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IL DEMANSIONAMENTO
1.Il diritto al lavoro tra contratto e rapporto, tra individuo e persona.-2.I rimedi
manutentivi nella disciplina contrattuale.-3. Il demansionamento quale alterazione del
sinallagma contrattuale: una sopravvenienza contrattuale remediabile.-4.La tutela in caso
di demansionamento ex art.1460 c.c. e l‟effettivita‟ della prestazione come presupposto
del diritto alla retribuzione. 5-Il demansionamento quale oggetto negoziale disponibile.-6.
Il danno da demansionamento: i confini tra inviolabilita‟ ed indisponibilita‟-7.Il
demansionamento nella prospettiva processualcivilistica tra oneri di allegazione e di
prova in bilico sul circuito delle presunzioni
1.La nozione di contratto nella disciplina codicistica appare altalenare tra la staticita‟
dell‟atto e la fluidita‟ del rapporto. Si‟ che l‟art.1321 c.c. definisce il contratto l‟accordo
diretto a costituire, modificare oppure estinguere un rapporto giuridico, ma al tempo
stesso conosce norme, in particolare quelle dettate in materia di disciplina remediale, che
individuano il contratto quale il rapporto che nasce dall‟accordo oppure che e‟ dallo
stesso occasionato1. Significativa, del resto, appare la disciplina del contratto nullo in cui
l‟emergenza di un rapporto, sia pure fondato su un contratto non valido, e‟ capace di
degradare il contratto a mero contatto sociale, o meglio a cogliere del contratto il vero
fulcro tant‟e‟ nell‟un caso (contratto valido) e nell‟altro (contratto invalido) le
conseguenze appaiono sostanzialmente le stesse, benche‟ in una lettura retrospettiva. Ci
si pone quindi al di la‟ della teoria della dichiarazione2; non vale l‟affermazione della
prevalenza della dichiarazione rispetto alla volonta‟, ma si dice che la volonta‟ effettiva
prevale sulla dichiarazione non valida. E‟ quindi il contatto sociale a fondare un rapporto
giuridicamente rilevante e sottoposto alla disciplina contrattuale; come e‟ il caso del
medico ospedaliero rispetto al paziente3. Ed e‟ nel rapporto piu‟ che nel contratto in se‟
che la persona soddisfa i propri interessi; infatti il contratto e‟ proiettato normalmente in
un gerundio, essendo non un participio, ma “un facendium secondo il diritto”4 ed e‟ il
rapporto il luogo in cui possono essere soddisfatti gli interessi delle persone.
Nel codice civile uno dei libri e‟ intitolato alle persone, ma la disciplina codicistica non e‟
sempre incentrata sulla persona. Il contratto ad esempio vive nel confronto tra centri di
interesse, tra individui che altro non sono che soggetti di diritto; ma l‟individuo e‟ per lo
piu‟ una figura irrigidita nel sua condizione di produttore di beni e di utilita‟. Ma al di la‟
dell‟individuo e‟ la persona; l‟individuo non e‟ persona, o almeno non lo e‟
necessariamente. Ed il lavoro, per quanto interessa in questa sede, costituisce invece uno
dei circuiti in cui si dimensiona la persona umana ed in cui si confrontano le due nozioni,
quella di individuo e quella di persona, quella del soggetto produttore e quella dell‟uomo
che lavora; ed al contempo quella della proprieta‟ e dell‟iniziativa economica a fronte
dell‟energia lavorativa con la sua vocazione al risparmio piuttosto che all‟investimento.
Non a caso il codice civile, anticipando la Corte Costituzionale prima ed il legislatore poi
1
P.Rescigno, Consenso, accordo, convenzione, patto, in Riv. Dir. Comm. 1988, 3ss.
Cfr. N.Irti, Letture bettiane sul negozio giuridico, Milano 1991, pp. 48ss
3
Cfr. Cass. civ., sez. III, 22.1.99 n.589 in Riv. It. Medicina legale 2001, 830 con nota di Fiori, D‟Aloja; in
Foro it. 1999, I, 3332 con nota di Di Ciommo, Lanotte; in Studium juris 2000, 595; NGCC 2000, I, 334 con
nota di Thiene; in Mass. Giur. It. 1999; in Giust. Civ. 1999, I; in Resp. Civ. prev. 1999; in Contratti 1999
con nota di Guerinoni; in Corriere giur. 1999 con nota di Di Majo;, in Danno e resp. 1999, con nota di
Carbone.
4
Cfr. N.Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano 1985, pp.49ss
2
2
e sollecitato dall‟evoluzione socio/politica, contiene una norma, l‟art.2087 c.c., che
richiama la nozione di personalita‟ morale. Il codice civile, invero, nella stesura originale,
al di la‟ delle affermazioni contenute nella Relazione al Re, tradiva il periodo storico in
cui era stato elaborato tant‟e‟ che, benche‟ ci si affrettava a sottolineare come il lavoro
nella prospettiva corporativistica non avrebbe rappresentato merce di scambio, l‟art.2099
c.c. rimetteva la quantificazione della retribuzione alle norme corporativistiche,
all‟accordo delle parti o, in difetto al giudice; il compenso allora quale prestazione
corrispettiva secondo le regole sinallagmatiche proprie dei contratti di scambio. Si e‟
dovuto attendere la GrundNorm per l‟attribuzione alla retribuzione del ruolo di istituto
funzionale a garantire una vita libera e dignitosa al lavoratore. Anzi lo strappo si e‟
registrato piu‟ in la‟, sul finire degli anni ‟60 del secolo scorso e quindi sullo sfondo di un
humus socio/politico formatosi dopo i ritorni al passato di una Corte di Cassazione
gattopardescamente aggrappata ad un regime codicistico con cui avvertiva maggiore
confidenza, capace di utilizzare con esiti paradossali lo strumento della buona fede
oggettiva e di emarginare in termini di programmaticita‟ le disposizioni della Carta
costituzionale; e dopo le titubanze di una Corte Costituzionale incerta nel barcamenarsi
tra le istanze innovative di una societa‟ in movimento e la non nitidita‟ della meta5.
Risalgono a quegli anni, infatti, la l.17.10.67 n.977 in materia di lavoro notturno e di
riposo settimanale di fanciulli ed adolescenti; la l.604 del 1966 e la l.300 del 1970. Era
cosi‟ avviata la stagione delle riforme legislative e degli interventi sulla trama codicistica:
quanto di quella trama ancora oggi sopravviva e‟ domanda cui non e‟ agevole dare una
risposta e che del resto non ha avuto risposte univoche nel mondo accademico, in quanto
accanto a chi rivendica una sorprendente vitalita‟ della disciplina codicistica, non manca
chi abbia denunziato i segni dell‟eta‟: “una cascata di leggi: colpi di belletto dietro ai
quali von Aschenbach tenta di nascondere al giovane Tatzio i segni del proprio
decadimento”6.
Nella prospettiva codicistica il lavoro e‟ contratto, scambio di beni: la forza lavoro da un
lato, il compenso dall‟altro; e quello scambio agevola la ricostruzione del contratto di
lavoro in termini di contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive, consentendo per
tal via il ricorso alle regole proprie della dimensione contrattuale. Ed infatti anche per la
dottrina maggioritaria il lavoro subordinato e‟ contratto a prestazioni corrispettive,
considerato del resto che il procedimento di qualificazione7 del negozio dovrebbe essere
fondato sul contratto piuttosto che sul rapporto, una volta evidenziato che la prestazione
che rileva giuridicamente e‟ quella voluta dalle parti e non quella concretamente
espletata8.
Tuttavia ai fini della distinzione tra il rapporto di lavoro subordinato e il rapporto di
lavoro autonomo, le concrete modalità di svolgimento del rapporto assumono valore
5
L.Bigliazzi Geri, Persona e lavoro, in Ead., Rapporti giuridici e dinamiche sociali. Principi, norme,
interessi emergenti. Scritti giuridici, Milano 1998, 464ss
6
Ead., op. ult. cit., p.468
7
In generale, cfr.P.Perlingieri, Interpretazione e qualificazione: profili della individuazione normativa, in
Dir. e giur. 1975, 826ss; G.Scalfi, La qualificazione dei contratti nell‟interpretazione, Milano Varese 1962;
G.Piazza, Il rapporto tra interpretazione e qualificazione, in Contratti 1988, pp. 341ss; R.Sacco, La
qualificazione, in R.Sacco e G.De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da Rodolfo Sacco,
t.2, Torino 1993, pp.419ss; L.Bigliazzi Geri, L‟interpretazione del contratto, sub artt.1362/1371, in Il
Codice Civile. Commentario diretto da Piero Schlesinger, Milano 1991, pp.21ss
8
P.Ichino, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Milano 1989
3
prevalente sulla diversa volontà manifestata nella scrittura privata eventualmente
sottoscritta dalle parti. Infatti le qualificazioni riportate nell'atto scritto possono risultare
affatto corrette e ciò può avvenire per mero errore delle parti o per volontà delle stesse,
che ad esempio intendano usufruire di una normativa specifica o eluderla9. Semmai il
riferimento al "nomen iuris" dato dalle parti al negozio, risulta di maggiore utilità,
rispetto alle altre, in tutte quelle fattispecie in cui i caratteri differenziali tra due o più
figure negoziali appaiono non agevolmente tracciabili, non potendosi negare che quando
la volontà negoziale si è espressa in modo libero (in ragione della situazione in cui
versano le parti al momento della dichiarazione) nonché in forma articolata, sì da
concretizzarsi in un documento, ricco di clausole aventi ad oggetto le modalità dei
rispettivi diritti ed obblighi, il giudice debba accertare in maniera rigorosa se tutto quanto
dichiarato nel documento si sia tradotto nella realtà fattuale attraverso un coerente
comportamento delle parti stesse. La valutazione del documento negoziale, tanto più
rilevante quanto più labili appaiono i confini tra le figure contrattuali pertanto
astrattamente configurabili, non può, dunque, non assumere una incidenza decisoria
anche allorquando tra dette figure vi sia quella del rapporto di lavoro subordinato. In base
a detto principio, la Suprema Corte, in una controversia concernente l'asserita
insussistenza di un'omissione contributiva per una rapporto di associazione in
partecipazione, qualificato dall'Inps come rapporto di lavoro subordinato, ha cassato con
rinvio la decisione della corte territoriale rimarcando la generale portata applicativa del
principio valido nell'ambito dell'ampia categoria dei rapporti aventi ad oggetto una
prestazione lavorativa, prestata o meno con vincolo di subordinazione, quali i rapporti
lavorativi dei soci d'opera e dei soci di cooperativa, i contratti di lavoro autonomo in cui
la prestazione lavorativa abbia tratti assimilabili a quelli del lavoro subordinato10. La
volontà espressa dai contraenti conserva dunque e comunque un ruolo significativo,
tant‟è che la Corte Suprema, in un fattispecie relativa a lavoratore con mansioni di "capo
del settore ingegneria civile", ha cassato per vizi di motivazione la sentenza di merito
che, nel ravvisare gli estremi della subordinazione, aveva trascurato del tutto la
regolamentazione contrattuale con cui le parti nel disciplinare i loro reciproci interessi,
avevano inteso rifarsi ad "incarichi professionali" di natura autonoma, e aveva qualificato
il rapporto sulla base di circostanze non decisive quali la corresponsione mensile del
compenso, lo svolgimento dell'attivita' nei locali aziendali con uso di attrezzatura della
societa', l'espletamento della prestazione durante l'orario di lavoro praticato in azienda e
la sospensione della stessa durante le ferie annuali aziendali11.
Ma il lavoro subordinato vive comunque nel rapporto che costituisce comportamento
delle parti apprezzabile ex art.1362 cpv, c.c.12
La GrundNorm prima, la Consulta ed il legislatore poi, infine una giurisprudenza pretoria
provocatoriamente tesa a scardinare un sistema sociale sulla scorta di una interpretazione,
9
Cassazione civile , sez. lav., 27 luglio 2009, n. 17455, in Giust. civ. Mass. 2009, 9 1236.
Cassazione civile, sez. lav., 18 aprile 2007 , n. 9264 in Giust. civ. 2007, 5 1070; in
Guida al diritto 2007, 23 50; in Giust. civ. Mass. 2007, 4; in Foro it. 2007, 10 2726 con nota di Ferrari, in
Dir. e prat. soc. 2007, 20 58 con nota di Gelfi
11
Cass. Civ., sez. lav., 19.11.03 n.17549, in Giust. civ. Mass. 2003, 11
12
Cfr. C.Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova 1992, pp.310ss;
L.Bigliazzi Geri, L‟interpretazione del contratto, cit., pp.150ss; C.Scognamiglio, Unita‟ dell‟operazione,
buona fede e rilevanza in sede ermeneutica del comportamento delle parti, in Banca,borsa, tit. cred. 1998,
II, 427ss
10
4
quand‟anche a volte fraintesa, della Costituzione hanno finito, se non per capovolgere,
con l‟incidere su equilibri sociali che erano apparsi fino ad allora consolidati, e con il
rendere incerta la tradizionale staticita‟ delle dinamiche dei rapporti di lavoro.
La dimensione lavoristica vive, invero, ancora oggi questa tensione tra le regole dei
contratti e quelle della politica sociale; tanto da porre nel dubbio la ricostruzione in
termini contrattuali del negozio costitutivo del rapporto di lavoro e conseguentemente
insicuro il recupero delle regole codicistiche in materia contrattuale alla disciplina di quel
negozio.
Si‟ che il contratto e‟ incentrato sulla patrimonialita‟ di uno scambio li‟ dove il negozio
su cui e‟ fondato il rapporto di lavoro mette a confronto l‟interesse economico del datore
di lavoro a quello altrettanto, ma non soltanto, economico del lavoratore. Ma, mentre
quello del datore di lavoro e‟ essenzialmente funzionale alla produzione di ricchezza da
reinvestire, quello del lavoratore persegue normalmente l‟obiettivo di creare ricchezza da
consumare per assicurare la propria liberta‟ dal bisogno, la propria dignita‟ e lo sviluppo
della personalita‟. In effetti la funzione del lavoro subordinato deve rintracciarsi per lo
piu‟ nella possibilita‟ garantita al lavoratore di soddisfare i bisogni primari propri e della
propria famiglia e sempre e comunque di realizzare la propria personalita‟ e
professionalita‟: non sempre la prima perche‟ tratto qualificante il lavoratore subordinato
non e‟ necessariamente la sua condizione di bisogno; d‟altra parte lo svolgimento di
attivita‟ lavorativa subordinata non costituisce necessariamente l‟unico canale di
affermazione della professionalita‟ e personalita‟ dell‟individuo. E se quando il lavoro
subordinato e‟ veicolo per la soddisfazione di bisogni primari incerta appare la
ricostruzione in termini contrattuali13 sempre che del contratto ci si ostini a rivendicare
una parita‟ tra le parti che in realta‟ appare sempre piu‟ rappresentare un mito
irraggiungibile; quando quel lavoro riguarda soggetti non bisognosi appare piu‟ agevole
l‟opzione contrattuale.
Si potrebbe a questo punto tentare di verificare la correttezza della ricostruzione in
termini contrattuali del negozio attraverso un giudizio a ritroso che partendo dalla lesione
verifichi quali formule giuridiche di protezione del lavoratore conosca l‟ordinamento e
quindi ne vagli la riconducibilita‟al capitolo dei rimedi contrattuali. Si tratta, invero, di
muoversi, nell‟ambito di quello che, sulla spinta del diritto comunitario, si va sempre piu‟
nitidamente delineando quale diritto dei rimedi che privilegia un approccio funzionale
alle dinamiche contrattuali piuttosto che quello classico in punto di formazione e di
requisiti del negozio. Del resto, e‟ il piano giuridico dei rimedi il banco di prova della
effettivita‟ della protezione degli interessi di cui i singoli soggetti giuridici sono portatori.
