ES_GIBBONS.qxd 18-02-2009 12:05 Pagina ii Ann Gibbons Il primo uomo L’avventura della scoperta dei nostri antenati Traduzione di Laura Appiani ES_GIBBONS.qxd 18-02-2009 12:05 Pagina iv A Bill e ai nostri discendenti: Lily, Sophia e Tom È stato detto che l’amore per la caccia è un piacere innato nell’uomo, il residuo di una passione istintiva. Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo Ann Gibbons Il primo uomo L’avventura della scoperta dei nostri antenati Progetto grafico: studiofluo srl Impaginazione: adfarmandchicas Redazione: Alice Spano Coordinamento produttivo: Enrico Casadei Ann Gibbons The First Human The Race to Discover Our Earliest Ancestors Copyright © 2006 by Ann Gibbons This translation published by arrangement with The Doubleday Broadway Publishing Group, a division of Random House, Inc. All rights reserved © 2009 Codice edizioni, Torino Tutti i diritti sono riservati ISBN 978-88-7578-126-2 ES_GIBBONS.qxd 18-02-2009 12:05 Pagina vi Indice IX X XII XIII XIX Mappa: la culla dell’umanità Le scoperte fossili del “primo uomo” anno per anno Time line: la famiglia umana I cacciatori di fossili Introduzione Parte I. Passi antichi Capitolo 1 5 Pionieri d’Africa Capitolo 2 27 Lo spartiacque continentale Capitolo 3 39 Il primo antenato Capitolo 4 51 Tracciando le discendenze Capitolo 5 61 Lucy, il tardo antenato Capitolo 6 71 Definire l’uomo Capitolo 7 81 Esilio ES_GIBBONS.qxd 18-02-2009 12:05 Pagina viii Parte II. Il decennio della scoperta Capitolo 8 101 La signora del lago Capitolo 9 111 Una veduta di Afar Capitolo 10 119 La scimmia alla radice Capitolo 11 135 West side Story Capitolo 12 149 Guerre di territorio Capitolo 13 163 Sulla linea di partenza Capitolo 14 175 Millennium Man Capitolo 15 189 Toumaï Parte III. La saggezza delle ossa Capitolo 16 205 Ossa contese Capitolo 17 217 L’habitat per l’umanità 225 229 239 245 248 Glossario Note Bibliografia Ringraziamenti Indice analitico ES_GIBBONS.qxd 18-02-2009 12:05 Pagina xii I cacciatori di fossili Berhane Asfaw Bioantropologo etiope; condirettore del Middle Awash Research Group; direttore del Rift Valley Research Services in Etiopia. Alain Beauvilain Geografo francese che ha coordinato la logistica e i rilevamenti per la Mission Paléoanthropologique Franco-Tchadienne (MPFT) nel Ciad dal 1994 alla fine del 2002; professore associato all’Università di Parigi X-Nanterre. Michel Brunet Paleontologo francese; direttore della Mission Paléoanthropologique Franco-Tchadienne (MPFT) che scoprì Toumaï e Abel; professore all’Università di Poitiers in Francia. Desmond Clark Archelogo di origine inglese a capo della prima squadra dell’Università di Berkley che esplorò il Medio Awash; professore emerito a Berkeley quando morì nel febbraio 2002. Yves Coppens Paleoantropologo francese che fu il coscopritore dei fossili della specie di Lucy in Etiopia, ha collaborato con Michel Brunet, Martin Pickford e Brigitte Senut; professore al Collège de France di Parigi. Raymond Dart Anatomista di origine australiana che scoprì il primo fossile di un antenato dell’uomo proveniente dall’Africa, da Taung, Sudafrica, nel 1925. Morì nel 1988. ES_GIBBONS.qxd XIV 18-02-2009 12:05 Pagina xiv Il primo uomo Ahounta Djimdoumalbaye Studente ciadano dell Università di N’Djamena che scoprì il cranio di Toumaï il 19 luglio 2001; membro della MPFT. Eugène Dubois Anatomista e paleontologo olandese che scoprì i primi fossili di un ominide, l’Uomo di Giava, nel 1890 a Giava, Indonesia. Morì nel 1940 in Olanda. Eustace Gitonga Artista kenyano, direttore dei Community Museums of Kenya, l’organizzazione che ottenne le