3- La vocazione di Mosè (Esodo 3, 1- 22)

3- La vocazione di Mosè (Esodo 3, 1- 22)
Mosè (nome egiziano, diminutivo di ThutMose, figlio del dio Thut, fatto diventare
ebraico trasformandolo in “colui che è stato tirato fuori”) ha una storia che è una
parabola.
Nasce in tempo di schiavitù: dal tempo di Giuseppe, figlio di Giacobbe, il popolo di
Israele si era stabilito in Egitto per sfuggire la carestia che imperverava in Israele;
accolti inizialmente in pace, col cambio di faraone diventano ben presto schiavi.
Il loro numero però cresce, al punto che il Faraone decise di far morire tutti i figli
maschi degli Ebrei.
Viene affidato al Nilo e salvato dalla figlia del faraone, che lo adotta e lo fa crescere
a corte.
La voce del sangue però chiama Mosè: quando vede un sorvegliante egizio
maltrattare un ebreo, interviene e lo uccide nascondendone il corpo nella sabbia.
Venuto alla luce questo delitto, Mosè fugge nel deserto, ritorna alle origini
pastorizie e nomadiche del suo popolo. Si sposa, “mette su famiglia”, ma mentre
pascola il gregge di suo suocero…
[1] Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e
condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb.
[2] L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto.
Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava.
[3] Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il
roveto non brucia?".
[4] Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse:
"Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!".
[5] Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu
stai è una terra santa!".
[6] E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe".
Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.
[7] Il Signore disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il
suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze.
[8] Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese
verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il
luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo.
[9] Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto
l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano.
[10] Ora và! Io ti mando dal faraone.
Fà uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!".
[11] Mosè disse a Dio: "Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto
gli Israeliti?".
[12] Rispose:
"Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il
popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte".
[13] Mosè disse a Dio: "Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri
padri mi ha mandato a voi.
Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?".
[14] Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!".
Poi disse: "Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi".
[15] Dio aggiunse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il
Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi.
Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di
generazione in generazione.
[16] Và! Riunisci gli anziani d'Israele e dì loro: Il Signore, Dio dei vostri padri, mi è
apparso, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, dicendo: Sono venuto a vedere voi
e ciò che vien fatto a voi in Egitto.
[17] E ho detto: Vi farò uscire dalla umiliazione dell'Egitto verso il paese del
Cananeo, dell'Hittita, dell'Amorreo, del Perizzita, dell'Eveo e del Gebuseo, verso un
paese dove scorre latte e miele.
[18] Essi ascolteranno la tua voce e tu e gli anziani d'Israele andrete dal re di Egitto e
gli riferirete: Il Signore, Dio degli Ebrei, si è presentato a noi.
Ci sia permesso di andare nel deserto a tre giorni di cammino, per fare un sacrificio al
Signore, nostro Dio.
[19] Io so che il re d'Egitto non vi permetterà di partire, se non con l'intervento di una
mano forte.
[20] Stenderò dunque la mano e colpirò l'Egitto con tutti i prodigi che opererò in
mezzo ad esso, dopo egli vi lascerà andare.
[21] Farò sì che questo popolo trovi grazia agli occhi degli Egiziani: quando partirete,
non ve ne andrete a mani vuote.
[22] Ogni donna domanderà alla sua vicina e all'inquilina della sua casa oggetti di
argento e oggetti d'oro e vesti; ne caricherete i vostri figli e le vostre figlie e
spoglierete l'Egitto".
Il roveto ardente, segno di un’afflizione che non riesce a far morire il popolo, oppure
segno dell’eternità del popolo di Israele, oppure….attira l’attenzione di Mosè.
Ora, è poco credibile che un pastore esperto porti le pecore non in un pascolo ma
sulla cima rocciosa di una montagna, ma ciò che conta è che la montagna è la
montagna di Dio, la montagna scelta da Dio per manifestarsi.
Anche al Tempo di Elia sarà il luogo di una manifestazione divina.
La voce dal Roveto chiama Mosè per nome, Mosè che, come il suo popolo, aveva
dimenticato completamente, dopo 400 anni di schiavitù e di esilio, il nome stesso di
Dio.
La voce lo chiama, lo invita a togliersi i sandali, visto che la terra che calpesta è sacra.
