Cadute.
Cadute: gravità del fenomeno
Le cadute sono una della più importanti sindromi geriatriche per la frequenza con cui si
verifica l’ evento e per la gravità delle conseguenze, dalle fratture alla perdita di autonomia. Rappresentano un marker di fragilità, intesa come una condizione di compromissione della forza, della mobilità, dell’equilibrio e della tolleranza allo sforzo.
Le modificazioni fisiopatologiche legate al processo di invecchiamento, la presenza di
pluripatologia, cioè di malattie contemporaneamente presenti, rendono la persona anziana più vulnerabile di fronte agli ostacoli ambientali al punto che piccoli e banali intoppi possono essere causa di incidenti anche gravi.
Le cadute aumentano di frequenza con l’avanzare dell’età, sono più frequenti nelle donne, determinano una elevata mortalità e morbilità e sono frequente causa di ospedalizzazione (sono causa del 5% dei ricoveri), ma anche di istituzionalizzazione (si calcola che
siano la causa del 40% dei ricoveri in RSA).
Il ricovero, modificando le normali abitudini di vita e i punti di riferimento, risulta a sua
volta fattore predisponente alle cadute. Gli anziani che vengono ospedalizzati per una
caduta hanno una durata di degenza lunga più del doppio di quella degli anziani ricoverati in ospedale per altre cause.
Alla prima caduta di solito segue la paura del ripetersi di altre cadute, per cui l’anziano
tende a ridurre l’attività motoria, con perdita progressiva della sicurezza e della capacità
nei movimenti e nel cammino; può comparire depressione, ansia, apatia , definendosi
cosi una condizione che gli anglosassoni chiamano “post falls syndrome”. La prognosi
ai fini della qualità della vita e dell’autonomia, peggiora in relazione alla gravità e al
numero delle cadute.
Per alcuni autori la prima caduta può risultare addirittura un fattore accelerante
l’invecchiamento. I famigliari, spaventati per le eventuali conseguenze di ulteriori incidenti, possono assumere nei confronti dell’anziano un atteggiamento eccessivamente
protettivo, contribuendo a ridurre ulteriormente l’autonomia. Comunque gli anziani che
cadono rispetto a quelli che non cadono hanno una morbilità più elevata, un volume di
relazioni sociali minore e una capacità funzionale nella ADL più bassa.
Le cadute sono comunque un evento sottostimato nella loro entità numerica e le ragioni sono molteplici.
Innanzitutto c’è la tendenza a registrare e ricordare solo le cadute che determinano danni fisici o provvedimenti di tipo medico sanitario o che conducono a cambiamenti significativi nello stato funzionale della persona.
Gli anziani possono non ricordare o addirittura negare di essere caduti dal momento che
questo può sottolineare il peggiorare della loro condizione di salute, oppure perché essi
stessi, attribuendo le cadute al normale processo di invecchiamento, considerano tali
episodi scontati, naturali e pertanto non degni di nota.
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E ancora, talvolta l’anziano può esitare a raccontare quanto gli è accaduto per paura che
ciò possa procurargli restrizioni della sua attività o possa essere motivo di inserimento
in una Casa di Riposo.
Dai dati di letteratura si può dire che un terzo degli anziani che vivono al domicilio cadono o hanno la tendenza a cadere e il numero quasi raddoppia se si considera la popolazione anziana che risiede negli ospedali e negli Istituti. L’incidenza annuale delle cadute fra gli anziani residenti al domicilio aumenta regolarmente con l’età: si passa dal
25% all’età di 70 anni al 30% all’età di 75 anni, fino al 40% oltre gli 80 anni. Le cadute
sono inoltre più frequenti negli istituti dove l’incidenza annuale arriva a superare il 40%
e l’incidenza media annuale di cadute registrate arriva ad essere 1,6 cadute per ogni residente.
La maggior incidenza delle cadute fra gli anziani residenti in strutture protette rispetto
agli anziani residenti al proprio domicilio va ricercata nelle condizioni di salute più precarie e nella maggiore fragilità degli anziani ricoverati.
Il 5% degli anziani che cade tende a cadere ripetutamente: circa la metà delle persone
che cadono sono già cadute l’anno precedente.
L’incidenza della cadute non è uguale nei due sessi: le donne cadono più degli uomini
con una incidenza quasi doppia fino all’età di 75 anni, dopo la quale la frequenza è simile in entrambi i sessi.
Le cadute si verificano in numero di poco superiore all’interno della casa e in queste occasioni i fattori ambientali sono responsabili di meno della metà delle cadute. I fattori
ambientali sono maggiormente responsabile delle cadute che si verificano in ambiente
esterno.
