1 IL DEMANSIONAMENTO 1.Il diritto al lavoro tra contratto e rapporto, tra individuo e persona.-2.I rimedi manutentivi nella disciplina contrattuale.-3. Il demansionamento quale alterazione del sinallagma contrattuale: una sopravvenienza contrattuale remediabile.-4.La tutela in caso di demansionamento ex art.1460 c.c. e l‟effettivita‟ della prestazione come presupposto del diritto alla retribuzione. 5-Il demansionamento quale oggetto negoziale disponibile.-6. Il danno da demansionamento: i confini tra inviolabilita‟ ed indisponibilita‟-7.Il demansionamento nella prospettiva processualcivilistica tra oneri di allegazione e di prova in bilico sul circuito delle presunzioni 1.La nozione di contratto nella disciplina codicistica appare altalenare tra la staticita‟ dell‟atto e la fluidita‟ del rapporto. Si‟ che l‟art.1321 c.c. definisce il contratto l‟accordo diretto a costituire, modificare oppure estinguere un rapporto giuridico, ma al tempo stesso conosce norme, in particolare quelle dettate in materia di disciplina remediale, che individuano il contratto quale il rapporto che nasce dall‟accordo oppure che e‟ dallo stesso occasionato1. Significativa, del resto, appare la disciplina del contratto nullo in cui l‟emergenza di un rapporto, sia pure fondato su un contratto non valido, e‟ capace di degradare il contratto a mero contatto sociale, o meglio a cogliere del contratto il vero fulcro tant‟e‟ nell‟un caso (contratto valido) e nell‟altro (contratto invalido) le conseguenze appaiono sostanzialmente le stesse, benche‟ in una lettura retrospettiva. Ci si pone quindi al di la‟ della teoria della dichiarazione2; non vale l‟affermazione della prevalenza della dichiarazione rispetto alla volonta‟, ma si dice che la volonta‟ effettiva prevale sulla dichiarazione non valida. E‟ quindi il contatto sociale a fondare un rapporto giuridicamente rilevante e sottoposto alla disciplina contrattuale; come e‟ il caso del medico ospedaliero rispetto al paziente3. Ed e‟ nel rapporto piu‟ che nel contratto in se‟ che la persona soddisfa i propri interessi; infatti il contratto e‟ proiettato normalmente in un gerundio, essendo non un participio, ma “un facendium secondo il diritto”4 ed e‟ il rapporto il luogo in cui possono essere soddisfatti gli interessi delle persone. Nel codice civile uno dei libri e‟ intitolato alle persone, ma la disciplina codicistica non e‟ sempre incentrata sulla persona. Il contratto ad esempio vive nel confronto tra centri di interesse, tra individui che altro non sono che soggetti di diritto; ma l‟individuo e‟ per lo piu‟ una figura irrigidita nel sua condizione di produttore di beni e di utilita‟. Ma al di la‟ dell‟individuo e‟ la persona; l‟individuo non e‟ persona, o almeno non lo e‟ necessariamente. Ed il lavoro, per quanto interessa in questa sede, costituisce invece uno dei circuiti in cui si dimensiona la persona umana ed in cui si confrontano le due nozioni, quella di individuo e quella di persona, quella del soggetto produttore e quella dell‟uomo che lavora; ed al contempo quella della proprieta‟ e dell‟iniziativa economica a fronte dell‟energia lavorativa con la sua vocazione al risparmio piuttosto che all‟investimento. Non a caso il codice civile, anticipando la Corte Costituzionale prima ed il legislatore poi 1 P.Rescigno, Consenso, accordo, convenzione, patto, in Riv. Dir. Comm. 1988, 3ss. Cfr. N.Irti, Letture bettiane sul negozio giuridico, Milano 1991, pp. 48ss 3 Cfr. Cass. civ., sez. III, 22.1.99 n.589 in Riv. It. Medicina legale 2001, 830 con nota di Fiori, D‟Aloja; in Foro it. 1999, I, 3332 con nota di Di Ciommo, Lanotte; in Studium juris 2000, 595; NGCC 2000, I, 334 con nota di Thiene; in Mass. Giur. It. 1999; in Giust. Civ. 1999, I; in Resp. Civ. prev. 1999; in Contratti 1999 con nota di Guerinoni; in Corriere giur. 1999 con nota di Di Majo;, in Danno e resp. 1999, con nota di Carbone. 4 Cfr. N.Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano 1985, pp.49ss 2 2 e sollecitato dall‟evoluzione socio/politica, contiene una norma, l‟art.2087 c.c., che richiama la nozione di personalita‟ morale. Il codice civile, invero, nella stesura originale, al di la‟ delle affermazioni contenute nella Relazione al Re, tradiva il periodo storico in cui era stato elaborato tant‟e‟ che, benche‟ ci si affrettava a sottolineare come il lavoro nella prospettiva corporativistica non avrebbe rappresentato merce di scambio, l‟art.2099 c.c. rimetteva la quantificazione della retribuzione alle norme corporativistiche, all‟accordo delle parti o, in difetto al giudice; il compenso allora quale prestazione corrispettiva secondo le regole sinallagmatiche proprie dei contratti di scambio. Si e‟ dovuto attendere la GrundNorm per l‟attribuzione alla retribuzione del ruolo di istituto funzionale a garantire una vita libera e dignitosa al lavoratore. Anzi lo strappo si e‟ registrato piu‟ in la‟, sul finire degli anni ‟60 del secolo scorso e quindi sullo sfondo di un humus socio/politico formatosi dopo i ritorni al passato di una Corte di Cassazione gattopardescamente aggrappata ad un regime codicistico con cui avvertiva maggiore confidenza, capace di utilizzare con esiti paradossali lo strumento della buona fede oggettiva e di emarginare in termini di programmaticita‟ le disposizioni della Carta costituzionale; e dopo le titubanze di una Corte Costituzionale incerta nel barcamenarsi tra le istanze innovative di una societa‟ in movimento e la non nitidita‟ della meta5. Risalgono a quegli anni, infatti, la l.17.10.67 n.977 in materia di lavoro notturno e di riposo settimanale di fanciulli ed adolescenti; la l.604 del 1966 e la l.300 del 1970. Era cosi‟ avviata la stagione delle riforme legislative e degli interventi sulla trama codicistica: quanto di quella trama ancora oggi sopravviva e‟ domanda cui non e‟ agevole dare una risposta e che del resto non ha avuto risposte univoche nel mondo accademico, in quanto accanto a chi rivendica una sorprendente vitalita‟ della disciplina codicistica, non manca chi abbia denunziato i segni dell‟eta‟: “una cascata di leggi: colpi di belletto dietro ai quali von Aschenbach tenta di nascondere al giovane Tatzio i segni del proprio decadimento”6. Nella prospettiva codicistica il lavoro e‟ contratto, scambio di beni: la forza lavoro da un lato, il compenso dall‟altro; e quello scambio agevola la ricostruzione del contratto di lavoro in termini di contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive, consentendo per tal via il ricorso alle regole proprie della dimensione contrattuale. Ed infatti anche per la dottrina maggioritaria il lavoro subordinato e‟ contratto a prestazioni corrispettive, considerato del resto che il procedimento di qualificazione7 del negozio dovrebbe essere fondato sul contratto piuttosto che sul rapporto, una volta evidenziato che la prestazione che rileva giuridicamente e‟ quella voluta dalle parti e non quella concretamente espletata8. Tuttavia ai fini della distinzione tra il rapporto di lavoro subordinato e il rapporto di lavoro autonomo, le concrete modalità di svolgimento del rapporto assumono valore 5 L.Bigliazzi Geri, Persona e lavoro, in Ead., Rapporti giuridici e dinamiche sociali. Principi, norme, interessi emergenti. Scritti giuridici, Milano 1998, 464ss 6 Ead., op. ult. cit., p.468 7 In generale, cfr.P.Perlingieri, Interpretazione e qualificazione: profili della individuazione normativa, in Dir. e giur. 1975, 826ss; G.Scalfi, La qualificazione dei contratti nell‟interpretazione, Milano Varese 1962; G.Piazza, Il rapporto tra interpretazione e qualificazione, in Contratti 1988, pp. 341ss; R.Sacco, La qualificazione, in R.Sacco e G.De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da Rodolfo Sacco, t.2, Torino 1993, pp.419ss; L.Bigliazzi Geri, L‟interpretazione del contratto, sub artt.1362/1371, in Il Codice Civile. Commentario diretto da Piero Schlesinger, Milano 1991, pp.21ss 8 P.Ichino, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Milano 1989 3 prevalente sulla diversa volontà manifestata nella scrittura privata eventualmente sottoscritta dalle parti. Infatti le qualificazioni riportate nell'atto scritto possono risultare affatto corrette e ciò può avvenire per mero errore delle parti o per volontà delle stesse, che ad esempio intendano usufruire di una normativa specifica o eluderla9. Semmai il riferimento al "nomen iuris" dato dalle parti al negozio, risulta di maggiore utilità, rispetto alle altre, in tutte quelle fattispecie in cui i caratteri differenziali tra due o più figure negoziali appaiono non agevolmente tracciabili, non potendosi negare che quando la volontà negoziale si è espressa in modo libero (in ragione della situazione in cui versano le parti al momento della dichiarazione) nonché in forma articolata, sì da concretizzarsi in un documento, ricco di clausole aventi ad oggetto le modalità dei rispettivi diritti ed obblighi, il giudice debba accertare in maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel documento si sia tradotto nella realtà fattuale attraverso un coerente comportamento delle parti stesse. La valutazione del documento negoziale, tanto più rilevante quanto più labili appaiono i confini tra le figure contrattuali pertanto astrattamente configurabili, non può, dunque, non assumere una incidenza decisoria anche allorquando tra dette figure vi sia quella del rapporto di lavoro subordinato. In base a detto principio, la Suprema Corte, in una controversia concernente l'asserita insussistenza di un'omissione contributiva per una rapporto di associazione in partecipazione, qualificato dall'Inps come rapporto di lavoro subordinato, ha cassato con rinvio la decisione della corte territoriale rimarcando la generale portata applicativa del principio valido nell'ambito dell'ampia categoria dei rapporti aventi ad oggetto una prestazione lavorativa, prestata o meno con vincolo di subordinazione, quali i rapporti lavorativi dei soci d'opera e dei soci di cooperativa, i contratti di lavoro autonomo in cui la prestazione lavorativa abbia tratti assimilabili a quelli del lavoro subordinato10. La volontà espressa dai contraenti conserva dunque e comunque un ruolo significativo, tant‟è che la Corte Suprema, in un fattispecie relativa a lavoratore con mansioni di "capo del settore ingegneria civile", ha cassato per vizi di motivazione la sentenza di merito che, nel ravvisare gli estremi della subordinazione, aveva trascurato del tutto la regolamentazione contrattuale con cui le parti nel disciplinare i loro reciproci interessi, avevano inteso rifarsi ad "incarichi professionali" di natura autonoma, e aveva qualificato il rapporto sulla base di circostanze non decisive quali la corresponsione mensile del compenso, lo svolgimento dell'attivita' nei locali aziendali con uso di attrezzatura della societa', l'espletamento della prestazione durante l'orario di lavoro praticato in azienda e la sospensione della stessa durante le ferie annuali aziendali11. Ma il lavoro subordinato vive comunque nel rapporto che costituisce comportamento delle parti apprezzabile ex art.1362 cpv, c.c.12 La GrundNorm prima, la Consulta ed il legislatore poi, infine una giurisprudenza pretoria provocatoriamente tesa a scardinare un sistema sociale sulla scorta di una interpretazione, 9 Cassazione civile , sez. lav., 27 luglio 2009, n. 17455, in Giust. civ. Mass. 2009, 9 1236. Cassazione civile, sez. lav., 18 aprile 2007 , n. 9264 in Giust. civ. 2007, 5 1070; in Guida al diritto 2007, 23 50; in Giust. civ. Mass. 2007, 4; in Foro it. 2007, 10 2726 con nota di Ferrari, in Dir. e prat. soc. 2007, 20 58 con nota di Gelfi 11 Cass. Civ., sez. lav., 19.11.03 n.17549, in Giust. civ. Mass. 2003, 11 12 Cfr. C.Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova 1992, pp.310ss; L.Bigliazzi Geri, L‟interpretazione del contratto, cit., pp.150ss; C.Scognamiglio, Unita‟ dell‟operazione, buona fede e rilevanza in sede ermeneutica del comportamento delle parti, in Banca,borsa, tit. cred. 1998, II, 427ss 10 4 quand‟anche a volte fraintesa, della Costituzione hanno finito, se non per capovolgere, con l‟incidere su equilibri sociali che erano apparsi fino ad allora consolidati, e con il rendere incerta la tradizionale staticita‟ delle dinamiche dei rapporti di lavoro. La dimensione lavoristica vive, invero, ancora oggi questa tensione tra le regole dei contratti e quelle della politica sociale; tanto da porre nel dubbio la ricostruzione in termini contrattuali del negozio costitutivo del rapporto di lavoro e conseguentemente insicuro il recupero delle regole codicistiche in materia contrattuale alla disciplina di quel negozio. Si‟ che il contratto e‟ incentrato sulla patrimonialita‟ di uno scambio li‟ dove il negozio su cui e‟ fondato il rapporto di lavoro mette a confronto l‟interesse economico del datore di lavoro a quello altrettanto, ma non soltanto, economico del lavoratore. Ma, mentre quello del datore di lavoro e‟ essenzialmente funzionale alla produzione di ricchezza da reinvestire, quello del lavoratore persegue normalmente l‟obiettivo di creare ricchezza da consumare per assicurare la propria liberta‟ dal bisogno, la propria dignita‟ e lo sviluppo della personalita‟. In effetti la funzione del lavoro subordinato deve rintracciarsi per lo piu‟ nella possibilita‟ garantita al lavoratore di soddisfare i bisogni primari propri e della propria famiglia e sempre e comunque di realizzare la propria personalita‟ e professionalita‟: non sempre la prima perche‟ tratto qualificante il lavoratore subordinato non e‟ necessariamente la sua condizione di bisogno; d‟altra parte lo svolgimento di attivita‟ lavorativa subordinata non costituisce necessariamente l‟unico canale di affermazione della professionalita‟ e personalita‟ dell‟individuo. E se quando il lavoro subordinato e‟ veicolo per la soddisfazione di bisogni primari incerta appare la ricostruzione in termini contrattuali13 sempre che del contratto ci si ostini a rivendicare una parita‟ tra le parti che in realta‟ appare sempre piu‟ rappresentare un mito irraggiungibile; quando quel lavoro riguarda soggetti non bisognosi appare piu‟ agevole l‟opzione contrattuale. Si potrebbe a questo punto tentare di verificare la correttezza della ricostruzione in termini contrattuali del negozio attraverso un giudizio a ritroso che partendo dalla lesione verifichi quali formule giuridiche di protezione del lavoratore conosca l‟ordinamento e quindi ne vagli la riconducibilita‟al capitolo dei rimedi contrattuali. Si tratta, invero, di muoversi, nell‟ambito di quello che, sulla spinta del diritto comunitario, si va sempre piu‟ nitidamente delineando quale diritto dei rimedi che privilegia un approccio funzionale alle dinamiche contrattuali piuttosto che quello classico in punto di formazione e di requisiti del negozio. Del resto, e‟ il piano giuridico dei rimedi il banco di prova della effettivita‟ della protezione degli interessi di cui i singoli soggetti giuridici sono portatori. Si‟ che l‟esigenza di effettivita‟ della protezione di alcuni settori produttivi e di alcuni soggetti ha determinato lo slittamento dell‟asse dalla dogmatica dei diritti soggettivi a quella del soddisfacimento dell‟interesse; interesse poi che non e‟ solo quello alla prestazione, ma al contempo quello a non essere pregiudicato (con lesione alla persona o alle cose) nello svolgimento del rapporto negoziale. E cosi‟, doveri che morfologicamente dovrebbero appartenere all‟area del torto, in virtu‟ di un processo di integrazione negoziale ex fide bona, sono stati per tal via coperti dalla tutela contrattuale in considerazione della stretta connessione alla prestazione. Il capitolo della ripartizione del rischio in caso di sopravvenienze e‟ materia su cui da tempo si e‟ interrogata la dottrina ed in relazione a cui il legislatore, anche straniero, ha 13 R.Scognamiglio, La natura non contrattuale del lavoro subordinato, in Riv. It dir. Lav. 2007, 4, 379ss 5 mostrato particolare attenzione. E‟ il caso, per un verso, del ben noto istituto della Voraussetzung (presupposizione); per l‟altro, di quello in merito alla rilevanza di sopravvenienze caratterizzate da un mutamento significativo (Schwerwiegend) che ex art.313 BGB, in sede di riforma nel 2001 del diritto delle obbligazioni, impone l‟Anpassung e quindi l‟adeguamento del contratto alle mutate circostanze. I principi Unidroit, poi, prevedono, e‟ noto, una rinegoziazione del contratto con possibile intervento dell‟autorita‟ giudiziaria con potere conformativo del nuovo equilibrio contrattuale. 