21 Nascita e vocazione di Mosè, il «liberatore» L’«esodo» non è solo la grande epopea di un popolo liberato dalla schiavitù, ma è anche la storia di un uomo, Mosè, «salvato dalle acque». È con lui che la storia della salvezza viene ri­lanciata. Figlio di Abramo, Isacco e Giacobbe ma «istruito in tutta la sapienza degli egiziani» (cf Atti 7), accoglierà la sua vocazione sul monte è condurrà il suo popolo al pasaggio del mare.. L a figura più interessante dell’Antico Testamento è forse quella del legislatore-profeta vissuto più di tremila anni or sono. Michelangelo ci ha offerto, scolpita nel marmo, l’immagine indimenticabile di un uomo vigoroso, quasi gigantesco, con una lunga chioma e la barba folta, un’ampia fronte da pensatore, uno sguardo penetrante da stratega e il naso aquilino di un uomo pronto ad affrontare qualsiasi difficoltà per sostenere una causa giusta. Mosè è pastore, profeta, capo e legislatore, profondo conoscitore dell’uomo e soprattutto amico di Dio. Dio lo salva dalla legge che condanna a morte tutti i bambini ebrei che nascono in Egitto. La sua infanzia e la sua adolescenza trascorrono alla corte del faraone. Davanti a lui si profila un avvenire brillante e sicuro. Ma Dio, che lo destina a una grande missione, lo preserva dalle ambizioni e dagli intrighi della vita di corte ispirandogli un chiaro e profondo senso della giustizia e della solidarietà, per difendere le quali Mosè rischia il suo futuro e la sua vita. Rivelazione e missione Nella sua lotta contro l’odio e l’invidia, nella sua difesa dell’oppresso contro l’oppressore, Mosè si scontra sia con gli egiziani che con i suoi fratelli di razza. Un giorno uccide un egiziano che maltrattava un ebreo. Minacciato da un altro ebreo, decide di fuggire e si rifugia nel paese di Madian. Qui si unisce in matrimonio con la figlia di un ricco proprietario. Lontano dalla corte, dalle sue ambizioni e dai suoi intrighi, Mosè conosce la pace della campagna e si dedica all’agricoltura e alla pastorizia. Sarà questa la volontà di Dio su di lui? Ma i suoi fratelli ebrei non continuano forse ad essere sfruttati in Egitto? Mosè attraversa una profonda crisi spirituale. Da una parte ci sono sua moglie e i suoi figli, dall’altra l’ingiustizia e l’oppressione che non si cancellano dalla sua memoria. A questo punto Dio lo chiama e gli rivela il proprio nome, facendogli capire una volta per sempre che egli è vicino all’uomo per salvarlo e che lui, Mosè, non può rimanere tranquillo fra le sue greggi e i suoi raccolti, dimenticando le sue grandi qualità e il profondo amore che nutre per il suo popolo. Mosè esce da questa crisi con una fede solida e con un’idea chiara di Dio e della propria vocazione. Mosè liberatore, è la più grande figura dell’AT e insieme prefigurazione di Cristo. Figura di Gesù Per gli aspetti della sua ricca personalità, ma soprattutto per la lettura spirituale che della sua figura fu fatta dal Nuovo Testamento e dall’antica tradizione ecclesiale antica (cf. il Vangelo di Matteo, affreschi della Cappella Sistina…), Mosè è figura di Gesù, profeta, legislatore, mediatore e liberatore del nuovo popolo di Dio. Gesù è il profeta per eccellenza. È il testimone più autorevole che possa parlare di Dio. In Gesù, si realizzano gli annunci profetici di Mosè. Il Figlio di Dio diviene così legislatore della nuova alleanza, che raccoglie e porta a compimento l’eredità spirituale di Mosè. Ma Gesù esercita la sua mediazione in modo più ampio e più perfetto di Mosè, realizzando pienamente la liberazione del popolo di Dio e conducendolo alla casa del Padre, la vera terra promessa. LA BIBBIA - 107 Dal libro dell’Esodo Capitolo 1, 1-22 La schiavitù dei Figli d’Israele Questi sono i nomi dei figli d’Israele entrati in Egitto; essi vi giunsero insieme a Giacobbe, ognuno con la sua famiglia: 2 Ruben, Simeone, Levi e Giuda, 3 Ìssacar, Zàbulon e Beniamino, 4 Dan e Nèftali, Gad e Aser. 5 Tutte le persone discendenti da Giacobbe erano settanta. Giuseppe si trovava già in Egitto. 