Si‟ che l‟esigenza di effettivita‟ della protezione di alcuni settori produttivi e di alcuni
soggetti ha determinato lo slittamento dell‟asse dalla dogmatica dei diritti soggettivi a
quella del soddisfacimento dell‟interesse; interesse poi che non e‟ solo quello alla
prestazione, ma al contempo quello a non essere pregiudicato (con lesione alla persona o
alle cose) nello svolgimento del rapporto negoziale. E cosi‟, doveri che
morfologicamente dovrebbero appartenere all‟area del torto, in virtu‟ di un processo di
integrazione negoziale ex fide bona, sono stati per tal via coperti dalla tutela contrattuale
in considerazione della stretta connessione alla prestazione.
Il capitolo della ripartizione del rischio in caso di sopravvenienze e‟ materia su cui da
tempo si e‟ interrogata la dottrina ed in relazione a cui il legislatore, anche straniero, ha
13
R.Scognamiglio, La natura non contrattuale del lavoro subordinato, in Riv. It dir. Lav. 2007, 4, 379ss
5
mostrato particolare attenzione. E‟ il caso, per un verso, del ben noto istituto della
Voraussetzung (presupposizione); per l‟altro, di quello in merito alla rilevanza di
sopravvenienze caratterizzate da un mutamento significativo (Schwerwiegend) che ex
art.313 BGB, in sede di riforma nel 2001 del diritto delle obbligazioni, impone
l‟Anpassung e quindi l‟adeguamento del contratto alle mutate circostanze. I principi
Unidroit, poi, prevedono, e‟ noto, una rinegoziazione del contratto con possibile
intervento dell‟autorita‟ giudiziaria con potere conformativo del nuovo equilibrio
contrattuale.
2.Il sistema dei rimedi contrattuali tracciato generalmente dal codice civile appare non
sempre soddisfacente, ora per la inadeguatezza delle fattispecie descritte e disciplinate
ora invece per l‟incapacita‟ di garantire alla parte non inadempiente la tutela delle proprie
ragioni emergendo la costruzione di una tutela in termini esclusivamente ablativa.
Ma la protezione di una parte contrattuale non sempre e‟ occasionata da fatti in relazione
ai quali e‟ prospettabile una risoluzione per inadempimento, per eccessiva onerosita‟
sopravvenuta o per impossibilita‟ sopravvenuta; ne‟ e‟ la conseguenza di una nullita‟ o
annullabilita‟ di un contratto neppure rescindibile o suscettibile di recesso.
Altre volte poi l‟interesse da proteggere pretende invero il mantenimento del rapporto
contrattuale sia pure diversamente articolato e quindi adeguato all‟esigenza di un corretto
bilanciamento degli interessi contrapposti.
Se, nell‟un caso, dottrina e giurisprudenza hanno enucleato la categoria concettuale della
presupposizione14; nell‟altro caso, invece, si pone l‟esigenza di una clausola generale di
adeguamento del rapporto negoziale. Si‟ che l‟esigenza di strumenti remediali si pone in
particolare per i rapporti di lunga durata, nei quali gli interessi contrapposti comunque
sono proiettati ad un soddisfacimento nel corso del tempo. Ci si muove, allora, sul piano
di quelli che nel linguaggio anglosassone sono i relational contracts, in cui le parti del
contratto sono legate da una relazione naturalmente tanto intensa da comportare una
riorganizzazione della sfera individuale del singolo centro di interesse contrattuale in
funzione dello svolgimento del rapporto negoziale, con reciproco insopprimibile
condizionamento.
Proprio quella capacita‟ invasiva del rapporto nella solitaria dimensione di ciascuna delle
parti comporta l‟esigenza di non compromettere, per quanto possibile, la sopravvivenza
del rapporto vanificando per tal via i sacrifici gia‟ sostenuti e comunque il perseguimento
degli interessi sottesi dalla vicenda negoziale.
E tanto piu‟ nel tempo e‟ proiettato il rapporto fondato su un contratto, tanto piu‟ facile e‟
la possibilita‟ che quel contratto ed il regolamento dallo stesso espresso appaiano
inadeguati alle sopravvenienze intrinseche in una dimensione temporale in fieri e di
conseguenza risultino inidonei gli strumenti codificati di protezione delle parti
contrattuali.
Del resto, la stessa normativa codicistica tradisce l‟attenzione particolare riservata ai
contratti di durata in relazione ai quali i rimedi ablativi sono condizionati a presupposti
particolarmente rigidi. E‟ il caso del contratto di appalto in relazione a cui la risoluzione
e‟ possibile solo in caso di vizi che rendano l‟opera del tutto inadatta alla sua
14
Cfr. R.Sacco, La presupposizione in R.Sacco-G.De Nova, Il contratto, t.1, in Trattato di diritto civile,
Torino 1993, pp.443ss; C.Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova
1992, pp.190ss; V.Pietrobon, Presupposizione (dir. Civ.), in Enc. Giur., XXIV, Roma 1991, ad vocem
6
destinazione15; mentre il contratto di vendita e‟ risolvibile qualora i vizi della cosa la
rendano inidonea all‟uso cui e‟ destinata oppure ne diminuiscano in modo apprezzabile il
valore.16 Ed ancora di quello di somministrazione la cui risoluzione non appare
giustificata dal non scarso inadempimento ex art.1455 c.c., necessitando viceversa
l‟emergenza di un inadempimento caratterizzato da notevole importanza e quindi capace
di menomare la fiducia nell‟esattezza dei successivi adempimenti17.
In effetti, il codificatore tradisce un favor per il recupero del regolamento contrattuale e
comunque per un adeguamento dello stesso alle sopravvenienze.
Per quanto concerna la prima prospettiva, basti ricordare come il contratto viziato per
errore non e‟ annullabile se rettificato; la rescissione e la risoluzione del contratto per
eccessiva onerosita‟ possono essere evitate dalla riduzione ad equita‟; la sopravvenuta
impossibilita‟ parziale del contratto rende il contratto risolvibile salvo la proporzionale
riduzione della prestazione a carico del creditore.
Per quanto concerna la seconda di quelle prospettive di analisi appena suggerite appare
sufficiente ricordare come il codificatore, a fronte della emergenza di sopravvenienze di
per se‟ incapaci di incidere sulla sopravvivenza del negozio, prevede la possibilita‟ di un
adeguamento funzionale al miglior perseguimento degli interessi sottesi dal negozio. E
cosi‟ il mandatario deve informare il mandante delle sopravvenienze che possano
determinare modifiche all‟incarico ed il mandante puo‟ quindi introdurre dette
modifiche18. Necessita‟ di un adeguamento cui deve provvedere lo stesso mandatario
qualora impossibilitato ad informare delle sopravvenienze il mandante. La riduzione del
prezzo puo‟ poi scongiurare la risoluzione del contratto di compravendita di una cosa
risultata affetta da vizi; la revisione del prezzo oppure una equa indennita‟ salvano il
contratto di appalto in caso di significative variazioni del prezzo di materiali e
manodopera da un lato e di sorprese geologiche dall‟altro19; la necessita‟ di variazioni del
progetto nell‟appalto puo‟ essere garantita dall‟intervento del giudice chiamato a fissare
anche le consequenziali variazioni del prezzo20.
Al di la‟ delle differenze in termini di automaticita‟ o meno dell‟adeguamento, di
predeterminazione dello stesso e di soggetto chiamato eventualmente a fissarne il
contenuto, la sommaria ricognizione appena tentata consente di individuare la cifra della
disciplina nel superamento della rigida contrapposizione tra scioglimento del vincolo
contrattuale oppure conservazione dello stesso a dispetto dell‟incapacita‟ di soddisfare gli
interessi perseguiti, in funzione di una lettura flessibile del regolamento contrattuale
suscettibile di adattamento alle sopravvenienze.
Fonte di strumenti di adeguamento non e‟ solo il codice civile, ma anche l‟autonomia
contrattuale che o puo‟ ricorrere ad istituti tipici (oggetto contrattuale meramente
determinabile; clausole di indicizzazione; fideiussione per debiti futuri) oppure a clausole
hardship che possono prevedere formule di adeguamento automatico oppure rimesso ad
15
Art.1688, cpv, c.c.
Art.1490, I comma, c.c. Cfr. A.Luminoso, I contratti tipici e atipici. * Contratti di alienazione, di
godimento, di credito, in Trattato di diritto privato a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti, Milano 1995,
pp.116ss; L.Cabella Pisu, Garanzia e responsabilita‟ nelle vendite commerciali, Milano 1983
17
Art. 1564 c.c.. Cfr. G.Gabrielli, Recesso e risoluzione per inadempimento, in Riv. trim. dir. e proc. civ.
1974, 725ss
18
Art.1710, cpv. c.c.
19
Art.1664 c.c.
20
Art.1660 c.c.
16
7
un soggetto terzo mediante un arbitraggio; o ancora alla valutazione concorde delle parti
contrattuali se non a quella solitaria di una delle parti contrattuali con i rischi connessi al
riconoscimento di un potere unilaterale di conformazione del rapporto che come tale
corre sul filo della negazione del contratto quale espressione di un accordo. Unilateralita‟
di un potere che, del resto, ha eco nella disciplina codicistica (e‟ il caso dell‟obbligato che
puo‟ scegliere la prestazione nell‟obbligazione alternativa21; del somministrato che puo‟
fissare l‟entita‟ della controprestazione salvo il rispetto di limiti minimi e massimi22; del
committente nel contratto di subfornitura in relazione alla misura della stessa e pur
sempre nell‟ambito di dati limiti, termini e salvo il preavviso a controparte 23) e che
pertanto non puo‟ essere guardata con eccessivo sospetto, ma solo con la cautela di un
sistema che deve comunque scongiurare i rischi di abusi.
La chiave di volta diviene allora la verifica del regolamento contrattuale e dell‟esercizio
dei poteri individuali alla luce del principio di buona fede che, clausola generale, vale ad
integrare la disciplina negoziale, introducendo eventualmente, ma e‟ questione questa
complessa ed affatto scontata nei suoi esiti, un obbligo di rinegoziazione del negozio la
cui violazione potrebbe esporre la parte inadempiente ad un obbligo di risarcimento ed in
ipotesi all‟intervento del giudice ex art.2932 c.c. Soluzione questa che a ben vedere vale a
riconoscere al soggetto chiamato altrimenti a subire la sopravvenienza di esercitare un
potere gia‟ suo nei contratti gratuiti e che invece e‟ riconosciuto a controparte nei
contratti onerosi.
Incerta appare, invero, l‟effettiva capacita‟ di espansione di un siffatto approccio
giuridico alla problematica de qua.
Il codice civile e la legislazione speciale in materia contrattuale rincorrono un equilibrio
tra posizioni negoziali, equilibrio che si sostanzia nella congruita‟ e nella giustizia dello
scambio; solo che nella letteratura e nella giurisprudenza quel perseguimento passa
spesso non tanto o almeno non soltanto attraverso valutazioni strettamente giuridiche,
risultando semmai condizionato da una prospettiva di analisi economica che porta con se‟
parametri di giudizio proprii dell‟economia sicche‟ non e‟ difficile imbattersi in formule
quali economia dell‟affare, equilibrio economico del rapporto e nel concetto di rischio
dell‟affare24. D‟altra parte si afferma in dottrina, non senza contrasti vivaci25, che
l‟ordinamento giuridico, al di la‟ dei casi codificati, non consenta margini di protezione a
fronte di squilibri non tipizzati, affermandosi piuttosto l‟inesistenza di una regola
generale di uniformazione delle ragioni contrattuali dello scambio ad oggettivi criteri di
equivalenza tra prestazioni26. Problematica questa che va di pari passo con i differenti
ruoli assegnati all‟autonomia privata, al riconoscimento oppure no al mercato libero e
quindi alla contrattazione del ruolo di strumenti di costruzione della giustizia e della
parita‟.
21
22
Art.1285 c.c.
Art.1560 cpv. c.c
23
Art.6 legge 18 giugno 1998, n. 192 [Disciplina della subfornitura nelle attività produttive] in
Gazz. Uff., 22 giugno, n. 143
24
A.D‟Angelo, Contratto e operazione economica, in AA.VV., I contratti in generale. Aggiornamento
1991-1998, in Giur. Sist. Dir. Civ. comm. fondata da Walter Bigiavi, Torino 1999, vol. I, pp.257ss
25
P.Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalita‟ dei contratti, Rass. Dir. Civ. 2001,
334ss
26
F.Galgano, Squilibri contrattuali e mala fede del contraente forte, Contratto e impresa 1997, 2, 421
8
Del resto, nelle dinamiche lavoristiche, la riduzione dello scambio ad un rapporto
economico da regolamentare secondo i principii di equilibrio economico e rischio
dell‟affare, benche‟ nelle dinamiche economiche per lo piu‟ quel rapporto e‟ chiamato ad
operare, appare affatto appagante. Un ragionamento meramente in termini economici non
varrebbe a dare rilievo ad una modifica del rapporto sul piano non economico e quindi
piu‟ esattamente retributivo, ma solo qualitativo della prestazione mediante una riduzione
quantitativa della prestazione o diminuzione qualitativa dell‟impegno richiesto al
lavoratore che, in una tale prospettiva e paradossalmente, potrebbe determinare uno
squilibrio economico a contrario e che si sostanzia nel riconoscimento al lavoratore
demansionato di un compenso affatto proporzionato ex art.36 Cost. alla qualita‟
dell‟impegno lavorativo profuso e piuttosto parametrato a quello precedentemente reso.
Si‟ che in virtu‟ del principio di irriducibilita‟ della retribuzione27 il lavoratore, pur
richiesto di svolgere mansioni meno significative rispetto a quelle precedentemente
svolte, dovrebbe continuare, in linea di principio, a percepire il compenso gia‟
riconosciuto. Che e‟ quanto allora evidenzia l‟insufficienza di un criterio economico nella
determinazione dello squilibrio e quindi l‟inadeguatezza degli strumenti giuridici
modellati su quei criteri a risolvere una alterazione che e‟ al contempo economica a
danno del datore di lavoro e personale a danno del lavoratore. Se il contratto di lavoro si
fonda sulla cessione di energie lavorative del prestatore di lavoro28, diviene
imprescindibile il rilievo su detto scambio della tutela della persona29. Non a caso si e‟
osservato in giurisprudenza come il lavoratore ha il diritto a non essere costretto a
condizioni di forzata inattivita‟ e senza assegnazione di compiti, avendo il diritto alla
esecuzione della propria prestazione lavorativa cui il datore di lavoro ex art.2103 c.c. e‟
tenuto ad assegnarlo, rappresentando il lavoro non soltanto uno strumento di guadagno,
ma anche un veicolo di estrinsecazione della personalita‟ dell‟uomo. La violazione di una
siffatto diritto e‟ fonte di responsabilita‟ risarcitoria per il datore di lavoro secondo le
regole proprie della responsabilita‟ contrattuale derivando da un inadempimento di un
obbligo agevolmente desumibile dall‟art.2103 c.c.. Ebbene, detta responsabilita‟
prescinde da uno specifico intento di declassare oppure svilire il lavoratore a mezzo della
privazione dei suoi compiti; semmai la responsabilita‟ comunque si deve escludere sia
quando emerga una causa giustificata del comportamento del datore di lavoro in relazione
all‟esercizio di poteri imprenditoriali ex art.41 Cost. o di poteri disciplinari e quando
l‟inadempimento della prestazione e‟ la conseguenza di una causa non imputabile fermo
restando che, ex art.1218 c.c., l‟onere della prova della sussistenza delle ipotesi suddette
grava sul datore di lavoro30.