2.Il sistema dei rimedi contrattuali tracciato generalmente dal codice civile appare non sempre soddisfacente, ora per la inadeguatezza delle fattispecie descritte e disciplinate ora invece per l‟incapacita‟ di garantire alla parte non inadempiente la tutela delle proprie ragioni emergendo la costruzione di una tutela in termini esclusivamente ablativa. Ma la protezione di una parte contrattuale non sempre e‟ occasionata da fatti in relazione ai quali e‟ prospettabile una risoluzione per inadempimento, per eccessiva onerosita‟ sopravvenuta o per impossibilita‟ sopravvenuta; ne‟ e‟ la conseguenza di una nullita‟ o annullabilita‟ di un contratto neppure rescindibile o suscettibile di recesso. Altre volte poi l‟interesse da proteggere pretende invero il mantenimento del rapporto contrattuale sia pure diversamente articolato e quindi adeguato all‟esigenza di un corretto bilanciamento degli interessi contrapposti. Se, nell‟un caso, dottrina e giurisprudenza hanno enucleato la categoria concettuale della presupposizione14; nell‟altro caso, invece, si pone l‟esigenza di una clausola generale di adeguamento del rapporto negoziale. Si‟ che l‟esigenza di strumenti remediali si pone in particolare per i rapporti di lunga durata, nei quali gli interessi contrapposti comunque sono proiettati ad un soddisfacimento nel corso del tempo. Ci si muove, allora, sul piano di quelli che nel linguaggio anglosassone sono i relational contracts, in cui le parti del contratto sono legate da una relazione naturalmente tanto intensa da comportare una riorganizzazione della sfera individuale del singolo centro di interesse contrattuale in funzione dello svolgimento del rapporto negoziale, con reciproco insopprimibile condizionamento. Proprio quella capacita‟ invasiva del rapporto nella solitaria dimensione di ciascuna delle parti comporta l‟esigenza di non compromettere, per quanto possibile, la sopravvivenza del rapporto vanificando per tal via i sacrifici gia‟ sostenuti e comunque il perseguimento degli interessi sottesi dalla vicenda negoziale. E tanto piu‟ nel tempo e‟ proiettato il rapporto fondato su un contratto, tanto piu‟ facile e‟ la possibilita‟ che quel contratto ed il regolamento dallo stesso espresso appaiano inadeguati alle sopravvenienze intrinseche in una dimensione temporale in fieri e di conseguenza risultino inidonei gli strumenti codificati di protezione delle parti contrattuali. Del resto, la stessa normativa codicistica tradisce l‟attenzione particolare riservata ai contratti di durata in relazione ai quali i rimedi ablativi sono condizionati a presupposti particolarmente rigidi. E‟ il caso del contratto di appalto in relazione a cui la risoluzione e‟ possibile solo in caso di vizi che rendano l‟opera del tutto inadatta alla sua 14 Cfr. R.Sacco, La presupposizione in R.Sacco-G.De Nova, Il contratto, t.1, in Trattato di diritto civile, Torino 1993, pp.443ss; C.Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova 1992, pp.190ss; V.Pietrobon, Presupposizione (dir. Civ.), in Enc. Giur., XXIV, Roma 1991, ad vocem 6 destinazione15; mentre il contratto di vendita e‟ risolvibile qualora i vizi della cosa la rendano inidonea all‟uso cui e‟ destinata oppure ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.16 Ed ancora di quello di somministrazione la cui risoluzione non appare giustificata dal non scarso inadempimento ex art.1455 c.c., necessitando viceversa l‟emergenza di un inadempimento caratterizzato da notevole importanza e quindi capace di menomare la fiducia nell‟esattezza dei successivi adempimenti17. In effetti, il codificatore tradisce un favor per il recupero del regolamento contrattuale e comunque per un adeguamento dello stesso alle sopravvenienze. Per quanto concerna la prima prospettiva, basti ricordare come il contratto viziato per errore non e‟ annullabile se rettificato; la rescissione e la risoluzione del contratto per eccessiva onerosita‟ possono essere evitate dalla riduzione ad equita‟; la sopravvenuta impossibilita‟ parziale del contratto rende il contratto risolvibile salvo la proporzionale riduzione della prestazione a carico del creditore. Per quanto concerna la seconda di quelle prospettive di analisi appena suggerite appare sufficiente ricordare come il codificatore, a fronte della emergenza di sopravvenienze di per se‟ incapaci di incidere sulla sopravvivenza del negozio, prevede la possibilita‟ di un adeguamento funzionale al miglior perseguimento degli interessi sottesi dal negozio. E cosi‟ il mandatario deve informare il mandante delle sopravvenienze che possano determinare modifiche all‟incarico ed il mandante puo‟ quindi introdurre dette modifiche18. Necessita‟ di un adeguamento cui deve provvedere lo stesso mandatario qualora impossibilitato ad informare delle sopravvenienze il mandante. La riduzione del prezzo puo‟ poi scongiurare la risoluzione del contratto di compravendita di una cosa risultata affetta da vizi; la revisione del prezzo oppure una equa indennita‟ salvano il contratto di appalto in caso di significative variazioni del prezzo di materiali e manodopera da un lato e di sorprese geologiche dall‟altro19; la necessita‟ di variazioni del progetto nell‟appalto puo‟ essere garantita dall‟intervento del giudice chiamato a fissare anche le consequenziali variazioni del prezzo20. Al di la‟ delle differenze in termini di automaticita‟ o meno dell‟adeguamento, di predeterminazione dello stesso e di soggetto chiamato eventualmente a fissarne il contenuto, la sommaria ricognizione appena tentata consente di individuare la cifra della disciplina nel superamento della rigida contrapposizione tra scioglimento del vincolo contrattuale oppure conservazione dello stesso a dispetto dell‟incapacita‟ di soddisfare gli interessi perseguiti, in funzione di una lettura flessibile del regolamento contrattuale suscettibile di adattamento alle sopravvenienze. Fonte di strumenti di adeguamento non e‟ solo il codice civile, ma anche l‟autonomia contrattuale che o puo‟ ricorrere ad istituti tipici (oggetto contrattuale meramente determinabile; clausole di indicizzazione; fideiussione per debiti futuri) oppure a clausole hardship che possono prevedere formule di adeguamento automatico oppure rimesso ad 15 Art.1688, cpv, c.c. Art.1490, I comma, c.c. Cfr. A.Luminoso, I contratti tipici e atipici. * Contratti di alienazione, di godimento, di credito, in Trattato di diritto privato a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti, Milano 1995, pp.116ss; L.Cabella Pisu, Garanzia e responsabilita‟ nelle vendite commerciali, Milano 1983 17 Art. 1564 c.c.. Cfr. G.Gabrielli, Recesso e risoluzione per inadempimento, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1974, 725ss 18 Art.1710, cpv. c.c. 19 Art.1664 c.c. 20 Art.1660 c.c. 16 7 un soggetto terzo mediante un arbitraggio; o ancora alla valutazione concorde delle parti contrattuali se non a quella solitaria di una delle parti contrattuali con i rischi connessi al riconoscimento di un potere unilaterale di conformazione del rapporto che come tale corre sul filo della negazione del contratto quale espressione di un accordo. Unilateralita‟ di un potere che, del resto, ha eco nella disciplina codicistica (e‟ il caso dell‟obbligato che puo‟ scegliere la prestazione nell‟obbligazione alternativa21; del somministrato che puo‟ fissare l‟entita‟ della controprestazione salvo il rispetto di limiti minimi e massimi22; del committente nel contratto di subfornitura in relazione alla misura della stessa e pur sempre nell‟ambito di dati limiti, termini e salvo il preavviso a controparte 23) e che pertanto non puo‟ essere guardata con eccessivo sospetto, ma solo con la cautela di un sistema che deve comunque scongiurare i rischi di abusi. La chiave di volta diviene allora la verifica del regolamento contrattuale e dell‟esercizio dei poteri individuali alla luce del principio di buona fede che, clausola generale, vale ad integrare la disciplina negoziale, introducendo eventualmente, ma e‟ questione questa complessa ed affatto scontata nei suoi esiti, un obbligo di rinegoziazione del negozio la cui violazione potrebbe esporre la parte inadempiente ad un obbligo di risarcimento ed in ipotesi all‟intervento del giudice ex art.2932 c.c. Soluzione questa che a ben vedere vale a riconoscere al soggetto chiamato altrimenti a subire la sopravvenienza di esercitare un potere gia‟ suo nei contratti gratuiti e che invece e‟ riconosciuto a controparte nei contratti onerosi. Incerta appare, invero, l‟effettiva capacita‟ di espansione di un siffatto approccio giuridico alla problematica de qua. Il codice civile e la legislazione speciale in materia contrattuale rincorrono un equilibrio tra posizioni negoziali, equilibrio che si sostanzia nella congruita‟ e nella giustizia dello scambio; solo che nella letteratura e nella giurisprudenza quel perseguimento passa spesso non tanto o almeno non soltanto attraverso valutazioni strettamente giuridiche, risultando semmai condizionato da una prospettiva di analisi economica che porta con se‟ parametri di giudizio proprii dell‟economia sicche‟ non e‟ difficile imbattersi in formule quali economia dell‟affare, equilibrio economico del rapporto e nel concetto di rischio dell‟affare24. D‟altra parte si afferma in dottrina, non senza contrasti vivaci25, che l‟ordinamento giuridico, al di la‟ dei casi codificati, non consenta margini di protezione a fronte di squilibri non tipizzati, affermandosi piuttosto l‟inesistenza di una regola generale di uniformazione delle ragioni contrattuali dello scambio ad oggettivi criteri di equivalenza tra prestazioni26. Problematica questa che va di pari passo con i differenti ruoli assegnati all‟autonomia privata, al riconoscimento oppure no al mercato libero e quindi alla contrattazione del ruolo di strumenti di costruzione della giustizia e della parita‟. 21 22 Art.1285 c.c. Art.1560 cpv. c.c 23 Art.6 legge 18 giugno 1998, n. 192 [Disciplina della subfornitura nelle attività produttive] in Gazz. Uff., 22 giugno, n. 143 24 A.D‟Angelo, Contratto e operazione economica, in AA.VV., I contratti in generale. Aggiornamento 1991-1998, in Giur. Sist. Dir. Civ. comm. fondata da Walter Bigiavi, Torino 1999, vol. I, pp.257ss 25 P.Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalita‟ dei contratti, Rass. Dir. Civ. 2001, 334ss 26 F.Galgano, Squilibri contrattuali e mala fede del contraente forte, Contratto e impresa 1997, 2, 421 8 Del resto, nelle dinamiche lavoristiche, la riduzione dello scambio ad un rapporto economico da regolamentare secondo i principii di equilibrio economico e rischio dell‟affare, benche‟ nelle dinamiche economiche per lo piu‟ quel rapporto e‟ chiamato ad operare, appare affatto appagante. Un ragionamento meramente in termini economici non varrebbe a dare rilievo ad una modifica del rapporto sul piano non economico e quindi piu‟ esattamente retributivo, ma solo qualitativo della prestazione mediante una riduzione quantitativa della prestazione o diminuzione qualitativa dell‟impegno richiesto al lavoratore che, in una tale prospettiva e paradossalmente, potrebbe determinare uno squilibrio economico a contrario e che si sostanzia nel riconoscimento al lavoratore demansionato di un compenso affatto proporzionato ex art.36 Cost. alla qualita‟ dell‟impegno lavorativo profuso e piuttosto parametrato a quello precedentemente reso. Si‟ che in virtu‟ del principio di irriducibilita‟ della retribuzione27 il lavoratore, pur richiesto di svolgere mansioni meno significative rispetto a quelle precedentemente svolte, dovrebbe continuare, in linea di principio, a percepire il compenso gia‟ riconosciuto. Che e‟ quanto allora evidenzia l‟insufficienza di un criterio economico nella determinazione dello squilibrio e quindi l‟inadeguatezza degli strumenti giuridici modellati su quei criteri a risolvere una alterazione che e‟ al contempo economica a danno del datore di lavoro e personale a danno del lavoratore. Se il contratto di lavoro si fonda sulla cessione di energie lavorative del prestatore di lavoro28, diviene imprescindibile il rilievo su detto scambio della tutela della persona29. Non a caso si e‟ osservato in giurisprudenza come il lavoratore ha il diritto a non essere costretto a condizioni di forzata inattivita‟ e senza assegnazione di compiti, avendo il diritto alla esecuzione della propria prestazione lavorativa cui il datore di lavoro ex art.2103 c.c. e‟ tenuto ad assegnarlo, rappresentando il lavoro non soltanto uno strumento di guadagno, ma anche un veicolo di estrinsecazione della personalita‟ dell‟uomo. La violazione di una siffatto diritto e‟ fonte di responsabilita‟ risarcitoria per il datore di lavoro secondo le regole proprie della responsabilita‟ contrattuale derivando da un inadempimento di un obbligo agevolmente desumibile dall‟art.2103 c.c.. Ebbene, detta responsabilita‟ prescinde da uno specifico intento di declassare oppure svilire il lavoratore a mezzo della privazione dei suoi compiti; semmai la responsabilita‟ comunque si deve escludere sia quando emerga una causa giustificata del comportamento del datore di lavoro in relazione all‟esercizio di poteri imprenditoriali ex art.41 Cost. o di poteri disciplinari e quando l‟inadempimento della prestazione e‟ la conseguenza di una causa non imputabile fermo restando che, ex art.1218 c.c., l‟onere della prova della sussistenza delle ipotesi suddette grava sul datore di lavoro30. 