nomina. Furono emanati una serie di decreti, le “leggi fascistissime”, nel 1926, con le quali furono praticamente abolite le libere elezioni, la libertà sindacale, perseguitata ogni forma di opposizione, proibiti gli scioperi e ogni altra forma di lotta fra lavoratori e datori di lavoro, fu ripristinata la pena di morte. Le seguenti elezioni divennero una pura formalità, in quanto per le elezioni si votava per una lista unica nazionale, scelta dal gran consiglio del fascismo. Anche alle elezioni del 1929, il partito fascista ottenne la maggioranza dei voti. Fu inoltre caratteristica del Fascismo impiegare in modo sistematico i mezzi di comunicazione a fini di propaganda: radio, giornali, mostre, cinema , la scuola,esaltavano quotidianamente le imprese di Mussolini e dei suoi collaboratori, fabbricando così il consenso verso il Regime. Numerosi erano però gli oppositori al regime, tra cui molti intellettuali che furono perseguitati o in carcerati (il filosofo Benedetto Croce, lo storico Antonio Gramsci ecc…) LA POLITICA INTERNA In campo lavorativo, due grandi categorie, quella dei lavoratori e dei datori di lavoro, tradizionalmente avversarie, furono organizzate insieme nelle “Corporazioni”, affinché, secondo le intenzioni del Regime, collaborassero pacificamente nell’interesse della Nazione. Ogni Corporazione raggruppava obbligatoriamente i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro di uno stesso ramo dell’attività economica. In pratica, anche attraverso il sistema corporativo, lo Stato fascista impose un rigido controllo sull’economia del Paese e sulle fabbriche. Esso intervenne largamente, con provvedimenti, leggi e anche con il diretto impiego di capitali, per affrontare i problemi dell’industria e dell’agricoltura. E in effetti furono conseguiti alcuni successi, come la bonifica di terreni paludosi, la costruzione di acquedotti, strade e opere pubbliche: abilmente pubblicizzati, essi dettero prestigio al Regime, che in tal modo tentava anche di assorbire parte della manodopera disoccupata e di guadagnarsi il consenso delle masse lavoratrici. La politica economica del Fascismo fu retta dal principio dell’Autarchia, che consisteva nel cercare di rendere indipendente il Paese dalle importazioni di prodotti stranieri. A tale scopo, si cercò di incrementare tutte le produzioni nazionali più importanti, fino al punto che esse risultassero sufficienti a soddisfare le necessità interne. Si cominciò nel 1925 con la “battaglia del grano”: vaste bonifiche permisero di risanare e mettere a coltura molti terreni fino ad allora improduttivi, e dovunque fu intensificata ed estesa la coltivazione del frumento, sicchè l’ Italia divenne autosufficiente in questo settore (però il grano, prodotto a prezzo di notevoli impieghi di capitale, veniva a costare più di quanto si sarebbe pagato all’estero). Anche nel settore industriale verso il 1928 fu adottata la politica autarchica: ritrasformati gli impianti per la produzione di pace, le nostre maggiori industrie furono aiutate in ogni modo dal Governo, soprattutto con un rigido protezionismo doganale contro la concorrenza dei prodotti stranieri. Esse poterono così svilupparsi notevolmente, anche se, ovviamente, rimaneva necessario importare le materie prime fondamentali (carbone, ferro, petrolio ecc…) che il nostro sottosuolo non forniva. Per ricondurre alla normalità i rapporti fra lo Stato italiano e la Santa Sede, che restavano ufficialmente interrotti fin dall’occupazione di Roma del 1870, Mussolini iniziò lunghe e laboriose trattative segrete, che nel 1929 sfociarono nel sensazionale annuncio, del tutto inaspettato, che la “Questione romana” era stata risolta. L’accordo fu stipulato con i “Patti lateranensi” dell’11 febbraio 1929. Essi si componevano di un “Trattato”, che regolava i rapporti tra l’Italia e il nuovo Stato della Città del Vaticano, e di un “Concordato”, che stabiliva i diritti e i doveri della Chiesa all’interno del territorio italiano, nello svolgimento della sua missione religiosa. Con i Patti il pontefice Pio XI riconosceva Roma come Capitale del Regno d’Italia, mentre il Governo italiano ammetteva la religione cattolica come unica religione dello Stato e riconosceva al Papa la sovranità sul nuovo Stato della Città del Vaticano, minuscolo per