3. La nozione di demansionamento postula, evidentemente, l‟individuazione delle
mansioni cui il lavoratore e‟ tenuto. Il prefisso privativo (de-) pretende l‟individuazione
di un concetto rispetto a cui formulare un giudizio di sottrazione. Occorre allora prendere
le mosse dal dettato codicistico. Ebbene, il prestatore di lavoro deve essere adibito alle
mansioni per le quali e‟ stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore
27
Cfr. F.Guidotti, La retribuzione in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da L.Riva Sanseverino e
G.Mazzoni, II, Padova 1971, pp.395ss
28
O.Mazzotta, Diritto del lavoro, in Trattato di diritto privato diretto da Iudica e Zatti, Milano 2002, 56s
29
C. Smuraglia, La persona del prestatore nel rapporto di lavoro, Milano 1967, 326
30
Cass. Civ., sez lav., 2.8.06 n.17564 in Notiziario giur. Lav. 2006, 5, 632
9
che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime
effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. E‟ quanto recita il I
comma dell‟art.2103 c.c., non senza precisare al capoverso che ogni patto contrario e‟
nullo. La formulazione codicistica evidenzia come la prestazione del lavoratore sia
svincolata o meglio non necessariamente condizionata dal contenuto del negozio su cui si
fonda il rapporto di lavoro. Il riferimento infatti alle “mansioni per le quali e‟ stato
assunto” (e che quasi richiama il principio della contrattualita‟ delle mansioni31) sembra
stemperarsi nel secondo inciso della norma li‟ dove si individua nel piano effettuale del
rapporto il parametro di riferimento per l‟individuazione delle mansioni cui il lavoratore
sia tenuto32; tante‟ che quel piano vale a rimediare ad eventuali silenzi del negozio
costitutivo del rapporto di lavoro in punto di tipologia di mansioni da svolgere e
comunque concorre, ex art.1362, cpv, cod. civ. a delimitarne il significato33. L‟art.96
disp. att. c.c. impone, del resto, all‟imprenditore di far conoscere al prestatore di lavoro,
al momento dell‟assunzione, la categoria e quindi il trattamento economico e la qualifica,
ovvero il trattamento normativo che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui
il lavoratore e‟ stato assunto. Che e‟ quanto rende quanto meno determinabile ex art.1346
c.c. il contenuto della obbligazione del lavoratore, i cui puntuali confini sono comunque
delimitati dalla disciplina collettiva osservata nell‟ambito della organizzazione
imprenditoriale34.
La disposizione di cui all‟art.2103 c.c. tuttavia non limita la liberta‟ del datore di lavoro
nella gestione del rapporto, prevedendo comunque la possibilita‟ che questi possa
disporre per una mobilita‟ interna purche‟ sia garantita l‟equivalenza delle mansioni.
Questo potere datoriale di modifica delle mansioni ha superato indenne, nonostante le
cautele imposte, l‟introduzione dell‟art.13 dello Statuto dei lavoratori35 che come e‟ noto
ha novellato la norma codicistica36.
Della formula “mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte”, invero, incerta
appare la portata, confinata da alcuni in una affermazione “probabilmente pleonastica, se
non addirittura da considerarsi inesistente: l‟equivalenza non puo‟ infatti che valutarsi
rispetto alle due situazioni che risultano previste dal legislatore, vale a dire le mansioni
per le quali il lavoratore e‟ stato assunto o le mansioni superiori che egli abbia
successivamente acquisito a titolo definitivo; questo tenendo conto della situazione in
atto per quel determinato lavoratore, e precisamente delle mansioni da lui effettivamente
svolte al momento in cui il datore di lavoro procede alla variazione”37. La tematica
31
G.Giugni, Mansioni e qualifiche nel rapporto di lavoro, Napoli 1961, pp.327ss
Ma cfr. Trib. Torino 30.4.08 in Giur. Piemontese 2008, 2, 283 secondo cui l‟accertamento in sede
giudiziale della equivalenza delle nuove mansioni assegnate al lavoratore impone di riferirsi al contratto di
lavoro stipulato e all‟inquadramento attribuito
33
Cfr. C.Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit.
34
G.Giugni, Mansioni e qualifiche nel rapporto di lavoro, Napoli 1961
35
P.Pisani, Mansioni del lavoratore, in Enc. Treccani, XIX,Roma 1988, 4ss;
36
La formulazione codicistica dell‟art.2103 c.c., prima della novella, era la seguente: “Il prestatore di
lavoro deve essere adibito alle mansioni per cui e‟ stato assunto. Tuttavia, se non e‟ convenuto
diversamente, l‟imprenditore puo‟, in relazione alle esigenze dell‟impresa, adibire il prestatore di lavoro ad
una mansione diversa, purche‟ essa non importi una diminuzione nella retribuzione o un mutamento
sostanziale nella posizione di lui.
Nel caso previsto dal comma precedente, il prestatore di lavoro ha diritto al trattamento corrispondente
all‟attivita‟ svolta, se e‟ a lui piu‟ vantaggioso”.
37
L.Riva-Sanseverino, Lavoro, sub. 2060/2134, in Comm. Scialoya Branca, Bologna Roma 1986, 412
32
10
appare complicata, se possibile, dalla incerta natura della sentenza che accerti l‟avvenuta
promozione per espletamento di mansioni superiori, se meramente accertativa
dell‟automaticita‟ della promozione ovvero costitutiva del superiore inquadramento e
sulla possibilita‟ che con il medesimo ricorso in sede giudiziaria il lavoratore possa
lamentare l‟avvenuto espletamento di mansioni superiori per un periodo di tempo utile al
conseguimento del piu‟ favorevole inquadramento e quindi un successivo
demansionamento con conseguente danno non patrimoniale; ammissibilita‟ della duplice
domanda che dovrebbe sottintendere la natura meramente accertativa della pronunzia
relativa all‟inquadramento spettante al lavoratore ex art.2103 c.c.38. Soluzione questa
ultima che potrebbe fondarsi sul rilievo che non si tratterebbe di modificare il contratto di
lavoro ma di prendere atto della definitivita‟ ex lege, sulla scorta del dato temporale, di
una modifica avvenuta tra le parti consensualmente sulla scorta delle nuove mansioni
assegnate dal datore di lavoro ed accettate tacitamente dal lavoratore quand‟anche poi
contestata nei suoi effetti dal datore di lavoro.
Del resto ci si dovrebbe interrogare se il demansionamento debba essere correlato alle
mansioni concretamente espletate ovvero all‟inquadramento cui le stesse debbano essere
ascritte e quindi se un giudizio di demansionamento possa essere formulato a dispetto
dell‟equivalenza delle mansioni formulate in sede di contrattazione collettiva in punto di
declaratorie professionali. Che e‟ quanto e‟ invece escluso, in materia di pubblico
impiego, complice l‟art.52 dlgs n.165 del 2001 in base a cui il datore di lavoro pubblico,
nell‟adibire il dipendente a mansioni diverse rispetto a quelle originarie, non arreca allo
stesso un danno in termini di demansionamento qualora le nuove mansioni rientrino tra
quelle annoverate dalla contrattazione collettiva nella medesima categoria, secondo
peraltro una valutazione non sottoponibile a vaglio critico da parte dell‟autorita‟
giudiziaria; infatti, in funzione della formulazione del giudizio di equivalenza delle
mansioni, il giudice e‟ chiamato a verificare lo svolgimento da parte del dipendente di
mansioni considerate equivalenti da parte del contratto collettivo, “mentre nessun rilievo
ha una verifica di equivalenza sulle mansioni svolte in concreto”39.
Viceversa nell‟ambito delle dinamiche lavoristiche privatistiche si e‟ osservato che ai fini
della valutazione della sussistenza di un corretto esercizio dello jus variandi da parte
datoriale non è sufficiente verificare se le nuove mansioni siano comprese nel livello
contrattuale nel quale è inquadrato il dipendente, essendo necessario verificare altresì
l‟equivalenza in concreto di tali mansioni con quelle in precedenza assegnate, alla stregua
del contenuto, della natura e delle modalità di svolgimento delle stesse, considerato che la
suddetta equivalenza presuppone che le nuove mansioni quand‟anche affatto identiche a
quelle in precedenza espletate corrispondano alla specifica competenza tecnica del
dipendente, salvaguardandone il livello professionale, senza danneggiarlo altrimenti
nell‟ambito del settore o socialmente, e siano comunque tali da consentire l‟utilizzazione
del patrimonio di esperienza lavorativa acquisita nella pregressa fase del rapporto; sicche‟
sussiste la violazione del disposto di cui all‟art. 2103 cod. civ. qualora le nuove mansioni,
quand‟anche comprese nel livello o nella categoria contrattuale già attribuiti al
dipendente, determinino una lesione del suo diritto a conservare e migliorare la
38
Valenza paragonabile a quella delle sentenze che accertano l‟avvenuto acquisto a titolo originario di un
dirito reale per usucapione . Cfr. Cass. civ., sez. II, 6.12.1997, n.12428, in Riv. giur. edilizia 1998, I, 296, in
Giust. civ. Mass. 1997, 2349
39
Cass. Civ., SSUU, 4.4.08 n.8740 in Lav. nelle P.A. 2008, 2, 351 con nota di Murrone
11
competenza o la professionalità maturata ovvero pregiudichino quello al suo
avanzamento graduale nella gerarchia del settore40. Pertanto, il divieto di variazioni in
pejus opera anche quando al lavoratore, a dispetto della formale equivalenza delle
precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente
inferiori sicchè nell'indagine circa tale equivalenza non appare sufficiente il riferimento
in astratto al livello di categoria essendo semmai necessario accertare che le nuove
mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente salvaguardandone il
livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue
capacità professionali. Allo scopo l'indagine del giudice di merito deve essere indirizzata
a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi si‟ da formulare il
giudizio di equivalenza, da fondare comunque sul complesso della contrattazione
collettiva e delle determinazioni aziendali. Sulla scorta di questa lettura dell‟art.2103 c.c.,
la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto necessariamente
equivalenti, per il solo fatto di essere comprese nella stessa qualifica formale, le mansioni
di portalettere e quelle di addetta a compiti di segreteria in precedenza assegnate alla
lavoratrice dipendente delle Poste41.
L‟equivalenza delle mansioni, che condiziona nell‟ambito delle dinamiche lavoristiche di
diritto privato la legittimità dell‟esercizio dello ius variandi, a norma dell‟art. 2103 cod.
civ deve, pertanto, essere verificata tanto sul piano oggettivo, e cioè sotto il profilo della
inclusione nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di
destinazione, quanto sul piano soggettivo, in relazione al quale è necessario che le due
mansioni siano professionalmente affini, nel senso che le nuove si armonizzino con le
capacità professionali già acquisite dal lavoratore nel corso del rapporto lavorativo,
consentendo semmai ulteriori affinamenti e sviluppi. Una volta osservate dette
condizioni, non è necessaria l‟identità delle mansioni, né costituisce elemento ostativo la
necessità di un aggiornamento professionale in relazione ad innovazioni tecnologiche.
Applicando detti principi, ad esempio, la Corte Suprema ha ritenuto affatto violato
l‟art.2103 c.c. in una fattispecie in cui una lavoratrice dipendente di un‟azienda privata di
vigilanza e già addetta a mansioni impiegatizie d‟ordine elementari e ripetitive ed anche,
insieme con altri colleghi, a rispondere alle chiamate nella sala operativa, era stata
addetta esclusivamente a queste ultime mansioni, a seguito dell‟incremento delle
chiamate e alla riorganizzazione tecnica del lavoro42.
Ebbene, sfogliando i repertori della giurisprudenza contabile, si legge che la nozione di
demansionamento ovvero di dequalificazione e‟ idonea a contrassegnare due ipotesi,
eventualmente concorrenti, benche‟ legate da un minimo comun denominatore dato dalla
sottrazione di ruolo operata dal datore di lavoro a danno del lavoratore. In particolare
detta nozione individua i casi di privazione da parte del datore di lavoro di alcune
mansioni in origine assegnate al lavoratore; e‟ questo il cosiddetto demansionamento
40
Cass. Civ., sez. lav., 17.7.1998, n. 7040 in Riv. it. dir. lav. 1999, II, 276 con nota di Borzaga; in Giust.
civ. Mass. 1998, 1550; Cass. Civ., sez. lav., 28.3.1995, n. 3623, in Giust. civ. Mass. 1995, 705, in Riv. it.
dir. lav. 1996, II, 373 con nota di Carinci.
41
Cass. civ., sez. lav., 2.10.2002, n.14150, in Mass. Giur. It., 2002; in Arch. Civ., 2003, 817; in Gius, 2003,
3, 328; in Lavoro nella Giur., 2003, 172
42
Cassazione civile , sez. lav., 01 settembre 2000, n. 11457 in Giust. civ. Mass. 2000, 1878; in Notiziario
giur. lav. 2001, 38, in D&G - Dir. e giust. 2000, 35 50
12
quantitativo43. Ma vi e‟ anche la diminuzione della rilevanza e della qualita‟
professionale delle mansioni gia‟ assegnate ed ancora la assegnazione di mansioni
inferiori rispetto a quelle svolte inizialmente (ipotesi queste ultime di demansionamento
qualitativo).44 Che e‟ quanto vale ad evidenziare la complessita‟ dell‟istituto che spesso
ed in particolar modo si confronta con un potere o un abuso del datore di lavoro
nell‟esercizio del potere di organizzazione dell‟impresa a fronte dell‟aspettativa o del
diritto del lavoratore a svolgere determinate mansioni.
Alla nozione di demansionamento non e‟ peraltro estranea una connotazione
intrinsecamente cronologica atta a contrassegnarne la fisionomia. Si tratta infatti di un
fatto duraturo e foriero di perdita di professionalita‟ si‟ da dover essere escluso qualsiasi
demansionamento in caso di carattere meramente provvisorio e temporaneo45, oltre che
generalizzato per tutti i dipendenti della medesima fascia di inquadramento, dell‟attivita‟
lavorativa svolta nell‟immediato avvio di una nuova struttura operativa, seguito dalla
pronta assegnazione di mansioni equivalenti46.
La complessita‟ della nozione del resto e‟ testimoniata dalla sovrapposizione apparente di
piani. Infatti, nella giurisprudenza ed in genere nella letteratura, sembrerebbe quasi
spostato il profilo soggettivo dell‟autore del comportamento dal piano esterno della
responsabilita‟ e piu‟ esattamente dei suoi limiti a quello interno della struttura del
demansionamento.
E si‟ che a detta nozione, accanto ad un apprezzamento obiettivo della condotta del
datore di lavoro se ne accompagna uno in cui assumono rilevanza i profili soggettivi di
detto comportamento capaci di costituire apparentemente limiti interni e non esterni
all‟istituto, tant‟e‟ che si e‟ escluso il demansionamento (e non solo la responsabilita‟ da
demansionamento) non solo quando le nuove funzioni da svolgere non sono decisamente
dequalificanti, ma anche quando ci si misuri con un trasferimento ad altro settore per la
soppressione del vecchio servizio di appartenenza, qualora tale trasferimento costituisca
nell‟ambito di una azienda in crisi l‟extrema ratio rispetto a licenziamento o alla
mobilita‟. Affermando detto principio ha Suprema Corte ha escluso l‟avvenuta
dequalificazione in una ipotesi in cui tre guardie giurate erano state assegnate a mansioni
produttive dopo l‟esternalizzazione del servizio di guardiania, avvenuta in una fase di
crisi dalla quale l‟impresa voleva uscire senza espellere alcun dipendente dal circuito
produttivo47. Si e‟ affermato infatti che la disposizione dell‟art.2103 c.c. in punto di
regolamentazione delle mansioni del lavoratore e di divieto del declassamento di dette
mansioni deve essere interpretata, in considerazione delle statuizioni di cui alla sentenza
43
In tema di mansioni del lavoratore, ai fini dell‟applicabilita‟ dell‟art.2103 c.c., non qualsiasi
modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore appare sufficiente ad integrarlo, essendo
viceversa necessario far riferimento alla incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale
raggiunto dal dipendente, sulla sua collocazione nell‟ambito aziendale e, in relazione ai dirigenti, alla
rilevanza del ruolo; sic Trib. Milano 18.8.07, in Corriere del merito 2007, 11, 1253
44
C.Conti reg. Lombardia, sez. Giurisd. 29.12.08 n.991, in Riv. Corte conti 2008, VI, 121
45
Ma cfr. Cassazione civile , sez. lav., 25 febbraio 2004, n. 3772 [in Giust. civ. Mass. 2004, 2; in Riv. it.
dir. lav. 2005, II, 349 con nota De Marco] in base a cui e‟ illegittimo il demansionamento anche se
protrattosi per un tempo breve.