autorizzazioni per Martin Pickford e Brigitte Senut per fare ricerca nelle Tugen Hills. Yohannes Haile-Selassie Paleoantropologo etiope che scoprì lo scheletro parziale dell’Ardipithecus ramidus e i fossili dell’Ardipithecus kadabba nel Medio Awash in Etiopia; membro del Middle Awash Research Group; curatore di antropologia fisica al Cleveland Museum of Natural History. Andrew Hill Geologo di origine britannica, direttore del Baringo Paleontological Research Project nelle Tugen Hills in Kenya; preside del dipartimento di antropologia all’Università di Yale. Clark Howell Paleoantropologo americano, condirettore della spedizione nelle valle dell’Omo in Etiopia nel 1966; professore emerito all’Università della California di Berkeley. Donald Johanson Paleoantropologo americano che scoprì lo scheletro di Lucy nel 1974. È il direttore dell’Institute of Human Origins presso l’Arizona State University di Tempe. Jon Kalb Geologo americano, membro della prima squadra franco-americana che esplorò Hadar nel 1971; direttore della prima squadra che trovò fossili di un ominide nel Medio Awash; ricercatore all’Università del Texas di Austin. I cacciatori di fossili XV Louis Leakey Pioniere antropologo e paleontologo britannico, nativo del Kenya, che si stabilì in Africa orientale come luogo per trovare gli antenati dell’uomo, coscopritore di Zinj nel 1959; direttore del Coryndon Museum (attuale Museo Nazionale del Kenya). Morì nel 1972. Mary Leakey Illustratrice di origini britanniche e paleontologa autodidatta che trovò il cranio Zinj nel 1959 a Olduvai, Tanzania. Morì nel 1996. Meave Leakey Zoologa di origini gallesi la cui squadra trovò i fossili dell’Australopithecus panamensi a Kanapoi; ex direttrice della sezione paleontologia al Museo Nazionale del Kenya. Richard Leakey Paleontologo kenyano, ex direttore del Museo Nazionale del Kenya; professore in visita di antropologia alla Stony Brook University in New York. Bryan Patterson Paleontologo di origine britannica che scoprì i fossili di ominidi dei primordi a metà anni Sessanta a Kanapoi e Lothagam; professore all’Università di Harvard. Morì nel 1979. Martin Pickford Geologo di origine britannica che scoprì i fossili del Millennium Man nelle Tugen Hills; condirettore della Kenya Paleontology Expedition; geologo al Collège de France di Parigi. David Pilbeam Paleoantropologo di origine britannica la cui squadra scoprì il fossili del Ramapithecus in Pakistan; professore di antropologia all’Università di Harvard. Vincent Sarich Antropologo molecolare americano; professore emerito di antropologia all’Università della California, Berkeley. ES_GIBBONS.qxd XVI 18-02-2009 12:05 Pagina xvi Il primo uomo Brigitte Senut Paleontologa francese che scoprì i fossili del Millennium Man nelle Tugen Hills; condirettirce della Kenya Paleontology Expedition; professoressa al Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi. Elwyn Simons Biologo dei primati americano che propose il Ramapithecus come un ominide dei primordi negli anni Sessanta; professore di bioantropologia, anatomia e zoologia alla Duke University di Durham, North Carolina. Gen Suwa Paleoantropologo che scoprì il primo fossile di Ardipithecus ramidus in Etiopia; professore associato alla University Museum, Università di Tokyo, in Giappone. Maurice Taieb Geologo francese che scoprì i letti fossili di Hadar dove fu trovata Lucy e del Medio Awash dove fu trovato l’Ardipithecus; direttore emerito della ricerca per il laboratorio CNRS-CEREGE di Aix-en-Provence, Francia. Alan Walker Paleontologo di origine britannica che trovò i fossili dell’Australopithecus