estensione ma sufficiente garantire l’assoluta indipendenza politica del pontefice. LA POLITICA ESTERA DEL FASCISMO LA GUERRA ETIOPICA E L’ALLEANZA CON HITLER In politica estera il Fascismo, coerentemente con la sua ideologia nazionalistica, sosteneva la necessità per il Paese di crearsi un Impero coloniale, mirava ad accrescere il prestigio e la potenza dell’Italia nel mondo e particolarmente nel Mediterraneo, e a dare uno sbocco alla sovrabbondante popolazione della penisola. Tali pretese si scontravano con gli interessi di Paesi più forti dell’Italia, quali erano la Francia e l’ Inghilterrra. Tuttavia, fino al 1936, le relazioni fra Italia e Inghilterra rimasero ottime. Meno buoni furono i rapporti con la Francia, che vedeva insidiate dalla politica estera di Mussolini le sue posizioni di predominio politico ed economico nella penisola balcanica. Il 3ottobre 1935 il governo fascista decise di muovere guerra all’Etiopia, nonostante l’unanime condanna dei Paesi aderenti alla Società delle Nazioni; l’Italia fu dichiarata paese aggressore e contro di essa furono decretate pesanti sanzioni economiche: venne cioè vietato ad ogni Stato membro dell’organizzazione di fornire all’Italia materie prime per la produzione bellica. Le sanzioni economiche provocarono l’intensificarsi della politica autarchica e l’abbandono da parte dell’Italia della Società delle Nazioni. La guerra etiopica segnò anche la fine delle buone relazioni fra l’Italia e l’Inghilterra che, come la Francia, considerava pericoloso per i suoi interessi coloniali l’espansionismo italiano in Africa. Nonostante gli aiuti che Francia e Inghilterra fornirono all’ Etiopia, la guerra durò pochi mesi, e si concluse il 5 maggio 1936 con la conquista italiana del vasto impero del Negus. Conseguenza diretta dell’uscita del nostro Paese dalla Società delle Nazioni e del peggioramento dei rapporti con l’Inghilterra fu lo stabilirsi di sempre più strette e amichevoli relazioni fra l’Italia fascista e la Germania nazista (che già nel 1933 aveva abbandonato l’ organizzazione internazionale, e che perciò non aveva aderito alle sanzioni economiche). In tal modo Mussolini cercava di evitare l’isolamento politico in Europa, ma in realtà i vincoli con il più forte Stato totalitario d’oltralpe tolsero al nostro Paese, in breve tempo, ogni possibilità di svolgere una politica indipendente in campo internazionale. Da allora, sempre più, l’ Italia fu coinvolta dalle pericolose iniziative di Hitler. Nel 1937 Italia, Germania e Giappone si unirono nel PATTO TRIPARTITO contro il comunismo sovietico e internazionale. Quindi Mussolini e Hitler concretarono la loro intesa dando vita all’Asse Roma-Berlino, destinato ad essere il cardine della nuova Europa totalitaria da loro vagheggiata. Infine, nel 1939, l’ alleanza fu consolidata con la stipulazione del”Patto d’acciaio”, che impegnava le due potenze a prestarsi reciproco aiuto in caso di guerra . U.D. 3 IL NAZISMO LA CRISI DELLA GERMANIA REPUBBLICANA La Germania, entrata in guerra a fianco dell’Austria, era stata sconfitta dalle Potenze dell’Intesa e ciò aveva provocato un profondo sconvolgimento nel Paese. Il 9 novembre 1918, dopo la fuga del kaiser Guglielmo II, era stata proclamata la Repubblica. In Germania, dopo la proclamazione di quest’ultima (9 novembre 1918), e la formazione di un Governo provvisorio di indirizzo socialdemocratico, scoppiò una rivoluzione capeggiata dal partito comunista fondato da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Gli operai di Berlino, nel gennaio 1919, scesero in piazza per abbattere il vecchio apparato dello Stato e il sistema capitalistico, ma la rivolta fu repressa nel sangue. L’11 agosto 1919 l’Assemblea Costituente proclamò la Repubblica di Weimar, dotata di una nuova Costituzione che trasformava lo Stato unitario in Repubblica Federale, con un Parlamento, un Cancelliere e un Presidente. Gli ambienti di destra osteggiarono la nuova Repubblica, organizzarono atti terroristici tentando un colpo di stato (Putsch di Kapp, 1920). La situazione fu aggravata dal disastro economico, dalla disoccupazione e da un’inflazione galoppante, che resero impossibile pagare i risarcimenti previsti dal trattato di pace alle potenze europee. A garanzia del pagamento, la Francia occupò il bacino minerario