46
Cass. Civ., sez. lav. 7.10.08, n.24738 in Lav. nella p.a. 2008, 5, 885 e ivi 2008, 6, 1093 con nota di
Ferretti; in Giust. Civ. Mass. 2008, 10, 1440
47
Cass. Civ., sez. lav., 18.2.08 n.4000, in Diritto & Giustizia 2008
13
delle Sezioni Unite n.25033 del 24.11.200648 ed in coerenza con la ratio sottesa dai
numerosi interventi in materia del legislatore, alla stregua del bilanciamento del diritto
del datore di lavoro a perseguire una organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e
quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di
sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali comportanti l‟esternalizzazione dei servizi
o la loro riduzione a seguito di processi di riconversione o ristrutturazione aziendali,
l‟assegnazione del lavoratore a mansioni diverse ed anche inferiori a quelle
precedentemente svolte, restando immutato il livello retributivo, non si pone in contrasto
con il dettato codicistico qualora essa rappresenti l‟unica alternativa praticabile in luogo
del licenziamento per giustificato motivo oggettivo49. Demansionamento che in realta‟
comunque sussisterebbe ma non legittimerebbe il dipendente ne‟ ad opporre l‟eccezione
ex art.1460 c.c. in quanto detta eccezione sarebbe contraria a buona fede ne‟ del resto
determinerebbe una responsabilita‟ risarcitoria del datore di lavoro per impossibilita‟ di
un giudizio di riprovevolezza in relazione al comportamento da questi tenuto.
Si tratta, a questo punto, di individuare il parametro rispetto a cui sia possibile predicare
del demansionamento quale espresssione di un inadempimento e quindi di verificare se il
demansionamento costituisca espressione di inadempimento tout court oppure di inesatto
adempimento.
Per quanto concerna il primo profilo problematico, il punto da sciogliere e‟ rappresentato
dall‟individuazione della obbligazione violata ed in relazione a cui sia possibile predicare
un inadempimento, almeno inesatto. E quella obbligazione ben puo‟ essere individuata
nell‟art.2103 c.c. e nel divieto ivi contenuto di adibire, salvo quanto in detta norma
previsto, a mansioni inferiori il lavoratore. Ma alla medesima soluzione ben potrebbe
giungersi una volta interpretato il negozio alla luce di un principio di correttezza capace
di per se‟ di orientare il comportamento delle parti negoziali impedendo all‟una e all‟altra
di pregiudicare inutilmente gli interessi di controparte, pena l‟abuso del diritto. Senza per
cio‟ appiattirsi sulla teorizzazione di una obbligazione senza prestazione fondata sulla
regola di correttezza50; teoria questa che sottrae all‟obbligazione il suo tratto centrale sia
in termini strutturali (la prestazione) che operativi (postulando la responsabilita‟
contrattuale la prova dell‟inadempimento e quindi dell‟interesse alla prestazione).
Inadempimento inesatto51 ricorre quando la prestazione resa non possegga i requisiti
soggettivi e /o oggettivi idonei a farla coincidere con l‟oggetto della obbligazione e di
soddisfare quindi l‟interesse del creditore52. Si tratta di una nozione complessa posta tra
inadempimento ed adempimento ed i cui confini risultano complicati dall‟esigibilita‟ di
un comportamento improntato a tolleranza da parte del creditore; li‟ dove poi la
difficolta‟ di collocare questa tolleranza se sul piano oggettivo rendendo adempimento o
48
In Lav. Prev. Oggi 2006, 1374; in Mass. Giur. Lav. 2007, 17 con nota di Pisani, Le mansioni promiscue
secondo le Sezioni Unite: consensi e dissensi
49
Cass. Civ., sez. lav., 5.4.07 n.8596, in Giust civ. 2008, 3, 769 con nota di Auletta; in Giust. Civ. 2007,
10, 2104; in Orient. Giur. Lav. 2007, 3, 458; in Lavoro nella giur. 2007, 12, 1252; in Giust. Civ. Mass.
2007, 4.
50
C.Castronovo, L‟obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in La nuova
responsabilita‟ civile, Milano 1997, 177ss
51
Per l‟identificazione tra inadempimento, inesatto adempimento e ritardo, cfr. U.Natoli, L‟attuazione del
rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da A. Cicu e F. Messineo e
L.Mengoni, XVI, t.2, Milano 1984, p. 52
52
M.Giorgianni, Inadempimento b) Diritto privato, in Enc. Dir. XX, Varese 1970, 862.
14
inadempimento inesatto cio‟ che altrimenti sarebbe dovuto essere inteso rispettivamente
quale adempimento inesatto ovvero inadempimento;
oppure sul piano della
responsabilita‟ e del giudizio di riprovevolezza del comportamento del debitore. Per
quanto concerna il profilo oggettivo dell‟inesattezza, e‟ possibile ipotizzare una
differenza quantitativa o qualitativa; peraltro, in caso di contratti a prestazioni
corrispettive53, vige la regola dell‟art.1464 c.c. che prevede la possibilita‟ di un siffatto
adempimento a fronte di una corrispondente riduzione della controprestazione e salva la
possibilita‟ per controparte di recedere dal contratto. Ebbene mentre la inesattezza
quantitativa si concretizza nell‟emergenza di dati percepibili oggettivamente, ben piu‟
problematica e‟ quella qualitativa chiamata a confrontarsi con la ricchezza variegata della
casistica imbrigliata, con non poca incertezza, nella frammentaria disciplina tracciata dal
codificatore a margine di singoli contratti. Dall‟esame di dette norme si ricava come
accanto alla diversita‟ della prestazione, il codice civile individui anche la mera
difformita‟ e la emergenza di vizi; ricorrendo la prima ipotesi nel caso di c.d. aliud pro
alio cui e‟ equiparata dalla dottrina la mancanza di qualita‟ promesse od essenziali ex
art.1497 c.c.; la seconda quando la prestazione resa non ha tutte le caratteristiche di
quella promessa; la terza quando le caratteristiche promesse vi sono benche‟ alterate. In
tutte le ipotesi tipizzate dal codificatore, al creditore e‟ rimessa la facolta‟ di rifiutare la
prestazione e pretendere un adempimento esatto; che e‟ quanto costituisce applicazione di
un principio che deve ritenersi generale e che a fatica si e‟ imposto sul diritto delle
obbligazioni benche‟ non codificato in una norma generale salvo la previsione
dell‟art.1192 c.c. E‟ noto come l‟art.1453 c.c. preveda come nei contratti con prestazioni
corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l‟altro puo‟ a
sua scelta chiedere l‟adempimento o la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso il
risarcimento del danno. Ebbene, la richiesta di regolarizzazione dell‟adempimento
costituisce una specificazione dell‟azione di adempimento e quindi in quanto tale
soggetta alle stesse condizioni in punto di ius variandi54 e di onere della prova55, ovvero
si traduce in una domanda di risarcimento del danno in forma specifica. Ma una azione di
esatto adempimento postula comunque la possibilita‟ di un inadempimento inesatto che,
se ipotizzabile agevolmente qualora l‟inesattezza abbia quale parametro di riferimento
quello quantitativo, diviene piu‟ difficile in caso di inesattezza qualitativa in cui e‟ piu‟
facile che l‟inadempimento inesatto sia definitivo, senza consentire margini per un
completamento dell‟adempimento; che e‟ quanto conserverebbe spazio per un solo
risarcimento in forma specifica a condizione che il debitore abbia agito quanto meno con
colpa ed abbia cagionato un danno ex art.1223 c.c. al creditore senza determinare una
eccessiva onerosita‟ ex art.2058 c.c.
Cio‟ detto, ritenere che ci si misuri con un inadempimento tout court ovvero con un
inadempimento inesatto pretende una scelta di prospettiva; in effetti si profila un
inadempimento tout court in relazione all‟obbligo dell‟art.2103 c.c. di non adibire il
53
Norma questa da confrontare, in relazione alle ipotesi di inesattezza quantitativa, con l‟art.1181 c.c. in
base a cui il creditore puo‟ rifiutare l‟adempimento parziale, quand‟anche si tratti di prestazione divisibile e
salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente; mentre in caso di inesattezza qualitativa con gli artt.
1178 c.c. e 1258, comma II, c.c.
54
A. Luminoso, Della risoluzione per inadempimento, in Commentario Scialoya Branca, Bologna Roma
1990, I, 1, sub art.1453, pp.10 e 32.
55
U. Carnevali, sub art. 1453 in A.Luminoso, U.Carnevali e M.Costanza, Risoluzione per inadempimento,
sub artt. 1453-1454, in Commentario Scialoya Branca, Bologna Roma 2007, pp71ss
15
lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle svolte e quindi di una obbligazione di non
fare56; la costruzione in termini di inadempimento inesatto postula invece che
quell‟obbligo possa interagire nei termini dello scambio negoziale caratterizzandone la
causa; scambio da delinearsi tra l‟offerta di energia lavorativa del prestatore a fronte di
una prestazione economica (la retribuzione) e la offerta di sicurezza in merito alla
tipologia di mansioni pretese con conseguente conservazione del patrimonio
professionale del lavoratore.
4.A questo punto, ci si puo‟ interrogare in merito a quali misure di tutela remediale
potrebbe far ricorso il lavoratore che lamenti un demansionamento. Il pensiero corre ad
una norma che, dettata per i contratto con attribuzioni patrimoniali corrispettive, ha
enucleato uno strumento di autotutela privata fondata sul riconoscimento di un diritto
potestativo in capo al debitore, che sia al contempo creditore, di paralizzare con una
eccezione dilatoria di diritto sostanziale l‟altrui pretesa di fronte ad un inadempimento.
Evidente il richiamo all‟art.1460 c.c. secondo cui, e‟ noto, nei contratti con prestazioni
corrispettive, ciascuno dei contraenti puo‟ rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione
se l‟altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo
che termini diversi per l‟adempimento siano stati concordati oppure risultino dalla natura
del contratto. Soluzione questa di cui dubbia sarebbe la proponibilita‟ nell‟ipotesi in cui si
costruiscano i diritti del lavoratore alla tutela della sua personalita‟ al di fuori del
principio di corrispettivita‟ che, secondo parte della dottrina, invece finirebbero con il
contraddire57 trattandosi di diritti non fondati sul contratto di assunzione ma direttamente
sul rapporto di lavoro.
D‟altra parte, quand‟anche si ritenesse il demansionamento una espressione di
adempimento inesatto, si deve osservare come l‟eccezione di inadempimento sia
opponibile anche in caso di inesattezza dell‟adempimento58. Tuttavia, qualora il creditore
abbia ricevuto la prestazione inesatta, puo‟ esercitare l‟exceptio per una parte soltanto
della propria prestazione59. Che e‟ quanto si traduce nelle dinamiche lavoristiche con la
necessita‟ che il lavoratore, pur sollevando l‟eccezione ex art.1460 c.c., metta comunque
a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e la propria
professionalita‟ per l‟esecuzione delle mansioni spettanti ed esigibili.
Che e‟ quanto, invero, costituisce soluzione affatto pacifica e semmai complicata da un
dibattito che ha animato le aule di giustizia come la letteratura.
Infatti, sfogliando la giurisprudenza anche recente della Corte di legittimita‟, si
evidenziano incertezze di ordine sistematico ed operativo e quindi sia sulla natura
sostanziale dell‟eccezione ex art.1460 c.c. la cui operativita‟ sembrerebbe a volte
confinata nel quadro dei procedimenti giudiziari, negandosi al creditore/debitore la
possibilita‟ di una autotutela delle proprie ragioni anche a prescindere dal processo 60; sia
sull‟operativita‟ dell‟eccezione a fronte di un inadempimento non totale.
56
C.Conti reg. Lombardia, sez. giurisd. 29.12.08 n.991, in Riv. Corte Conti 2008, 6, 121
R.Scognamiglio, La natura non contrattuale del lavoro subordinato, cit.
58
Cfr. L.Bigliazzi Geri, Risoluzione per inadempimento, II, sub art.1460 in Commentario Scialoya Branca,
Roma 1988, p.18, nota 3.
59
G.Persico, L‟eccezione d‟inadempimento, Milano 1955, 146
60
L.Bigliazzi Geri, Profili sistematici dell‟autotutela private, II, Milano 1974, pp. 193ss; G.Chiovenda,
Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli 1935, p.311; G.Persico, Eccezione d‟inadempimento,
Milano 1955, pp.7 e 103ss; R.Bolaffi, Le eccezioni di diritto sostanziale, Milano 1936, pp.181ss; F.
57
16
In effetti, che la formula di autotutela sia proponibile nell‟ambito del rapporto di lavoro
ed a tutela del lavoratore e‟ soluzione affermata in giurisprudenza tanto in ipotesi di
demansionamento61 quanto di ritardato pagamento della retribuzione62.Si e‟ affermato ad
esempio che, in applicazione del principio di autotutela nel contratto a prestazioni
corrispettive ex art.1460 c.c., si deve ritenere legittimo il rifiuto opposto dal dipendente al
trasferimento qualora il provvedimento del datore si traduca infine in un palese
demansionamento, purche‟ la reazione del lavoratore risulti proporzionata e conforme a
buona fede. Il rifiuto del lavoratore impone al giudice una valutazione comparativa dei
comportamenti assunti dalle parti del contratto di lavoro, si‟ da verificare la congruita‟ tra
le mansioni espletate dal lavoratore e quelle assegnate che debbono essere del resto
vagliate indipendentemente dal loro concreto svolgimento, non essendo accompagnati i
provvedimenti aziendali da una presunzione di legittimita‟ che ne imponga
l‟ottemperanza sino ad un diverso accertamento in giudizio63.
La Corte di legittimita‟ si e‟ affrettata a precisare, pero‟, che l‟eventuale assegnazione a
mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita puo‟ legittimare il lavoratore ad adire
l‟autorita‟ giudiziaria per chiedere la riconduzione della prestazione nel quadro della
qualifica di appartenenza, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente e senza alcun
avallo giudiziario, eventualmente accordabile in sede cautelare, di eseguire la prestazione
lavorativa pretesa dal datore di lavoro in quanto e‟ tenuto ad osservare le disposizioni per
l‟esecuzione del lavoro impartito dall‟imprenditore ex art.2086 e 2104 c.c. da applicarsi
in relazione all‟art.41 Cost e puo‟ legittimamente invocare l‟art.1460 c.c. in caso di totale
inadempimento dell‟altra parte. Premessa questa che ha indotto la Suprema Corte a
qualificare quale grave insubordinazione, come tale suscettibile di provvedimento
disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si
rifiuti di eseguire la prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza 64. Ed
ancora si e‟ affermato che, quando ci si misura con una situazione di demansionamento,
il lavoratore non e‟ legittimato a sospendere in tutto o in parte l‟attivita‟ lavorativa
qualora il datore di lavoro assolva tutti gli altri propri obblighi , ovvero provveda a pagare
la retribuzione, alla contribuzione previdenziale e assicurativa ed a garantire il posto di
lavoro. Infatti, si e‟ sostenuto che una parte puo‟ rifiutare la propria prestazione
contrattuale solo se l‟altra parte e‟ totalmente inadempiente e non anche quando vi sia
contestazione e controversia soltanto su una delle obbligazioni a carico di una delle parti;
obbligazione peraltro in relazione al demansionamento affatto incidente sulle immediate
esigenze vitali del lavoratore65.