anamensis ad Allia Bay, Kenya; professore di antropologia alla Pennsylvania State University. Tim White Paleoantropologo americano, condirettore del Middle Awash Research Group; professore all’Università della California, Berkeley. Giday WoldeGabriel Geologo etiope, condirettore del Middle Awash Research Group; geologo al Los Alamos National Laboratory nel New Mexico. Un giorno d’estate, nel luglio del 1995, Michel Brunet1 ebbe il presentimento d’essere sul punto di fare una grossa scoperta. Brunet, misconosciuto paleontologo francese, al tempo cinquantacinquenne, si era recato a Addis Abeba per cercare la verità nelle antiche ossa custodite nei sotterranei del Museo Nazionale d’Etiopia. Consapevole che l’accesso ai reperti non sarebbe stato affatto scontato, si presentò lì con la sua offerta: un osso mascellare di 3,5 milioni di anni che aveva trovato nelle sabbie mobili del deserto del Djurab nel Ciad. Sperava di confrontarlo con i celebri fossili rinchiusi nel museo, compresi quelli dei più antichi membri della famiglia umana allora conosciuti. Ad accoglierlo c’era Tim White, paleoantropologo quarantaquattrenne di Berkeley, che stava emergendo come miglior cacciatore di fossili della sua generazione. Col suo spirito pungente e la sua manifesta intolleranza nei riguardi di chi non stima, White saprebbe scoraggiare chiunque voglia accedere ai fossili trovati dalla sua squadra. In effetti, aveva respinto dei ricercatori giunti fino in Etiopia per vedere i fossili ancora in fase di studio. Ma White riconobbe subito in Brunet un compagno di viaggio: entrambi condividevano una passione profonda per i fossili. Entrambi erano instancabili nel lavoro sul campo, cui ritornavano di anno in anno. Ed entrambi avevano già rischiato la vita nella ricerca dei fossili: White aveva sofferto di malaria, giardiasi, dissenteria, epatite e polmonite; Brunet era alle prese con problemi cardiaci. Insomma, Brunet non era certo l’antropologo “da salotto” che voleva avere un’anteprima dei fossili che White e suoi colleghi stavano ancora analizzando. Non passò molto prima che White e due suoi ex studenti aprissero a Brunet le casseforti per mostrargli dei fossili che avevano la stessa età dell’osso che lui aveva portato, affinché potesse identificarlo. Mentre studiavano le ossa e confrontavano gli appunti sui letti fossili sui quali avevano lavorato, Brunet ebbe una rivelazione: la sua ES_GIBBONS.qxd XVIII 18-02-2009 12:05 Pagina xviii Il primo uomo squadra aveva trovato nel Ciad gli stessi tipi di ossa animali che White e i suoi colleghi avevano trovato in Etiopia insieme ai fossili dei primi antenati dell’uomo. La cosa sembrò incoraggiante per Brunet, perché White e suoi colleghi avevano scoperto il più antico membro della famiglia umana allora conosciuto: una creatura della dimensioni di uno scimpanzé, chiamato Ardipithecus ramidus, che viveva nelle foreste della Rift Valley etiopica 4,4 milioni di anni fa. La squadra di White aveva trovato delle particolari specie estinte di maiali, colobi, e carnivori affini. Anche Brunet aveva trovato questi stessi tipi di animali in sedimenti di età analoga, e quindi cominciò a chiedersi se davvero nel Ciad non si fosse imbattuto nell’habitat dei primi uomini. Era forse sulle tracce di uno dei più antichi membri della famiglia dell’uomo? Quando Brunet disse di aver trovato anche alcuni gerbilli estinti, White scosse la testa: «Quei piccoli roditori vivono in luoghi secchi»2, disse. «I primi ominidi, invece, vissero nelle foreste». Lì, dunque, non avrebbe trovato nessun ominide. Brunet disse a White che forse aveva ragione. Ma