Il primo uomo - Codice Edizioni

annuncio pubblicitario
ES_GIBBONS.qxd
18-02-2009
12:05
Pagina ii
Ann Gibbons
Il primo uomo
L’avventura della scoperta dei nostri antenati
Traduzione di Laura Appiani
ES_GIBBONS.qxd
18-02-2009
12:05
Pagina iv
A Bill e ai nostri discendenti: Lily, Sophia e Tom
È stato detto che l’amore per la caccia è un piacere innato nell’uomo,
il residuo di una passione istintiva.
Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo
Ann Gibbons
Il primo uomo
L’avventura della scoperta dei nostri antenati
Progetto grafico: studiofluo srl
Impaginazione: adfarmandchicas
Redazione: Alice Spano
Coordinamento produttivo: Enrico Casadei
Ann Gibbons
The First Human
The Race to Discover Our Earliest Ancestors
Copyright © 2006 by Ann Gibbons
This translation published by arrangement with
The Doubleday Broadway Publishing Group, a division of Random House, Inc.
All rights reserved
© 2009 Codice edizioni, Torino
Tutti i diritti sono riservati
ISBN 978-88-7578-126-2
ES_GIBBONS.qxd
18-02-2009
12:05
Pagina vi
Indice
IX
X
XII
XIII
XIX
Mappa: la culla dell’umanità
Le scoperte fossili del “primo uomo” anno per anno
Time line: la famiglia umana
I cacciatori di fossili
Introduzione
Parte I. Passi antichi
Capitolo 1
5
Pionieri d’Africa
Capitolo 2
27
Lo spartiacque continentale
Capitolo 3
39
Il primo antenato
Capitolo 4
51
Tracciando le discendenze
Capitolo 5
61
Lucy, il tardo antenato
Capitolo 6
71
Definire l’uomo
Capitolo 7
81
Esilio
ES_GIBBONS.qxd
18-02-2009
12:05
Pagina viii
Parte II. Il decennio della scoperta
Capitolo 8
101
La signora del lago
Capitolo 9
111
Una veduta di Afar
Capitolo 10
119
La scimmia alla radice
Capitolo 11
135
West side Story
Capitolo 12
149
Guerre di territorio
Capitolo 13
163
Sulla linea di partenza
Capitolo 14
175
Millennium Man
Capitolo 15
189
Toumaï
Parte III. La saggezza delle ossa
Capitolo 16
205
Ossa contese
Capitolo 17
217
L’habitat per l’umanità
225
229
239
245
248
Glossario
Note
Bibliografia
Ringraziamenti
Indice analitico
ES_GIBBONS.qxd
18-02-2009
12:05
Pagina xii
I cacciatori di fossili
Berhane Asfaw
Bioantropologo etiope; condirettore del Middle Awash Research
Group; direttore del Rift Valley Research Services in Etiopia.
Alain Beauvilain
Geografo francese che ha coordinato la logistica e i rilevamenti per
la Mission Paléoanthropologique Franco-Tchadienne (MPFT) nel
Ciad dal 1994 alla fine del 2002; professore associato all’Università di
Parigi X-Nanterre.
Michel Brunet
Paleontologo francese; direttore della Mission Paléoanthropologique
Franco-Tchadienne (MPFT) che scoprì Toumaï e Abel; professore all’Università di Poitiers in Francia.
Desmond Clark
Archelogo di origine inglese a capo della prima squadra dell’Università di Berkley che esplorò il Medio Awash; professore emerito a
Berkeley quando morì nel febbraio 2002.
Yves Coppens
Paleoantropologo francese che fu il coscopritore dei fossili della specie di Lucy in Etiopia, ha collaborato con Michel Brunet, Martin
Pickford e Brigitte Senut; professore al Collège de France di Parigi.
Raymond Dart
Anatomista di origine australiana che scoprì il primo fossile di un antenato dell’uomo proveniente dall’Africa, da Taung, Sudafrica, nel
1925. Morì nel 1988.
ES_GIBBONS.qxd
XIV
18-02-2009
12:05
Pagina xiv
Il primo uomo
Ahounta Djimdoumalbaye
Studente ciadano dell Università di N’Djamena che scoprì il cranio
di Toumaï il 19 luglio 2001; membro della MPFT.