Realmonte, Eccezione di inadempimento, in Enc. Dir, XIV, Varese 1965 p.236ss; A.Dalmartello,
Eccezione di inadempimento, in Noviss. Dig. It, VI, Torino 1960, p.356
61
Cassazione civile , sez. lav., 05 aprile 1984, n. 2231 in Riv. It. Dir. Lav. 1984, II, 786, in Giust. civ.
Mass. 1984, fasc. 3-4; in Foro it. 1985, I,1164; in Giust. civ. 1985, I,163.
62
Cassazione civile , sez. lav., 09 novembre 1981, n. 5940 in Foro it 1982, I, 2919; in Orient. giur. lav.
1983, 22; in Mass. giur. lav. 1982, 363; in Riv. it. dir. lav. 1982, II,491.
63
Cass. Civ. sez. lav. 19.2.08 n.4060, in Resp. civ. e prev. 2008, 9 1760 con nota di Pucinelli; in Diritto &
giustizia 2008
64
Cass. Civ. Sez. Lav. 5.12.07 n.25313 in Guida al dir. 2008, 4, 78; in Giust. Civ. Mass. 2007, 12; in Riv.
It. Dir. Lav. 2008, 2, 470 con nota di Cavallaro; in Giust. Civ. 2008, 2, 328; in Notiziario giur. lav. 2008, 2,
161; ma contra Cassazione civile , sez. lav., 08 agosto 2003, n. 12001 in Orient. giur. lav. 2003, I, 619; in
Notiziario giur. lav. 2004, 155; in Giust. civ. Mass. 2003, 7-8
65
Cass. Civ., sez. lav. 9.5.07 n.10547, in Riv. It. Dir. Lav. 2007 con nota di Fabbri ed ivi 2008, 3, 597 con
nota di Raimondi
17
Applicabilita‟ della norma codicistica che peraltro non creerebbe ulteriori difficolta‟ se
non fosse che quell‟astensione, pur posta a presidio di un diritto del lavoratore, sia stata
(anche se da una giurisprudenza oramai datata) equiparata all‟esercizio del diritto, pur
garantito costituzionalmente, di sciopero con conseguente esonero del datore di lavoro
dall‟obbligo di corrispondere la retribuzione per il periodo in cui l‟eccezione e‟ opposta66.
Si‟ che la possibilita‟ di avvalersi di quella eccezione e‟ stata riconosciuta piuttosto al
datore di lavoro di fronte all‟esercizio del diritto di sciopero del lavoratore “il che, visto
che si fa leva sulla natura sinallagmatica di un rapporto di diritto privato comune, e‟
conclusione ineccepibile. Il fatto e‟ che il rapporto in questione mal si presta ad essere
ricondotto, puramente e semplicemente, in tale ottica e che, non appena si consideri qual
e‟ la funzione del diritto di sciopero e tramite quale strumento si tenda, in tal modo, ad
ostacolarne, in sostanza, l‟esercizio, contemporaneamente incidendo anche pesantemente
sul conseguimento di quella retribuzione sufficiente posta dalla Carta Costituzionale a
garanzia di un‟esistenza libera e dignitosa del lavoratore (art.36 in rel. art. 2 e 3), una
soluzione di tensioni sociali attuata tramite l‟applicazione di principi nati per risolvere
questioni concernenti singoli rapporti interprivati non puo‟ non denunciare tutta la sua
formalistica inadeguatezza”67.
Invero, l‟art.1460 c.c., se consente al lavoratore che lamenti il demansionamento il rifiuto
della prestazione siccome pretesa da parte avversa, non gli consente di per se‟ il
conseguimento della retribuzione, ma, salvo quanto infra evidenziato, il risarcimento del
danno subito che non ha natura reddituale68 e quindi non concorre alla determinazione del
trattamento di fine rapporto. Infatti, il principio generale di effettività e corrispettività
delle prestazioni nel rapporto di lavoro comporta che, al di fuori delle espresse deroghe
legali o contrattuali, la retribuzione spetti soltanto se la prestazione di lavoro viene
eseguita, a meno che il datore di lavoro versi in una situazione di mora "credendi" nei
confronti dei dipendenti. Ne consegue che sono validi, in linea di principio, i patti
conclusi tra i lavoratori ed il datore di lavoro per la sospensione del rapporto di lavoro;
tali fatti non hanno ad oggetto diritti di futura acquisizione e non concretano rinunzia alla
retribuzione, invalida ex art. 2113 cod. civ., atteso che la perdita del corrispettivo
discende dalla mancata esecuzione della prestazione.69
Si tratta allora di verificare, al di là dell‟emergenza di siffatti accordi, quando possa
ritenersi il datore in mora credendi. In base agli artt. 1218 e 1256 cod. civ., la sospensione
unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata, ed esonera il
medesimo datore dall'obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto
dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di
programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di
66
Cass. 9.11.81 in Foro it. 1982, I, 2919, ma cfr. Cass. 5.4.84, in Riv. It. Dir. Lav. 1984, II, 786; cfr. U.
Natoli, in Riv. Giur lav. 1983, I, 130
67
L.Bigliazzi Geri, Risoluzione per inadempimento, II, sub art.1460 in Commentario Scialoya Branca,
Roma 1988, 57
68
“l‟indennita‟ percepita da un lavoratore dipendente a titolo di risarcimento dei danni per
demansionamento non e‟ soggetto ad i.r.pe.f., poiche‟ in forza del principio stabilito dall‟art.6, comma 2,
del TUIR, le somme che sono meramente reintegrative di un danno patrimoniale non hanno natura
reddituale” [Cass. Civ., sez. trib., 9.12.08 n.28887, in Bollettino trib. 2009, 6, 492]
69
Cassazione civile , sez. lav., 19 maggio 2003, n. 7843 in Riv. it. dir. lav. 2004, II, 94 con nota di
Spolverato; in Riv. giur. lav. 2004, II, 550 con nota di Federici; in Giust. civ. Mass. 2003, 5
18
mercato. La legittimità della sospensione deve essere verificata in riferimento all'allegata
situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa: solo ricorrendo il
duplice profilo dell'impossibilita' della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e
dell'impossibilita' di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, e'
giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla70. Infatti, il datore di lavoro non può
unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt.
1463 e 1464 cod. civ., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o
parziale, la esistenza delle quali ha l'onere di provare, senza che a questo fine possano
assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la
diminuzione o l'esaurimento dell'attivita' produttiva. Ne consegue che il dipendente
"sospeso" non è tenuto a provare d'aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue
energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della
sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un'ipotesi di mora
credendi, il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la
volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione71.
Ebbene, una volta che si ritenga che il lavoratore il quale intenda avvalersi dell‟eccezione
ex art.1460 c.c. sia comunque tenuto ad offrire la propria prestazione nei termini esigibili
da parte avversa, ben si puo‟ concludere per ritenere comunque spettante al lavoratore il
pattuito trattamento retributivo da parte del datore di lavoro che deve ritenersi essere stato
messo in mora con quella offerta72. Infatti, “se il mancato adempimento e‟ imputabile,
non al debitore (il quale abbia fatto tutto quanto dipendeva da lui per adempiere), ma al
comportamento puramente negativo del creditore, costui potrebbe essere ugualmente
tenuto ad eseguire la sua eventuale controprestazione.
Ed e‟ bene tenere presente che, in questi casi, come in altri possibili casi analoghi, la
conclusione si giustifica, non sul presupposto dell‟inadempimento da parte del creditore
di un preteso obbligo di cooperazione, ma perche‟ lo stesso creditore puo‟, bensi‟,
rinunziare ad avvalersi del proprio diritto (non ricevendo la prestazione offertagli od
omettendo quanto ex se indispensabile per consentire all‟altra parte di eseguirla), ma non
puo‟, per questo, ritenersi liberato se, contemporaneamente, sia debitore di una
prestazione corrispettiva. Infatti, non potendo l‟altra parte essere considerata
inadempiente e non trovando, quindi, applicazione l‟art.1460, quella prestazione deve
essere regolarmente eseguita”73.
Detta soluzione, tuttavia, sottintende la possibilita‟ di una imputabilita‟ del
comportamento omissivo del datore di lavoro rispetto all‟obbligo ex art.2103 c.c.. Che e‟
quanto non sempre e‟ ipotizzabile.
Infatti, la tutela ex art.1460 c.c. prescinde dalla imputabilita‟ dell‟inadempimento e
quindi dalla responsabilita‟ della controparte in ipotesi esclusa dalla sopravvenuta
impossibilita‟ della prestazione posta a suo carico. E‟ l‟alterazione del sinallagma
70
Cassazione civile , sez. lav., 09 agosto 2004, n. 15372 in Giust. civ. Mass. 2004, 9
Cassazione civile , sez. lav., 16 aprile 2004, n. 7300 in Giust. civ. Mass. 2004, 4
72
Del resto, ex art. 1217 c.c., se la prestazione consiste in un facere, il creditore e‟ costituito in mora
mediante l‟intimazione di ricevere la prestazione e di compiere gli atti che sono da parte sua necessari per
renderla possibile; intimazione che puo‟ essere fatta nelle forme d‟uso [cfr. in generale, C.Cattaneo, sub
artt. 1206/1217, in Commentario Scialoya Branca, Bologna Roma, pp.269ss]
73
Sic. U.Natoli, L‟attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civ. e comm. Cicu Messineo,
XVI, I, Milano 1974, p. 68.
71
19
contrattuale e non l‟imputabilita‟ dell‟inadempimento74 ad assumere rilievo. “Cio‟ che
nella specie conta e che, pur in assenza di un inadempimento imputabile, dovrebbe
consentire il ricorso all‟exceptio e‟ la circostanza, infatti, che –in una situazione nella
quale le parti rivestono allo stesso tempo la qualita‟ di debitore e di creditore- l‟interesse
di una di esse, quale creditore, rischi di restare, anche se solo temporaneamente,
insoddisfatto. Una siffatta situazione, mettendo quella parte creditrice nella condizione di
dover effettuare (in quanto, appunto, anche debitrice) una prestazione, pur non avendo
ottenuto quanto dovutole, denuncia l‟esistenza di un fatto obbiettivamente lesivo della
posizione complessiva che il soggetto (quale debitore e creditore insieme) riveste nel
rapporto, perche‟ tale da incidere negativamente –tramite un altrui comportamento non
corrispondente all‟attuazione dell‟obbligo, cui fa riscontro l‟attuale necessita‟ di
adempiere- sull‟interesse dell‟avente diritto alla conservazione di un equilibrio che
risulterebbe altrimenti compromesso e, dunque, allo status quo”75.
Peraltro, ricostruito il contratto di lavoro in termini di mero scambio tra prestazione
lavorativa e retribuzione, il demansionamento si tradurrebbe in un pregiudizio per il solo
datore di lavoro in quanto questi, a fronte di una prestazione qualitativamente meno
impegnativa rispetto a quella inizialmente convenuta, sarebbe tenuto all‟erogazione dei
compensi pattuiti per le mansioni superiori. Che e‟ quanto invero costituisce, gia‟ lo si e‟
evidenziato, soluzione interpretativa della problematica de qua affatto soddisfacente e
che testimonia come le dinamiche lavoristiche non si traducano in un mero scambio nei
termini appena evidenziati, integrando semmai anche l‟occasione per il lavoratore per
affermare la propria personalita‟ ed adempiere al dovere di svolgere, secondo le proprie
possibilita‟ e la propria scelta, un‟attivita‟ o una funzione che concorra al progresso
materiale o spirituale della societa‟ ex art.4 Cost. La prestazione cui il lavoratore e‟
tenuto non e‟ integrata da una mera forza lavoro senza aggettivi, ma da una attivita‟
qualificata da una data professionalita‟ che il dipendente deve offrire, ha diritto a
conservare e semmai a potenziare. Ed e‟ questo il diritto leso, il diritto cioe‟ a poter
concorrere al progresso personale e sociale; non necessariamente la dignita‟ del
lavoratore, apparendo del resto pretenziosa la possibilita‟ di graduare la dignita‟ dei
lavori e ritenere alcuni piu‟ dignitosi di altri. L‟art.2103 c.c, allora, integra lo spettro degli
obblighi cui le parti del rapporto di lavoro sono tenute, prevedendo quello del datore di
lavoro non solo di corrispondere la retribuzione, ma anche di far lavorare il dipendente
nei termini gia‟ pattuiti. Non si tratta tanto di un obbligo accessorio, in relazione a cui
peraltro, ci si potrebbe chiedere se sia possibile il ricorso allo strumento di tutela ex
art.1460 c.c.76, ma di uno inestricabilmente intrecciato con quello retributivo e la cui
violazione puo‟ determinare eventualmente quella degenerazione patologica della
sofferenza che il datore di lavoro dovrebbe scongiurare essendo a cio‟ tenuto ex art.2087
c.c.
In particolare, la responsabilità ex art. 2087 c.c. sussiste quando la lesione del bene
tutelato derivi dalla violazione dell'obbligo che incombe al datore di lavoro di adottare
idonee misure a tutela della salute del lavoratore subordinato e della sua personalità
74
Cassazione civile , sez. III, 19 ottobre 2007, n. 21973 in Giust. civ. Mass. 2007, 10; in Il civilista 2009, 2
79 con nota di Maio; in Giust. civ. 2008, 1 115
75
L.Bigliazzi Geri, Risoluzione per inadempimento, sub artt.1460/1462, in Commentario Scialoya Branca,
2, Bologna Roma 1988, 19s
76
Cfr. L.Bigliazzi Geri, Risoluzione per inadempimento, sub artt.1460/1462, in Commentario Scialoya
Branca, 2, p. 10.
20
morale77.Il datore di lavoro deve invero sempre attivarsi positivamente per organizzare le
attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti
delle doverose misure tecniche e organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi
all'attività lavorativa. Obbligo quello del datore di lavoro che deve essere recuperato non
solo a disposizioni specifiche, ma più in generale proprio al disposto dell'art. 2087 c.c., in
base a cui il datore di lavoro è comunque garante dell'incolumità fisica e della
salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro. Conseguentemente, qualora
il datore di lavoro non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo gli deve essere
imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40, comma 2, c.p.78. Ed e‟ appunto in
questa prospettiva che si apre per il lavoratore la frontiera dei danni non patrimoniali,
risarcibili anche sul piano contrattuale.
La responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di sicurezza
previsto dall'art. 2087 c.c. ha infatti natura contrattuale. Siffatta qualificazione poggia sul
rilievo che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai
sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla suddetta norma. Del resto, la responsabilità contrattuale è
configurabile ogni volta che ci si misuri con l'inadempimento di un'obbligazione giuridica
preesistente, comunque assunta dal danneggiante nei confronti del danneggiato79.
Pertanto, applicandosi l'art. 1218 c.c., una volta provato l'inadempimento consistente
nell'inesatta esecuzione della prestazione di sicurezza nonché la correlazione fra tale
inadempimento ed il danno, la prova che tutto era stato approntato ai fini dell'osservanza
del precetto del suddetto art. 2087 c.c. e che gli esiti dannosi siano stati cagionati da un
evento imprevisto e imprevedibile deve essere fornita dal datore di lavoro80. Quindi, sul
piano della ripartizione dell'onere probatorio al lavoratore spetta lo specifico onere di
riscontrare il fatto costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza nonché il nesso di
causalità materiale tra l'inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre non è
gravato dall'onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante,
sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento, onere
che, invece, incombe sul datore di lavoro e che si concreta nel provare la non imputabilità
dell'inadempimento81.