della Ruhr nel 1923. HITLER E LA NASCITA DEL NAZIONALSOCIALISMO In questo clima arroventato, si costituì a Monaco nel gennaio del 1919, il Partito Operaio Tedesco, di estrema destra, al quale nell’autunno dello stesso anno aderì un imbianchino ed ex caporale di origine austriaca, Adolf Hitler (1889-1945). Grazie alla sua intraprendenza e alla sua oratoria, nel febbraio del 1920 Hitler dette vita in una birreria di Monaco a un movimento politico che egli denominò nazionalsocialista, contraddistinto dal simbolo delle camicie brune e dal segno della croce uncinata o svastica sul braccio (svastica dal sanscrito svastica, indicava il sole, apportatore di benessere. Si diffuse tra i gruppi antisemiti tedeschi come simbolo di arianità e superiorità razziale. La svastica diverrà simbolo ufficiale del nazismo). Nell’agosto dello stesso anno il movimento si trasformò in Partito Nazionalsocialista dei lavoratori, più comunemente noto nella sua forma abbreviata di Partito Nazista. I suoi iscritti mantennero i simboli del precedente movimento e si distinsero ben presto, secondo l’esempio dello squadrismo fascista, per i loro metodi terroristici e per le loro violenze a mano armata, tendenti a restaurare in Germania un regime autoritario in funzione decisamente antidemocratica e anticomunista. Alla loro testa Hitler tentò nel 1923 un colpo di stato contro il governo bavarese (il cosiddetto Putsch di Monaco), che però fallì miseramente e che lo fece finire per circa un anno in prigione, dove egli si prefisse come obiettivo futuro la conquista legale del potere. Nel frattempo la situazione della Germania stava lentamente migliorando, grazie all’apertura nel 1922 di relazioni diplomatiche e commerciali con l’Unione Sovietica e all’intervento diretto degli Stati Uniti nell’economia tedesca attraverso il Piano Dawes. Nel 1924 il Governo repubblicano degli Stati Uniti con il Piano Dawes predispose un sistema di aiuti finanziari ai paesi vinti, per incentivare la produzione europea e scoraggiare rivoluzioni di tipo sovietico. Tale piano permise la ripresa dei meccanismi produttivi e consentì la diffusione sui mercati di merci tedesche altamente competitive, grazie anche ai bassi costi di produzione e all’inflazione. Nello stesso tempo anche la politica internazionale cominciava a volgere in senso positivo, sia per merito delle iniziative anglo-americane, sia per un’inversione di tendenza da parte francese determinata dal nuovo ministro degli esteri Aristide Briand (1862-1932). Nell’ottobre 1925 infatti Francia e Germania, con la garanzia dell’Inghilterra e dell’Italia, firmarono nella città di Locarno un patto che, pur riconoscendo la cessione alla Francia dell’Alsazia e della Lorena e l’impegno della Germania a non modificare con le armi la nuova situazione politica, avviò l’Europa verso un modo più razionale di considerare le relazioni internazionali. Ciò garantì la ripresa dell’economia, segno inconfondibile di un concreto mutamento d’indirizzo nei rapporti fra i diversi stati e di una sincera riconciliazione intervenuta tra vincitori e vinti. Si parlò allora di “spirito di Locarno”. Subito dopo la Germania venne ammessa alla Società delle Nazioni nel 1926 e nell’agosto 1928 venne firmato il patto Briand-Kellog, così detto dal nome del segretario di stato americano Frank Kellog (1856-1937) e sottoscritto dai rappresentanti di ben sessanta Stati, tra i quali la Francia (nella persona del ministro Briand, che vi aveva contribuito in modo determinante), l’Inghilterra, la Germania, il Belgio, l’Italia, l’Unione Sovietica, il Giappone. Tale patto rifiutava ufficialmente la guerra come mezzo per risolvere contese fra Stato e Stato e stabiliva l’appoggio incondizionato ai paesi aggrediti in violazione dei patti della Società delle Nazioni o del trattato di Locarno. Purtroppo il patto Briand-Kellog era destinato a restare un atto di buona volontà, visto che la sua formulazione non prevedeva di imporre le decisioni collettive dei firmatari a chi si fosse rifiutato di riconoscerle. Alcuni mesi dopo il finanziere americano Owen D.Young (1874-1962), Presidente della commissione internazionale per le riparazioni di guerra, intraprese una nuova iniziativa a favore della Germania. Il cosiddetto Piano Young (1929), riduceva infatti notevolmente