3. La nozione di demansionamento postula, evidentemente, l‟individuazione delle mansioni cui il lavoratore e‟ tenuto. Il prefisso privativo (de-) pretende l‟individuazione di un concetto rispetto a cui formulare un giudizio di sottrazione. Occorre allora prendere le mosse dal dettato codicistico. Ebbene, il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali e‟ stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore 27 Cfr. F.Guidotti, La retribuzione in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da L.Riva Sanseverino e G.Mazzoni, II, Padova 1971, pp.395ss 28 O.Mazzotta, Diritto del lavoro, in Trattato di diritto privato diretto da Iudica e Zatti, Milano 2002, 56s 29 C. Smuraglia, La persona del prestatore nel rapporto di lavoro, Milano 1967, 326 30 Cass. Civ., sez lav., 2.8.06 n.17564 in Notiziario giur. Lav. 2006, 5, 632 9 che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. E‟ quanto recita il I comma dell‟art.2103 c.c., non senza precisare al capoverso che ogni patto contrario e‟ nullo. La formulazione codicistica evidenzia come la prestazione del lavoratore sia svincolata o meglio non necessariamente condizionata dal contenuto del negozio su cui si fonda il rapporto di lavoro. Il riferimento infatti alle “mansioni per le quali e‟ stato assunto” (e che quasi richiama il principio della contrattualita‟ delle mansioni31) sembra stemperarsi nel secondo inciso della norma li‟ dove si individua nel piano effettuale del rapporto il parametro di riferimento per l‟individuazione delle mansioni cui il lavoratore sia tenuto32; tante‟ che quel piano vale a rimediare ad eventuali silenzi del negozio costitutivo del rapporto di lavoro in punto di tipologia di mansioni da svolgere e comunque concorre, ex art.1362, cpv, cod. civ. a delimitarne il significato33. L‟art.96 disp. att. c.c. impone, del resto, all‟imprenditore di far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell‟assunzione, la categoria e quindi il trattamento economico e la qualifica, ovvero il trattamento normativo che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui il lavoratore e‟ stato assunto. Che e‟ quanto rende quanto meno determinabile ex art.1346 c.c. il contenuto della obbligazione del lavoratore, i cui puntuali confini sono comunque delimitati dalla disciplina collettiva osservata nell‟ambito della organizzazione imprenditoriale34. La disposizione di cui all‟art.2103 c.c. tuttavia non limita la liberta‟ del datore di lavoro nella gestione del rapporto, prevedendo comunque la possibilita‟ che questi possa disporre per una mobilita‟ interna purche‟ sia garantita l‟equivalenza delle mansioni. Questo potere datoriale di modifica delle mansioni ha superato indenne, nonostante le cautele imposte, l‟introduzione dell‟art.13 dello Statuto dei lavoratori35 che come e‟ noto ha novellato la norma codicistica36. Della formula “mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte”, invero, incerta appare la portata, confinata da alcuni in una affermazione “probabilmente pleonastica, se non addirittura da considerarsi inesistente: l‟equivalenza non puo‟ infatti che valutarsi rispetto alle due situazioni che risultano previste dal legislatore, vale a dire le mansioni per le quali il lavoratore e‟ stato assunto o le mansioni superiori che egli abbia successivamente acquisito a titolo definitivo; questo tenendo conto della situazione in atto per quel determinato lavoratore, e precisamente delle mansioni da lui effettivamente svolte al momento in cui il datore di lavoro procede alla variazione”37. La tematica 31 G.Giugni, Mansioni e qualifiche nel rapporto di lavoro, Napoli 1961, pp.327ss Ma cfr. Trib. Torino 30.4.08 in Giur. Piemontese 2008, 2, 283 secondo cui l‟accertamento in sede giudiziale della equivalenza delle nuove mansioni assegnate al lavoratore impone di riferirsi al contratto di lavoro stipulato e all‟inquadramento attribuito 33 Cfr. C.Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit. 34 G.Giugni, Mansioni e qualifiche nel rapporto di lavoro, Napoli 1961 35 P.Pisani, Mansioni del lavoratore, in Enc. Treccani, XIX,Roma 1988, 4ss; 36 La formulazione codicistica dell‟art.2103 c.c., prima della novella, era la seguente: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per cui e‟ stato assunto. Tuttavia, se non e‟ convenuto diversamente, l‟imprenditore puo‟, in relazione alle esigenze dell‟impresa, adibire il prestatore di lavoro ad una mansione diversa, purche‟ essa non importi una diminuzione nella retribuzione o un mutamento sostanziale nella posizione di lui. Nel caso previsto dal comma precedente, il prestatore di lavoro ha diritto al trattamento corrispondente all‟attivita‟ svolta, se e‟ a lui piu‟ vantaggioso”. 37 L.Riva-Sanseverino, Lavoro, sub. 2060/2134, in Comm. Scialoya Branca, Bologna Roma 1986, 412 32 10 appare complicata, se possibile, dalla incerta natura della sentenza che accerti l‟avvenuta promozione per espletamento di mansioni superiori, se meramente accertativa dell‟automaticita‟ della promozione ovvero costitutiva del superiore inquadramento e sulla possibilita‟ che con il medesimo ricorso in sede giudiziaria il lavoratore possa lamentare l‟avvenuto espletamento di mansioni superiori per un periodo di tempo utile al conseguimento del piu‟ favorevole inquadramento e quindi un successivo demansionamento con conseguente danno non patrimoniale; ammissibilita‟ della duplice domanda che dovrebbe sottintendere la natura meramente accertativa della pronunzia relativa all‟inquadramento spettante al lavoratore ex art.2103 c.c.38. Soluzione questa ultima che potrebbe fondarsi sul rilievo che non si tratterebbe di modificare il contratto di lavoro ma di prendere atto della definitivita‟ ex lege, sulla scorta del dato temporale, di una modifica avvenuta tra le parti consensualmente sulla scorta delle nuove mansioni assegnate dal datore di lavoro ed accettate tacitamente dal lavoratore quand‟anche poi contestata nei suoi effetti dal datore di lavoro. Del resto ci si dovrebbe interrogare se il demansionamento debba essere correlato alle mansioni concretamente espletate ovvero all‟inquadramento cui le stesse debbano essere ascritte e quindi se un giudizio di demansionamento possa essere formulato a dispetto dell‟equivalenza delle mansioni formulate in sede di contrattazione collettiva in punto di declaratorie professionali. Che e‟ quanto e‟ invece escluso, in materia di pubblico impiego, complice l‟art.52 dlgs n.165 del 2001 in base a cui il datore di lavoro pubblico, nell‟adibire il dipendente a mansioni diverse rispetto a quelle originarie, non arreca allo stesso un danno in termini di demansionamento qualora le nuove mansioni rientrino tra quelle annoverate dalla contrattazione collettiva nella medesima categoria, secondo peraltro una valutazione non sottoponibile a vaglio critico da parte dell‟autorita‟ giudiziaria; infatti, in funzione della formulazione del giudizio di equivalenza delle mansioni, il giudice e‟ chiamato a verificare lo svolgimento da parte del dipendente di mansioni considerate equivalenti da parte del contratto collettivo, “mentre nessun rilievo ha una verifica di equivalenza sulle mansioni svolte in concreto”39. Viceversa nell‟ambito delle dinamiche lavoristiche privatistiche si e‟ osservato che ai fini della valutazione della sussistenza di un corretto esercizio dello jus variandi da parte datoriale non è sufficiente verificare se le nuove mansioni siano comprese nel livello contrattuale nel quale è inquadrato il dipendente, essendo necessario verificare altresì l‟equivalenza in concreto di tali mansioni con quelle in precedenza assegnate, alla stregua del contenuto, della natura e delle modalità di svolgimento delle stesse, considerato che la suddetta equivalenza presuppone che le nuove mansioni quand‟anche affatto identiche a quelle in precedenza espletate corrispondano alla specifica competenza tecnica del dipendente, salvaguardandone il livello professionale, senza danneggiarlo altrimenti nell‟ambito del settore o socialmente, e siano comunque tali da consentire l‟utilizzazione del patrimonio di esperienza lavorativa acquisita nella pregressa fase del rapporto; sicche‟ sussiste la violazione del disposto di cui all‟art. 2103 cod. civ. qualora le nuove mansioni, quand‟anche comprese nel livello o nella categoria contrattuale già attribuiti al dipendente, determinino una lesione del suo diritto a conservare e migliorare la 38 Valenza paragonabile a quella delle sentenze che accertano l‟avvenuto acquisto a titolo originario di un dirito reale per usucapione . Cfr. Cass. civ., sez. II, 6.12.1997, n.12428, in Riv. giur. edilizia 1998, I, 296, in Giust. civ. Mass. 1997, 2349 39 Cass. Civ., SSUU, 4.4.08 n.8740 in Lav. nelle P.A. 2008, 2, 351 con nota di Murrone 11 competenza o la professionalità maturata ovvero pregiudichino quello al suo avanzamento graduale nella gerarchia del settore40. Pertanto, il divieto di variazioni in pejus opera anche quando al lavoratore, a dispetto della formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori sicchè nell'indagine circa tale equivalenza non appare sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria essendo semmai necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali. Allo scopo l'indagine del giudice di merito deve essere indirizzata a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi si‟ da formulare il giudizio di equivalenza, da fondare comunque sul complesso della contrattazione collettiva e delle determinazioni aziendali. Sulla scorta di questa lettura dell‟art.2103 c.c., la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto necessariamente equivalenti, per il solo fatto di essere comprese nella stessa qualifica formale, le mansioni di portalettere e quelle di addetta a compiti di segreteria in precedenza assegnate alla lavoratrice dipendente delle Poste41. L‟equivalenza delle mansioni, che condiziona nell‟ambito delle dinamiche lavoristiche di diritto privato la legittimità dell‟esercizio dello ius variandi, a norma dell‟art. 2103 cod. civ deve, pertanto, essere verificata tanto sul piano oggettivo, e cioè sotto il profilo della inclusione nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione, quanto sul piano soggettivo, in relazione al quale è necessario che le due mansioni siano professionalmente affini, nel senso che le nuove si armonizzino con le capacità professionali già acquisite dal lavoratore nel corso del rapporto lavorativo, consentendo semmai ulteriori affinamenti e sviluppi. Una volta osservate dette condizioni, non è necessaria l‟identità delle mansioni, né costituisce elemento ostativo la necessità di un aggiornamento professionale in relazione ad innovazioni tecnologiche. Applicando detti principi, ad esempio, la Corte Suprema ha ritenuto affatto violato l‟art.2103 c.c. in una fattispecie in cui una lavoratrice dipendente di un‟azienda privata di vigilanza e già addetta a mansioni impiegatizie d‟ordine elementari e ripetitive ed anche, insieme con altri colleghi, a rispondere alle chiamate nella sala operativa, era stata addetta esclusivamente a queste ultime mansioni, a seguito dell‟incremento delle chiamate e alla riorganizzazione tecnica del lavoro42. Ebbene, sfogliando i repertori della giurisprudenza contabile, si legge che la nozione di demansionamento ovvero di dequalificazione e‟ idonea a contrassegnare due ipotesi, eventualmente concorrenti, benche‟ legate da un minimo comun denominatore dato dalla sottrazione di ruolo operata dal datore di lavoro a danno del lavoratore. In particolare detta nozione individua i casi di privazione da parte del datore di lavoro di alcune mansioni in origine assegnate al lavoratore; e‟ questo il cosiddetto demansionamento 40 Cass. Civ., sez. lav., 17.7.1998, n. 7040 in Riv. it. dir. lav. 1999, II, 276 con nota di Borzaga; in Giust. civ. Mass. 1998, 1550; Cass. Civ., sez. lav., 28.3.1995, n. 3623, in Giust. civ. Mass. 1995, 705, in Riv. it. dir. lav. 1996, II, 373 con nota di Carinci. 41 Cass. civ., sez. lav., 2.10.2002, n.14150, in Mass. Giur. It., 2002; in Arch. Civ., 2003, 817; in Gius, 2003, 3, 328; in Lavoro nella Giur., 2003, 172 42 Cassazione civile , sez. lav., 01 settembre 2000, n. 11457 in Giust. civ. Mass. 2000, 1878; in Notiziario giur. lav. 2001, 38, in D&G - Dir. e giust. 2000, 35 50 12 quantitativo43. Ma vi e‟ anche la diminuzione della rilevanza e della qualita‟ professionale delle mansioni gia‟ assegnate ed ancora la assegnazione di mansioni inferiori rispetto a quelle svolte inizialmente (ipotesi queste ultime di demansionamento qualitativo).44 Che e‟ quanto vale ad evidenziare la complessita‟ dell‟istituto che spesso ed in particolar modo si confronta con un potere o un abuso del datore di lavoro nell‟esercizio del potere di organizzazione dell‟impresa a fronte dell‟aspettativa o del diritto del lavoratore a svolgere determinate mansioni. Alla nozione di demansionamento non e‟ peraltro estranea una connotazione intrinsecamente cronologica atta a contrassegnarne la fisionomia. Si tratta infatti di un fatto duraturo e foriero di perdita di professionalita‟ si‟ da dover essere escluso qualsiasi demansionamento in caso di carattere meramente provvisorio e temporaneo45, oltre che generalizzato per tutti i dipendenti della medesima fascia di inquadramento, dell‟attivita‟ lavorativa svolta nell‟immediato avvio di una nuova struttura operativa, seguito dalla pronta assegnazione di mansioni equivalenti46. La complessita‟ della nozione del resto e‟ testimoniata dalla sovrapposizione apparente di piani. Infatti, nella giurisprudenza ed in genere nella letteratura, sembrerebbe quasi spostato il profilo soggettivo dell‟autore del comportamento dal piano esterno della responsabilita‟ e piu‟ esattamente dei suoi limiti a quello interno della struttura del demansionamento. E si‟ che a detta nozione, accanto ad un apprezzamento obiettivo della condotta del datore di lavoro se ne accompagna uno in cui assumono rilevanza i profili soggettivi di detto comportamento capaci di costituire apparentemente limiti interni e non esterni all‟istituto, tant‟e‟ che si e‟ escluso il demansionamento (e non solo la responsabilita‟ da demansionamento) non solo quando le nuove funzioni da svolgere non sono decisamente dequalificanti, ma anche quando ci si misuri con un trasferimento ad altro settore per la soppressione del vecchio servizio di appartenenza, qualora tale trasferimento costituisca nell‟ambito di una azienda in crisi l‟extrema ratio rispetto a licenziamento o alla mobilita‟. Affermando detto principio ha Suprema Corte ha escluso l‟avvenuta dequalificazione in una ipotesi in cui tre guardie giurate erano state assegnate a mansioni produttive dopo l‟esternalizzazione del servizio di guardiania, avvenuta in una fase di crisi dalla quale l‟impresa voleva uscire senza espellere alcun dipendente dal circuito produttivo47. Si e‟ affermato infatti che la disposizione dell‟art.2103 c.c. in punto di regolamentazione delle mansioni del lavoratore e di divieto del declassamento di dette mansioni deve essere interpretata, in considerazione delle statuizioni di cui alla sentenza 43 In tema di mansioni del lavoratore, ai fini dell‟applicabilita‟ dell‟art.2103 c.c., non qualsiasi modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore appare sufficiente ad integrarlo, essendo viceversa necessario far riferimento alla incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale raggiunto dal dipendente, sulla sua collocazione nell‟ambito aziendale e, in relazione ai dirigenti, alla rilevanza del ruolo; sic Trib. Milano 18.8.07, in Corriere del merito 2007, 11, 1253 44 C.Conti reg. Lombardia, sez. Giurisd. 