Che il demansionamento costituisca un illecito contrattuale fonte necessariamente di
danni non patrimoniali e‟ invero nodo problematico complicato sia dai margini di
autonomia che l‟Ordinamento giuridico conserva al rapporto negoziale tra lavoratore e
datore di lavoro sia dalla necessita‟ di contemperare quella disponibilita‟ negoziale con la
necessaria inviolabilita‟ dell‟interesse giuridico suscettibile di tutela sul piano dei danni
non patrimoniali.
Occorre procedere con ordine.
77
Cassazione civile , sez. lav., 07 marzo 2007 , n. 5221 in Giust. civ. Mass. 2007, 3, in Il Lavoro nella
giur.) 2007, 11 1142; in Giust. civ. Mass. 2007, 3.
78
Cass. Pen. , sez. IV, 29 gennaio 2007 , n. 16422 in Guida al diritto 2007, 22 65;
79
Cassazione civile , sez. lav., 25 maggio 2006 , n. 12445, in D&G - Dir. e giust. 2006, 26 34 con nota Di
Marzio; in Giust. civ. Mass. 2006, 5; in Riv. it. dir. lav. 2007, 1 68 con nota di Valente; in Riv. giur. lav.
2006, 4 632 con nota di Salvagni e di Federici; in Foro it. 2006, 10 2738; in Notiziario giur. lav. 2006, 4
471; in Resp. civ. e prev. 2006, 9 1490 con nota di Cavallo;
80
Cassazione civile , sez. lav., 08 maggio 2007 , n. 10441, in Foro it. 2007, 10 2701; in Orient. giur. lav.
2007, 3 622; in Giust. civ. Mass. 2007, 5; in Riv. it. dir. lav. 2008, 3 571 con nota di Cannati; in Notiziario
giur. lav. 2008, 1 18;
81
Cass. Civ. , sez. lav., 25 maggio 2006 , n. 12445, cit.
21
5. Una lettura dell‟art.2103 c.c. in termini di irrigidimento del rapporto di lavoro sarebbe
destinata paradossalmente a distanziare le relazioni industriali dal circuito di protezione
dell‟interesse del lavoratore cui il codice e del resto la legislazione lavoristica appaiono
orientate e che spesso non e‟ rappresentata dal congelamento delle mansioni per cui il
dipendente e‟ stato assunto o delle ultime effettivamente svolte. Il diritto del lavoratore
subordinato a non essere demansionato sottintende la conservazione delle potenzialita‟
(dell‟azienda) del datore di lavoro e quindi della capacita‟ di quest‟ultimo di riproporsi,
eventualmente anche attraverso modifiche organizzative, su un mercato di per se‟
concorrenziale e che impone costanti cambiamenti ed adattamenti. Si impone la ricerca
allora di un punto di equilibrio tra opposti interessi: quello dell‟imprenditore ex art.41
Cost e quello del lavoratore a conservare, esercitare ed accrescere la professionalita‟
connessa alle mansioni per cui e‟ stato assunto e che comunque ha conseguito il diritto ad
esercitare.
Punto di equilibrio che puo‟ diversamente orientare l‟apprezzamento dell‟interesse
dell‟una o dell‟altra parte del rapporto di lavoro. Infatti, non e‟ detto che nella prospettiva
di un siffatto bilanciamento quegli interessi debbano (continuare a) divergere e non
finiscano piuttosto con il convergere verso una soluzione soddisfacente per entrambe le
parti. Che e‟ quanto ha determinato poi l‟affermazione –giurisprudenziale e dottrinaledella validita‟ di quelle clausole contrattuali che, in relazione ad esigenze contingenti del
datore di lavoro, gli consenta una mobilita‟ verticale82. Pertanto la regola della
corrispondenza delle mansioni da espletare rispetto a quella per le quali si e‟ stato assunti
o sono state da ultime esercitate costituisce una regola affatto ingessata e che semmai
deve adattarsi a seconda dell‟interesse del lavoratore il quale, ad esempio, ben potrebbe
rifiutare una promozione maturata ex art.2103 c.c. In proposito, si e‟ osservato che “se un
accordo in tal senso sembra sfuggire alla sanzione della nullita‟ che l‟ultimo comma
dell‟articolo in esame generalmente stabilisce nei riguardi di qualsiasi atto o patto in
deroga all‟ordinamento da esso previsto, la giustificazione potrebbe essere basata sulla
discriminazione tra deroghe intese a soddisfare un concreto interesse del lavoratore, e
deroghe esclusivamente riconducibili agli interessi aziendali; discriminazione gia‟
prospettata a proposito del declassamento che, ricorrendo determinate circostanze, il
lavoratore chieda ed ottenga dalla controparte”83.
La sanzione di nullita‟ prevista dall‟art.2103 c.c. in relazione a qualsiasi pattuizione che
introduca modifiche peggiorative della posizione del lavoratore non opera pertanto
allorche‟ il patto peggiorativo corrisponda anche all‟interesse del lavoratore84.
L‟accordo per l‟assegnazione a mansioni inferiori in questi casi non puo‟ essere
considerato in contrasto con le esigenze di liberta‟ e dignita‟ del lavoratore; la validita‟ di
un siffatto accordo postula tuttavia un consenso non viziato del lavoratore, condizione
insussistente qualora il datore di lavoro abbia per tal via posto in essere un espediente per
ottenere prestazioni lavorative in elusione di una norma imperativa85.
82
Cass., sez. un. 24.11.06 n.25033 in Mass. Giur. Lav. 2007, 17 con nota di Pisani, Le mansioni promiscue
secondo le Sezioni Unite: consensi e dissensi; in Lav. Prev. Oggi 2006, 1374.
83
L.Riva Sanseverino, Lavoro, cit., 414
84
Cass. Civ., sez. Lav., 22.8.06 n.18269, in Riv. giur. lav. 2007, 1, 43 con nota di Fabbri; in Notiziario giur.
Lav. 2006, 5, 269.
85
Cass. Civ., sez. lav., 22.8.06 n.18269, in Riv. Giur. Lav. 2007, 1, 43 con nota di Fabbri.
22
E cosi‟ il patto di demansionamento e‟ stato ritenuto valido quando e‟ funzionale ad
evitare un licenziamento a prescindere poi dal soggetto che abbia promosso la
conclusione dell‟accordo86. Accordo che tuttavia non rappresenta la via obbligata da
percorrere per scongiurare il licenziamento; si e‟ osservato infatti che quando il datore di
lavoro procede al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, come ad esempio per
soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati, la verifica della
possibilita‟ del repechage deve essere fatta con riferimento a mansioni equivalenti e,
qualora i lavoratori licenziati abbiano espresso il consenso a svolgere mansioni inferiori
onde evitare il licenziamento, la prova dell‟impossibilita‟ del repechage deve essere
fornita anche con riferimento a dette mansioni, ma in quest‟ultimo caso e‟ necessario che
il patto di demansionamento sia anteriore oppure coevo al licenziamento, non potendo
viceversa scaturire da una dichiarazione del lavoratore manifestata in epoca successiva al
licenziamento e non accettata dal datore di lavoro87.
6. Non e‟ questa la sede per ripercorrere la parabola della responsabilita‟ per danno non
patrimoniale, specie nelle dinamiche contrattuali. A lungo negata da una giurisprudenza88
ed una dottrina condizionata dalla inesistenza nell‟ambito della disciplina del contratto di
una norma come l‟art.2059 c.c., e‟ stata confermata dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione con le pronunzie dell‟11.11.08 [le nn. 26972, 26973, 26974, 26975] che
hanno finito con l‟affidare infine la tutela dei valori della persona umana ad uno
strumento, quello risarcitorio, strettamente legato a logiche di mercato. Sulla portata di
dette pronunzie molti hanno scritto, plaudendo alcuni alla soluzione infine adottata dalla
Suprema Corte, manifestando altri perplessita‟ e riserve. Numerosi, del resto, sono i punti
fissati dalla Corte di legittimita‟ quali condizioni legittimanti una siffatta tutela: serieta‟
della lesione e gravita‟ del danno in considerazione dell‟esigenza (sociale prima che
giuridica) di una tolleranza nelle relazioni intersoggettive; ammissibilita‟ di un
risarcimento del danno non patrimoniale contrattuale; necessita‟ di allegazione e di prova
del danno non patrimoniale in quanto danno conseguenza; valenza meramente descrittiva
della distinzione tra danno morale e danno biologico capace quest‟ultimo di assorbire di
per se‟ i pregiudizi di tipo esistenziale. Di quelle pronunzie, tuttavia, e‟ un tratto, affatto
stilistico ma sostanziale della ricostruzione del sintagma danno non patrimoniale
risarcibile, che colpisce. La Corte ha sottolineato la tipicita‟ del danno non patrimoniale
in quanto “tale danno e‟ risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui
sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili
della persona umana”. Rispetto alle sentenze gemelle del 200389, la Corte di legittimita‟
86
Cass. Civ. sez. lav. 10.10.06 n.21700, in Riv. Giur. Lav. 2007, 2, 244 con nota di Lucarelli; in Orient.
Giur. Lav. 2007, 1, 50; in Diritto & Giustizia 2006, 44, 29 con nota di Turco.
87
Cass. Civ. Sez. Lav. 18.3.09 n.6552 in Giust. Civ. mass. 2009, 3; in Guida al dir. 2009, 18, 68, Diritto &
Giustizia 2009.
88
Ma cfr., gia‟ sotto il codice previgente, Tribunale Milano 12.6.1909 [in Giur. It 1909, I, 1, 583ss] che
aveva ritenuto responsabile per colpa contrattuale una casa di cura privata per il suicidio di un paziente
affetto da ritardo mentale e ricoverato per il pericolo di autolesionismo con condanna al risarcimento del
danno morale subito dalla famiglia, ritenendo lo stesso prevedibile sin dal momento della conclusione del
contratto
89
Cassazione civile , sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827,in Giust. civ. Mass. 2003, 5 , in Foro amm. CDS
2003, 1542, in Giur. it. 2004, 1129 con nota di Bona, in Riv. it. medicina legale 2004, 195; in Riv. corte
conti 2003, 6 221; in Foro it. 2003, I,2273 con nota di Navarretta, in Corriere Giur. 2003, f.8, 1017. Cfr.
anche Cassazione civile , sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828 in Giust. civ. Mass. 2003, 5, in Danno e resp.
23
ha tradito nel suo argomentare la preoccupazione per un trend giurisprudenzale teso ad
una copertura eccessiva degli interessi tutelabili. Si e‟ affermato, infatti, che mentre
l‟art.2059 c.c. in caso di reato riconosce la possibilita‟ di un risarcimento del danno non
patrimoniale per violazione di qualsiasi interesse meritevole di tutela in base
all‟ordinamento giuridico; invece, al di fuori di detta ipotesi, per quel risarcimento e‟
necessaria una ingiustizia del danno costituzionalmente qualificata ed incentrata sulla
lesione di interessi inviolabili della persona. Il nodo da sciogliere diviene allora quello di
delimitare la nozione di ingiustizia costituzionalmente qualificata ed in particolare di
individuare i diritti inviolabili della persona. In effetti, di quale diritto si possa predicare
l‟inviolabilita‟ e‟ questione di non agevole soluzione. Si‟ che inviolabili non sono stati
ritenuti dalla Suprema Corte i diritti tutelati dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell‟uomo cui si e‟ negato il rango di fonte costituzionale90; d‟altra
parte solo alcuni dei diritti riconosciuti dalla GrundNorm sono riconosciuti dallo stesso
testo normativo inviolabili91, ma non per questo quelli non qualificati tali non debbono
ritenersi suscettibili della medesima protezione. Si pensi al diritto alla salute ex art.32
Cost. ed a quello di professare la propria fede religiosa ex art.16 Cost.; diritti questi che
concorrono a definire il caleidoscopio della persona umana, rappresentandone l‟essenza.
In quest‟ottica anche la liberta‟ di pensiero, ex art.21 Cost, deve ritenersi inviolabile
benche‟ poi sia la stessa Carta Fondamentale a prevedere la possibilita‟ di limitazioni al
suo esercizio. Eppure appunto a quella prevista eventualita‟ (e di converso, alla mancata
previsione di una limitazione) la Suprema Corte sembrerebbe aver affidato il ruolo di
selezionare gli interessi inviolabili e come tali suscettibili di protezione risarcitoria per
danno non patrimoniale, tanto da escludere tra quelli la liberta‟ di circolazione che ex
art.16 Cost puo‟ essere limitata per legge in via generale per motivi di sanita‟ oppure di
sicurezza. Che e‟ quanto impone allora l‟esigenza di individuare un diverso criterio di
selezione, capace di cogliere le caratteristiche di quell‟interesse ed il senso di quella
inviolabilita‟. Si tratta di una indagine che puo‟ contare pochi punti fermi e molti
interrogativi. Occorre interrogarsi, ad esempio, circa la necessita‟ che l‟interesse tutelato
debba essere elencato nella Costituzione ed ancora da chi non possa essere violato.
L‟art.2 della Costituzione e‟ il frutto di un compromesso ideologico, cui del resto sono
debitrici la esistenza e la sopravvivenza di detta fonte, tra la tradizione cattolica da un lato
e l‟anima socialista e comunista dall‟altro; compromesso risolto nell‟affermato
riconoscimento da parte della Repubblica dei diritti inviolabili dell‟uomo e quindi nella
centralita‟ dello stesso nella costruzione del nuovo Stato repubblicano in quanto valore
trascendente per i cattolici e paradigma vincente sulla scomparsa dello Stato per i
marxisti. Ebbene, la norma costituzionale non rappresenta una norma di chiusura rispetto
2003, 816 con note di F.D.Busnelli, di G.Ponzanelli e di A.Procida Mirabelli di Lauro; in Resp. civ. e prev.
2003, 675 con note di Cendon, di Bargelli e di Ziviz; in Nuova giur. civ. commentata 2004, I. 5, 232 con
nota di Scarpello. Cfr. anche Cassazione civile , sez. III, 12 maggio 2003, n. 7283 in Giur. it. 2004, 1130
con nota di Bona; Cassazione civile , sez. III, 12 maggio 2003, n. 7282 in Giust. civ. 2003, I, 2063 con nota
di Campione; in Studium Juris 2003, 1382; Cassazione civile , sez. III, 12 maggio 2003, n. 7281 in Foro it.
2003, I,2274 con nota di Navarretta; in Assicurazioni 2003, II, 87; in MGI 2003.
90
Cfr. A.Riccio, Verso l‟atipicita‟ del danno non patrimoniale: il mancato rispetto dei vincoli derivanti
dalla Convenzione europea dei diritti dell‟uomo solleva una nuova questione di costituzionalita‟
dell‟art.2059 c.c.? in Contratto e impresa 2009, 277ss
91
Inviolabile, per espressa statuizione, e‟ la liberta‟ personale ex art.13 Cost.; lo e‟ il domicilio ex art.14
Cost.; la liberta‟ e la segretezza della corrispondenza ex art.15 Cost.