la portata dei risarcimenti dovuti dai tedeschi, ma soprattutto permetteva loro di scaglionarne le rate in sessant’anni e stabiliva l’allontanamento delle truppe franco-belghe dalla Renania. Tale nuovo modo di intendere i rapporti fra i popoli non doveva però durare a lungo. La grande depressione influì in senso negativo sulla coscienza collettiva dei popoli e rafforzò ben presto le tendenze estremistiche specialmente in Germania, dove il ritiro dei capitali stranieri, il conseguente arresto delle attività industriali, i fallimenti e la disoccupazione venivano creando di giorno in giorno condizioni di vita oggettivamente drammatiche soprattutto per i ceti medio-bassi. Rinacquero così quegli impulsi di irrazionalità esasperata, che trovarono nuovo sfogo nella ripresa politica ed economica del nazionalismo più esacerbato. In Germania gli ambienti aristocratici e borghesi, per schiacciare l’opposizione comunista, il partito socialdemocratico e lo schieramento cattolico, abbracciarono posizioni di estrema destra, strettamente legate alle tradizioni del militarismo prussiano. Fu appunto in tale clima che il Nazionalsocialismo di Adolf Hitler finì per prevalere sui partiti moderati di Weimar. Oltre ad ottenere il sostegno dell’esercito e della polizia, Hitler riuscì infatti ad assicurarsi l’appoggio della grande industria e dell’alta finanza, dimostratesi ben disposte a fornirgli cospicui mezzi economici nella speranza di veder sorgere un regime autoritario, capace di garantire una maggiore tranquillità e una sicura protezione dei loro interessi, eliminando ogni forma di protesta sindacale e sociale. Anche la borghesia risultò nel suo insieme favorevole a una svolta autoritaria. D’altra parte Hitler si presentava ai milioni di combattenti delusi come il paladino del prestigio della nazione offeso dagli alleati a Versailles, a essi si prometteva di riscattare il Paese dalla sconfitta subita restituendogli l’antica potenza. Forte di numerosi consensi, Hitler, servendosi della violenza per ottenere il silenzio degli oppositori, riuscì ad ottenere moltissimi voti. Infatti già nel settembre 1930 il Nazismo, sull’onda della grande depressione economica, conseguì un significativo successo elettorale, che non gli concedeva ancora la maggioranza relativa, ma gli assegnava il posto di secondo partito del paese. Due anni dopo, nel marzo 1932, Hitler si presentò addirittura come candidato alle elezioni presidenziali tedesche, ma non ebbe fortuna a causa dello straordinario ascendente goduto dall’avversario e già Presidente della Repubblica dal 1925, il vecchio maresciallo Paul Ludwig Hindenburg (1847-1934), esponente dei ceti militaristi e conservatori e sostenuto anche dai cattolici e dai socialdemocratici, fermamente decisi a scongiurare il pericolo nazista. Come già era avvenuto per il fascismo italiano, anche le forze della destra tedesca pensavano che fosse facile strumentalizzare il forte ascendente del Nazismo sulle masse, per poi riportarlo alla normalità. Dopo il successo ottenuto dal Partito Nazista nelle due successive edizioni, tenutesi rispettivamente nel luglio e nel novembre 1932 a causa dell’impossibilità di costituire una solida compagine nativativa, il presidente Hindenburg, che era pur sempre il rappresentante del militarismo prussiano e per di più sensibile alle pressioni degli industriali e degli agrari, prese l’iniziativa di compiere una decisa svolta a destra. Infatti, facendosi forte del risultato delle elezioni, allontanò dal cancellierato il cattolico conservatore Franz Von Papen (1879-1969), e chiamò a formare il nuovo governo lo stesso Hitler. Era il 30 gennaio 1933. IL NAZISMO AL POTERE E L’ANTISEMITISMO La sera del 27 febbraio giunse improvvisa la notizia che il Reichstag, sede del Parlamento, era stato incendiato. Subito dopo si sparse la voce che l’incendio fosse frutto di un complotto comunista per impadronirsi del potere. Ebbe inizio così una vera e propria caccia all’uomo, che provocò in poche ore la morte di decine e decine di membri dell’opposizione e la reclusione di altri 4500. Fu proprio in seguito a questa gigantesca macchinazione che i nazisti riuscirono a dare inizio a una politica fondata sul terrore, infliggendo un colpo decisivo alla democrazia grazie a un decreto straordinario emanato