29.12.08 n.991, in Riv. Corte conti 2008, VI, 121 45 Ma cfr. Cassazione civile , sez. lav., 25 febbraio 2004, n. 3772 [in Giust. civ. Mass. 2004, 2; in Riv. it. dir. lav. 2005, II, 349 con nota De Marco] in base a cui e‟ illegittimo il demansionamento anche se protrattosi per un tempo breve. 46 Cass. Civ., sez. lav. 7.10.08, n.24738 in Lav. nella p.a. 2008, 5, 885 e ivi 2008, 6, 1093 con nota di Ferretti; in Giust. Civ. Mass. 2008, 10, 1440 47 Cass. Civ., sez. lav., 18.2.08 n.4000, in Diritto & Giustizia 2008 13 delle Sezioni Unite n.25033 del 24.11.200648 ed in coerenza con la ratio sottesa dai numerosi interventi in materia del legislatore, alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire una organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali comportanti l‟esternalizzazione dei servizi o la loro riduzione a seguito di processi di riconversione o ristrutturazione aziendali, l‟assegnazione del lavoratore a mansioni diverse ed anche inferiori a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retributivo, non si pone in contrasto con il dettato codicistico qualora essa rappresenti l‟unica alternativa praticabile in luogo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo49. Demansionamento che in realta‟ comunque sussisterebbe ma non legittimerebbe il dipendente ne‟ ad opporre l‟eccezione ex art.1460 c.c. in quanto detta eccezione sarebbe contraria a buona fede ne‟ del resto determinerebbe una responsabilita‟ risarcitoria del datore di lavoro per impossibilita‟ di un giudizio di riprovevolezza in relazione al comportamento da questi tenuto. Si tratta, a questo punto, di individuare il parametro rispetto a cui sia possibile predicare del demansionamento quale espresssione di un inadempimento e quindi di verificare se il demansionamento costituisca espressione di inadempimento tout court oppure di inesatto adempimento. Per quanto concerna il primo profilo problematico, il punto da sciogliere e‟ rappresentato dall‟individuazione della obbligazione violata ed in relazione a cui sia possibile predicare un inadempimento, almeno inesatto. E quella obbligazione ben puo‟ essere individuata nell‟art.2103 c.c. e nel divieto ivi contenuto di adibire, salvo quanto in detta norma previsto, a mansioni inferiori il lavoratore. Ma alla medesima soluzione ben potrebbe giungersi una volta interpretato il negozio alla luce di un principio di correttezza capace di per se‟ di orientare il comportamento delle parti negoziali impedendo all‟una e all‟altra di pregiudicare inutilmente gli interessi di controparte, pena l‟abuso del diritto. Senza per cio‟ appiattirsi sulla teorizzazione di una obbligazione senza prestazione fondata sulla regola di correttezza50; teoria questa che sottrae all‟obbligazione il suo tratto centrale sia in termini strutturali (la prestazione) che operativi (postulando la responsabilita‟ contrattuale la prova dell‟inadempimento e quindi dell‟interesse alla prestazione). Inadempimento inesatto51 ricorre quando la prestazione resa non possegga i requisiti soggettivi e /o oggettivi idonei a farla coincidere con l‟oggetto della obbligazione e di soddisfare quindi l‟interesse del creditore52. Si tratta di una nozione complessa posta tra inadempimento ed adempimento ed i cui confini risultano complicati dall‟esigibilita‟ di un comportamento improntato a tolleranza da parte del creditore; li‟ dove poi la difficolta‟ di collocare questa tolleranza se sul piano oggettivo rendendo adempimento o 48 In Lav. Prev. Oggi 2006, 1374; in Mass. Giur. Lav. 2007, 17 con nota di Pisani, Le mansioni promiscue secondo le Sezioni Unite: consensi e dissensi 49 Cass. Civ., sez. lav., 5.4.07 n.8596, in Giust civ. 2008, 3, 769 con nota di Auletta; in Giust. Civ. 2007, 10, 2104; in Orient. Giur. Lav. 2007, 3, 458; in Lavoro nella giur. 2007, 12, 1252; in Giust. Civ. Mass. 2007, 4. 50 C.Castronovo, L‟obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in La nuova responsabilita‟ civile, Milano 1997, 177ss 51 Per l‟identificazione tra inadempimento, inesatto adempimento e ritardo, cfr. U.Natoli, L‟attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da A. Cicu e F. Messineo e L.Mengoni, XVI, t.2, Milano 1984, p. 52 52 M.Giorgianni, Inadempimento b) Diritto privato, in Enc. Dir. XX, Varese 1970, 862. 14 inadempimento inesatto cio‟ che altrimenti sarebbe dovuto essere inteso rispettivamente quale adempimento inesatto ovvero inadempimento; oppure sul piano della responsabilita‟ e del giudizio di riprovevolezza del comportamento del debitore. Per quanto concerna il profilo oggettivo dell‟inesattezza, e‟ possibile ipotizzare una differenza quantitativa o qualitativa; peraltro, in caso di contratti a prestazioni corrispettive53, vige la regola dell‟art.1464 c.c. che prevede la possibilita‟ di un siffatto adempimento a fronte di una corrispondente riduzione della controprestazione e salva la possibilita‟ per controparte di recedere dal contratto. Ebbene mentre la inesattezza quantitativa si concretizza nell‟emergenza di dati percepibili oggettivamente, ben piu‟ problematica e‟ quella qualitativa chiamata a confrontarsi con la ricchezza variegata della casistica imbrigliata, con non poca incertezza, nella frammentaria disciplina tracciata dal codificatore a margine di singoli contratti. Dall‟esame di dette norme si ricava come accanto alla diversita‟ della prestazione, il codice civile individui anche la mera difformita‟ e la emergenza di vizi; ricorrendo la prima ipotesi nel caso di c.d. aliud pro alio cui e‟ equiparata dalla dottrina la mancanza di qualita‟ promesse od essenziali ex art.1497 c.c.; la seconda quando la prestazione resa non ha tutte le caratteristiche di quella promessa; la terza quando le caratteristiche promesse vi sono benche‟ alterate. In tutte le ipotesi tipizzate dal codificatore, al creditore e‟ rimessa la facolta‟ di rifiutare la prestazione e pretendere un adempimento esatto; che e‟ quanto costituisce applicazione di un principio che deve ritenersi generale e che a fatica si e‟ imposto sul diritto delle obbligazioni benche‟ non codificato in una norma generale salvo la previsione dell‟art.1192 c.c. E‟ noto come l‟art.1453 c.c. preveda come nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l‟altro puo‟ a sua scelta chiedere l‟adempimento o la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso il risarcimento del danno. Ebbene, la richiesta di regolarizzazione dell‟adempimento costituisce una specificazione dell‟azione di adempimento e quindi in quanto tale soggetta alle stesse condizioni in punto di ius variandi54 e di onere della prova55, ovvero si traduce in una domanda di risarcimento del danno in forma specifica. Ma una azione di esatto adempimento postula comunque la possibilita‟ di un inadempimento inesatto che, se ipotizzabile agevolmente qualora l‟inesattezza abbia quale parametro di riferimento quello quantitativo, diviene piu‟ difficile in caso di inesattezza qualitativa in cui e‟ piu‟ facile che l‟inadempimento inesatto sia definitivo, senza consentire margini per un completamento dell‟adempimento; che e‟ quanto conserverebbe spazio per un solo risarcimento in forma specifica a condizione che il debitore abbia agito quanto meno con colpa ed abbia cagionato un danno ex art.1223 c.c. al creditore senza determinare una eccessiva onerosita‟ ex art.2058 c.c. Cio‟ detto, ritenere che ci si misuri con un inadempimento tout court ovvero con un inadempimento inesatto pretende una scelta di prospettiva; in effetti si profila un inadempimento tout court in relazione all‟obbligo dell‟art.2103 c.c. di non adibire il 53 Norma questa da confrontare, in relazione alle ipotesi di inesattezza quantitativa, con l‟art.1181 c.c. in base a cui il creditore puo‟ rifiutare l‟adempimento parziale, quand‟anche si tratti di prestazione divisibile e salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente; mentre in caso di inesattezza qualitativa con gli artt. 1178 c.c. e 1258, comma II, c.c. 54 A. Luminoso, Della risoluzione per inadempimento, in Commentario Scialoya Branca, Bologna Roma 1990, I, 1, sub art.1453, pp.10 e 32. 55 U. Carnevali, sub art. 1453 in A.Luminoso, U.Carnevali e M.Costanza, Risoluzione per inadempimento, sub artt. 1453-1454, in Commentario Scialoya Branca, Bologna Roma 2007, pp71ss 15 lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle svolte e quindi di una obbligazione di non fare56; la costruzione in termini di inadempimento inesatto postula invece che quell‟obbligo possa interagire nei termini dello scambio negoziale caratterizzandone la causa; scambio da delinearsi tra l‟offerta di energia lavorativa del prestatore a fronte di una prestazione economica (la retribuzione) e la offerta di sicurezza in merito alla tipologia di mansioni pretese con conseguente conservazione del patrimonio professionale del lavoratore. 4.A questo punto, ci si puo‟ interrogare in merito a quali misure di tutela remediale potrebbe far ricorso il lavoratore che lamenti un demansionamento. Il pensiero corre ad una norma che, dettata per i contratto con attribuzioni patrimoniali corrispettive, ha enucleato uno strumento di autotutela privata fondata sul riconoscimento di un diritto potestativo in capo al debitore, che sia al contempo creditore, di paralizzare con una eccezione dilatoria di diritto sostanziale l‟altrui pretesa di fronte ad un inadempimento. Evidente il richiamo all‟art.1460 c.c. secondo cui, e‟ noto, nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti puo‟ rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione se l‟altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l‟adempimento siano stati concordati oppure risultino dalla natura del contratto. Soluzione questa di cui dubbia sarebbe la proponibilita‟ nell‟ipotesi in cui si costruiscano i diritti del lavoratore alla tutela della sua personalita‟ al di fuori del principio di corrispettivita‟ che, secondo parte della dottrina, invece finirebbero con il contraddire57 trattandosi di diritti non fondati sul contratto di assunzione ma direttamente sul rapporto di lavoro. D‟altra parte, quand‟anche si ritenesse il demansionamento una espressione di adempimento inesatto, si deve osservare come l‟eccezione di inadempimento sia opponibile anche in caso di inesattezza dell‟adempimento58. Tuttavia, qualora il creditore abbia ricevuto la prestazione inesatta, puo‟ esercitare l‟exceptio per una parte soltanto della propria prestazione59. Che e‟ quanto si traduce nelle dinamiche lavoristiche con la necessita‟ che il lavoratore, pur sollevando l‟eccezione ex art.1460 c.c., metta comunque a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e la propria professionalita‟ per l‟esecuzione delle mansioni spettanti ed esigibili. Che e‟ quanto, invero, costituisce soluzione affatto pacifica e semmai complicata da un dibattito che ha animato le aule di giustizia come la letteratura. Infatti, sfogliando la giurisprudenza anche recente della Corte di legittimita‟, si evidenziano incertezze di ordine sistematico ed operativo e quindi sia sulla natura sostanziale dell‟eccezione ex art.1460 c.c. la cui operativita‟ sembrerebbe a volte confinata nel quadro dei procedimenti giudiziari, negandosi al creditore/debitore la possibilita‟ di una autotutela delle proprie ragioni anche a prescindere dal processo 60; sia sull‟operativita‟ dell‟eccezione a fronte di un inadempimento non totale. 56 C.Conti reg. Lombardia, sez. giurisd. 29.12.08 n.991, in Riv. Corte Conti 2008, 6, 121 R.Scognamiglio, La natura non contrattuale del lavoro subordinato, cit. 58 Cfr. L.Bigliazzi Geri, Risoluzione per inadempimento, II, sub art.1460 in Commentario Scialoya Branca, Roma 1988, p.18, nota 3. 59 G.Persico, L‟eccezione d‟inadempimento, Milano 1955, 146 60 L.Bigliazzi Geri, Profili sistematici dell‟autotutela private, II, Milano 1974, pp. 193ss; G.Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli 1935, p.311; G.Persico, Eccezione d‟inadempimento, Milano 1955, pp.7 e 103ss; R.Bolaffi, Le eccezioni di diritto sostanziale, Milano 1936, pp.181ss; F. 57 16 In effetti, che la formula di autotutela sia proponibile nell‟ambito del rapporto di lavoro ed a tutela del lavoratore e‟ soluzione affermata in giurisprudenza tanto in ipotesi di demansionamento61 quanto di ritardato pagamento della retribuzione62.Si e‟ affermato ad esempio che, in applicazione del principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive ex art.1460 c.c., si deve ritenere legittimo il rifiuto opposto dal dipendente al trasferimento qualora il provvedimento del datore si traduca infine in un palese demansionamento, purche‟ la reazione del lavoratore risulti proporzionata e conforme a buona fede. Il rifiuto del lavoratore impone al giudice una valutazione comparativa dei comportamenti assunti dalle parti del contratto di lavoro, si‟ da verificare la congruita‟ tra le mansioni espletate dal lavoratore e quelle assegnate che debbono essere del resto vagliate indipendentemente dal loro concreto svolgimento, non essendo accompagnati i provvedimenti aziendali da una presunzione di legittimita‟ che ne imponga l‟ottemperanza sino ad un diverso accertamento in giudizio63. La Corte di legittimita‟ si e‟ affrettata a precisare, pero‟, che l‟eventuale assegnazione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita puo‟ legittimare il lavoratore ad adire l‟autorita‟ giudiziaria per chiedere la riconduzione della prestazione nel quadro della qualifica di appartenenza, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente e senza alcun avallo giudiziario, eventualmente accordabile in sede cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa pretesa dal datore di lavoro in quanto e‟ tenuto ad osservare le disposizioni per l‟esecuzione del lavoro impartito dall‟imprenditore ex art.2086 e 2104 c.c. da applicarsi in relazione all‟art.41 Cost e puo‟ legittimamente invocare l‟art.1460 c.c. in caso di totale inadempimento dell‟altra parte. Premessa questa che ha indotto la Suprema Corte a qualificare quale grave insubordinazione, come tale suscettibile di provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si rifiuti di eseguire la prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza 64. Ed ancora si e‟ affermato che, quando ci si misura con una situazione di demansionamento, il lavoratore non e‟ legittimato a sospendere in tutto o in parte l‟attivita‟ lavorativa qualora il datore di lavoro assolva tutti gli altri propri obblighi , ovvero provveda a pagare la retribuzione, alla contribuzione previdenziale e assicurativa ed a garantire il posto di lavoro. Infatti, si e‟ sostenuto che una parte puo‟ rifiutare la propria prestazione contrattuale solo se l‟altra parte e‟ totalmente inadempiente e non anche quando vi sia contestazione e controversia soltanto su una delle obbligazioni a carico di una delle parti; obbligazione peraltro in relazione al demansionamento affatto incidente sulle immediate esigenze vitali del lavoratore65. Realmonte, Eccezione di inadempimento, in Enc. Dir, XIV, Varese 1965 p.236ss; A.Dalmartello, Eccezione di inadempimento, in Noviss. Dig. It, VI, Torino 1960, p.356 61 Cassazione civile , sez. lav., 05 aprile 1984, n. 2231 in Riv. It. Dir. Lav. 1984, II, 786, in Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 3-4; in Foro it. 1985, I,1164; in Giust. civ. 1985, I,163. 