Eugène Dubois
Anatomista e paleontologo olandese che scoprì i primi fossili di un
ominide, l’Uomo di Giava, nel 1890 a Giava, Indonesia. Morì nel
1940 in Olanda.
Eustace Gitonga
Artista kenyano, direttore dei Community Museums of Kenya, l’organizzazione che ottenne le autorizzazioni per Martin Pickford e
Brigitte Senut per fare ricerca nelle Tugen Hills.
Yohannes Haile-Selassie
Paleoantropologo etiope che scoprì lo scheletro parziale dell’Ardipithecus ramidus e i fossili dell’Ardipithecus kadabba nel Medio Awash in
Etiopia; membro del Middle Awash Research Group; curatore di antropologia fisica al Cleveland Museum of Natural History.
Andrew Hill
Geologo di origine britannica, direttore del Baringo Paleontological
Research Project nelle Tugen Hills in Kenya; preside del dipartimento di antropologia all’Università di Yale.
Clark Howell
Paleoantropologo americano, condirettore della spedizione nelle
valle dell’Omo in Etiopia nel 1966; professore emerito all’Università della California di Berkeley.
Donald Johanson
Paleoantropologo americano che scoprì lo scheletro di Lucy nel
1974. È il direttore dell’Institute of Human Origins presso l’Arizona
State University di Tempe.
Jon Kalb
Geologo americano, membro della prima squadra franco-americana
che esplorò Hadar nel 1971; direttore della prima squadra che trovò
fossili di un ominide nel Medio Awash; ricercatore all’Università del
Texas di Austin.
I cacciatori di fossili
XV
Louis Leakey
Pioniere antropologo e paleontologo britannico, nativo del Kenya, che si stabilì in Africa orientale come luogo per trovare gli antenati dell’uomo, coscopritore di Zinj nel 1959; direttore del
Coryndon Museum (attuale Museo Nazionale del Kenya). Morì
nel 1972.
Mary Leakey
Illustratrice di origini britanniche e paleontologa autodidatta che
trovò il cranio Zinj nel 1959 a Olduvai, Tanzania. Morì nel 1996.
Meave Leakey
Zoologa di origini gallesi la cui squadra trovò i fossili dell’Australopithecus panamensi a Kanapoi; ex direttrice della sezione paleontologia
al Museo Nazionale del Kenya.
Richard Leakey
Paleontologo kenyano, ex direttore del Museo Nazionale del Kenya; professore in visita di antropologia alla Stony Brook University
in New York.
Bryan Patterson
Paleontologo di origine britannica che scoprì i fossili di ominidi dei
primordi a metà anni Sessanta a Kanapoi e Lothagam; professore all’Università di Harvard. Morì nel 1979.
Martin Pickford
Geologo di origine britannica che scoprì i fossili del Millennium
Man nelle Tugen Hills; condirettore della Kenya Paleontology Expedition; geologo al Collège de France di Parigi.
David Pilbeam
Paleoantropologo di origine britannica la cui squadra scoprì il fossili
del Ramapithecus in Pakistan; professore di antropologia all’Università di Harvard.
Vincent Sarich
Antropologo molecolare americano; professore emerito di antropologia all’Università della California, Berkeley.
ES_GIBBONS.qxd
XVI
18-02-2009
12:05
Pagina xvi
Il primo uomo
Brigitte Senut
Paleontologa francese che scoprì i fossili del Millennium Man nelle
Tugen Hills; condirettirce della Kenya Paleontology Expedition;
professoressa al Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi.
Elwyn Simons
Biologo dei primati americano che propose il Ramapithecus come
un ominide dei primordi negli anni Sessanta; professore di bioantropologia, anatomia e zoologia alla Duke University di Durham,
North Carolina.
Gen Suwa
Paleoantropologo che scoprì il primo fossile di Ardipithecus ramidus
in Etiopia; professore associato alla University Museum, Università
di Tokyo, in Giappone.
Maurice Taieb
Geologo francese che scoprì i letti fossili di Hadar dove fu trovata
Lucy e del Medio Awash dove fu trovato l’Ardipithecus; direttore
emerito della ricerca per il laboratorio CNRS-CEREGE di Aix-en-Provence, Francia.