sapeva anche che nel Ciad c’erano sedimenti ancora più antichi: letti fossili in cui le ossa animali avevano almeno sei milioni di anni, e a quel tempo l’habitat poteva essere stato boscoso. Nonostante la sua squadra dovesse ancora esplorare quei letti sabbiosi, Brunet sapeva che erano più antichi dei siti fossili del Medio Awash in cui uno studente di White,Yohannes Haile-Selassie, aveva recentemente iniziato a cercare. Brunet aveva il sentore che l’osso mascellare che aveva trovato fosse solo il preludio a scoperte ancora più antiche che sarebbero emerse dalle dune desertiche del Djurab, che aveva appena iniziato a esplorare. Quel giorno del 1995 Brunet fece una previsione coraggiosa: scommise con White che, malgrado i gerbilli, avrebbe trovato l’ominide più antico, lo sfuggente antenato mancante. Il misconosciuto francese avrebbe avuto la meglio sull’americano ben più famoso e ben più finanziato. «Sto lavorando su sedimenti più antichi»3, disse in tono quasi scherzoso. «Vincerò». Introduzione Mentre il sole sorgeva su un accampamento nel deserto del Djurab nel Ciad, Michel Brunet si alzò dalla sua branda e vide apparire sulle dune dei nomadi coi loro cammelli, quasi un miraggio nella luce del primo mattino. Subito si irrigidì, domandandosi se questi uomini e donne arabi appartenessero alla bellicosa tribù del Nord che per trent’anni aveva guerreggiato con le tribù del Sud sul territorio desolato, cospargendolo di mine. Ma quando gli uomini dagli abiti svolazzanti e i turbanti bianco-blu gli sorrisero, e le donne gli offrirono tè e latte di cammello, capì che erano pastori di cammelli di Gorane, che vagavano in cerca d’acqua. Quando gli uomini della sua squadra si misero a conversare con loro, si sentì sollevato. Nel momento in cui Brunet si apprestava a partire, i nomadi gli rivolsero l’abituale benedizione nella loro lingua, chiedendo ad Allah di proteggerlo e di donargli la felicità. Più tardi, quella mattina, lo stesso Brunet si sentì un po’ nomade mentre camminava tra le dune sabbiose. Doveva essere una strana apparizione anche per i nomadi che erano andati a vederlo lavorare. Adesso, a sessantacinque anni, potrebbe sembrare la versione barbuta dell’attore Anthony Hopkins, coi capelli grigi tirati indietro a svelare una fronte alta e brillanti occhi blu. Ma la mattina del 23 gennaio 1995, Brunet si era fasciato la testa con un panno e aveva indossato una maschera da sci per prepararsi a un altro giorno di lavoro nel Djurab, dove la sabbia soffia incessantemente e si insinua negli occhi, nelle orecchie, nel naso e nella bocca. Le temperature possono diventare tanto alte che i contenitori di plastica delle bevande lasciati all’ombra delle macchine e delle tende – l’unica ombra disponibile – possono esplodere spontaneamente. Appena Brunet raggiunse gli altri uomini del suo gruppo si dispersero lungo l’area, ciascuno camminando lentamente, piegato in avanti in modo che non gli sfuggisse nulla di ciò che avvistava al suolo. Stavano scrutando la superficie desertica in cerca di ossa, pas- ES_GIBBONS.qxd XX 18-02-2009 12:05 Pagina xx Il primo uomo sando e ripassando sullo stesso terreno così da non tralasciare nemmeno i fossili più minuscoli. Stavano ben attenti a non toccare nulla di metallico, nel caso fosse una delle mine lasciate dai ribelli del Nord, letali ricordi della guerra civile intrapresa con le forze governative in questa regione desolata. Era un lavoro tedioso che si sarebbe concluso non appena il sole fosse salito più in alto, e con il sole anche la temperatura. Brunet tentava di rimanere concentrato sul cumulo davanti a sé, quando