62 Cassazione civile , sez. lav., 09 novembre 1981, n. 5940 in Foro it 1982, I, 2919; in Orient. giur. lav. 1983, 22; in Mass. giur. lav. 1982, 363; in Riv. it. dir. lav. 1982, II,491. 63 Cass. Civ. sez. lav. 19.2.08 n.4060, in Resp. civ. e prev. 2008, 9 1760 con nota di Pucinelli; in Diritto & giustizia 2008 64 Cass. Civ. Sez. Lav. 5.12.07 n.25313 in Guida al dir. 2008, 4, 78; in Giust. Civ. Mass. 2007, 12; in Riv. It. Dir. Lav. 2008, 2, 470 con nota di Cavallaro; in Giust. Civ. 2008, 2, 328; in Notiziario giur. lav. 2008, 2, 161; ma contra Cassazione civile , sez. lav., 08 agosto 2003, n. 12001 in Orient. giur. lav. 2003, I, 619; in Notiziario giur. lav. 2004, 155; in Giust. civ. Mass. 2003, 7-8 65 Cass. Civ., sez. lav. 9.5.07 n.10547, in Riv. It. Dir. Lav. 2007 con nota di Fabbri ed ivi 2008, 3, 597 con nota di Raimondi 17 Applicabilita‟ della norma codicistica che peraltro non creerebbe ulteriori difficolta‟ se non fosse che quell‟astensione, pur posta a presidio di un diritto del lavoratore, sia stata (anche se da una giurisprudenza oramai datata) equiparata all‟esercizio del diritto, pur garantito costituzionalmente, di sciopero con conseguente esonero del datore di lavoro dall‟obbligo di corrispondere la retribuzione per il periodo in cui l‟eccezione e‟ opposta66. Si‟ che la possibilita‟ di avvalersi di quella eccezione e‟ stata riconosciuta piuttosto al datore di lavoro di fronte all‟esercizio del diritto di sciopero del lavoratore “il che, visto che si fa leva sulla natura sinallagmatica di un rapporto di diritto privato comune, e‟ conclusione ineccepibile. Il fatto e‟ che il rapporto in questione mal si presta ad essere ricondotto, puramente e semplicemente, in tale ottica e che, non appena si consideri qual e‟ la funzione del diritto di sciopero e tramite quale strumento si tenda, in tal modo, ad ostacolarne, in sostanza, l‟esercizio, contemporaneamente incidendo anche pesantemente sul conseguimento di quella retribuzione sufficiente posta dalla Carta Costituzionale a garanzia di un‟esistenza libera e dignitosa del lavoratore (art.36 in rel. art. 2 e 3), una soluzione di tensioni sociali attuata tramite l‟applicazione di principi nati per risolvere questioni concernenti singoli rapporti interprivati non puo‟ non denunciare tutta la sua formalistica inadeguatezza”67. Invero, l‟art.1460 c.c., se consente al lavoratore che lamenti il demansionamento il rifiuto della prestazione siccome pretesa da parte avversa, non gli consente di per se‟ il conseguimento della retribuzione, ma, salvo quanto infra evidenziato, il risarcimento del danno subito che non ha natura reddituale68 e quindi non concorre alla determinazione del trattamento di fine rapporto. Infatti, il principio generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro comporta che, al di fuori delle espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetti soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, a meno che il datore di lavoro versi in una situazione di mora "credendi" nei confronti dei dipendenti. Ne consegue che sono validi, in linea di principio, i patti conclusi tra i lavoratori ed il datore di lavoro per la sospensione del rapporto di lavoro; tali fatti non hanno ad oggetto diritti di futura acquisizione e non concretano rinunzia alla retribuzione, invalida ex art. 2113 cod. civ., atteso che la perdita del corrispettivo discende dalla mancata esecuzione della prestazione.69 Si tratta allora di verificare, al di là dell‟emergenza di siffatti accordi, quando possa ritenersi il datore in mora credendi. In base agli artt. 1218 e 1256 cod. civ., la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata, ed esonera il medesimo datore dall'obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di 66 Cass. 9.11.81 in Foro it. 1982, I, 2919, ma cfr. Cass. 5.4.84, in Riv. It. Dir. Lav. 1984, II, 786; cfr. U. Natoli, in Riv. Giur lav. 1983, I, 130 67 L.Bigliazzi Geri, Risoluzione per inadempimento, II, sub art.1460 in Commentario Scialoya Branca, Roma 1988, 57 68 “l‟indennita‟ percepita da un lavoratore dipendente a titolo di risarcimento dei danni per demansionamento non e‟ soggetto ad i.r.pe.f., poiche‟ in forza del principio stabilito dall‟art.6, comma 2, del TUIR, le somme che sono meramente reintegrative di un danno patrimoniale non hanno natura reddituale” [Cass. Civ., sez. trib., 9.12.08 n.28887, in Bollettino trib. 2009, 6, 492] 69 Cassazione civile , sez. lav., 19 maggio 2003, n. 7843 in Riv. it. dir. lav. 2004, II, 94 con nota di Spolverato; in Riv. giur. lav. 2004, II, 550 con nota di Federici; in Giust. civ. Mass. 2003, 5 18 mercato. La legittimità della sospensione deve essere verificata in riferimento all'allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa: solo ricorrendo il duplice profilo dell'impossibilita' della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell'impossibilita' di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, e' giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla70. Infatti, il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464 cod. civ., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l'onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l'esaurimento dell'attivita' produttiva. Ne consegue che il dipendente "sospeso" non è tenuto a provare d'aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un'ipotesi di mora credendi, il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione71. Ebbene, una volta che si ritenga che il lavoratore il quale intenda avvalersi dell‟eccezione ex art.1460 c.c. sia comunque tenuto ad offrire la propria prestazione nei termini esigibili da parte avversa, ben si puo‟ concludere per ritenere comunque spettante al lavoratore il pattuito trattamento retributivo da parte del datore di lavoro che deve ritenersi essere stato messo in mora con quella offerta72. Infatti, “se il mancato adempimento e‟ imputabile, non al debitore (il quale abbia fatto tutto quanto dipendeva da lui per adempiere), ma al comportamento puramente negativo del creditore, costui potrebbe essere ugualmente tenuto ad eseguire la sua eventuale controprestazione. Ed e‟ bene tenere presente che, in questi casi, come in altri possibili casi analoghi, la conclusione si giustifica, non sul presupposto dell‟inadempimento da parte del creditore di un preteso obbligo di cooperazione, ma perche‟ lo stesso creditore puo‟, bensi‟, rinunziare ad avvalersi del proprio diritto (non ricevendo la prestazione offertagli od omettendo quanto ex se indispensabile per consentire all‟altra parte di eseguirla), ma non puo‟, per questo, ritenersi liberato se, contemporaneamente, sia debitore di una prestazione corrispettiva. Infatti, non potendo l‟altra parte essere considerata inadempiente e non trovando, quindi, applicazione l‟art.1460, quella prestazione deve essere regolarmente eseguita”73. Detta soluzione, tuttavia, sottintende la possibilita‟ di una imputabilita‟ del comportamento omissivo del datore di lavoro rispetto all‟obbligo ex art.2103 c.c.. Che e‟ quanto non sempre e‟ ipotizzabile. Infatti, la tutela ex art.1460 c.c. prescinde dalla imputabilita‟ dell‟inadempimento e quindi dalla responsabilita‟ della controparte in ipotesi esclusa dalla sopravvenuta impossibilita‟ della prestazione posta a suo carico. E‟ l‟alterazione del sinallagma 70 Cassazione civile , sez. lav., 09 agosto 2004, n. 15372 in Giust. civ. Mass. 2004, 9 Cassazione civile , sez. lav., 16 aprile 2004, n. 7300 in Giust. civ. Mass. 2004, 4 72 Del resto, ex art. 1217 c.c., se la prestazione consiste in un facere, il creditore e‟ costituito in mora mediante l‟intimazione di ricevere la prestazione e di compiere gli atti che sono da parte sua necessari per renderla possibile; intimazione che puo‟ essere fatta nelle forme d‟uso [cfr. in generale, C.Cattaneo, sub artt. 1206/1217, in Commentario Scialoya Branca, Bologna Roma, pp.269ss] 73 Sic. U.Natoli, L‟attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civ. e comm. Cicu Messineo, XVI, I, Milano 1974, p. 68. 71 19 contrattuale e non l‟imputabilita‟ dell‟inadempimento74 ad assumere rilievo. “Cio‟ che nella specie conta e che, pur in assenza di un inadempimento imputabile, dovrebbe consentire il ricorso all‟exceptio e‟ la circostanza, infatti, che –in una situazione nella quale le parti rivestono allo stesso tempo la qualita‟ di debitore e di creditore- l‟interesse di una di esse, quale creditore, rischi di restare, anche se solo temporaneamente, insoddisfatto. Una siffatta situazione, mettendo quella parte creditrice nella condizione di dover effettuare (in quanto, appunto, anche debitrice) una prestazione, pur non avendo ottenuto quanto dovutole, denuncia l‟esistenza di un fatto obbiettivamente lesivo della posizione complessiva che il soggetto (quale debitore e creditore insieme) riveste nel rapporto, perche‟ tale da incidere negativamente –tramite un altrui comportamento non corrispondente all‟attuazione dell‟obbligo, cui fa riscontro l‟attuale necessita‟ di adempiere- sull‟interesse dell‟avente diritto alla conservazione di un equilibrio che risulterebbe altrimenti compromesso e, dunque, allo status quo”75. Peraltro, ricostruito il contratto di lavoro in termini di mero scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione, il demansionamento si tradurrebbe in un pregiudizio per il solo datore di lavoro in quanto questi, a fronte di una prestazione qualitativamente meno impegnativa rispetto a quella inizialmente convenuta, sarebbe tenuto all‟erogazione dei compensi pattuiti per le mansioni superiori. Che e‟ quanto invero costituisce, gia‟ lo si e‟ evidenziato, soluzione interpretativa della problematica de qua affatto soddisfacente e che testimonia come le dinamiche lavoristiche non si traducano in un mero scambio nei termini appena evidenziati, integrando semmai anche l‟occasione per il lavoratore per affermare la propria personalita‟ ed adempiere al dovere di svolgere, secondo le proprie possibilita‟ e la propria scelta, un‟attivita‟ o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della societa‟ ex art.4 Cost. La prestazione cui il lavoratore e‟ tenuto non e‟ integrata da una mera forza lavoro senza aggettivi, ma da una attivita‟ qualificata da una data professionalita‟ che il dipendente deve offrire, ha diritto a conservare e semmai a potenziare. Ed e‟ questo il diritto leso, il diritto cioe‟ a poter concorrere al progresso personale e sociale; non necessariamente la dignita‟ del lavoratore, apparendo del resto pretenziosa la possibilita‟ di graduare la dignita‟ dei lavori e ritenere alcuni piu‟ dignitosi di altri. L‟art.2103 c.c, allora, integra lo spettro degli obblighi cui le parti del rapporto di lavoro sono tenute, prevedendo quello del datore di lavoro non solo di corrispondere la retribuzione, ma anche di far lavorare il dipendente nei termini gia‟ pattuiti. Non si tratta tanto di un obbligo accessorio, in relazione a cui peraltro, ci si potrebbe chiedere se sia possibile il ricorso allo strumento di tutela ex art.1460 c.c.76, ma di uno inestricabilmente intrecciato con quello retributivo e la cui violazione puo‟ determinare eventualmente quella degenerazione patologica della sofferenza che il datore di lavoro dovrebbe scongiurare essendo a cio‟ tenuto ex art.2087 c.c. In particolare, la responsabilità ex art. 2087 c.c. sussiste quando la lesione del bene tutelato derivi dalla violazione dell'obbligo che incombe al datore di lavoro di adottare idonee misure a tutela della salute del lavoratore subordinato e della sua personalità 74 Cassazione civile , sez. III, 19 ottobre 2007, n. 21973 in Giust. civ. Mass. 2007, 10; in Il civilista 2009, 2 79 con nota di Maio; in Giust. civ. 2008, 1 115 75 L.Bigliazzi Geri, Risoluzione per inadempimento, sub artt.1460/1462, in Commentario Scialoya Branca, 2, Bologna Roma 1988, 19s 76 Cfr. L.Bigliazzi Geri, Risoluzione per inadempimento, sub artt.1460/1462, in Commentario Scialoya Branca, 2, p. 10. 20 morale77.Il datore di lavoro deve invero sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche e organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa. Obbligo quello del datore di lavoro che deve essere recuperato non solo a disposizioni specifiche, ma più in generale proprio al disposto dell'art. 2087 c.c., in base a cui il datore di lavoro è comunque garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro. Conseguentemente, qualora il datore di lavoro non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo gli deve essere imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40, comma 2, c.p.78. Ed e‟ appunto in questa prospettiva che si apre per il lavoratore la frontiera dei danni non patrimoniali, risarcibili anche sul piano contrattuale. La responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di sicurezza previsto dall'art. 2087 c.c. ha infatti natura contrattuale. Siffatta qualificazione poggia sul rilievo che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla suddetta norma. Del resto, la responsabilità contrattuale è configurabile ogni volta che ci si misuri con l'inadempimento di un'obbligazione giuridica preesistente, comunque assunta dal danneggiante nei confronti del danneggiato79. Pertanto, applicandosi l'art. 1218 c.c., una volta provato l'inadempimento consistente nell'inesatta esecuzione della prestazione di sicurezza nonché la correlazione fra tale inadempimento ed il danno, la prova che tutto era stato approntato ai fini dell'osservanza del precetto del suddetto art. 2087 c.c. e che gli esiti dannosi siano stati cagionati da un evento imprevisto e imprevedibile deve essere fornita dal datore di lavoro80. Quindi, sul piano della ripartizione dell'onere probatorio al lavoratore spetta lo specifico onere di riscontrare il fatto costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza nonché il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre non è gravato dall'onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento, onere che, invece, incombe sul datore di lavoro e che si concreta nel provare la non imputabilità dell'inadempimento81. Che il demansionamento costituisca un illecito contrattuale fonte necessariamente di danni non patrimoniali e‟ invero nodo problematico complicato sia dai margini di autonomia che l‟Ordinamento giuridico conserva al rapporto negoziale tra lavoratore e datore di lavoro sia dalla necessita‟ di contemperare quella disponibilita‟ negoziale con la necessaria inviolabilita‟ dell‟interesse giuridico suscettibile di tutela sul piano dei danni non patrimoniali. Occorre procedere con ordine. 