Alan Walker
Paleontologo di origine britannica che trovò i fossili dell’Australopithecus anamensis ad Allia Bay, Kenya; professore di antropologia alla
Pennsylvania State University.
Tim White
Paleoantropologo americano, condirettore del Middle Awash Research Group; professore all’Università della California, Berkeley.
Giday WoldeGabriel
Geologo etiope, condirettore del Middle Awash Research Group;
geologo al Los Alamos National Laboratory nel New Mexico.
Un giorno d’estate, nel luglio del 1995, Michel Brunet1 ebbe il presentimento d’essere sul punto di fare una grossa scoperta. Brunet,
misconosciuto paleontologo francese, al tempo cinquantacinquenne, si era recato a Addis Abeba per cercare la verità nelle antiche
ossa custodite nei sotterranei del Museo Nazionale d’Etiopia. Consapevole che l’accesso ai reperti non sarebbe stato affatto scontato, si
presentò lì con la sua offerta: un osso mascellare di 3,5 milioni di
anni che aveva trovato nelle sabbie mobili del deserto del Djurab nel
Ciad. Sperava di confrontarlo con i celebri fossili rinchiusi nel museo, compresi quelli dei più antichi membri della famiglia umana allora conosciuti.
Ad accoglierlo c’era Tim White, paleoantropologo quarantaquattrenne di Berkeley, che stava emergendo come miglior cacciatore di fossili della sua generazione. Col suo spirito pungente e la sua
manifesta intolleranza nei riguardi di chi non stima, White saprebbe
scoraggiare chiunque voglia accedere ai fossili trovati dalla sua squadra. In effetti, aveva respinto dei ricercatori giunti fino in Etiopia per
vedere i fossili ancora in fase di studio. Ma White riconobbe subito
in Brunet un compagno di viaggio: entrambi condividevano una
passione profonda per i fossili. Entrambi erano instancabili nel lavoro sul campo, cui ritornavano di anno in anno. Ed entrambi avevano
già rischiato la vita nella ricerca dei fossili: White aveva sofferto di
malaria, giardiasi, dissenteria, epatite e polmonite; Brunet era alle
prese con problemi cardiaci. Insomma, Brunet non era certo l’antropologo “da salotto” che voleva avere un’anteprima dei fossili che
White e suoi colleghi stavano ancora analizzando.
Non passò molto prima che White e due suoi ex studenti aprissero a Brunet le casseforti per mostrargli dei fossili che avevano la stessa età dell’osso che lui aveva portato, affinché potesse identificarlo.
Mentre studiavano le ossa e confrontavano gli appunti sui letti fossili sui quali avevano lavorato, Brunet ebbe una rivelazione: la sua
ES_GIBBONS.qxd
XVIII
18-02-2009
12:05
Pagina xviii
Il primo uomo
squadra aveva trovato nel Ciad gli stessi tipi di ossa animali che White e i suoi colleghi avevano trovato in Etiopia insieme ai fossili dei
primi antenati dell’uomo.
La cosa sembrò incoraggiante per Brunet, perché White e suoi
colleghi avevano scoperto il più antico membro della famiglia umana
allora conosciuto: una creatura della dimensioni di uno scimpanzé,
chiamato Ardipithecus ramidus, che viveva nelle foreste della Rift Valley etiopica 4,4 milioni di anni fa. La squadra di White aveva trovato
delle particolari specie estinte di maiali, colobi, e carnivori affini. Anche Brunet aveva trovato questi stessi tipi di animali in sedimenti di
età analoga, e quindi cominciò a chiedersi se davvero nel Ciad non si
fosse imbattuto nell’habitat dei primi uomini. Era forse sulle tracce
di uno dei più antichi membri della famiglia dell’uomo?
Quando Brunet disse di aver trovato anche alcuni gerbilli
estinti, White scosse la testa: «Quei piccoli roditori vivono in luoghi secchi»2, disse. «I primi ominidi, invece, vissero nelle foreste».
Lì, dunque, non avrebbe trovato nessun ominide.