24
ai diritti ed alle liberta‟ costituzionalmente rilevanti ed inviolabili, ma norma di apertura,
valvola con cui quel testo si apre non sul passato ed alla cultura giustnaturalistica, rectius
non solo a quelli ma anche alla realta‟ con il suo dinamismo incessante92. Il che impone
allora di individuare nell‟uomo e nella sua essenza (di cui le liberta‟ costituzionali
offrono alcune sfaccettature) le coordinate utili ad individuare detti diritti. Si scopre
allora la valenza fondamentale di quelle prerogative che consentano l‟affermazione della
identita‟ biologica e sociale della persona colta non solo nella sua fisicita‟ ma anche nella
sua dignita‟ umana. Non a caso la Carta europea dei diritti fondamentali dell‟Unione
Europea ha il suo incipit nell‟affermazione che la dignita‟ umana e‟ inviolabile e deve
essere rispettata e tutelata. Dignita‟ della persona anche in quanto lavoratore chiamato a
svolgere, secondo le proprie possibilita‟ e la propria scelta, un‟attivita‟ o una funzione
che concorra al progresso materiale o spirituale della societa‟ [art.4 Cost.]. Soluzione
questa che poi non vale, a ben vedere, a risolvere il nodo problematico relativo alla
ricerca di un senso alla pacifica affermazione della risarcibilita‟ del danno non
patrimoniale subito dal lavoratore subordinato a seguito di un subito demansionamento.
Perche‟ e‟ l‟individuazione della dignita‟ quale valore infine leso in caso di
demansionamento ed in generale quale profilo capace di connotare in termini di
inviolabilita‟ un interesse soggettivo si‟ da imporne una tutela a tutto campo e quindi dal
piano patrimoniale a quello non patrimoniale che risulta affatto sicura. Infatti, affidare a
detto criterio la funzione di giustificare la tutela dell‟interesse morale del lavoratore
subordinato a non vedersi demansionato postula la costruzione di una gradualita‟ della
valutazione in termini di dignita‟ delle singole mansioni. E‟ appunto l‟idea di poter
ipotizzare che l‟ordinamento giuridico consenta lavori non dignitosi e che la dignita‟ non
sia concetto intrinseco a quello di lavoro che appare affermazione incerta. Salvo poi non
ritenere che la violazione della dignita‟ non sia correlata allo svolgimento di una qualsiasi
prestazione lavorativa, ne‟ di una qualunque mansione inferiore (per inquadramento se
non per contenuto e visibilita‟) rispetto a quella per la quale si e‟ stato assunto; ma
piuttosto la violazione della dignita‟ stia nel declassamento (e quindi nell‟essere oggetto
di una siffatta azione del datore di lavoro) e che nulla toglie alla pari dignita‟ delle
mansioni comunque espletate. Anche se poi, considerata l‟esigenza del resto avvertita
dalla Suprema Corte, di limitare il range di operativita‟ della copertura risarcitoria degli
interessi non patrimoniali, ci si dovrebbe interrogare se l‟affermazione dell‟ammissibilita‟
tout court di una siffatta protezione in tema di demansionamento sia condivisibile. Che e‟
quanto si deve verificare a prescindere dall‟esigenza di prova del danno subito, operando
una siffatta valutazione sul piano (preliminare a quello probatorio e di valenza
sistematica) in merito all‟emergenza di un interesse inviolabile suscettibile di una cosi‟
intensa protezione. Cio‟del resto traspare da quella giurisprudenza che, in materia di
pubblico impiego ad esempio (ma grazie al dettato dell‟art.52 del dlgs. 30.3.01 n.165),
evidenzia come per i dirigenti generali sussistano incarichi che possono essere piu‟ ambiti
di altri, anche dal punto di vista economico; ma che cio‟ tuttavia non significa che un
dirigente generale, gia‟ titolare di un incarico, vanti un diritto all‟assegnazione per il
futuro esclusivamente di incarichi idonei a preservare un trattamento
92
Cfr. A.Barbera, Sub Art. 2, in C.Mortati, A.Barbera; A.S.Agro‟, U.Romagnoli, G.F.Mancini, G.Berti,
A.Pizzorusso, F. Finocchiaro, F.Merusi, F.Cassese, Principi Fondamentali. Artt.1-12, in Commentario della
Costituzione Italiana, a cura di G.Branca, , Bologna-Roma, 1975, Pp. 50ss
25
economico/giuridico omnicomprensivo di livello identico o superiore a quello in
godimento, pena il demansionamento.
Del resto il costante svolgimento di incarichi operativi non determina l‟insorgenza di un
diritto del dirigente a vedersi conferiti esclusivamente incarichi di tal genere, tanto piu‟
qualora si consideri che l‟espletamento di incarichi operativi e quindi l‟esperienza per tal
via acquisita puo‟ essere utile nello svolgimento di compiti di studio93 Ed ancora quella
giurisprudenza che ha escluso il demansionamento, quale fatto duraturo e foriero di
perdita di professionalita‟, in caso di assegnazione provvisoria a mansioni inferiori94.
Tanto, almeno cosi‟ pare, vale ad evidenziare come non sia il demansionamento di per se‟
condotta in astratto capace di compromettere valori inviolabili del datore di lavoro,
dipendendo ogni valutazione anche dal quomodo della condotta del datore, senza per cio‟
solo dover indagare in merito al profilo soggettivo che connota la condotta del datore.
Tuttavia, sfogliando le pronunzie della Suprema Corte si avverte come, in materia
lavoristica ed almeno in tema di demansionamento, si ponga piu‟ un problema di gravita‟
dell‟offesa o almeno di prova del danno che di esistenza e quindi di selezione di un
interesse non patrimoniale risarcibile, quasi che qualsiasi interesse del lavoratore, in
quanto supportato da copertura costituzionale (richiamando per tal via la soluzione
suggerita dalle Sezioni unite nel 2003), sarebbe in astratto suscettibile di tutela
risarcitoria. Si afferma cosi‟ in generale come nella disciplina del rapporto di lavoro, ove
numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il
riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale (art.32 e 37 Cost), il danno non
patrimoniale e‟ configurabile qualora la condotta illecita del datore di lavoro abbia
determinato una violazione, in modo grave, dei diritti della persona del lavoratore,
concretizzando un vulnus ad interessi oggetto di copertura costituzionale. Si sottolinea,
tuttavia, che gli interessi costituzionalmente rilevanti, non risultando regolati ex ante da
norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria devono essere individuati dal
giudice di merito, con approccio casistico; giudice chiamato poi, onde evitare
duplicazioni di risarcimento con attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, a
discriminare i meri pregiudizi che si siano concretizzati in disagi o lesioni di interessi
(privi di qualsiasi consistenza e gravita‟ e come tali non risarcibili) dai danni che devono
essere risarciti95. E si afferma ancora che in materia di demansionamento il
riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che il
lavoratore allega di avere subito non ricorre automaticamente in tutti i casi di
inadempimento del datore di lavoro96.
Al secondo quesito, invece, deve rispondersi che l‟inviolabilita‟ e‟ riferita non
genericamente a chiunque ne‟ alla controparte contrattuale (verrebbe meno altrimenti la
portata selezionatrice dell‟attributo, considerato che la pretesa al risarcimento del danno
contrattuale segue l‟emergenza di un inadempimento e quindi di una violazione di un
obbligo) ma allo stesso portatore di interessi pubblici, salvo poi che l‟azione in cui si
traduca detta pretesa violazione rifletta l‟esigenza di protezione di un altro diritto
fondamentale. Inviolabilita‟ quindi come intangibilita‟97 della essenza uomo e quindi
93
Tar Lazio Roma, sez. I, 5.5.09, n.4554 in Foro amm. TAR 2009, 5 1422
Cass. Civ., sez. Lav. 7.10.08 n.24738 in Lav. nella P.A. 2008, 5, 885; ivi 2008, VI, 1093 con nota di
Ferretti
95
Cass. Civ., sez. lav., 12.5.09 n.10864, in Red. Giust. Civ. Mass. 2009, 5.
96
Cass. Civ., sez. lav. 19.12.08 n. 29832 in Giust. Civ. Mass. 2008, 12, 1815
97
A. Baldassarre, Diritti inviolabili, in Enc. Giur. Treccani, XI, Roma 1989, 29
94
26
della sua dignita‟ e della sua pretesa naturale allo sviluppo della propria personalita‟e che
pertanto si sottrae a elencazioni aprioristiche pretendendo semmai una verifica sul
campo98. Che e‟ quanto vale ad evidenziare come la categoria consenta di tracciare, con i
suoi confini fluidi, una tutela attuale ed un progetto di tutela della persona in una societa‟
in continua evoluzione in cui il quomodo di aggressione varia e viene costantemente
raffinato e che comunque esprime un pluralismo di interessi che impone la necessita‟, ove
possibile, di una coesistenza tollerata. Non a caso si e‟ affermato che lo scarto tra
personalita‟ e patrimonialita‟ non e‟ tanto di natura ma di grado99; del resto “in un
contesto nel quale manca il filtro oggettivo del mercato e nel quale domina la sensibilita‟
soggettiva, l‟accertamento di una minima serieta‟ dell‟offesa e‟ garanzia di una oggettiva
rilevanza del danno e consente di escludere quei pregiudizi bagatellari e idiosincrasici
che, anziche‟ tutelare la persona, assecondano l‟intolleranza a scapito del pluralismo dei
diritti”100.
Invero quello della inviolabilita‟ del diritto costituisce un criterio che nella
giurisprudenza di legittimita‟ successiva alla sentenze delle Sezioni unite del novembre
2008 sembra, al di la‟ del richiamo formale, recessivo tanto da affermarsi tutela di diritti
anche affatto fondamentali della persona101.
Del resto se si volesse sovrapporre la nozione di inviolabilita‟ su quella di
indisponibilita‟, ci si dovrebbe interrogare in merito alla astratta possibilita‟ di un danno
non patrimoniale da demansionamento, li‟ dove la materia delle mansioni e‟ comunque e
sia pure in parte rimessa alla disponibilita‟ delle parti contrattuali, apparendo ipotizzabile
un patto di demansionamento.
7.In materia di demansionamento, il lavoratore subordinato puo‟ reagire in sede
giudiziaria al potere direttivo esercitato di cui lamenti l‟illegittimita‟ dovendo all‟uopo
prospettare all‟autorita‟ giudiziaria adita circostanze di fatto funzionali a dare fondamento
alla denunzia e quindi con un onere di allegazione di elementi di fatto significativi
dell‟illegittimo esercizio. Dal canto suo, il datore di lavoro, convenuto in giudizio, e‟
tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica
contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda avversaria,
potendo altresi‟ allegarne altri, indicativi per converso del legittimo esercizio del potere
direttivo. E‟ quanto hanno affermato le Sezioni Unite della Suprema Corte, confermando
la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto l‟infondatezza della domanda del
lavoratore per la carenza di qualsiasi allegazione in merito alla natura demansionante dei
compiti lavorativi afferenti allo specifico incarico102.
Peraltro, il lavoratore che chiede di essere risarcito per avere subito un demansionamento
o una dequalificazione deve quindi allegare e provare di aver subito realmente le
98
R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano
1992, 32; E.Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino 1996, 71ss: Ead, Il danno alla
persona tra solidarieta‟ e tolleranza, in Resp civ. prev. 2001, 801ss
99
G.Resta, Autonomia privata e diritti della personalita‟, Napoli 2005, 102
100
E.Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessita‟ dei danni non patrimoniali, in
Resp. Civ. e prev. 2009, 1
101
Cass. 15.10.09 n.21925, in I Contratti 2010, 479 in tema di danno non patrimoniale consequenziale alla
violazione del dovere di informazione del mediatore con perdita della possibilita‟ di acquistare un
immobile
102
Cass. Civ., SS.UU., 6.3.09 n.5454 in Giust civ. Mass. 2009
27
conseguenze pregiudizievoli denunziate103. Li‟ dove l‟allegazione evita la nullita‟, la
prova la certezza o quasi104 del rigetto nel merito.
La Corte Suprema ha evidenziato come, per aversi nullità del ricorso introduttivo del
giudizio di primo grado per mancata determinazione dell‟oggetto della domanda o per
mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono
il fondamento, non è sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente
indicato, ma è necessario che ne sia impossibile l‟individuazione attraverso l‟esame
complessivo dell‟atto e della documentazione allegata105.
Infatti, il processo del lavoro pretende che nella fase introduttiva del giudizio i fatti di
causa siano esposti in modo chiaro e specifico, sì da consentire, da una parte, al giudice
di avere una compiuta conoscenza del thema decidendum e, dall‟altra, al resistente di
svolgere tutte le sue eccezioni o difese. Pertanto, la mancata o insufficiente esposizione
delle circostanze (art. 414 n.4 c.p.c.) sulle quali si fonda la domanda determina la nullità
del ricorso per inidoneità dell‟atto a raggiungere gli scopi sopra individuati. D‟altra parte
l‟autorità giudiziaria adita non può, nel rispetto del principio di imparzialità e di tutela del
contraddittorio, sanare detta invalidità, ricercando nell‟esercizio del proprio potere di
ricerca della verità l‟oggetto della lite.
Nè varrebbe a coonestare un assunto diverso il contenuto della documentazione prodotta
il cui esame, operando nella fase di assunzione probatoria, sottintende l‟esito positivo del
vaglio di validità del ricorso. Appare opportuno sul punto alcune rapide considerazioni.
Infatti, la Corte Suprema, intervenendo sul finire degli anni „90 su un indirizzo
giurisprudenziale che appariva viceversa consolidato, ha evidenziato come, secondo la
regola prevista dall‟art.414, n.4, cpc, i fatti su cui il ricorrente fonda le sue pretese
debbano essere specificamente indicati, non potendo a tale obbligo supplire una
produzione documentale che presuppone invece la preventiva estrinsecazione del fatto106.
Infatti, se nel rito del lavoro, il ricorso privo dell'esatta determinazione dell'oggetto della
domanda o dell'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto è, come si è detto, affetto
da nullità ai sensi degli art. 414, 164 e 156 c.p.c., sempre che non si tratti di un'omissione
formale, ma si verifichi la sostanziale impossibilità di individuare i suddetti elementi
attraverso l'esame complessivo dell'atto; tale nullità tuttavia opera pregiudizialmente,
dovendo essere dichiarata prima di ogni valutazione di merito anche nell'ipotesi di
costituzione del convenuto, senza che, ai fini dell'integrazione del ricorso, possa essere
utilizzata la documentazione allegata allo stesso ma non offerta in comunicazione, e
senza che, nella valutazione in ordine alla completezza del ricorso, possa attribuirsi
rilievo alla natura ed organizzazione della parte convenuta in giudizio, posto che ciascun
convenuto, allo stesso modo, deve poter fruire di tutti gli elementi che consentano di
individuare la pretesa in modo certo in base a quanto risulta dalla domanda giudiziale, e
ciò specie nel rito del lavoro, nel quale incombe sullo stesso convenuto, ai sensi dell'art.
103
Cass. Civ. sez. lav. 22.7.09 n.17101, in Diritto & Giustizia 2009
Potendosi in astratto ipotizzare che sia il convenuto ad offrire elementi probatori atti a supportare le
allegazioni del lavoratore.
105
Cassazione civile, sez. lav., 25 luglio 2001, n. 10154 in Giust. civ. Mass. 2001, 1463, ma sul rilievo
della produzione documentale in funzione del giudizio di validita‟ del ricorso, cfr. infra nel testo
106
Cass. Civ., sez. lav., 13.12.99 n.13984 in Giust. civ. Mass. 1999, 2517
104
28
416, comma 3, c.p.c., l'onere di contestare specificamente i fatti costitutivi della
domanda107.
Infatti, l‟esigenza di puntuale allegazione va di pari passo con quanto statuito dal III
comma dell‟art.416 cpc che pone a carico del convenuto un onere di contestazione dal
contenuto variabile.
Infatti, in ordine ai fatti affermati dall‟attore a fondamento della domanda il convenuto è
tenuto a prendere posizione in maniera puntuale, senza limitarsi ad una generica
contestazione. Viene per tal via adombrato l‟istituto, di matrice giurisprudenziale, della
cosiddetta non contestazione ed i cui confini di operatività sono rappresentati,
evidentemente dalle difese in fatto e non da quelle in diritto.