6 Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione. 7 I figli d’Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto forti, e il paese ne fu pieno. 8 Allora sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. 9 Egli disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. 10 Cerchiamo di essere avveduti nei suoi riguardi per impedire che cresca, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese». 11 Perciò vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati, per opprimerli con le loro angherie, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses. 12 Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva, ed essi furono presi da spavento di fronte agli Israeliti. 13 Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d’Israele trattandoli con durezza. 1 LE CITTÀ di PITOM E RAMSES Pitom e Ramses sono situate nella parte orientale del delta del Nilo . L’espressione tradotta con «città-deposito» è un termine militare . La XIX dinastia (sec. XIII a.C.) dovendo fortificare il Delta per far fronte alla minaccia hittita e alle rivolte in Canaan, utilizzò una mano d’opera seminomade trovata sul posto. Il clima di insicurezza politica giustifica la paura del faraone il cui nome non è citato ma che - secondo molti esegeti - dovrebbe essere Ramses II che regnerà per sessantasette anni, dal 1290 al 1224 a.C.). Questo faraone è rimasto celebre per il suo genio diplomatico, le sue capacità diplomatiche e le costruzioni grandiose tra cui il famoso tempio di Abu Simbel nella Nubia, con una facciata di trenta metri tutta scavata nella roccia. Per tutti questi lavori venivano asserviti operai tra i ceti più bassi della popolazione, ma soprattutto tra i prigionieri di guerra e tra gli schiavi. 108 - LA BIBBIA ISRAELE IN EGITTO La prima parte dell’Esodo offre sia i retroscena della partenza, sia l’effettivo inizio della stessa. Il redattore finale del libro (che scrisse forse attorno al 400 a.C.) ha raccolto insieme il lavoro delle sue fonti principali (JEP) con alcune altre tradizioni indipendenti. Per fedeltà a queste fonti e tradizioni egli ha scelto di non eliminare le ripetizioni e le contraddizioni, ma ha ottenuto, tuttavia, una certa unità che permette alla narrazione una chiara scorrevolezza. In questa prima parte della sua opera il redattore finale cerca di rispondere alle seguenti domande: quale fu la causa della sofferenza subita dagli israeliti in Egitto? quali sono le credenziali del loro capo? come rispose questo capo alla chiamata di Dio? in quali modi affrontò il faraone? quale fu il fatto decisivo che provocò l’esodo? cosa accadde quando Israele giunse al Mar Rosso? come Dio intervenne al Mar Rosso? La crescita di IsraelE Lo sfondo di questa introduzione di Esodo 1,1-7, è Genesi 46,1-4. Il brano collega il libro dell’ Esodo a quello della Genesi, indicando il passaggio dalla generazione dei padri a quella dei loro discendenti. Secondo cfr. Es 12, 40 sarebbero passati 430 anni dall’ingresso di Giacobbe in Egitto fino all’uscita del popolo con Mosè. Il passo ricapitola il passato riferendosi ai patriarchi (Isacco e Giacobbe/Israele) e anticipa il futuro, perché in Egitto Israele diventerà una grande nazione e Dio stesso lo condurrà fuori. Nello stesso tempo questo brano crea tensione e solleva un problema: cosa accadrà al popolo di Dio quando lascerà l’Egitto? E come questo piccolo gruppo diventerà una grande nazione? La fonte di questi primi sette versetti è quella sacerdotale con l’uso di liste e genealogie; inoltre le espressioni del v. 7 riflettono il vocabolario di P («prolificarono… numerosi… il paese ne fu pieno»): si tratta del compimento dell’ordine dato in Gn 1,28: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra». Resero loro amara la vita mediante una dura schiavitù, costringendoli a preparare l’argilla e a fabbricare mattoni, e ad ogni sorta di lavoro nei campi; a tutti questi lavori li obbligarono con durezza. 15 Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: 16 «Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere». 