Brunet disse a White che forse aveva ragione. Ma sapeva anche
che nel Ciad c’erano sedimenti ancora più antichi: letti fossili in
cui le ossa animali avevano almeno sei milioni di anni, e a quel
tempo l’habitat poteva essere stato boscoso. Nonostante la sua
squadra dovesse ancora esplorare quei letti sabbiosi, Brunet sapeva
che erano più antichi dei siti fossili del Medio Awash in cui uno
studente di White,Yohannes Haile-Selassie, aveva recentemente
iniziato a cercare. Brunet aveva il sentore che l’osso mascellare che
aveva trovato fosse solo il preludio a scoperte ancora più antiche
che sarebbero emerse dalle dune desertiche del Djurab, che aveva
appena iniziato a esplorare.
Quel giorno del 1995 Brunet fece una previsione coraggiosa:
scommise con White che, malgrado i gerbilli, avrebbe trovato l’ominide più antico, lo sfuggente antenato mancante. Il misconosciuto
francese avrebbe avuto la meglio sull’americano ben più famoso e
ben più finanziato. «Sto lavorando su sedimenti più antichi»3, disse
in tono quasi scherzoso. «Vincerò».
Introduzione
Mentre il sole sorgeva su un accampamento nel deserto del Djurab
nel Ciad, Michel Brunet si alzò dalla sua branda e vide apparire sulle
dune dei nomadi coi loro cammelli, quasi un miraggio nella luce del
primo mattino. Subito si irrigidì, domandandosi se questi uomini e
donne arabi appartenessero alla bellicosa tribù del Nord che per
trent’anni aveva guerreggiato con le tribù del Sud sul territorio desolato, cospargendolo di mine. Ma quando gli uomini dagli abiti
svolazzanti e i turbanti bianco-blu gli sorrisero, e le donne gli offrirono tè e latte di cammello, capì che erano pastori di cammelli di
Gorane, che vagavano in cerca d’acqua. Quando gli uomini della
sua squadra si misero a conversare con loro, si sentì sollevato. Nel
momento in cui Brunet si apprestava a partire, i nomadi gli rivolsero
l’abituale benedizione nella loro lingua, chiedendo ad Allah di proteggerlo e di donargli la felicità.
Più tardi, quella mattina, lo stesso Brunet si sentì un po’ nomade
mentre camminava tra le dune sabbiose. Doveva essere una strana
apparizione anche per i nomadi che erano andati a vederlo lavorare. Adesso, a sessantacinque anni, potrebbe sembrare la versione
barbuta dell’attore Anthony Hopkins, coi capelli grigi tirati indietro
a svelare una fronte alta e brillanti occhi blu. Ma la mattina del 23
gennaio 1995, Brunet si era fasciato la testa con un panno e aveva
indossato una maschera da sci per prepararsi a un altro giorno di lavoro nel Djurab, dove la sabbia soffia incessantemente e si insinua
negli occhi, nelle orecchie, nel naso e nella bocca. Le temperature
possono diventare tanto alte che i contenitori di plastica delle bevande lasciati all’ombra delle macchine e delle tende – l’unica ombra disponibile – possono esplodere spontaneamente.
Appena Brunet raggiunse gli altri uomini del suo gruppo si dispersero lungo l’area, ciascuno camminando lentamente, piegato in
avanti in modo che non gli sfuggisse nulla di ciò che avvistava al
suolo. Stavano scrutando la superficie desertica in cerca di ossa, pas-
ES_GIBBONS.qxd
XX
18-02-2009
12:05
Pagina xx
Il primo uomo
sando e ripassando sullo stesso terreno così da non tralasciare nemmeno i fossili più minuscoli. Stavano ben attenti a non toccare nulla
di metallico, nel caso fosse una delle mine lasciate dai ribelli del
Nord, letali ricordi della guerra civile intrapresa con le forze governative in questa regione desolata. Era un lavoro tedioso che si sarebbe concluso non appena il sole fosse salito più in alto, e con il sole
anche la temperatura. Brunet tentava di rimanere concentrato sul
cumulo davanti a sé, quando scorse un osso che spuntava dalla sabbia. Si lasciò sfuggire un urlo. Ma era solo il fossile di un maiale.