77 Cassazione civile , sez. lav., 07 marzo 2007 , n. 5221 in Giust. civ. Mass. 2007, 3, in Il Lavoro nella giur.) 2007, 11 1142; in Giust. civ. Mass. 2007, 3. 78 Cass. Pen. , sez. IV, 29 gennaio 2007 , n. 16422 in Guida al diritto 2007, 22 65; 79 Cassazione civile , sez. lav., 25 maggio 2006 , n. 12445, in D&G - Dir. e giust. 2006, 26 34 con nota Di Marzio; in Giust. civ. Mass. 2006, 5; in Riv. it. dir. lav. 2007, 1 68 con nota di Valente; in Riv. giur. lav. 2006, 4 632 con nota di Salvagni e di Federici; in Foro it. 2006, 10 2738; in Notiziario giur. lav. 2006, 4 471; in Resp. civ. e prev. 2006, 9 1490 con nota di Cavallo; 80 Cassazione civile , sez. lav., 08 maggio 2007 , n. 10441, in Foro it. 2007, 10 2701; in Orient. giur. lav. 2007, 3 622; in Giust. civ. Mass. 2007, 5; in Riv. it. dir. lav. 2008, 3 571 con nota di Cannati; in Notiziario giur. lav. 2008, 1 18; 81 Cass. Civ. , sez. lav., 25 maggio 2006 , n. 12445, cit. 21 5. Una lettura dell‟art.2103 c.c. in termini di irrigidimento del rapporto di lavoro sarebbe destinata paradossalmente a distanziare le relazioni industriali dal circuito di protezione dell‟interesse del lavoratore cui il codice e del resto la legislazione lavoristica appaiono orientate e che spesso non e‟ rappresentata dal congelamento delle mansioni per cui il dipendente e‟ stato assunto o delle ultime effettivamente svolte. Il diritto del lavoratore subordinato a non essere demansionato sottintende la conservazione delle potenzialita‟ (dell‟azienda) del datore di lavoro e quindi della capacita‟ di quest‟ultimo di riproporsi, eventualmente anche attraverso modifiche organizzative, su un mercato di per se‟ concorrenziale e che impone costanti cambiamenti ed adattamenti. Si impone la ricerca allora di un punto di equilibrio tra opposti interessi: quello dell‟imprenditore ex art.41 Cost e quello del lavoratore a conservare, esercitare ed accrescere la professionalita‟ connessa alle mansioni per cui e‟ stato assunto e che comunque ha conseguito il diritto ad esercitare. Punto di equilibrio che puo‟ diversamente orientare l‟apprezzamento dell‟interesse dell‟una o dell‟altra parte del rapporto di lavoro. Infatti, non e‟ detto che nella prospettiva di un siffatto bilanciamento quegli interessi debbano (continuare a) divergere e non finiscano piuttosto con il convergere verso una soluzione soddisfacente per entrambe le parti. Che e‟ quanto ha determinato poi l‟affermazione –giurisprudenziale e dottrinaledella validita‟ di quelle clausole contrattuali che, in relazione ad esigenze contingenti del datore di lavoro, gli consenta una mobilita‟ verticale82. Pertanto la regola della corrispondenza delle mansioni da espletare rispetto a quella per le quali si e‟ stato assunti o sono state da ultime esercitate costituisce una regola affatto ingessata e che semmai deve adattarsi a seconda dell‟interesse del lavoratore il quale, ad esempio, ben potrebbe rifiutare una promozione maturata ex art.2103 c.c. In proposito, si e‟ osservato che “se un accordo in tal senso sembra sfuggire alla sanzione della nullita‟ che l‟ultimo comma dell‟articolo in esame generalmente stabilisce nei riguardi di qualsiasi atto o patto in deroga all‟ordinamento da esso previsto, la giustificazione potrebbe essere basata sulla discriminazione tra deroghe intese a soddisfare un concreto interesse del lavoratore, e deroghe esclusivamente riconducibili agli interessi aziendali; discriminazione gia‟ prospettata a proposito del declassamento che, ricorrendo determinate circostanze, il lavoratore chieda ed ottenga dalla controparte”83. La sanzione di nullita‟ prevista dall‟art.2103 c.c. in relazione a qualsiasi pattuizione che introduca modifiche peggiorative della posizione del lavoratore non opera pertanto allorche‟ il patto peggiorativo corrisponda anche all‟interesse del lavoratore84. L‟accordo per l‟assegnazione a mansioni inferiori in questi casi non puo‟ essere considerato in contrasto con le esigenze di liberta‟ e dignita‟ del lavoratore; la validita‟ di un siffatto accordo postula tuttavia un consenso non viziato del lavoratore, condizione insussistente qualora il datore di lavoro abbia per tal via posto in essere un espediente per ottenere prestazioni lavorative in elusione di una norma imperativa85. 82 Cass., sez. un. 24.11.06 n.25033 in Mass. Giur. Lav. 2007, 17 con nota di Pisani, Le mansioni promiscue secondo le Sezioni Unite: consensi e dissensi; in Lav. Prev. Oggi 2006, 1374. 83 L.Riva Sanseverino, Lavoro, cit., 414 84 Cass. Civ., sez. Lav., 22.8.06 n.18269, in Riv. giur. lav. 2007, 1, 43 con nota di Fabbri; in Notiziario giur. Lav. 2006, 5, 269. 85 Cass. Civ., sez. lav., 22.8.06 n.18269, in Riv. Giur. Lav. 2007, 1, 43 con nota di Fabbri. 22 E cosi‟ il patto di demansionamento e‟ stato ritenuto valido quando e‟ funzionale ad evitare un licenziamento a prescindere poi dal soggetto che abbia promosso la conclusione dell‟accordo86. Accordo che tuttavia non rappresenta la via obbligata da percorrere per scongiurare il licenziamento; si e‟ osservato infatti che quando il datore di lavoro procede al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, come ad esempio per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati, la verifica della possibilita‟ del repechage deve essere fatta con riferimento a mansioni equivalenti e, qualora i lavoratori licenziati abbiano espresso il consenso a svolgere mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova dell‟impossibilita‟ del repechage deve essere fornita anche con riferimento a dette mansioni, ma in quest‟ultimo caso e‟ necessario che il patto di demansionamento sia anteriore oppure coevo al licenziamento, non potendo viceversa scaturire da una dichiarazione del lavoratore manifestata in epoca successiva al licenziamento e non accettata dal datore di lavoro87. 6. Non e‟ questa la sede per ripercorrere la parabola della responsabilita‟ per danno non patrimoniale, specie nelle dinamiche contrattuali. A lungo negata da una giurisprudenza88 ed una dottrina condizionata dalla inesistenza nell‟ambito della disciplina del contratto di una norma come l‟art.2059 c.c., e‟ stata confermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le pronunzie dell‟11.11.08 [le nn. 26972, 26973, 26974, 26975] che hanno finito con l‟affidare infine la tutela dei valori della persona umana ad uno strumento, quello risarcitorio, strettamente legato a logiche di mercato. Sulla portata di dette pronunzie molti hanno scritto, plaudendo alcuni alla soluzione infine adottata dalla Suprema Corte, manifestando altri perplessita‟ e riserve. Numerosi, del resto, sono i punti fissati dalla Corte di legittimita‟ quali condizioni legittimanti una siffatta tutela: serieta‟ della lesione e gravita‟ del danno in considerazione dell‟esigenza (sociale prima che giuridica) di una tolleranza nelle relazioni intersoggettive; ammissibilita‟ di un risarcimento del danno non patrimoniale contrattuale; necessita‟ di allegazione e di prova del danno non patrimoniale in quanto danno conseguenza; valenza meramente descrittiva della distinzione tra danno morale e danno biologico capace quest‟ultimo di assorbire di per se‟ i pregiudizi di tipo esistenziale. Di quelle pronunzie, tuttavia, e‟ un tratto, affatto stilistico ma sostanziale della ricostruzione del sintagma danno non patrimoniale risarcibile, che colpisce. La Corte ha sottolineato la tipicita‟ del danno non patrimoniale in quanto “tale danno e‟ risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona umana”. Rispetto alle sentenze gemelle del 200389, la Corte di legittimita‟ 86 Cass. Civ. sez. lav. 10.10.06 n.21700, in Riv. Giur. Lav. 2007, 2, 244 con nota di Lucarelli; in Orient. Giur. Lav. 2007, 1, 50; in Diritto & Giustizia 2006, 44, 29 con nota di Turco. 87 Cass. Civ. Sez. Lav. 18.3.09 n.6552 in Giust. Civ. mass. 2009, 3; in Guida al dir. 2009, 18, 68, Diritto & Giustizia 2009. 88 Ma cfr., gia‟ sotto il codice previgente, Tribunale Milano 12.6.1909 [in Giur. It 1909, I, 1, 583ss] che aveva ritenuto responsabile per colpa contrattuale una casa di cura privata per il suicidio di un paziente affetto da ritardo mentale e ricoverato per il pericolo di autolesionismo con condanna al risarcimento del danno morale subito dalla famiglia, ritenendo lo stesso prevedibile sin dal momento della conclusione del contratto 89 Cassazione civile , sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827,in Giust. civ. Mass. 2003, 5 , in Foro amm. CDS 2003, 1542, in Giur. it. 2004, 1129 con nota di Bona, in Riv. it. medicina legale 2004, 195; in Riv. corte conti 2003, 6 221; in Foro it. 2003, I,2273 con nota di Navarretta, in Corriere Giur. 2003, f.8, 1017. Cfr. anche Cassazione civile , sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828 in Giust. civ. Mass. 2003, 5, in Danno e resp. 23 ha tradito nel suo argomentare la preoccupazione per un trend giurisprudenzale teso ad una copertura eccessiva degli interessi tutelabili. Si e‟ affermato, infatti, che mentre l‟art.2059 c.c. in caso di reato riconosce la possibilita‟ di un risarcimento del danno non patrimoniale per violazione di qualsiasi interesse meritevole di tutela in base all‟ordinamento giuridico; invece, al di fuori di detta ipotesi, per quel risarcimento e‟ necessaria una ingiustizia del danno costituzionalmente qualificata ed incentrata sulla lesione di interessi inviolabili della persona. Il nodo da sciogliere diviene allora quello di delimitare la nozione di ingiustizia costituzionalmente qualificata ed in particolare di individuare i diritti inviolabili della persona. In effetti, di quale diritto si possa predicare l‟inviolabilita‟ e‟ questione di non agevole soluzione. Si‟ che inviolabili non sono stati ritenuti dalla Suprema Corte i diritti tutelati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‟uomo cui si e‟ negato il rango di fonte costituzionale90; d‟altra parte solo alcuni dei diritti riconosciuti dalla GrundNorm sono riconosciuti dallo stesso testo normativo inviolabili91, ma non per questo quelli non qualificati tali non debbono ritenersi suscettibili della medesima protezione. Si pensi al diritto alla salute ex art.32 Cost. ed a quello di professare la propria fede religiosa ex art.16 Cost.; diritti questi che concorrono a definire il caleidoscopio della persona umana, rappresentandone l‟essenza. In quest‟ottica anche la liberta‟ di pensiero, ex art.21 Cost, deve ritenersi inviolabile benche‟ poi sia la stessa Carta Fondamentale a prevedere la possibilita‟ di limitazioni al suo esercizio. Eppure appunto a quella prevista eventualita‟ (e di converso, alla mancata previsione di una limitazione) la Suprema Corte sembrerebbe aver affidato il ruolo di selezionare gli interessi inviolabili e come tali suscettibili di protezione risarcitoria per danno non patrimoniale, tanto da escludere tra quelli la liberta‟ di circolazione che ex art.16 Cost puo‟ essere limitata per legge in via generale per motivi di sanita‟ oppure di sicurezza. Che e‟ quanto impone allora l‟esigenza di individuare un diverso criterio di selezione, capace di cogliere le caratteristiche di quell‟interesse ed il senso di quella inviolabilita‟. Si tratta di una indagine che puo‟ contare pochi punti fermi e molti interrogativi. Occorre interrogarsi, ad esempio, circa la necessita‟ che l‟interesse tutelato debba essere elencato nella Costituzione ed ancora da chi non possa essere violato. L‟art.2 della Costituzione e‟ il frutto di un compromesso ideologico, cui del resto sono debitrici la esistenza e la sopravvivenza di detta fonte, tra la tradizione cattolica da un lato e l‟anima socialista e comunista dall‟altro; compromesso risolto nell‟affermato riconoscimento da parte della Repubblica dei diritti inviolabili dell‟uomo e quindi nella centralita‟ dello stesso nella costruzione del nuovo Stato repubblicano in quanto valore trascendente per i cattolici e paradigma vincente sulla scomparsa dello Stato per i marxisti. Ebbene, la norma costituzionale non rappresenta una norma di chiusura rispetto 2003, 816 con note di F.D.Busnelli, di G.Ponzanelli e di A.Procida Mirabelli di Lauro; in Resp. civ. e prev. 2003, 675 con note di Cendon, di Bargelli e di Ziviz; in Nuova giur. civ. commentata 2004, I. 5, 232 con nota di Scarpello. Cfr. anche Cassazione civile , sez. III, 12 maggio 2003, n. 7283 in Giur. it. 2004, 1130 con nota di Bona; Cassazione civile , sez. III, 12 maggio 2003, n. 7282 in Giust. civ. 2003, I, 2063 con nota di Campione; in Studium Juris 2003, 1382; Cassazione civile , sez. III, 12 maggio 2003, n. 7281 in Foro it. 2003, I,2274 con nota di Navarretta; in Assicurazioni 2003, II, 87; in MGI 2003. 90 Cfr. A.Riccio, Verso l‟atipicita‟ del danno non patrimoniale: il mancato rispetto dei vincoli derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell‟uomo solleva una nuova questione di costituzionalita‟ dell‟art.2059 c.c.? in Contratto e impresa 2009, 277ss 91 Inviolabile, per espressa statuizione, e‟ la liberta‟ personale ex art.13 Cost.; lo e‟ il domicilio ex art.14 Cost.; la liberta‟ e la segretezza della corrispondenza ex art.15 Cost. 24 ai diritti ed alle liberta‟ costituzionalmente rilevanti ed inviolabili, ma norma di apertura, valvola con cui quel testo si apre non sul passato ed alla cultura giustnaturalistica, rectius non solo a quelli ma anche alla realta‟ con il suo dinamismo incessante92. Il che impone allora di individuare nell‟uomo e nella sua essenza (di cui le liberta‟ costituzionali offrono alcune sfaccettature) le coordinate utili ad individuare detti diritti. Si scopre allora la valenza fondamentale di quelle prerogative che consentano l‟affermazione della identita‟ biologica e sociale della persona colta non solo nella sua fisicita‟ ma anche nella sua dignita‟ umana. Non a caso la Carta europea dei diritti fondamentali dell‟Unione Europea ha il suo incipit nell‟affermazione che la dignita‟ umana e‟ inviolabile e deve essere rispettata e tutelata. Dignita‟ della persona anche in quanto lavoratore chiamato a svolgere, secondo le proprie possibilita‟ e la propria scelta, un‟attivita‟ o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della societa‟ [art.4 Cost.]