17 Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini. 18 Il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?». 19 Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità. Prima che giunga da loro la levatrice, hanno già partorito!». 20 Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. 21 E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una discendenza. 22 Allora il faraone diede quest’ordine a tutto il suo popolo: «Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà, ma lasciate vivere ogni femmina». 14 Sullo sfondo dell’esilio P intende offrire, con questo passo, una speranza e uno stimolo al popolo di Dio scoraggiato, perché questi potrebbe essere tentato di disprezzare la terra promessa e non ritornare dall’esilio. L’oppressione del popolo In Es 1,8-14 si mostra come la conseguenza del prolificare di Israele è la sua riduzione ai lavori forzati per un’attività edilizia; questa politica, però, è logica solo per lo stato egiziano autocratico, ma totalmente contraria alla tradizione di libertà propria d’Israele. Inoltre si mette in risalto la minaccia che Israele costituiva per gli egiziani e il risultato contrario ottenuto dall’oppressione messa in atto da costoro. Con il nuovo faraone, c’è una nuova politica del governo egiziano: inizia un nuovo modo di trattare i prolifici israeliti. Ma il piano degli egiziani fu controproducente: invece di limitare la popolazione, questa politica ottenne solo di incoraggiarne la crescita. LA SOPPRESSIONE (v. 20) Il riepilogo di stefano nel NT (At 7, 17-29) «Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in Egitto, finché salì al trono d’Egitto un altro re, che non conosceva Giuseppe. Questi, adoperando l’astuzia contro la nostra gente, perseguitò i nostri padri fino a costringerli a esporre i loro figli, perché non sopravvivessero. In quel tempo nacque Mosé e piacque a Dio; egli fu allevato per tre mesi nella casa paterna, poi, essendo stato esposto, lo raccolse la figlia del faraone e lo allevò come figlio. Così Mosé venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere. Quando stava per compiere i quarant’anni, gli venne l’idea di far visita ai suoi fratelli, i figli di Israele, e vedendone uno trattato ingiustamente, ne prese le difese e vendicò l’oppresso, uccidendo l’Egiziano. Egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero» I versetti 15-22 sono normalmente ritenuti un doppione di fonte E (I’autore usa ‘elohim = “Dio”, a differenza di J che preferisce Yhwh = “Signore”; inoltre il sovrano è designato come “il re d’Egitto”, mentre J lo chiama “faraone”) che mostra un altro modo per annientarei figli d’Israele. Sopra è l’oppressione tramite i lavori forzati per l’edilizia, qui I’uccisione di tutti i neonati. In questa letteratura popolare, ciò costituisce un meraviglioso scenario per mostrare come la situazione sarà risolta tramite la nascita di un eroe, descritta nel capitolo successivo. Sono presenti altri indizi di letteratura popolare : innanzitutto di fronte a un elevato tasso di nascite ci sono solo due levatrici che assistono al parto; in secondo luogo le due levatrici ebree accedonó direttamente al faraone, mentre secondo gli egiziani il sovrano era divino e perciò isolato dalla massa del popolo; infine è in armonia con lo stile del racconto popolare I’abilità delle levatrici nel mettere nel sacco il perspicace sovrano. LA BIBBIA - 109 Capitolo 2, 1-25 La storia di Mosè: dalla corte del Faraone alla terra di Madian Un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una discendente di Levi. 2 La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. 3 Ma non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese per lui un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi adagiò il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. 4 La sorella del bambino si pose a osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto. 5 Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. 