L’autista del Ciad, Mamelbaye Tomalta, chiamò Brunet perché
lo raggiungesse4. Aveva trovato un osso dentato conficcato in terra.
Brunet non dimenticherà mai cosa vide quando spazzò via la sabbia.
Sembrava la mascella di una scimmia antica, ma la forma dei denti lo
sorprese. Presentavano una somiglianza più stretta con quelli di un
uomo. Presto comprese che stava guardando l’osso mascellare di
uno dei primi antenati dell’uomo, che aveva vissuto sull’antica riva
del lago Ciad circa 3,5 milioni di anni prima.
Più tardi, quella notte, Brunet non riuscì a dormire. Mentre
giaceva sveglio sul suo letto da campo, ricordò la benedizione dei
nomadi e si chiese se davvero questa scoperta gli avrebbe portato la
felicità. Si alzò due volte solo per illuminare la mascella con la torcia, mentre gli uomini della sua squadra dormivano nella tenda alle
sue spalle. Voleva assicurarsi che non stesse sognando, che l’osso
fosse vero. Una sola ombra offuscò quel momento: non avrebbe
potuto mostrare il fossile al suo collaboratore di sempre, il geologo
Abel Brillanceau, morto sei anni prima di una forma di malaria resistente ai farmaci, mentre cercavano fossili nella foresta del Camerun. Brunet quella notte promise di chiamare la mascella fossile
“Abel”. Qualche giorno dopo, trovato un telefono a N’Djamena,
chiamò un altro amico e collega di vecchia data, il paleontologo
dell’Università di Harvard David Pilbeam, che aveva fatto parte
della stessa missione in Camerun. Era mattina presto a Cambrige
(Massachussets), e Brunet svegliò Pilbeam. Disse solo: «David, l’ho
trovato»5. Pilbeam capì immediatamente cosa intendeva, e fu enormemente felice per Brunet. Se qualcuno meritava di fare una scoperta del genere, questo era lui.
L’osso mascellare fu per Brunet, che mai prima di allora aveva
trovato un fossile di un uomo delle origini, un premio a lungo ricercato. Certamente ci aveva provato. Prima del 1995, Brunet si era fatto una reputazione come “paleontologo al servizio dei paleontolo-
Introduzione
XXI
gi”, ed era stimato per la sua abilità nel trovare fossili animali in alcuni dei territori più remoti e ostili del mondo. Le sue avventure sul
campo erano leggendarie: fu attaccato da un caccia in Afghanistan,
arrestato in Iraq, minacciato con una pistola nel Ciad. Eppure, anche
nella sfortuna e senza fondi per il suo lavoro, insistette. Col passare
degli anni lasciò il suo laboratorio all’Università di Poitiers, nella
Francia centrale, per ritornare sul campo, esplorando perfino nuovi
siti nel deserto del Djurab a bordo di una jeep presa a noleggio e con
scorte d’acqua sufficienti a malapena per lavarsi i denti. La perseveranza pagò: la sua squadra trovò centinaia di fossili di scimmie minori, elefanti, giraffe, rinoceronti, ippopotami e maiali estinti. Ma c’era
un tipo di mammifero che gli sfuggiva: l’ominide. Fino a quel giorno
di gennaio, Brunet non aveva neppure mai tenuto in mano un vero
fossile umano antico, solo calchi di fossili trovati da altri. Dunque,
quando finalmente cullò nella sua mano una mascella di ominide, fu
uno di quei momenti che cambiano la vita. Diciannove anni di ricerca di fossili ominidi erano «un sacco di tempo nella vita di una
piccola scimmia bipede», dirà Brunet, riferendosi a se stesso.