il 28 febbraio, in base al quale venivano drasticamente limitate le libertà politiche e civili, e posti sotto controllo la stampa e i partiti politici. Così il Paese muoveva a grandi passi verso la dittatura con la passiva accondiscendenza del presidente Hindenburg, che sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni per il 5 marzo 1933, al fine di dare alla Germania un Reichstag meglio rispondente alla svolta storica determinata dall’ascesa del Nazismo al potere. Facendo leva sulla maggioranza parlamentare raggiunta (sia pure insieme ai conservatori) con le elezioni del 5 marzo, Hitler si affrettò a far votare una legge-delega, il 23 marzo, apparentemente intesa a porre fine ai disagi del popolo e dello Stato, ma nella realtà destinata a concedere per quattro anni i pieni poteri al suo governo, che ne approfittò per eliminare con una brutalità senza precedenti ogni forma di opposizione e per instaurare un regime totalitario. In quest’opera di distruzione della libertà e della democrazia il nuovo Cancelliere incontrò la resistenza spesso eroica di minoranze borghesi e proletarie, ma non quella di tutto il popolo, ancora non abituato alla democrazia parlamentare in quanto sottoposto troppo a lungo al duro regime del Kaiser. Da quel momento Hitler, che già dal luglio 1921 aveva assunto il titolo di Fuhrer (cioè di duce, condottiero dei suoi seguaci), ebbe via libera per iniziare la più brutale e spietata delle dittature, annientando ogni opposizione al nuovo regime, abolendo ogni libertà di associazione e di espressione e sopprimendo conseguentemente i liberi sindacati e i partiti politici rivali, primo fra tutti quello comunista, dichiarato subito fuori legge. Con una specifica legge in data 14 luglio 1933 egli provvide anche a far riconoscere ufficialmente come partito unico quello nazista, nell’ambito del quale egli procedette contro ogni possibile opposizione. Clamoroso fu l’eccidio della “ Notte dei lunghi coltelli” il 30 giugno 1934, nel corso del quale furono trucidati dalle fedelissime SS molti membri della struttura paramilitare delle SA, guidati dall’ex ufficiale Ernst Rohm. Da allora Hitler non ebbe oppositori di sorta, né ebbe più difficoltà a stringere quell’unione indissolubile con l’esercito sulla quale da sempre aveva fatto affidamento. Così alla morte di Hindenburg, nell’agosto del 1934, Hitler ottenne il potere assoluto, riunendo illegalmente nelle proprie mani le due cariche supreme dello Stato, quelle cioè di Cancelliere e di Presidente del Terzo Reich. Il Terzo Reich (Impero), succedeva a quello creato nel 1870 da Bismarck e al ben più antico Sacro Romano Impero (9621806).Annientata ogni forma di opposizione anche attraverso l’eliminazione fisica degli avversari o la loro detenzione nei campi di concentramento, organizzati dalle SA fin dal 1933, la Germania venne trasformata da Stato Federale in Stato Unitario con una serie di leggi emesse fra il 1933 e il 1934, che prevedevano lo scioglimento di parlamenti, governi e organi giudiziari dei vari stati tedeschi (lander), le cui competenze vennero affidate a funzionari di sicura fede nazista. Il passaggio venne condotto con l’unanime plauso della popolazione, per cui le elezioni divennero da allora una vera e propria farsa. Puramente formali divennero anche le riunioni del Reichstag, ridotto a un’assemblea delegata ad approvare passivamente i decreti governativi o ad ascoltare con grandi ovazioni i discorsi di un capo che aveva sempre ragione e che per ogni buon nazista era da considerare un dono di dio, e come tale al di sopra di qualsiasi giudizio e della stessa legge, in quanto personificazione di essa (la legge e la volontà del fuhrer sono tutt’uno!), come una formula d’obbligo accompagnata dal saluto a braccio teso. La principale ragione del consenso del popolo tedesco al programma hitleriano deve essere cercata nei buoni risultati ottenuti in campo economico. L’evocazione del mito del capo carismatico fu consacrata infatti dai suoi effettivi successi in politica interna, grazie ai quali egli tra l’altro seppe ricostruire la coscienza dell’identità e dell’orgoglio del popolo tedesco. Hitler era infatti riuscito a risollevare le sorti economiche del paese mediante una politica fortemente autarchica, sostenuta dalla presenza