Un midrash, cioè un commento ebraico al testo biblico, dice che solo quando si è a
contatto con la propria miseria, col proprio dolore si può ascoltare la voce di Dio.
Quando ci si illude di essere al riparo dal dolore, invece, Dio non è più così
importante, e può essere tranquillamente sostituito con qualcosa d’altro.
Dio chiama per nome Mosè, e gli dice che ha ascoltato il grido del suo popolo, che
conosce le sue sofferenze…ora, il popolo aveva perso la memoria della fede dei padri,
non si rivolgeva più a Dio, ma Dio non ha bisogno di essere chiamato per farsi
coinvolgere.
Non ha bisogno che io gli dica come sto per saperlo…ama sentire il suono della voce
dei suoi figli, ma Lui conosce la mia vita e le mie pene, e decide di intervenire
direttamente.
Lui scende per liberare il suo popolo, per far cessare una situazione degenerata per
un popolo che ha selezionato tra tutti i popoli della terra.
Dio manda Mosè dal faraone con una semplicissima richiesta: lasciar partire il suo
popolo per fare un sacrificio nel deserto.
Dio sa benissimo che il faraone, considerato “figlio del Cielo”, non potrà mai
riconoscere l’esistenza di un altro Dio oltre a lui, quindi boccerà la richiesta.
Il conflitto diverrà molto velocemente di tipo religioso: il faraone, dio in terra, vuole
l’esclusiva anche dal popolo di Israele, cui non si vuole riconoscere la diversa identità
religiosa. Chi è Dio? Il faraone o il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe?
Ma come si chiama Dio?
Dio è un termine pagano, il femminile è “dea”, ed indica qualcosa che sta oltre le
nuvole, qualcosa che ha a che fare col tuono e col fulmine.
Non è un termine biblico: la Bibbia infatti parla di “Colui che c’è”.
Colui che è presente, Colui che si manifesta nella storia trasformandola e facendola
diventare qualcosa di diverso e nuovo.
Il termine “Yahvèh” infatti non è un nome, ma un participio, significa “Colui che è
presente”, Colui che c’è.
Un nome vero e proprio non esiste, non può esistere. Dio non dice il suo nome,
qualifica la sua identità di “colui che è presente, colui che c’è”.
Non è un nome, non dice “chi” è ma “come si comporta”.
Dio è Colui che ascolta, vede, si accorge delle sofferenze del suo popolo, senza che
alcuno lo interpelli, perché non ha bisogno di informatori; ha bisogno di persone che
si mettano al suo servizio.
E così, chiama Mosè: un ottantenne balbuziente, che aveva tentato di liberare da solo
il suo popolo uccidendo un egiziano, che aveva dovuto abbandonare tutto per
rifugiarsi in un mondo, quello della pastorizia, che apparteneva al suo popolo ma che
era stato dimenticato nel lungo tempo della schiavitù.
Dio ha le idee chiare: sa che il faraone non accetterà, sa comunque che il suo popolo
troverà sistemazione nella terra che era stata promessa ad Abramo.
Sa che sarà una battaglia dura: ma manda Mosè contro il faraone (alcuni studi fanno
coincidere la vicenda del popolo di Israele in terra di Egitto con l’invasione degli
Hyksos, gli “stranieri del nord” prima dominanti e poi resi schiavi, al tempo del
faraone Ramsete 3°, uno dei più potenti faraoni della storia egizia.
Il popolo di Israele esiste ancora, libero e sovrano, mentre la mummia di Ramsete 3°
è al Museo Egizio di Torino) per affermare la sua signoria assoluta sul suo popolo,
che non deve avere altri dei oltre a Lui.
Verranno le piaghe, verrà la morte dei primogeniti, verrà il passaggio del Mare Rosso,
verrà il dono del Decalogo e l’episodio del Vitello d’oro.
Verrà il cammino nel deserto, verranno le contestazioni ed i mormorii per l’acqua,
per il cibo, per la carne…Mosè guiderà il suo popolo, intercederà per il suo popolo
quando si macchierà di infedeltà verso Dio, ma non entrerà nella Terra promessa: la
sua fede vacillerà a Meriba, e Dio gli concederà solo di ammirarla dalla sommità del
Monte Nebo, in Giordania.
Come dire, nessuno può dirsi sicuro della salvezza finale!