Ma che cosa rende così allettante un pezzo di osso grigio con
denti marcescenti? Perché valeva la pena di rischiare la vita per trovarlo? Brunet allarga le braccia, sospirando in modo tipicamente
francese. È un uomo determinato, facilmente irascibile, che si descrive come «matto, francese, povero, un socialista», seppure un socialista che guida una Mercedes. Come se fosse ovvio, dichiara di voler
sapere da dove proviene l’uomo. Il problema lo ossessiona da quando
lesse L’origine dell’uomo di Darwin, scritto nel 1871. Darwin suggerì
che l’essere umano avesse origine in Africa, dal momento che gli
scimpanzé e i gorilla africani sono le grandi scimmie più strettamente
imparentate all’uomo, e che facciamo tutti parte dell’ordine dei primati. Da allora, gli esploratori hanno cercato “l’anello mancante”, un
concetto che proviene dall’antica idea della “grande catena dell’essere”, per la quale le creature della Terra sono legate le une alle altre,
dalla più semplice alla più complessa. Da allora gli scienziati hanno
cominciato a cercare fossili che mostrassero come si colloca l’uomo
nella natura e quale sia il suo posto nel regno animale.
A partire dalla scoperta dell’Uomo di Giava in Indonesia, nel
1891, da parte dell’anatomista olandese Eugène Dubois, molti fossili
sono stati proposti per il ruolo di “anello mancante”, per essere poi
privati della qualifica nel momento in cui veniva ritrovato un fossile
ancora più antico e primitivo.
ES_GIBBONS.qxd
XXII
18-02-2009
12:05
Pagina xxii
Il primo uomo
Il fossile che ha mantenuto più a lungo il posto di primo antenato
dell’uomo è stato Lucy, un esemplare femminile delle dimensioni di
uno scimpanzé il cui scheletro parziale fu scoperto in Etiopia nel
1974 dal giovane paleoantropologo americano Donald Johanson.
Lucy apparteneva alla specie Australopithecus afarensis, che visse nella
Rift Valley dell’Africa orientale tra i tre e i 3,6 milioni di anni fa. Per
vent’anni i libri di testo hanno individuato nella specie di Lucy la
progenitrice del genere umano, che avrebbe originato gli esseri
umani di là a venire, nonché alcune discendenze estinte di uominiscimmia che vissero in Africa. Era una linea di discendenza pulita,
gradevole nel suo ordinato dipanarsi di una specie in un’altra.
Attorno alla metà degli anni Novanta, quando Brunet iniziò l’esplorazione dei siti nel Ciad, indizi eloquenti mostravano che questa
visione era troppo semplicistica. La storia umana iniziava a sembrare
complessa quanto un romanzo di Tolstoj, con nuovi personaggi che
apparivano inaspettatamente, mentre il libro della vita man mano si
schiudeva. Malgrado la maggior parte dei ricercatori pensasse che ad
aver generato la linea di discendenza che ha condotto al moderno
essere umano fosse la specie di Lucy, molti suggerivano che questa
non rappresentasse l’unica specie umana primitiva presente sul pianeta tra i tre e i quattro milioni di anni fa. Nuovi fossili aggiungevano nuovi rami all’albero genealogico della famiglia umana. Alcuni di
essi rappresentavano linee di discendenze estinte. Altre linee di discendenza, che apparentemente coesistettero nel periodo compreso
tra uno e tre milioni di anni fa, hanno suscitato il dibattito su quali
ominidi appartenessero alla linea che conduce fino alla specie umana
moderna. Per qualche tempo è stato anche ovvio che, nel corso della storia dell’uomo, tra questi e l’antenato delle scimmie non ci fosse
un solo anello mancante: c’erano molti anelli mancanti sull’unica
vera linea di discendenza che in milioni di anni ha condotto all’uomo. E non poteva trattarsi certo di una perfetta via di mezzo che
avesse sembianze per metà di scimmia e per metà d’uomo. L’espressione “anello mancante”, dunque, perse credito.
Nello stesso momento, mentre facevano la loro apparizione i nuovi fossili, ci fu una rivoluzione nel campo della biologia molecolare.
Negli anni Sessanta gli evoluzionisti molecolari suggerirono che i primi protagonisti della storia dovessero ancora essere trovati. La maggior
parte degli antropologi non credette a queste conclusioni. Attorno alla
metà degli anni Novanta le prove molecolari erano così solide che fu
chiaro che il primo capitolo – la genesi del genere umano – era com-
Introduzione
XXIII
pletamente da scrivere. I biochimici avevano identificato lo scimpanzé
come il parente vivente più prossimo dell’uomo, sulla base del confronto tra il DNA umano e quello delle altre scimmie.