scorse un osso che spuntava dalla sabbia. Si lasciò sfuggire un urlo. Ma era solo il fossile di un maiale. L’autista del Ciad, Mamelbaye Tomalta, chiamò Brunet perché lo raggiungesse4. Aveva trovato un osso dentato conficcato in terra. Brunet non dimenticherà mai cosa vide quando spazzò via la sabbia. Sembrava la mascella di una scimmia antica, ma la forma dei denti lo sorprese. Presentavano una somiglianza più stretta con quelli di un uomo. Presto comprese che stava guardando l’osso mascellare di uno dei primi antenati dell’uomo, che aveva vissuto sull’antica riva del lago Ciad circa 3,5 milioni di anni prima. Più tardi, quella notte, Brunet non riuscì a dormire. Mentre giaceva sveglio sul suo letto da campo, ricordò la benedizione dei nomadi e si chiese se davvero questa scoperta gli avrebbe portato la felicità. Si alzò due volte solo per illuminare la mascella con la torcia, mentre gli uomini della sua squadra dormivano nella tenda alle sue spalle. Voleva assicurarsi che non stesse sognando, che l’osso fosse vero. Una sola ombra offuscò quel momento: non avrebbe potuto mostrare il fossile al suo collaboratore di sempre, il geologo Abel Brillanceau, morto sei anni prima di una forma di malaria resistente ai farmaci, mentre cercavano fossili nella foresta del Camerun. Brunet quella notte promise di chiamare la mascella fossile “Abel”. Qualche giorno dopo, trovato un telefono a N’Djamena, chiamò un altro amico e collega di vecchia data, il paleontologo dell’Università di Harvard David Pilbeam, che aveva fatto parte della stessa missione in Camerun. Era mattina presto a Cambrige (Massachussets), e Brunet svegliò Pilbeam. Disse solo: «David, l’ho trovato»5. Pilbeam capì immediatamente cosa intendeva, e fu enormemente felice per Brunet. Se qualcuno meritava di fare una scoperta del genere, questo era lui. L’osso mascellare fu per Brunet, che mai prima di allora aveva trovato un fossile di un uomo delle origini, un premio a lungo ricercato. Certamente ci aveva provato. Prima del 1995, Brunet si era fatto una reputazione come “paleontologo al servizio dei paleontolo- Introduzione XXI gi”, ed era stimato per la sua abilità nel trovare fossili animali in alcuni dei territori più remoti e ostili del mondo. Le sue avventure sul campo erano leggendarie: fu attaccato da un caccia in Afghanistan, arrestato in Iraq, minacciato con una pistola nel Ciad. Eppure, anche nella sfortuna e senza fondi per il suo lavoro, insistette. Col passare degli anni lasciò il suo laboratorio all’Università di Poitiers, nella Francia centrale, per ritornare sul campo, esplorando perfino nuovi siti nel deserto del Djurab a bordo di una jeep presa a noleggio e con scorte d’acqua sufficienti a malapena per lavarsi i denti. La perseveranza pagò: la sua squadra trovò centinaia di fossili di scimmie minori, elefanti, giraffe, rinoceronti, ippopotami e maiali estinti. Ma c’era un tipo di mammifero che gli sfuggiva: l’ominide. Fino a quel giorno di gennaio, Brunet non aveva neppure mai tenuto in mano un vero fossile umano antico, solo calchi di fossili trovati da altri. Dunque, quando finalmente cullò nella sua mano una mascella di ominide, fu uno di quei momenti che cambiano la vita. Diciannove anni di ricerca di fossili ominidi erano «un sacco di tempo nella vita di una piccola scimmia bipede», dirà Brunet, riferendosi a se stesso. Ma che cosa rende così allettante un pezzo di osso grigio con denti marcescenti? Perché valeva la pena di rischiare la vita per trovarlo? Brunet allarga le braccia, sospirando in modo tipicamente francese. È un uomo determinato, facilmente