. Soluzione questa che poi non vale, a ben vedere, a risolvere il nodo problematico relativo alla ricerca di un senso alla pacifica affermazione della risarcibilita‟ del danno non patrimoniale subito dal lavoratore subordinato a seguito di un subito demansionamento. Perche‟ e‟ l‟individuazione della dignita‟ quale valore infine leso in caso di demansionamento ed in generale quale profilo capace di connotare in termini di inviolabilita‟ un interesse soggettivo si‟ da imporne una tutela a tutto campo e quindi dal piano patrimoniale a quello non patrimoniale che risulta affatto sicura. Infatti, affidare a detto criterio la funzione di giustificare la tutela dell‟interesse morale del lavoratore subordinato a non vedersi demansionato postula la costruzione di una gradualita‟ della valutazione in termini di dignita‟ delle singole mansioni. E‟ appunto l‟idea di poter ipotizzare che l‟ordinamento giuridico consenta lavori non dignitosi e che la dignita‟ non sia concetto intrinseco a quello di lavoro che appare affermazione incerta. Salvo poi non ritenere che la violazione della dignita‟ non sia correlata allo svolgimento di una qualsiasi prestazione lavorativa, ne‟ di una qualunque mansione inferiore (per inquadramento se non per contenuto e visibilita‟) rispetto a quella per la quale si e‟ stato assunto; ma piuttosto la violazione della dignita‟ stia nel declassamento (e quindi nell‟essere oggetto di una siffatta azione del datore di lavoro) e che nulla toglie alla pari dignita‟ delle mansioni comunque espletate. Anche se poi, considerata l‟esigenza del resto avvertita dalla Suprema Corte, di limitare il range di operativita‟ della copertura risarcitoria degli interessi non patrimoniali, ci si dovrebbe interrogare se l‟affermazione dell‟ammissibilita‟ tout court di una siffatta protezione in tema di demansionamento sia condivisibile. Che e‟ quanto si deve verificare a prescindere dall‟esigenza di prova del danno subito, operando una siffatta valutazione sul piano (preliminare a quello probatorio e di valenza sistematica) in merito all‟emergenza di un interesse inviolabile suscettibile di una cosi‟ intensa protezione. Cio‟del resto traspare da quella giurisprudenza che, in materia di pubblico impiego ad esempio (ma grazie al dettato dell‟art.52 del dlgs. 30.3.01 n.165), evidenzia come per i dirigenti generali sussistano incarichi che possono essere piu‟ ambiti di altri, anche dal punto di vista economico; ma che cio‟ tuttavia non significa che un dirigente generale, gia‟ titolare di un incarico, vanti un diritto all‟assegnazione per il futuro esclusivamente di incarichi idonei a preservare un trattamento 92 Cfr. A.Barbera, Sub Art. 2, in C.Mortati, A.Barbera; A.S.Agro‟, U.Romagnoli, G.F.Mancini, G.Berti, A.Pizzorusso, F. Finocchiaro, F.Merusi, F.Cassese, Principi Fondamentali. Artt.1-12, in Commentario della Costituzione Italiana, a cura di G.Branca, , Bologna-Roma, 1975, Pp. 50ss 25 economico/giuridico omnicomprensivo di livello identico o superiore a quello in godimento, pena il demansionamento. Del resto il costante svolgimento di incarichi operativi non determina l‟insorgenza di un diritto del dirigente a vedersi conferiti esclusivamente incarichi di tal genere, tanto piu‟ qualora si consideri che l‟espletamento di incarichi operativi e quindi l‟esperienza per tal via acquisita puo‟ essere utile nello svolgimento di compiti di studio93 Ed ancora quella giurisprudenza che ha escluso il demansionamento, quale fatto duraturo e foriero di perdita di professionalita‟, in caso di assegnazione provvisoria a mansioni inferiori94. Tanto, almeno cosi‟ pare, vale ad evidenziare come non sia il demansionamento di per se‟ condotta in astratto capace di compromettere valori inviolabili del datore di lavoro, dipendendo ogni valutazione anche dal quomodo della condotta del datore, senza per cio‟ solo dover indagare in merito al profilo soggettivo che connota la condotta del datore. Tuttavia, sfogliando le pronunzie della Suprema Corte si avverte come, in materia lavoristica ed almeno in tema di demansionamento, si ponga piu‟ un problema di gravita‟ dell‟offesa o almeno di prova del danno che di esistenza e quindi di selezione di un interesse non patrimoniale risarcibile, quasi che qualsiasi interesse del lavoratore, in quanto supportato da copertura costituzionale (richiamando per tal via la soluzione suggerita dalle Sezioni unite nel 2003), sarebbe in astratto suscettibile di tutela risarcitoria. Si afferma cosi‟ in generale come nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale (art.32 e 37 Cost), il danno non patrimoniale e‟ configurabile qualora la condotta illecita del datore di lavoro abbia determinato una violazione, in modo grave, dei diritti della persona del lavoratore, concretizzando un vulnus ad interessi oggetto di copertura costituzionale. Si sottolinea, tuttavia, che gli interessi costituzionalmente rilevanti, non risultando regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria devono essere individuati dal giudice di merito, con approccio casistico; giudice chiamato poi, onde evitare duplicazioni di risarcimento con attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, a discriminare i meri pregiudizi che si siano concretizzati in disagi o lesioni di interessi (privi di qualsiasi consistenza e gravita‟ e come tali non risarcibili) dai danni che devono essere risarciti95. E si afferma ancora che in materia di demansionamento il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che il lavoratore allega di avere subito non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento del datore di lavoro96. Al secondo quesito, invece, deve rispondersi che l‟inviolabilita‟ e‟ riferita non genericamente a chiunque ne‟ alla controparte contrattuale (verrebbe meno altrimenti la portata selezionatrice dell‟attributo, considerato che la pretesa al risarcimento del danno contrattuale segue l‟emergenza di un inadempimento e quindi di una violazione di un obbligo) ma allo stesso portatore di interessi pubblici, salvo poi che l‟azione in cui si traduca detta pretesa violazione rifletta l‟esigenza di protezione di un altro diritto fondamentale. Inviolabilita‟ quindi come intangibilita‟97 della essenza uomo e quindi 93 Tar Lazio Roma, sez. I, 5.5.09, n.4554 in Foro amm. TAR 2009, 5 1422 Cass. Civ., sez. Lav. 7.10.08 n.24738 in Lav. nella P.A. 2008, 5, 885; ivi 2008, VI, 1093 con nota di Ferretti 95 Cass. Civ., sez. lav., 12.5.09 n.10864, in Red. Giust. Civ. Mass. 2009, 5. 96 Cass. Civ., sez. lav. 19.12.08 n. 29832 in Giust. Civ. Mass. 2008, 12, 1815 97 A. Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. Treccani, XI, Roma 1989, 29 94 26 della sua dignita‟ e della sua pretesa naturale allo sviluppo della propria personalita‟e che pertanto si sottrae a elencazioni aprioristiche pretendendo semmai una verifica sul campo98. Che e‟ quanto vale ad evidenziare come la categoria consenta di tracciare, con i suoi confini fluidi, una tutela attuale ed un progetto di tutela della persona in una societa‟ in continua evoluzione in cui il quomodo di aggressione varia e viene costantemente raffinato e che comunque esprime un pluralismo di interessi che impone la necessita‟, ove possibile, di una coesistenza tollerata. Non a caso si e‟ affermato che lo scarto tra personalita‟ e patrimonialita‟ non e‟ tanto di natura ma di grado99; del resto “in un contesto nel quale manca il filtro oggettivo del mercato e nel quale domina la sensibilita‟ soggettiva, l‟accertamento di una minima serieta‟ dell‟offesa e‟ garanzia di una oggettiva rilevanza del danno e consente di escludere quei pregiudizi bagatellari e idiosincrasici che, anziche‟ tutelare la persona, assecondano l‟intolleranza a scapito del pluralismo dei diritti”100. Invero quello della inviolabilita‟ del diritto costituisce un criterio che nella giurisprudenza di legittimita‟ successiva alla sentenze delle Sezioni unite del novembre 2008 sembra, al di la‟ del richiamo formale, recessivo tanto da affermarsi tutela di diritti anche affatto fondamentali della persona101. Del resto se si volesse sovrapporre la nozione di inviolabilita‟ su quella di indisponibilita‟, ci si dovrebbe interrogare in merito alla astratta possibilita‟ di un danno non patrimoniale da demansionamento, li‟ dove la materia delle mansioni e‟ comunque e sia pure in parte rimessa alla disponibilita‟ delle parti contrattuali, apparendo ipotizzabile un patto di demansionamento. 7.In materia di demansionamento, il lavoratore subordinato puo‟ reagire in sede giudiziaria al potere direttivo esercitato di cui lamenti l‟illegittimita‟ dovendo all‟uopo prospettare all‟autorita‟ giudiziaria adita circostanze di fatto funzionali a dare fondamento alla denunzia e quindi con un onere di allegazione di elementi di fatto significativi dell‟illegittimo esercizio. Dal canto suo, il datore di lavoro, convenuto in giudizio, e‟ tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda avversaria, potendo altresi‟ allegarne altri, indicativi per converso del legittimo esercizio del potere direttivo. E‟ quanto hanno affermato le Sezioni Unite della Suprema Corte, confermando la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto l‟infondatezza della domanda del lavoratore per la carenza di qualsiasi allegazione in merito alla natura demansionante dei compiti lavorativi afferenti allo specifico incarico102. Peraltro, il lavoratore che chiede di essere risarcito per avere subito un demansionamento o una dequalificazione deve quindi allegare e provare di aver subito realmente le 98 R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano 1992, 32; E.Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino 1996, 71ss: Ead, Il danno alla persona tra solidarieta‟ e tolleranza, in Resp civ. prev. 2001, 801ss 99 G.Resta, Autonomia privata e diritti della personalita‟, Napoli 2005, 102 100 E.Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessita‟ dei danni non patrimoniali, in Resp. Civ. e prev. 2009, 1 101 Cass. 15.10.09 n.21925, in I Contratti 2010, 479 in tema di danno non patrimoniale consequenziale alla violazione del dovere di informazione del mediatore con perdita della possibilita‟ di acquistare un immobile 102 Cass. Civ., SS.UU., 6.3.09 n.5454 in Giust civ. Mass. 2009 27 conseguenze pregiudizievoli denunziate103. Li‟ dove l‟allegazione evita la nullita‟, la prova la certezza o quasi104 del rigetto nel merito. La Corte Suprema ha evidenziato come, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell‟oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono il fondamento, non è sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente indicato, ma è necessario che ne sia impossibile l‟individuazione attraverso l‟esame complessivo dell‟atto e della documentazione allegata105. Infatti, il processo del lavoro pretende che nella fase introduttiva del giudizio i fatti di causa siano esposti in modo chiaro e specifico, sì da consentire, da una parte, al giudice di avere una compiuta conoscenza del thema decidendum e, dall‟altra, al resistente di svolgere tutte le sue eccezioni o difese. Pertanto, la mancata o insufficiente esposizione delle circostanze (art. 414 n.4 c.p.c.) sulle quali si fonda la domanda determina la nullità del ricorso per inidoneità dell‟atto a raggiungere gli scopi sopra individuati. D‟altra parte l‟autorità giudiziaria adita non può, nel rispetto del principio di imparzialità e di tutela del contraddittorio, sanare detta invalidità, ricercando nell‟esercizio del proprio potere di ricerca della verità l‟oggetto della lite. Nè varrebbe a coonestare un assunto diverso il contenuto della documentazione prodotta il cui esame, operando nella fase di assunzione probatoria, sottintende l‟esito positivo del vaglio di validità del ricorso. Appare opportuno sul punto alcune rapide considerazioni. Infatti, la Corte Suprema, intervenendo sul finire degli anni „90 su un indirizzo giurisprudenziale che appariva viceversa consolidato, ha evidenziato come, secondo la regola prevista dall‟art.414, n.4, cpc, i fatti su cui il ricorrente fonda le sue pretese debbano essere specificamente indicati, non potendo a tale obbligo supplire una produzione documentale che presuppone invece la preventiva estrinsecazione del fatto106. Infatti, se nel rito del lavoro, il ricorso privo dell'esatta determinazione dell'oggetto della domanda o dell'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto è, come si è detto, affetto da nullità ai sensi degli art. 414, 164 e 156 c.p.c., sempre che non si tratti di un'omissione formale, ma si verifichi la sostanziale impossibilità di individuare i suddetti elementi attraverso l'esame complessivo dell'atto; tale nullità tuttavia opera pregiudizialmente, dovendo essere dichiarata prima di ogni valutazione di merito anche nell'ipotesi di costituzione del convenuto, senza che, ai fini dell'integrazione del ricorso, possa essere utilizzata la documentazione allegata allo stesso ma non offerta in comunicazione, e senza che, nella valutazione in ordine alla completezza del ricorso, possa attribuirsi rilievo alla natura ed organizzazione della parte convenuta in giudizio, posto che ciascun convenuto, allo stesso modo, deve poter fruire di tutti gli elementi che consentano di individuare la pretesa in modo certo in base a quanto risulta dalla domanda giudiziale, e ciò specie nel rito del lavoro, nel quale incombe sullo stesso convenuto, ai sensi dell'art. 103 Cass. Civ. sez. lav. 22.7.09 n.17101, in Diritto & Giustizia 2009 Potendosi in astratto ipotizzare che sia il convenuto ad offrire elementi probatori atti a supportare le allegazioni del lavoratore. 