Quando si allinearono porzioni equivalenti di DNA umano e di
DNA di scimpanzé, fu riscontrato costantemente che erano troppe
le differenze (o mutazioni) che avrebbero dovuto accumularsi entro il momento in cui nacque la specie di Lucy, circa 3,8 milioni
di anni fa. Dal momento che le mutazioni si accumulano su lunghi
tratti di DNA a un tasso relativamente stabile nel corso di milioni di
anni, i genetisti possono contare le differenze nel DNA e usarle
come un orologio per datare approssimativamente la differenziazione di una specie da un’altra. L’orologio molecolare, impostato
con le date provenienti dalla documentazione fossile, ha fissato la
differenziazione della specie umana dall’antenato dello scimpanzé
molto tempo prima: pressappoco tra i cinque e i sette milioni di
anni fa. Eppure, di più antico di Lucy, i cacciatori di fossili avevano trovato solo qualche dente e frammenti mal datati di ossa. Il più
grande problema irrisolto nel campo dell’origine dell’uomo era:
cosa c’era prima di Lucy? Chi era stato il primo membro della famiglia dell’uomo? E dov’era quella scimmia ancora più antica,
quell’ultimo antenato che l’uomo aveva condiviso con gli scimpanzé prima che le due specie si separassero per proseguire nei
loro diversi percorsi evolutivi?
Fu questo mistero che nel corso degli anni Ottanta e Novanta
condusse Brunet e un manipolo di altri cacciatori di fossili in nuovi
siti africani. Brunet e Pilbeam andarono verso ovest; altri, tra cui Tim
White, si diressero a est. Tutti si sentivano sul punto di trovare i primi membri della famiglia umana o, quanto meno, i contemporanei
strettamente connessi ai nostri più antichi antenati, anche perché le
possibilità di trovare proprio gli individui che erano i nostri diretti
antenati si facevano sempre più evanescenti. Con l’aiuto della genetica moderna a supportarli nel decidere quale orizzonte temporale
esplorare, e grazie ai nuovi metodi di datazione, i cacciatori di fossili
sapevano che stavano per mettere le mani su fossili abbastanza antichi
da aver vissuto subito dopo la differenziazione dell’antenato dell’uomo dall’antenato delle scimmie africane. La pista fossile condusse la
maggior parte dei cacciatori nell’Africa orientale, a lungo considerata
la culla dell’umanità, visto che i riscontri fossili al di fuori dell’Africa
orientale e meridionale non riuscivano a infrangere la barriera dei
due milioni di anni. La strategia di Brunet di cercare nell’Africa occi-
ES_GIBBONS.qxd
XXIV
18-02-2009
12:05
Pagina xxiv
Il primo uomo
dentale e centrale era un azzardo, poiché nessun antenato umano più
vecchio di un milione di anni era mai stato trovato nel Ciad.
Così, quando si seppe che Brunet si era imbattuto nella mascella di Abel quella mattina del gennaio 1995, la notizia risuonò nel
mondo della paleontologia. Si aprì una terza finestra nelle prime fasi
dell’evoluzione umana, che aggiunse l’Africa centrale alla teoria che
fino ad allora aveva circoscritto l’orizzonte solo all’Africa orientale
e meridionale. La scoperta rese Brunet una sorta di celebrità in
Francia, dove seguire le tracce delle origini dell’uomo è un passatempo nazionale. Con un’età compresa tra i tre e i 3,5 milioni di
anni, la mascella era il più antico fossile ominide mai trovato al di
fuori dell’Africa orientale e meridionale. Ciò significa che i primi
ominidi dovevano essere molto più antichi e che potevano essere
nati fuori dai confini dell’Africa orientale.