Soluzione questa accentuata del resto dalla riforma del codice di rito del 2009108 che ha
sottolineato la esigenza di una specifica e puntuale contestazione da parte del soggetto
convenuto tipizzando per tal via il principio di non contestazione.
La qualificazione giuridica dei fatti e quindi la corretta applicazione della legge prescinde
dalla valutazione giuridica che dei fatti venga offerta dalle parti; viceversa l‟accertamento
dei fatti è rimessa alla disponibilità delle parti la cui inerzia può assumere un significativo
rilievo giuridico. Pertanto, per i fatti costitutivi del diritto, allegati dal ricorrente e non
contestati da parte del resistente, viene ad operare un meccanismo vincolante l‟attività del
giudice chiamato ad astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato.
Effetto questo che si verifica, peraltro, non in virtù dell‟art.416 c.p.c. nel cui III comma
non si prevede alcuna decadenza, quanto piuttosto in virtù dell‟art.115 cpc e dell‟art.420,
I co., cpc in relazione alla modifica delle domande, eccezioni e conclusioni già formulate.
Una volta superata detta fase, si determina la preclusione della non contestabilità tardiva
dei fatti costitutivi del diritto. Siffatto meccanismo, tuttavia, non si può ritenere invece
operante per quanto concerna i fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria (ossia fatti
dedotti in quanto idonei a provare, sia pure indirettamente, altri fatti costitutivi del diritto
azionato). In siffatta evenienza, la mancata contestazione tempestiva vale quale mero
argomento di prova, liberamente apprezzabile dal giudice al fine del giudizio di
sussistenza del fatto da provare. Soluzione questa che non vale a minare il diritto di difesa
garantito al ricorrente e che costituisce semmai mera tecnica difensiva del resistente.
Il principio di non contestazione non può del resto qualificarsi universale, infatti:
a) nei processi relativi a diritti indisponibili, il sistema normativo sottrae alle parti la
possibilità di disporne anche con comportamenti processuali (si pensi ad esempio
all‟art.2733 cpv c.c. che disconosce valenza di prova legale alla confessione resa su fatti
relativi a diritti indisponibili; ed ancora all‟art.2739, I comma, c.c.), non potendo il
soggetto conseguire tramite sentenza quanto non potrebbe conseguire nell‟esercizio
dell‟autonomia privata. In siffatte ipotesi, il contegno omissivo (non contestazione) rileva
107
Cass. civ., sez.lav., 18.10.2002, n.14817 in Giust. civ. Mass. 2002, 1822; Cass. civ., sez.lav., 1.7.1999,
n.6714, in Giust. civ. Mass. 1999, 1527
108
Legge 18 giugno 2009, n. 69 [Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività nonché in materia di processo civile] il cui art. 45 ha modificato l‟art.115 del codice di rito
nei seguenti termini: “«Art. 115. - (Disponibilità delle prove). - Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice
deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i
fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.
Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che
rientrano nella comune esperienza»”.
29
quale contegno processuale e quindi quale fatto secondario da cui il giudice può
desumere l‟esistenza del fatto ignoto mentre il comportamento positivo (ammissione)
costituisce dichiarazione di scienza rimessa, a differenza della confessione, al prudente
apprezzamento del giudice;
b) in relazione ai contratti per i quali è richiesta la forma ad substantiam, il giudice deve
rilevare ex art.1421 c.c. la nullità di un contratto concluso in violazione dell‟art.1350 c.c.,
essendo vietato provare con testi siffatti contratti salva l‟ipotesi di perdita incolpevole del
documento da parte del contraente;
c)non e‟ operativo nei processi in cui sia intervenuto il P.m. ovvero si registri comunque
l‟intervento (volontario o coatto) di un terzo che sia titolare di un diritto dipendente
oppure contitolare dello stesso diritto od obbligo oggetto del processo; in siffatta
evenienza alla non contestazione anche del terzo o del Pm deve riconoscersi speciale
inferenza probatoria;
d) ne‟ opera nei processi contumaciali in considerazione della neutralità del
comportamento di chi scelga di rimanere contumace.
Cio‟ detto, ricostruito per tal via il nesso probatorio che lega l‟esigenza di specificita‟
dell‟allegazione dei fatti costitutivi della domanda con la necessita‟ di una contestazione
puntuale degli stessi, si tratta di verificare la inevitabilita‟ di una dichiarazione di nullita‟
del ricorso che difetti di una siffatta allegazione.
Che la nullita‟ sia suscettibile di sanatoria e‟ questione apparentemente risolta dalle
Sezioni Unite della Cassazione.
In materia, in passato in dottrina e giurisprudenza si sono confrontati indirizzi diversi per
premesse giuridiche e soluzioni infine elaborate.
Accanto a chi ha ritenuto l‟applicabilità dell‟art.164 cpc, sul presupposto di una
compatibilità con il processo del lavoro, si è posto chi ha indicato la necessità di
distinguere tra nullità attinente alla vocatio actionis e quella relativa all‟editio actionis e
chi ancora ha ritenuto l‟insanabilità della nullità de qua, anche in considerazione del
meccanismo delle preclusioni che pregiudica la possibilità di una successiva integrazione
della domanda, salvo l‟emergenza di gravi motivi.
Sul punto si e‟ registrato, infine, l‟intervento delle Sezioni Unite della Corte Suprema109
secondo cui la nullità per mancata specificazione degli elementi di fatto e di diritto posti a
base della domanda deve ritenersi sanabile alla stregua del V comma dell‟art.164 cpc. Ha
pertanto affermato la Corte di legittimità che la mancata fissazione –alla stregua del già
citato art.164, comma V, cpc- di un termine perentorio da parte del giudice per la
rinnovazione del ricorso o per l‟integrazione della domanda- e la non tempestiva
eccezione da parte del convenuto ex art.157 cpc del vizio dell‟atto- comprovano
l‟avvenuta sanatoria della nullità del ricorso ex art.414 cpc dovendosi ritenere –stante
109
Cassazione civile , sez. un., 17 giugno 2004, n. 11353 in Foro it. 2005, I,1135 con nota di Fabiani; in
Riv. giur. lav. 2005, II, 95 con nota di Fabbri, in Giust. civ. Mass. 2004, 6; in Orient. giur. lav. 2004, I,
755; in Giust. civ. 2005, 1 I, 161; ma cfr. Cassazione civile , sez. lav., 05 febbraio 2008, n. 2732, in Giust.
civ. Mass. 2008, 2 158 secondo cui “Nel rito del lavoro la verifica degli elementi essenziali del ricorso
introduttivo costituisce indagine pregiudiziale rispetto alla decisione sul merito, cui inerisce anche la
valutazione delle prove. Ne consegue che, ove il ricorso sia privo dell'esatta determinazione dell'oggetto
della domanda o dell'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto, il ricorso stesso è affetto da nullità
insanabile che il giudice è tenuto a dichiarare preliminarmente senza possibilità di scendere all'esame del
merito, neppure per respingere la domanda perché non provata.”.
30
l‟applicabilità al processo del lavoro dell‟art.156, comma 2, cpc- che l‟atto introduttivo
della lite abbia conseguito il suo scopo110.
La Corte pertanto per un verso impone al giudice l‟applicazione dell‟art.164 cpc e per
l‟altro lo chiama a valutare nella singola fattispecie, la funzionalità dell‟atto introduttivo
rispetto allo scopo processuale cui risulta preordinato, individuando all‟uopo quali
elementi significativi il mancato rilievo della nullità ed il silenzio del convenuto.
In effetti, la costituzione del convenuto non è di per se‟ sufficiente a sanare la nullità
relativa alla editio actionis, non potendosi affidare a quest‟ultimo un ruolo che spetta
esclusivamente alla parte attrice; la sanatoria, infatti, deve discendere esclusivamente da
un‟attività propria di parte ricorrente la sola che possa, del resto, individuare le
circostanze che sono avvenute e cui ritiene di attribuire valore causale rispetto al petitum
dedotto in ricorso.
Né deve ritenersi che il rilievo della suddetta nullità sia condizionato alla proposizione di
una eccezione da parte convenuta, alla luce del tenore letterale della norma.
Al giudice adito spetta invero comunque nell‟udienza ex art.420 cpc rilevare detta nullità,
siccome del resto agilmente desumibile dal dettato codicistico.
Peraltro, successivamente alla pronunzia delle Sezioni unite sono intervenute alcune, a
sezioni semplici, da cui sembrerebbe ricavarsi, se non un orientamento di segno opposto
e peraltro testualmente escluso, almeno la puntualizzazione dei confini di operatività
della sanatoria della nullità del ricorso111.
Comunque, la sanatoria dei vizi dell‟editio actionis non ha efficacia retroattiva;
irretroattività che riflette del resto l‟impossibilità per un ricorso viziato di produrre effetti
processuali e sostanziali, pena altrimenti l‟introduzione di un modello processuale che
consenta all‟attore di prenotare i suddetti effetti, con la riserva di rinviare ad altro
momento la individuazione degli elementi di fatto e di diritto dagli stessi sottesi.
Conseguentemente sopravvivono a detta sanatoria le decadenze che concernono poteri o
situazioni processuali come pure poteri e diritti sostanziali.
La sanatoria dei suddetti vizi fa, pertanto, salvi soltanto l‟iscrizione a ruolo, la formazione
del fascicolo di ufficio e la nomina del giudice istruttore.
Superato indenne il giudizio di validita‟ del ricorso introduttivo, occorre valutare
l‟impianto probatorio offerto da parte del lavoratore subordinato che lamenti un
dimensionamento.
110
Cassazione civile , sez. lav., 25 febbraio 2009, n. 4557in Giust. civ. Mass. 2009, 2 310.
Cfr. Cass. Civ., sez. Lav., 27.5.08 n.13825, Ced. La Corte, in particolare, ha osservato quanto segue:
“Ed invero con tale decisione, le cui statuizioni sono state più volte ribadite dalla giurisprudenza di
legittimità (cfr. tra le tante: Cass. 16 gennaio 2007 n.820; Cass. 17 marzo 2005 n.5879; Cass. 23 dicembre
2004 n.23929), la nullità derivante dalla violazione del disposto dell‟art.414 c.p.c. si è ritenuta sanabile alla
duplice condizione che il convenuto non abbia eccepito la detta nullità e che il giudice non l‟abbia rilevata
nell‟udienza ex art.420 c.p.c., con la fissazione di un termine per la rinnovazione del ricorso (o per la
integrazione della domanda), ma nello stesso tempo si è anche precisato in maniera chiara che tale
sanabilità non opera allorquando, come nel caso in esame, gli elementi di fatto e di diritto posti a base della
domanda <<non siano individuabili neanche attraverso un esame complessivo del ricorso e della
documentazione allegata>>. Ed invero, in presenza di tali evenienze spetta al giudice –anche per non
diluire nel tempo un giudizio in cui, mancando ogni identificazione del thema decidendum una sua
prosecuzione si presenterebbe priva di giustificazione– il potere-dovere di rilevare con immediatezza tale
nullità in ossequio alla regola della ragionevole durata del processo (art.11, comma 2, Cost.), che
costituisce un parametro per valutare la compatibilità con il dettato costituzionale delle single norme
processuali o, quanto meno, per patrocinarne una interpretazione costituzionalmente orientata”.
111
31
In particolare, l‟onere della prova dei danni subiti a seguito di dequalificazione e‟ a carico
del dipendente.
La necessita‟ di una allegazione dell‟esistenza del pregiudizio e delle sue caratteristiche e
la prova del danno e del nesso di causalita‟ rispetto all‟inadempimento discende
dall‟improponibilita‟ del risarcimento quale sanzione civile punitiva, categoria di per se‟
estranea al sistema risarcitorio codicistico e che viceversa si delineerebbe se si
riconoscesse il risarcimento del danno in conseguenza della prova del solo
inadempimento, cosiddetta liquidazione equitativa in re ipsa112.
Il dipendente deve quindi provare non solo il danno subito a seguito della
dequalificazione, ma anche il nesso causale tra il demansionamento ed il danno. Pertanto,
il lavoratore che lamenti ad esempio una sindrome depressiva dovuta alla frustrazione da
demansionamento deve provare mediante idonea documentazione medica la
riconducibilita‟ della patologia riscontrata alla situazione di disagio lavorativo in base ad
un ragionevole criterio di probabilita‟ scientifica e non in termini di mera possibilita‟113.
Il lavoratore deve quindi fornire la prova ed all‟uopo puo‟ ricorrere anche alla prova per
presunzioni114, per tal via sollecitando il giudice ad una valutazione complessiva di tutti
gli elementi dedotti, in quanto solo in questo modo puo‟ risalirsi al fatto ignoto
rappresentato dall‟esistenza del danno. Presunzioni115 che si fondono su circostanze che,
puntualmente e nella fattispecie in concreto e non in astratto, siano atte a descrivere la
durata, la gravita‟, la conoscibilita‟ all‟interno e all‟esterno del luogo di lavoro della
operata dequalificazione, la frustrazione di precise e ragionevoli aspettative di
progressione professionale, eventuali reazioni in essere nei confronti del datore di lavoro
capaci di comprovare la avvenuta compromissione dell‟interesse relazionale, gli effetti
negativi riflessi sulle abitudini di vita del soggetto116. E quindi gli elementi presuntivi
possono essere integrati da circostanze relative alla durata, natura, entita‟ e modalita‟ del
demansionamento: elementi questi che rilevano non solo in funzione della
quantificazione del danno, ma a monte per il suo riconoscimento117. Danno poi da
liquidarsi eventualmente in via equitativa, all‟esito di un processo logico-giuridico di
valutazione degli elementi di fatto relativi alla qualita‟ e quantita‟ della esperienza
lavorativa pregressa, del tipo di professionalita‟ colpita, della durata del
demansionamento, dell‟esito finale della dequalificazione e delle altre circostanza del
caso concreto118. E cosi‟ in un caso in cui un dirigente pubblico era stata costretto alla
inoperosita‟ dal 1999 al 2001, la Suprema Corte ha confermato la pronunzia di merito che
aveva liquidato equitativamente il danno in considerazione della perdita dei compensi
collegati all‟espletamento degli incarichi che sarebbero stati altrimenti assunti e
112
Cass. Civ., sez. lav., 8.10.07 n.21025 in Guida al dir. 2007, 46, 76
Cass. Civ., sez. lav., 5.2.08 n.2727, in Diritto &Giustizia 2008
114
Cass. Civ., sez. lav. 19.12.08 n.29832 in Giust. Civ. Mass. 2008, 12, 1815; cfr. anche Cass. 24.3.06
n.6572 in Riv. It. Dir. Lav. 2006, II, 687 con nota di Scognamiglio, Le Sezioni Unite sull‟allegazione e la
prova dei danni cagionati da demansionamento e dequalificazione.
115
Cfr. G.Frezza, La prova per presunzioni del danno non patrimoniale, in G.Giacobbe (a cura di), Scritti
in memoria di Vittorio Sgroi, Milano 2008, pp.265ss
116
C.Conti reg. Lombardia, sez. giurisd., 29.12.08 n.991, in Riv. Corte dei Conti 2008, 6, 121
117
Cass. Civ., sez. lav. 22.7.09 n.17101, in Diritto &Giustizia 2009.
118
Cass. Civ., sez. lav., 26.2.09 n.4652, in Giust. Civ. Mass. 2009, 2, 321
113
32
dell‟impossibilita‟ di acquisire, per un periodo temporale congruo, una esperienza
professionale nella qualifica dirigenziale119.
119
Cass. Civ., sez. lav., 26.11.08 n.28274, in Giust. Civ. Mass. 2008, 11, 1696