irascibile, che si descrive come «matto, francese, povero, un socialista», seppure un socialista che guida una Mercedes. Come se fosse ovvio, dichiara di voler sapere da dove proviene l’uomo. Il problema lo ossessiona da quando lesse L’origine dell’uomo di Darwin, scritto nel 1871. Darwin suggerì che l’essere umano avesse origine in Africa, dal momento che gli scimpanzé e i gorilla africani sono le grandi scimmie più strettamente imparentate all’uomo, e che facciamo tutti parte dell’ordine dei primati. Da allora, gli esploratori hanno cercato “l’anello mancante”, un concetto che proviene dall’antica idea della “grande catena dell’essere”, per la quale le creature della Terra sono legate le une alle altre, dalla più semplice alla più complessa. Da allora gli scienziati hanno cominciato a cercare fossili che mostrassero come si colloca l’uomo nella natura e quale sia il suo posto nel regno animale. A partire dalla scoperta dell’Uomo di Giava in Indonesia, nel 1891, da parte dell’anatomista olandese Eugène Dubois, molti fossili sono stati proposti per il ruolo di “anello mancante”, per essere poi privati della qualifica nel momento in cui veniva ritrovato un fossile ancora più antico e primitivo. ES_GIBBONS.qxd XXII 18-02-2009 12:05 Pagina xxii Il primo uomo Il fossile che ha mantenuto più a lungo il posto di primo antenato dell’uomo è stato Lucy, un esemplare femminile delle dimensioni di uno scimpanzé il cui scheletro parziale fu scoperto in Etiopia nel 1974 dal giovane paleoantropologo americano Donald Johanson. Lucy apparteneva alla specie Australopithecus afarensis, che visse nella Rift Valley dell’Africa orientale tra i tre e i 3,6 milioni di anni fa. Per vent’anni i libri di testo hanno individuato nella specie di Lucy la progenitrice del genere umano, che avrebbe originato gli esseri umani di là a venire, nonché alcune discendenze estinte di uominiscimmia che vissero in Africa. Era una linea di discendenza pulita, gradevole nel suo ordinato dipanarsi di una specie in un’altra. Attorno alla metà degli anni Novanta, quando Brunet iniziò l’esplorazione dei siti nel Ciad, indizi eloquenti mostravano che questa visione era troppo semplicistica. La storia umana iniziava a sembrare complessa quanto un romanzo di Tolstoj, con nuovi personaggi che apparivano inaspettatamente, mentre il libro della vita man mano si schiudeva. Malgrado la maggior parte dei ricercatori pensasse che ad aver generato la linea di discendenza che ha condotto al moderno essere umano fosse la specie di Lucy, molti suggerivano che questa non rappresentasse l’unica specie umana primitiva presente sul pianeta tra i tre e i quattro milioni di anni fa. Nuovi fossili aggiungevano nuovi rami all’albero genealogico della famiglia umana. Alcuni di essi rappresentavano linee di discendenze estinte. Altre linee di discendenza, che apparentemente coesistettero nel periodo compreso tra uno e tre milioni di anni fa, hanno suscitato il dibattito su quali ominidi appartenessero alla linea che conduce fino alla specie umana moderna. Per qualche tempo è stato anche ovvio che, nel corso della storia dell’uomo, tra questi e l’antenato delle scimmie non ci fosse un solo anello mancante: c’erano molti anelli mancanti sull’unica vera linea di discendenza che in milioni di anni ha condotto all’uomo. E non poteva trattarsi certo di una perfetta via di mezzo che avesse sembianze per metà di scimmia e per metà d’uomo. L’espressione “anello mancante”, dunque, perse credito. Nello stesso momento, mentre facevano la loro apparizione i nuovi fossili, ci fu una rivoluzione nel campo della biologia molecolare. Negli