Per un piccolo lavoratore del settore poco noto al di fuori della
cerchia dei paleontologi, trovarsi al centro dell’attenzione fu seducente. Brunet chiaramente si compiacque dell’“effetto ominide”,
ma sapeva che questo breve flirt con la celebrità non era nulla in
confronto all’immortalità che sarebbe derivata dalla scoperta del primo ominide. Agli antropologi o ai paleontologi non viene assegnato
nessun premio Nobel, ma lo scopritore del primo antenato dell’uomo sarebbe diventato tanto famoso quanto il fossile stesso. Nel campo della ricerca sull’origine dell’uomo, i nomi degli scopritori sono
legati per sempre ai fossili famosi che hanno trovato: Eugène Dubois
e l’Uomo di Giava, Raymond Dart e il Bambino di Taung, Louis e
Mary Leakey con Zinj, Donald Johanson e Lucy. Brunet, d’altra
parte, diffidava dell’insidiosa influenza della celebrità. Anni dopo,
osservò che molti paleoantropologi scopritori dei fossili più famosi
nel corso degli anni si erano distaccati dalla scienza. Alcuni furono
demoralizzati dalle critiche mosse ai loro fossili, ai quali erano legati
quanto alla loro stessa progenie. Altri, che erano andati rapidamente
incontro alla celebrità, passarono sempre più tempo in conferenze e
davanti alle telecamere, costruendo documentari sulle proprie scoperte, pubblicando le proprie memorie, o procurando finanziamenti alle proprie squadre. Nel 1995 Brunet era un uomo di mezza età,
aveva problemi cardiaci, e sapeva di avere ancora molto lavoro da
fare. Pertanto prese la decisione consapevole di restare concentrato
sulla scienza. Tuttavia era anche pragmatico, e riuscì a trarre vantaggio dalla sua nuova celebrità sfruttandola per convincere i politici
francesi a costruire un museo per i fossili a N’Djamena, la capitale
Introduzione
XXV
del Ciad, e a comprare alla sua squadra un piccolo aereo leggero per
le missioni sul campo in Ciad.
La sua ricerca del primo ominide era appena cominciata. Anche
quando faceva il giro dei laboratori dei suoi colleghi con il calco del
suo fossile, già aveva la sensazione che quell’osso mascellare fosse
l’apripista di fossili migliori che sarebbero emersi dalle dune sabbiose del Ciad. Sapeva di essere ben posizionato per trovare qualcosa
di ancora più antico e più vicino alle origini della specie umana,
perché nel deserto del Djurab aveva trovato fossili di altri mammiferi che erano vissuti più di sei milioni di anni fa. Non poteva datare direttamente questi fossili, ma sapeva che erano specie animali
che si erano estinte più di sei milioni di anni fa sulla base della scoperta delle stesse specie presso altri siti africani datati con affidabilità.
Questi mammiferi erano fari che guidavano Brunet, indicandogli la
strada per i letti fossili che aprirono una finestra sul tardo Miocene,
un’epoca compresa tra i 5,3 e gli undici milioni di anni fa, molto
prima che Lucy vivesse, in un’era misteriosa di cui praticamente
nessun fossile di scimmia è mai stato trovato in Africa. Dopo la scoperta della mascella di Abel, Brunet, a partire dal 1997, concentrò la
sua osservazione su questi letti fossili. La sua squadra trascorse settimane e settimane a perlustrare la superficie delle dune e a passare al
setaccio fossili che andavano dai denti di roditore della dimensione
di cristalli di sale ai musi allungati degli ippopotami. Ben presto si
imbatterono in un antico crocevia per le diverse specie di animali
che si muovevano lungo la sponda alberata dell’antico lago Ciad.
Le condizioni erano proibitive, anche per gli standard di Brunet.
Diverse volte le tempeste di vento seppellirono le loro tende, intrappolandoli all’interno per molti giorni, durante i quali sopravvissero
con pasta e tonno, riso e sardine. Quando furono finalmente in grado di avventurarsi al di fuori, dovettero scavare nella sabbia come se
fosse neve e tenersi d’occhio l’un l’altro così da non perdere l’orientamento nella tempesta di vento.
Ma il vento era anche loro alleato. Ogni anno, le tempeste di
vento erodono quasi tre centimetri di arenaria, facendo ondeggiare
lentamente le dune lungo il piatto deserto come le onde nel mare,
ed esponendo fossili rimasti sepolti per milioni di anni. La dote di
fossili che lasciavano sulla propria scia diede a Brunet la fiducia per
rinnovare la sua ricerca. Non voleva niente di meno che trovare il
primo antenato dell’uomo. E sapeva di non avere tempo da perdere:
altre due squadre erano già davanti a lui, compresa quella di White.
Scarica