6 L’aprì e vide il bambino: ecco, il piccolo piangeva. Ne ebbe compassione e disse: «È un bambino degli Ebrei». 7 La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: «Devo andare a chiamarti una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?». 8 «Va’», rispose la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. 9 La figlia del faraone le disse: «Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario». La donna prese il bambino e lo allattò. 10 Quando il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli fu per lei come un figlio e lo chiamò Mosè, di1 MOSè L’EGIZIANO L’etimologia scientifica del nome Mosè va ricercata nella lingua egiziana (vedi i nomi dei faraoni Tut-mosis, Ramses, A-mosis, per i quali si è ipotizzato il significato di «figlio di...»). Il testo biblico ne offre una di tipo popolare, accostando, per assonanza, il nome di Mosè al verbo ebraico mashah, che significa «estrarre, tirar fuori da…». Ulteriori indizi dello sfondo egiziano dei racconti su Mosè sono i nomi egiziani portati da altri membri della sua famiglia (Merari in 6,16 e Finees in 6,25) e il fatto che le figlie di Reuèl (v. 19) chiamino il nostro eroe «un Egiziano». A parte queste notizie, non ci sono altre informazioni sull’ambiente originario di Mosè; certamente l’interesse del pubblico israelita era rivolto altrove. 110 - LA BIBBIA LA NASCITA DELL’EROE È una tendenza naturale il voler conoscere qualcosa della nascita e della giovinezza di un grande personaggio. Si cerca sempre di trovare dei segni straordinari che imprimano nella persona un carattere soprannaturale fin dalla nascita: per esempio, Ercole uccide un serpente mentre ancora giace nella culla; in questo modo anche l’autore sacro di fonte J in Es 2,1-10 si adegua alle aspettative del proprio pubblico e il racconto del bambino ebreo, destinato a morte sicura per volere del faraone e salvato dalla figlia stessa del faraone, sottolinea l’importanza del personaggio. Quanto al racconto della nascita di Mosé, il vicino Oriente antico offre alcune analogie. La nascita di Sargon, grande re semita che regnò nel ventiquattresimo secolo a.C., viene così descritto in una leggenda: sua madre lo pose una cesta di giunchi sigillata con bitume, che poi gettò nel fiume e da cui fu trasportato finché non ne venne estratto. Vi è anche un racconto di adozione nel quale un bambino è ritrovato e poi dato a una balia, pagata perché lo custodisca per tre anni. In seguito il bambino è adottato e istruito come uno scriba. Il racconto jahwista si è ispirato a questo racconto mitologico per evidenziare il ruolo storico di grande rilievo cui è chiamato Mosè. Il redattore del nostro testo, poi, ha scelto sapientemente di collegare questo brano con il racconto della Sandro Botticelli, «Temptatio Moisi legis scriptae latoris» (Cappella Sistina 1481-82, pag. 111). Da destra si vede Mosè che uccide l’egiziano (1) e fugge nel deserto (2); nell’episodio successivo combatte con i pastori che volevano impedire alle figlie di Ietro(3) tra cui è la sua futura moglie Sipporà, di abbeverare il gregge al pozzo e attinge per loro l’acqua(4); in alto a destra Mosè si toglie i calzari (5) poi si avvicina al roveto ardente e riceve da Dio (6) la missione di liberatore; infine in basso a sinistra, egli guida il popolo verso la Terra Promessa (7). cendo: «Io l’ho tratto dalle acque!». 11 Un giorno Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i loro lavori forzati. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. 12 Voltatosi attorno e visto che non c’era nessuno, colpì a morte l’Egiziano e lo sotterrò nella sabbia. 13 Il giorno dopo uscì di nuovo e vide due Ebrei che litigavano; disse a quello che aveva torto: «Perché percuoti il tuo fratello?». 14 Quegli rispose: «Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di potermi uccidere, come hai ucciso l’Egiziano?». Allora Mosè ebbe paura e pensò: «Certamente la cosa si è risaputa». 