anni Sessanta gli evoluzionisti molecolari suggerirono che i primi protagonisti della storia dovessero ancora essere trovati. La maggior parte degli antropologi non credette a queste conclusioni. Attorno alla metà degli anni Novanta le prove molecolari erano così solide che fu chiaro che il primo capitolo – la genesi del genere umano – era com- Introduzione XXIII pletamente da scrivere. I biochimici avevano identificato lo scimpanzé come il parente vivente più prossimo dell’uomo, sulla base del confronto tra il DNA umano e quello delle altre scimmie. Quando si allinearono porzioni equivalenti di DNA umano e di DNA di scimpanzé, fu riscontrato costantemente che erano troppe le differenze (o mutazioni) che avrebbero dovuto accumularsi entro il momento in cui nacque la specie di Lucy, circa 3,8 milioni di anni fa. Dal momento che le mutazioni si accumulano su lunghi tratti di DNA a un tasso relativamente stabile nel corso di milioni di anni, i genetisti possono contare le differenze nel DNA e usarle come un orologio per datare approssimativamente la differenziazione di una specie da un’altra. L’orologio molecolare, impostato con le date provenienti dalla documentazione fossile, ha fissato la differenziazione della specie umana dall’antenato dello scimpanzé molto tempo prima: pressappoco tra i cinque e i sette milioni di anni fa. Eppure, di più antico di Lucy, i cacciatori di fossili avevano trovato solo qualche dente e frammenti mal datati di ossa. Il più grande problema irrisolto nel campo dell’origine dell’uomo era: cosa c’era prima di Lucy? Chi era stato il primo membro della famiglia dell’uomo? E dov’era quella scimmia ancora più antica, quell’ultimo antenato che l’uomo aveva condiviso con gli scimpanzé prima che le due specie si separassero per proseguire nei loro diversi percorsi evolutivi? Fu questo mistero che nel corso degli anni Ottanta e Novanta condusse Brunet e un manipolo di altri cacciatori di fossili in nuovi siti africani. Brunet e Pilbeam andarono verso ovest; altri, tra cui Tim White, si diressero a est. Tutti si sentivano sul punto di trovare i primi membri della famiglia umana o, quanto meno, i contemporanei strettamente connessi ai nostri più antichi antenati, anche perché le possibilità di trovare proprio gli individui che erano i nostri diretti antenati si facevano sempre più evanescenti. Con l’aiuto della genetica moderna a supportarli nel decidere quale orizzonte temporale esplorare, e grazie ai nuovi metodi di datazione, i cacciatori di fossili sapevano che stavano per mettere le mani su fossili abbastanza antichi da aver vissuto subito dopo la differenziazione dell’antenato dell’uomo dall’antenato delle scimmie africane. La pista fossile condusse la maggior parte dei cacciatori nell’Africa orientale, a lungo considerata la culla dell’umanità, visto che i riscontri fossili al di fuori dell’Africa orientale e meridionale non riuscivano a infrangere la barriera dei due milioni di anni. La strategia di Brunet di cercare nell’Africa occi- ES_GIBBONS.qxd XXIV 18-02-2009 12:05 Pagina xxiv Il primo uomo dentale e centrale era un azzardo, poiché nessun antenato umano più vecchio di un milione di anni era mai stato trovato nel Ciad. Così, quando si seppe che Brunet si era imbattuto nella mascella di Abel quella mattina del gennaio 1995, la notizia risuonò nel mondo della paleontologia. Si aprì una terza finestra nelle prime fasi dell’evoluzione umana, che aggiunse l’Africa centrale alla teoria che fino ad allora aveva circoscritto l’orizzonte solo all’Africa orientale e meridionale. La scoperta rese Brunet una sorta di