Sebbene la maggioranza delle cadute appaia come il risultato di più fattori – fattori intriseci, di tipo personale, fattori ambientali, fattori correlati all’attività svolta al momento
della caduta – alcune grossolane ma significative differenze epidemiologiche possono
essere sottolineate:
- negli anziani più giovani di 75 anni e considerati in buone condizioni, le cadute
hanno minore frequenza, sono maggiori le cause accidentali, specie i cosiddetti inciampi e prevalgono i fattori correlati alla situazione e all’ambiente in cui la caduta
si è verificata;
- invece negli anziani di età superiore a 75 anni, non solo le cadute sono più frequenti
ma prevalgono i fattori intrinseci come ad esempio i capogiri, la perdita di equilibrio, cioè quei strettamente correlati alla persona, rispetto a quelli ambientali e situazionali.
Il fatto che gli anziani inattivi e malati cadano più di quelli sani e attivi conforta l’ipotesi
che le cadute non siano una inevitabile e specifica conseguenza naturale
dell’invecchiamento ma piuttosto il prodotto di specifiche e identificabili disabilità che
insieme a situazioni ambientali possono potenziarsi e aggravare il rischio di caduta.
Ciò è molto importante in quanto può promuovere un diverso atteggiamento nei confronti delle cadute: considerare una caduta come un evento inevitabile dell’età può indurre e giustificare una fatalistica rassegnazione, mentre la convinzione che una caduta
è il risultato di un equilibrio rotto induce ad assumere un atteggiamento di valutazione e
prevenzione di quanto può concorrere ad alterare tale equilibrio.
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Negli anziani si registra la più alta percentuale di morte e disabilità conseguente ad una
caduta. A seguito di una caduta si va facilmente incontro ad una serie di eventi morbosi
che condizionano negativamente la qualità della vita.
I traumi sono la quinta causa di morte nelle persone anziane, nel 70% dei casi sono secondari a una caduta. Dopo i 65 anni le morti successive ad una caduta superano quelle
per polmoniti e diabete. La mortalità aumenta con l’aumentare dell’età e tende a essere
più che doppia al passare di ogni decade di vita.
Se una caduta causa lesioni che richiedono una ospedalizzazione, solo la metà degli individui ospedalizzati è viva dopo un anno: la mortalità tende a essere maggiore in quegli
anziani che dopo la caduta sono rimasti a terra più di un ora prima di essere soccorsi.
Sebbene la maggior parte delle cadute non porti a morte, il fatto di cadere è associato a
una significativa morbilità; il 5% esita in fratture e circa un altro quarto arriva a limitare
le proprie attività per la paura di cadere.
Le fratture più comuni sono la frattura dell’omero, del polso, del bacino e del femore.
Le donne riportano in genere più fratture degli uomini. La frattura del femore è tra le
più comuni e invalidanti e la sua frequenza aumenta con l’età.
Si stima che il rischio di frattura aumenti in modo esponenziale dai 60 agli 80 anni e
che, di tutti coloro che vivranno sino a 90 anni, un terzo delle donne e un sesto degli
uomini avranno una frattura di femore. La mortalità dei pazienti con tale frattura è 1220 volte più alta che in persone di pari età e sesso, almeno nell’anno successivo alla
frattura. e circa il 25% di questi pazienti muore entro 6 mesi dall’incidente.
Fra gli anziani che prima dell’incidente erano indipendenti e vivevano al proprio domicilio, il 15-25% rimane per almeno un anno ricoverato in un istituto di lungodegenza,
nel 60% residua una ridotta motilità, un altro 25% diventa dipendente per il cammino.
In particolare solo il 50-65% dei fratturati ritorna al livello funzionale di cammino precedente la frattura, il 10-15% recupera la deambulazione solo all’interno della casa, più
del 25% non cammina più. Solo il 30-40% recupera il livello funzionale precedente
nelle ADL.
Sono severe e importanti:
- la compromissione dell’autonomia,
- la paura che possa verificarsi una nuova caduta,
e queste conseguenze pongono l’anziano nella condizione di non poter più vivere da
solo nella propria abitazione e quindi di dover ricorrere all’aiuto di una badante o di
doversi ricoverare in istituto. Ma il ricovero di per sé non garantisce una protezione nei
confronti del ripetersi di eventi simili visto che la frequenza di cadute nelle istituzioni
supera quella del domicilio.
Dopo una caduta è frequente un cambiamento nelle abitudini di vita della persona: questa tende a limitare il suo movimento “quasi a scopo protettivo”, ma contemporaneamente riduce la propria autostima: quindi una caduta fisica ma anche una caduta morale
e psichica.
Circa il 50% degli anziani che cade riferisce di avere paura di cadere ancora e il 25 %
rifugge le occasioni di uscire di casa da solo ed evita di impegnarsi in attività domesti
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che ritenute pericolose. È la “sindrome del dopo caduta”: pur in assenza di disturbi neurologici e/o ortopedici in grado di influenzare il cammino, il paziente non è in grado di
camminare o di stare in equilibrio senza supporti; quando gli viene chiesto di camminare o di stare in piedi, diventa ansioso e timoroso, si aggrappa a qualunque supporto,
barcolla, inciampa o si butta in avanti come se fosse nell’imminente pericolo di cadere.
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