imprenditoriale dello Stato nel campo dei lavori pubblici, delle infrastrutture, dell’industria pesante, da una rigorosa proibizione dello sciopero, dalla concentrazione dei capitali, nonché dalla facile acquisizione sul mercato internazionale delle materie prime indispensabili, offerte a condizioni assai convenienti a causa della caduta generale dei prezzi dopo la crisi del 1929. nello stesso tempo la Germania rinunciava non solo all’importazione delle materie prime non strettamente necessarie o sostituibili con prodotti sintetici, ma anche all’importazione dei prodotti agricoli, mentre il risparmio veniva massicciamente convogliato nell’industrializzazione con risultati eccezionali, che permisero di ridurre il preoccupante fenomeno della disoccupazione, quasi del tutto eliminato già nel 1938. Ad imporre e consolidare in Germania un sistema totalitario contribuirono (oltre al fanatismo nazista, guidato prima da Rudolf Hess e poi daMartin Bormann) tre distinti strumenti: il terrore poliziesco, l’azione di propaganda, inquadramento della popolazione attiva nelle organizzazioni del partito. La politica estera del Nazismo ebbe un carattere decisamente aggressivo nei confronti dei paesi naturalmente tedeschi come l’Austria e il territorio dei Sudeti in Cecoslovacchia. Non tenendo conto dei trattati internazionali, Hitler riteneva che questi paesi costituissero uno spazio vitale (lebensraum) irrinunciabile per la Germania ai fini dell’acquisizione di materie prime e prodotti agricoli, e soprattutto considerava l’espansione verso questi territori come la prima tappa di un processo che avrebbe portato all’unione di tutti i tedeschi in un’unica grande patria germanica. I fondamenti dell’ideologia nazionalsocialista vennero delineati dallo stesso Hitler nella sua opera “Mein kampf” e da alcuni tra i più qualificati teorici del partito, quali Dietrich Eckart e Alfred Rosenberg. Grande fu l’avversione che Hitler manifestò verso il comunismo bolscevico, nel quale inquadrava anche la socialdemocrazia: ciò gli valse non poche simpatie sia in campo nazionale sia in quello internazionale, ambedue dominati ormai dalla psicosi del periodo rosso. La dottrina politica hitleriana, permeata dall’ambizioso quanto assurdo miraggio di ottenere una “palingenesi del mondo” con un’efficacia non diversa rispetto a quella avuta dal Cristianesimo nell’età antica, era basata su una specie di sentimento mistico, su uno strano miscuglio di aspirazioni nazionalistiche, di principi liberaleggianti e di teorie eugenetiche, che avevano come punto di raccordo due elementi fondamentali: quello della razza, considerata essenza della storia e della società, e quello dell’ineguaglianza, ritenuta legge fondamentale della natura e come tale motivo determinante della sottomissione delle masse ai capi e alle razze superiori. Eugenetica è quella branca della medicina che si occupa del miglioramento genetico della razza umana. Il Nazismo sosteneva infatti la teoria della superiorità assoluta e indiscutibile della cosiddetta razza ariana, alla quale andava attribuito il merito esclusivo del progresso dell’umanità e la cui purezza doveva essere difesa contro ogni pericolo di inquinamento. Dato che secondo Hitler la razza ariana si identificava nella razza germanica, compito precipuo e fondamentale dello stato nazista doveva essere quello di dare corso a un intenso processo di purificazione allo scopo di ricreare un solido gruppo razziale tedesco, destinato a esercitare un incontrastato predominio sulle altre razze impure e inferiori. Più in particolare il razzismo hitleriano individuò il principale nemico nel popolo ebraico, considerato come la vera e propria origine di tutti i mali del mondo, compresi quelli della Germania. Ne conseguì una politica che mirava ad una progressiva e spietata persecuzione degli ebrei, ritenuti una razza impura, anzi una vera e propria antirazza. In principio vi furono provvedimenti discriminatori tesi ad impedire la frequenza scolastica, l’esercizio di libere professioni e di altre attività. La persecuzione divenne più acuta con la promulgazione delle leggi di Norimberga (15 settembre 1935). Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 come misura di ritorsione in seguito all’uccisione di un funzionario nazista da parte di un ebreo, in molte città tedesche vennero devastati negozi appartenenti agli ebrei, sinagoghe, abitazioni. Poiché furono infrante le vetrine dei negozi e le vetrate delle sinagoghe, quest’azione venne definita “notte dei cristalli”. Il deciso Antisemitismo predicato e praticato dal Nazismo non si basava solo su un presupposto ideologico, anzi, tale presupposto rappresentava piuttosto un pretesto, una copertura delle ragioni economiche e sociali. Gli ebrei, infatti, oltre a costituire una comunità molto forte e coesa, dotata di una solida identità e pertanto difficilmente integrabile nel progetto totalitario di Hitler, occupavano posizioni di rilievo importanti settori della finanza e potevano quindi ostacolare i piani economici del Nazismo. Per quanto aberranti, tali teorie trovarono il consenso di quasi tutto il popolo tedesco, più tardi, almeno in parte, europeo: il che deve far riflettere sia sulla forza propagandistica dei regimi totalitari, sia sulla propensione umana a individuare un capro espiatorio su cui scaricare le proprie frustrazioni e, in generale, a farsi manipolare. Sta di fatto che nel giro di pochi anni, la persecuzione antisemita varcò i confini della Germania e nel corso della Seconda Guerra Mondiale culminò nel genocidio di sei milioni di ebrei, disperati protagonisti e vittime innocenti di una terrificante tragedia. Hitler deportò in appositi campi di concentramento per i lavori forzati gli ebrei, gli oppositori del regime, gli zingari e tutti coloro che, per qualsiasi ragione, non fossero ritenuti, nella folle filosofia del regime, appartenenti alla razza pura. Dal 1942 alcuni campi furono dotati di camere a gas, per sterminare gli ebrei deportati. L’ESPANSIONE DEL NAZISMO E GL ACCORDI TRA HITLER E MUSSOLINI La prima concreta prova di una concordanza di idee e di programmi aggressivi fra il governo italiano e quello tedesco si ebbe nel corso della guerra di Spagna (19361938). In Spagna regnava dal 1902 Alfonso XIII con il sostegno di nobiltà, militari, latifondisti e gerarchie ecclesiastiche. Per osteggiare il movimento democratico e socialista, tali forze appoggiarono il colpo di stato del generale Miguel Primo de Rivera, che instaurò un regime dittatoriale (1923-1930), simile a quello fascista italiano. Dopo il successo conseguito nelle elezioni del 1931 dalle forze democratiche, il re fu deposto, costretto all’esilio e fu proclamata la Repubblica. Ma la stabilità del nuovo regime era insidiata dal ripetersi di disordini e vere sommosse in tutto il Paese. Nel 1936 un gruppo di ufficiali dell’esercito, fra cui ben presto assunse un ruolo di spicco Francisco Franco, pensò di approfittare delle difficoltà del governo per effettuare un colpo di mano e impadronirsi del potere. Le forze della falange furono aiutate tramite numerosi aerei e truppe armate, dai fascisti italiani e dai tedeschi, mentre le forze democratiche, raccolte nel Fronte Popolare, furono appoggiati dall’Inghilterra, dalla Francia, dagli Stati Uniti, dall’Unione Sovietica. Nel 1939 i falangisti di Franco, dopo un lungo assedio, conquistarono Madrid e instaurarono in Spagna un regime dittatoriale di tipo fascista. Il conflitto spagnolo offrì alla Germania hitleriana, che ormai da tempo aveva dichiarato militarmente superati gli accordi di Versailles e si era ritirata dalla Società delle Nazioni (ottobre 1933), la possibilità di avvicinare a se l’Italia mussoliniana. Nel 1935, con metodi violenti, Hitler occupò il territorio della Saar che fu riannessa alla Germania. Nel 1936, consapevole di violare un’altra clausola del trattato di Versailles (equilibri raggiunti nel 1924 a Locarno), occupò la Renania (territorio tra Francia e Germania). Nel 1924 era stato sottoscritto da Francia e Germania, con la garanzia dell’Inghilterra e dell’Italia, il “Patto di Locarno”, che prevedeva l’impegno della Germania a non modificare con le armi la nuova situazione internazionale determinatasi con i trattati di pace. Nonostante ciò, Francia e Inghilterra non seppero reagire. Nel 1937 Italia, Germania e Giappone si unirono nel”Patto Tripartito” contro il comunismo sovietico e internazionale. Quindi Mussolini e Hitler concretarono la loro intesa dando vita all’Asse Roma-Berlino. Tale accordo, non una vera e propria alleanza, prevedeva l’impegno comune a