105 Cassazione civile, sez. lav., 25 luglio 2001, n. 10154 in Giust. civ. Mass. 2001, 1463, ma sul rilievo della produzione documentale in funzione del giudizio di validita‟ del ricorso, cfr. infra nel testo 106 Cass. Civ., sez. lav., 13.12.99 n.13984 in Giust. civ. Mass. 1999, 2517 104 28 416, comma 3, c.p.c., l'onere di contestare specificamente i fatti costitutivi della domanda107. Infatti, l‟esigenza di puntuale allegazione va di pari passo con quanto statuito dal III comma dell‟art.416 cpc che pone a carico del convenuto un onere di contestazione dal contenuto variabile. Infatti, in ordine ai fatti affermati dall‟attore a fondamento della domanda il convenuto è tenuto a prendere posizione in maniera puntuale, senza limitarsi ad una generica contestazione. Viene per tal via adombrato l‟istituto, di matrice giurisprudenziale, della cosiddetta non contestazione ed i cui confini di operatività sono rappresentati, evidentemente dalle difese in fatto e non da quelle in diritto. Soluzione questa accentuata del resto dalla riforma del codice di rito del 2009108 che ha sottolineato la esigenza di una specifica e puntuale contestazione da parte del soggetto convenuto tipizzando per tal via il principio di non contestazione. La qualificazione giuridica dei fatti e quindi la corretta applicazione della legge prescinde dalla valutazione giuridica che dei fatti venga offerta dalle parti; viceversa l‟accertamento dei fatti è rimessa alla disponibilità delle parti la cui inerzia può assumere un significativo rilievo giuridico. Pertanto, per i fatti costitutivi del diritto, allegati dal ricorrente e non contestati da parte del resistente, viene ad operare un meccanismo vincolante l‟attività del giudice chiamato ad astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato. Effetto questo che si verifica, peraltro, non in virtù dell‟art.416 c.p.c. nel cui III comma non si prevede alcuna decadenza, quanto piuttosto in virtù dell‟art.115 cpc e dell‟art.420, I co., cpc in relazione alla modifica delle domande, eccezioni e conclusioni già formulate. Una volta superata detta fase, si determina la preclusione della non contestabilità tardiva dei fatti costitutivi del diritto. Siffatto meccanismo, tuttavia, non si può ritenere invece operante per quanto concerna i fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria (ossia fatti dedotti in quanto idonei a provare, sia pure indirettamente, altri fatti costitutivi del diritto azionato). In siffatta evenienza, la mancata contestazione tempestiva vale quale mero argomento di prova, liberamente apprezzabile dal giudice al fine del giudizio di sussistenza del fatto da provare. Soluzione questa che non vale a minare il diritto di difesa garantito al ricorrente e che costituisce semmai mera tecnica difensiva del resistente. Il principio di non contestazione non può del resto qualificarsi universale, infatti: a) nei processi relativi a diritti indisponibili, il sistema normativo sottrae alle parti la possibilità di disporne anche con comportamenti processuali (si pensi ad esempio all‟art.2733 cpv c.c. che disconosce valenza di prova legale alla confessione resa su fatti relativi a diritti indisponibili; ed ancora all‟art.2739, I comma, c.c.), non potendo il soggetto conseguire tramite sentenza quanto non potrebbe conseguire nell‟esercizio dell‟autonomia privata. In siffatte ipotesi, il contegno omissivo (non contestazione) rileva 107 Cass. civ., sez.lav., 18.10.2002, n.14817 in Giust. civ. Mass. 2002, 1822; Cass. civ., sez.lav., 1.7.1999, n.6714, in Giust. civ. Mass. 1999, 1527 108 Legge 18 giugno 2009, n. 69 [Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile] il cui art. 45 ha modificato l‟art.115 del codice di rito nei seguenti termini: “«Art. 115. - (Disponibilità delle prove). - Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza»”. 29 quale contegno processuale e quindi quale fatto secondario da cui il giudice può desumere l‟esistenza del fatto ignoto mentre il comportamento positivo (ammissione) costituisce dichiarazione di scienza rimessa, a differenza della confessione, al prudente apprezzamento del giudice; b) in relazione ai contratti per i quali è richiesta la forma ad substantiam, il giudice deve rilevare ex art.1421 c.c. la nullità di un contratto concluso in violazione dell‟art.1350 c.c., essendo vietato provare con testi siffatti contratti salva l‟ipotesi di perdita incolpevole del documento da parte del contraente; c)non e‟ operativo nei processi in cui sia intervenuto il P.m. ovvero si registri comunque l‟intervento (volontario o coatto) di un terzo che sia titolare di un diritto dipendente oppure contitolare dello stesso diritto od obbligo oggetto del processo; in siffatta evenienza alla non contestazione anche del terzo o del Pm deve riconoscersi speciale inferenza probatoria; d) ne‟ opera nei processi contumaciali in considerazione della neutralità del comportamento di chi scelga di rimanere contumace. Cio‟ detto, ricostruito per tal via il nesso probatorio che lega l‟esigenza di specificita‟ dell‟allegazione dei fatti costitutivi della domanda con la necessita‟ di una contestazione puntuale degli stessi, si tratta di verificare la inevitabilita‟ di una dichiarazione di nullita‟ del ricorso che difetti di una siffatta allegazione. Che la nullita‟ sia suscettibile di sanatoria e‟ questione apparentemente risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione. In materia, in passato in dottrina e giurisprudenza si sono confrontati indirizzi diversi per premesse giuridiche e soluzioni infine elaborate. Accanto a chi ha ritenuto l‟applicabilità dell‟art.164 cpc, sul presupposto di una compatibilità con il processo del lavoro, si è posto chi ha indicato la necessità di distinguere tra nullità attinente alla vocatio actionis e quella relativa all‟editio actionis e chi ancora ha ritenuto l‟insanabilità della nullità de qua, anche in considerazione del meccanismo delle preclusioni che pregiudica la possibilità di una successiva integrazione della domanda, salvo l‟emergenza di gravi motivi. Sul punto si e‟ registrato, infine, l‟intervento delle Sezioni Unite della Corte Suprema109 secondo cui la nullità per mancata specificazione degli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda deve ritenersi sanabile alla stregua del V comma dell‟art.164 cpc. Ha pertanto affermato la Corte di legittimità che la mancata fissazione –alla stregua del già citato art.164, comma V, cpc- di un termine perentorio da parte del giudice per la rinnovazione del ricorso o per l‟integrazione della domanda- e la non tempestiva eccezione da parte del convenuto ex art.157 cpc del vizio dell‟atto- comprovano l‟avvenuta sanatoria della nullità del ricorso ex art.414 cpc dovendosi ritenere –stante 109 Cassazione civile , sez. un., 17 giugno 2004, n. 11353 in Foro it. 2005, I,1135 con nota di Fabiani; in Riv. giur. lav. 2005, II, 95 con nota di Fabbri, in Giust. civ. Mass. 2004, 6; in Orient. giur. lav. 2004, I, 755; in Giust. civ. 2005, 1 I, 161; ma cfr. Cassazione civile , sez. lav., 05 febbraio 2008, n. 2732, in Giust. civ. Mass. 2008, 2 158 secondo cui “Nel rito del lavoro la verifica degli elementi essenziali del ricorso introduttivo costituisce indagine pregiudiziale rispetto alla decisione sul merito, cui inerisce anche la valutazione delle prove. Ne consegue che, ove il ricorso sia privo dell'esatta determinazione dell'oggetto della domanda o dell'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto, il ricorso stesso è affetto da nullità insanabile che il giudice è tenuto a dichiarare preliminarmente senza possibilità di scendere all'esame del merito, neppure per respingere la domanda perché non provata.”. 30 l‟applicabilità al processo del lavoro dell‟art.156, comma 2, cpc- che l‟atto introduttivo della lite abbia conseguito il suo scopo110. La Corte pertanto per un verso impone al giudice l‟applicazione dell‟art.164 cpc e per l‟altro lo chiama a valutare nella singola fattispecie, la funzionalità dell‟atto introduttivo rispetto allo scopo processuale cui risulta preordinato, individuando all‟uopo quali elementi significativi il mancato rilievo della nullità ed il silenzio del convenuto. In effetti, la costituzione del convenuto non è di per se‟ sufficiente a sanare la nullità relativa alla editio actionis, non potendosi affidare a quest‟ultimo un ruolo che spetta esclusivamente alla parte attrice; la sanatoria, infatti, deve discendere esclusivamente da un‟attività propria di parte ricorrente la sola che possa, del resto, individuare le circostanze che sono avvenute e cui ritiene di attribuire valore causale rispetto al petitum dedotto in ricorso. Né deve ritenersi che il rilievo della suddetta nullità sia condizionato alla proposizione di una eccezione da parte convenuta, alla luce del tenore letterale della norma. Al giudice adito spetta invero comunque nell‟udienza ex art.420 cpc rilevare detta nullità, siccome del resto agilmente desumibile dal dettato codicistico. Peraltro, successivamente alla pronunzia delle Sezioni unite sono intervenute alcune, a sezioni semplici, da cui sembrerebbe ricavarsi, se non un orientamento di segno opposto e peraltro testualmente escluso, almeno la puntualizzazione dei confini di operatività della sanatoria della nullità del ricorso111. Comunque, la sanatoria dei vizi dell‟editio actionis non ha efficacia retroattiva; irretroattività che riflette del resto l‟impossibilità per un ricorso viziato di produrre effetti processuali e sostanziali, pena altrimenti l‟introduzione di un modello processuale che consenta all‟attore di prenotare i suddetti effetti, con la riserva di rinviare ad altro momento la individuazione degli elementi di fatto e di diritto dagli stessi sottesi. Conseguentemente sopravvivono a detta sanatoria le decadenze che concernono poteri o situazioni processuali come pure poteri e diritti sostanziali. La sanatoria dei suddetti vizi fa, pertanto, salvi soltanto l‟iscrizione a ruolo, la formazione del fascicolo di ufficio e la nomina del giudice istruttore. Superato indenne il giudizio di validita‟ del ricorso introduttivo, occorre valutare l‟impianto probatorio offerto da parte del lavoratore subordinato che lamenti un dimensionamento. 110 Cassazione civile , sez. lav., 25 febbraio 2009, n. 4557in Giust. civ. Mass. 2009, 2 310. Cfr. Cass. Civ., sez. Lav., 27.5.08 n.13825, Ced. La Corte, in particolare, ha osservato quanto segue: “Ed invero con tale decisione, le cui statuizioni sono state più volte ribadite dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. tra le tante: Cass. 16 gennaio 2007 n.820; Cass. 17 marzo 2005 n.5879; Cass. 23 dicembre 2004 n.23929), la nullità derivante dalla violazione del disposto dell‟art.414 c.p.c. si è ritenuta sanabile alla duplice condizione che il convenuto non abbia eccepito la detta nullità e che il giudice non l‟abbia rilevata nell‟udienza ex art.420 c.p.c., con la fissazione di un termine per la rinnovazione del ricorso (o per la integrazione della domanda), ma nello stesso tempo si è anche precisato in maniera chiara che tale sanabilità non opera allorquando, come nel caso in esame, gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda <<non siano individuabili neanche attraverso un esame complessivo del ricorso e della documentazione allegata>>. Ed invero, in presenza di tali evenienze spetta al giudice –anche per non diluire nel tempo un giudizio in cui, mancando ogni identificazione del thema decidendum una sua prosecuzione si presenterebbe priva di giustificazione– il potere-dovere di rilevare con immediatezza tale nullità in ossequio alla regola della ragionevole durata del processo (art.11, comma 2, Cost.), che costituisce un parametro per valutare la compatibilità con il dettato costituzionale delle single norme processuali o, quanto meno, per patrocinarne una interpretazione costituzionalmente orientata”. 111 31 In particolare, l‟onere della prova dei danni subiti a seguito di dequalificazione e‟ a carico del dipendente. La necessita‟ di una allegazione dell‟esistenza del pregiudizio e delle sue caratteristiche e la prova del danno e del nesso di causalita‟ rispetto all‟inadempimento discende dall‟improponibilita‟ del risarcimento quale sanzione civile punitiva, categoria di per se‟ estranea al sistema risarcitorio codicistico e che viceversa si delineerebbe se si riconoscesse il risarcimento del danno in conseguenza della prova del solo inadempimento, cosiddetta liquidazione equitativa in re ipsa112. Il dipendente deve quindi provare non solo il danno subito a seguito della dequalificazione, ma anche il nesso causale tra il demansionamento ed il danno. Pertanto, il lavoratore che lamenti ad esempio una sindrome depressiva dovuta alla frustrazione da demansionamento deve provare mediante idonea documentazione medica la riconducibilita‟ della patologia riscontrata alla situazione di disagio lavorativo in base ad un ragionevole criterio di probabilita‟ scientifica e non in termini di mera possibilita‟113. Il lavoratore deve quindi fornire la prova ed all‟uopo puo‟ ricorrere anche alla prova per presunzioni114, per tal via sollecitando il giudice ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi dedotti, in quanto solo in questo modo puo‟ risalirsi al fatto ignoto rappresentato dall‟esistenza del danno. Presunzioni115 che si fondono su circostanze che, puntualmente e nella fattispecie in concreto e non in astratto, siano atte a descrivere la durata, la gravita‟, la conoscibilita‟ all‟interno e all‟esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, la frustrazione di precise e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni in essere nei confronti del datore di lavoro capaci di comprovare la avvenuta compromissione dell‟interesse relazionale, gli effetti negativi riflessi sulle abitudini di vita del soggetto116. E quindi gli elementi presuntivi possono essere integrati da circostanze relative alla durata, natura, entita‟ e modalita‟ del demansionamento: elementi questi che rilevano non solo in funzione della quantificazione del danno, ma a monte per il suo riconoscimento117. Danno poi da liquidarsi eventualmente in via equitativa, all‟esito di un processo logico-giuridico di valutazione degli elementi di fatto relativi alla qualita‟ e quantita‟ della esperienza lavorativa pregressa, del tipo di professionalita‟ colpita, della durata del demansionamento, dell‟esito finale della dequalificazione e delle altre circostanza del caso concreto118. E cosi‟ in un caso in cui un dirigente pubblico era stata costretto alla inoperosita‟ dal 1999 al 2001, la Suprema Corte ha confermato la pronunzia di merito che aveva liquidato equitativamente il danno in considerazione della perdita dei compensi collegati all‟espletamento degli incarichi che sarebbero stati altrimenti assunti e 112 Cass. Civ., sez. lav., 8.10.07 n.21025 in Guida al dir. 2007, 46, 76 Cass. Civ., sez. lav., 5.2.08 n.2727, in Diritto &Giustizia 2008 114 Cass. Civ., sez. lav. 19.12.08 n.29832 in Giust. Civ. Mass. 2008, 12, 1815; cfr. anche Cass. 24.3.06 n.6572 in Riv. It. Dir. Lav. 2006, II, 687 con nota di Scognamiglio, Le Sezioni Unite sull‟allegazione e la prova dei danni cagionati da demansionamento e dequalificazione. 115 Cfr. G.Frezza, La prova per presunzioni del danno non patrimoniale, in G.Giacobbe (a cura di), Scritti in memoria di Vittorio Sgroi, Milano 2008, pp.265ss 116 C.Conti reg. Lombardia, sez. giurisd., 29.12.08 n.991, in Riv. Corte dei Conti 2008, 6, 121 117 Cass. Civ., sez. lav. 22.7.09 n.17101, in Diritto &Giustizia 2009. 118 Cass. Civ., sez. lav., 26.2.09 n.4652, in Giust. Civ. Mass. 2009, 2, 321 113 32 dell‟impossibilita‟ di acquisire, per un periodo temporale congruo, una esperienza professionale nella qualifica dirigenziale119. 119 Cass. Civ., sez. lav., 26.11.08 n.28274, in Giust. Civ. Mass. 2008, 11, 1696