15 Il faraone sentì parlare di questo fatto e fece cercare Mosè per metterlo a morte. Allora Mosè fuggì lontano dal faraone e si fermò nel territorio di Madian e sedette presso un pozzo. 16 Il sacerdote di Madian aveva sette figlie. Esse vennero ad attingere acqua e riempirono gli abbeveratoi per far bere il gregge del padre. 17 Ma arrivarono alcuni pastori e le scacciarono. Allora Mosè si levò a difendere le ragazze e fece bere il loro bestiame. 18 Tornarono dal loro padre Reuèl e questi disse loro: «Come mai oggi avete fatto ritorno così in fretta?». 19 Risposero: «Un uomo, un Egiziano, ci ha liberato dalle mani dei pastori; lui stesso ha attinto per noi e ha fatto bere il gregge». 20 Quegli disse alle figlie: «Dov’è? Perché avete lasciato là quell’uomo? Chiamatelo a mangiare il nostro cibo!». 6 soppressione facendo in modo che il cattivo di turno, cioè il faraone, cada nella sua stessa trappola. Infatti chi salva il neonato è proprio la sua stessa figlia! La fuga in Madian L’episodio di di Esodo 2,11-22, di fonte jahvista, si sforza di mostrare che Mosè si interessa del proprio popolo. Egli è teso a far prefigurare o anticipare un problema che apparirà in seguito e che verrà posto dall’ebreo nel v. 14: «Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi?». Sarà proprio questo problema delle credenziali che Mosè dovrà affrontare tra breve. La fuga di Mosè in Madian prefigura o anticipa altri eventi: come Mosè deve fuggire nel deserto, così il popolo d’Israele si dirigerà verso il deserto; come Mosè incontra Dio sul monte (3,1), così il popolo d’Israele farà esperienza di Dio sul monte (19,18). Il paese di Madian prende il nome da una tribù di nomadi a est del deserto di Paran, nella penisola sinaitica. D’ora in avanti esso diventerà la patria di Mosè anche 5 2 3 7 4 1 LA BIBBIA - 111 Così Mosè accettò di abitare con quell’uomo, che gli diede in moglie la propria figlia Sipporà. 22 Ella gli partorì un figlio ed egli lo chiamò Ghersom, perché diceva: «Vivo come forestiero in terra straniera!». 21 Il gemito d’Israele Dopo molto tempo il re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. 24 Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. 25 Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero. 23 se egli si considererà sempre uno straniero tanto che il nome del suo primo figlio (v. 22) è rivelativo della condizione di Mosè: Ghersom viene da «gher» che significa «straniero». Mosè è stranero in Madian, come lo è stato in Egitto. In tradizioni posteriori questi madianiti, abitatori del deserto, diverranno gli implacabili nemici d’Israele; ma nella tradizione qui riportata, invece, i madianiti e coloro che sono collegati con Mosè (Reuel è un nome di tribù, non di persona) sono tribù imparentate con Israele. Il c. 18 mostrerà come Mosè abbia imparato molte cose pratiche dai madianiti. Si ripresenta qui una narrazione sui pozzi di cui abbiamo trovato esempi in Genesi per Rebecca e Rachele. Ora, presso il pozzo Mosè incontra una non israelita, cio Sipporà. Mosè è quindi un israelita della tribù di Levi che viene allevato come un egiziano, ma che deve fuggire da la sua patria egiziana solo per incontrare dei non israeliti e tra questi scegliere la donna con cui sposarsi. Non sono certo queste le migliori credenziali che Mosè poteva procurarsi! IL GEMITO D’ISRAELE Questa descrizione (Esodo 2, 2325) non è puramente una nota di transizione all’interno di una vicenda più vasta. Il redattore finale ha collegato l’indicazione di un lungo periodo di tempo con la condizione miserabile del popolo. Questa condizione è presentata con il linguaggio del lamento («gemettero... alzarono grida di lamento»). «Alzare grida di lamento» è l’espressione tipica di colui che è povero e sottomesso: è un grido che Dio non può ignorare. Il lamento è collegato all’Alleanza (v. 25), infatti nella teologia dell’Alleanza il problema del popolo diventa necessariamente il problema di Dio, la frustrazione del popolo diventa la frustrazione di Dio. La liberazione inizia sempre col riconoscere la situazione penosa del povero. 112 - LA BIBBIA