lottare contro il pericolo bolscevico. Forte di tali alleanze, il dittatore tedesco intraprese una politica di rapida espansione; nel marzo 1938 occupò l’Austria, che venne annessa alla Germania, nel marzo 1939 invase la Cecoslovacchia, dopo aver ottenuto nel 1938 la regione dei Sudeti, abitata prevalentemente dai tedeschi. Mussolini accondiscese all’aggressione hitleriana ai danni dell’Austria. Tale comportamento costituì un evidente segno dell’asservimento della politica italiana a quella tedesca. Un’altra prova in tal senso si ebbe quando anche in Italia nell’agosto del 1938, venne dato inizio alla persecuzione antisemita, attraverso provvedimenti contro gli ebrei (espulsione dalle scuole, uffici, divieto dei matrimoni misti ecc… ). Infine, il 22 maggio 1939, l’alleanza fu consolidata con la stipulazione del “Patto d’Acciaio”, che impegnava le due potenze a prestarsi reciproco aiuto in caso di guerra. U.D. 4 LO STALINISMO In Russia nel 1924 Lenin morì e suo successore divenne Stalin JosifDzugasvili 19241953. Stalin era stato, in precedenza, collaboratore di Lenin e seguì le idee economico-politiche del predecessore. Egli, per incentivare lo sviluppo del Paese, intraprese la via dell’industrializzazione. Dapprima promosse LA COLLETTIVIZZAZIONE FORZATA DELLA TERRA, e sterminò i kulaki, i contadini più ricchi, i quali furono arrestati, deportati, uccisi e annientati come clase sociale. Stalin elaborò inoltre I PIANI QUINQUENNALI dal 1929 al 1933, con essi si incrementò la produzione industriale. L’URSS fece così straordinari progressi economici: si sviluppò notevolmente l’industria pesante, siderurgica ed elettrica. In Unione Sovietica sorsero grandi città industriali, si moltiplicarono le comunicazioni ferroviarie e stradali. L’enorme sviluppo industriale, sotto il Governo di Stalin, negli anni trenta, fu possibile per l’intenso sfruttamento dei lavoratori e degli operai. Questi dovevano dedicarsi totalmente al lavoro per il bene della patria. Si instaurò pertanto una visione comunista del lavoro nella società sovietica: il lavoro non doveva essere svolto solo per il suo valore economico e perché fonte di guadagno, doveva essere svolto perché esso aveva valore etico e morale in quanto elevava l’uomo alla gloria per il bene della collettività e dello Stato. Il lavoro non era un peso ma una gioia, addirittura si invitava a maggiori sacrifici sul lavoro prolungando gli orari e proponendo un maggiore sfruittamento della forza-lavoro. Questa concezione del lavoro prese il nome di STAKANOVISMO, un movimento che aveva preso il nome da un minatore, Stakhanov, il quale con uno sforzo immane, aveva estratto un’insuperabile quantità di carbone e per questo divenne un modello da imitare. Tra le altre riforme attuate dal governo di Stalin, vi fu la risrutturazione dell’esercito e la diffusione dell’educazione scolastica, per eliminare l’analfabetismo di massa e per formare classi di intellettuali che avrebbero dovuto dirigere lo Stato sovietico. Per realizzare tutto questo, Stalin attuò la dittatura esercitando un potere tirannico e totalitario. Attorno alla sua figura si costruì, grazie anche ai mezzi di comunicazione, un vero e proprio culto della personalità. Il periodo tra il 1936 e il 1938 è detto PERIODO DELLE GRANDI PURGHE, in quanto Stalin perseguitò, processò e condannò a morte moltissimi esponenti del partito bolscevico, tra cui lo stesso Trotskij, fatto assassinare da Stalin nel 1940. Stalin divenne così detentore di un potere assoluto, che soffocò qualunque tipo di opposizione. Egli diede vita ai Gulag, campi di lavoro forzato nei quali venivano imprigionati gli esponenti bolscevichi o addirittura chiunque fosse sospettato di essere una spia. I gulag erano sparsi nelle regioni settentrionali del paese, prevalentemente essi si trovavano in Siberia e distruggevano psicologicamente e fisicamente i prigionieri. A livelli internazionale, con Stalin gli Stati Uniti e gli altri paesi europei, si dimostrarono disposti a collaborare con la Russia, soprattutto per lottare contro il Nazismo. L’URSSS entrò a far parte della Società delle Nazioni nel 1933. La Societa’ delle Nazioni era un organismo internazionale fondato a Ginevra nel 1919, il cui compito era quello di regolare pacificamente le controversie tra i vari stati.