celebrità in Francia, dove seguire le tracce delle origini dell’uomo è un passatempo nazionale. Con un’età compresa tra i tre e i 3,5 milioni di anni, la mascella era il più antico fossile ominide mai trovato al di fuori dell’Africa orientale e meridionale. Ciò significa che i primi ominidi dovevano essere molto più antichi e che potevano essere nati fuori dai confini dell’Africa orientale. Per un piccolo lavoratore del settore poco noto al di fuori della cerchia dei paleontologi, trovarsi al centro dell’attenzione fu seducente. Brunet chiaramente si compiacque dell’“effetto ominide”, ma sapeva che questo breve flirt con la celebrità non era nulla in confronto all’immortalità che sarebbe derivata dalla scoperta del primo ominide. Agli antropologi o ai paleontologi non viene assegnato nessun premio Nobel, ma lo scopritore del primo antenato dell’uomo sarebbe diventato tanto famoso quanto il fossile stesso. Nel campo della ricerca sull’origine dell’uomo, i nomi degli scopritori sono legati per sempre ai fossili famosi che hanno trovato: Eugène Dubois e l’Uomo di Giava, Raymond Dart e il Bambino di Taung, Louis e Mary Leakey con Zinj, Donald Johanson e Lucy. Brunet, d’altra parte, diffidava dell’insidiosa influenza della celebrità. Anni dopo, osservò che molti paleoantropologi scopritori dei fossili più famosi nel corso degli anni si erano distaccati dalla scienza. Alcuni furono demoralizzati dalle critiche mosse ai loro fossili, ai quali erano legati quanto alla loro stessa progenie. Altri, che erano andati rapidamente incontro alla celebrità, passarono sempre più tempo in conferenze e davanti alle telecamere, costruendo documentari sulle proprie scoperte, pubblicando le proprie memorie, o procurando finanziamenti alle proprie squadre. Nel 1995 Brunet era un uomo di mezza età, aveva problemi cardiaci, e sapeva di avere ancora molto lavoro da fare. Pertanto prese la decisione consapevole di restare concentrato sulla scienza. Tuttavia era anche pragmatico, e riuscì a trarre vantaggio dalla sua nuova celebrità sfruttandola per convincere i politici francesi a costruire un museo per i fossili a N’Djamena, la capitale Introduzione XXV del Ciad, e a comprare alla sua squadra un piccolo aereo leggero per le missioni sul campo in Ciad. La sua ricerca del primo ominide era appena cominciata. Anche quando faceva il giro dei laboratori dei suoi colleghi con il calco del suo fossile, già aveva la sensazione che quell’osso mascellare fosse l’apripista di fossili migliori che sarebbero emersi dalle dune sabbiose del Ciad. Sapeva di essere ben posizionato per trovare qualcosa di ancora più antico e più vicino alle origini della specie umana, perché nel deserto del Djurab aveva trovato fossili di altri mammiferi che erano vissuti più di sei milioni di anni fa. Non poteva datare direttamente questi fossili, ma sapeva che erano specie animali che si erano estinte più di sei milioni di anni fa sulla base della scoperta delle stesse specie presso altri siti africani datati con affidabilità. Questi mammiferi erano fari che guidavano Brunet, indicandogli la strada per i letti fossili che aprirono una finestra sul tardo Miocene, un’epoca compresa tra i 5,3 e gli undici milioni di anni fa, molto prima che Lucy vivesse, in un’era misteriosa di cui praticamente nessun fossile di scimmia è mai stato trovato in Africa. Dopo la scoperta della mascella di Abel, Brunet, a partire dal 1997, concentrò la sua osservazione su questi letti fossili. La sua squadra trascorse settimane e settimane a perlustrare la superficie delle dune e a passare al setaccio fossili che andavano dai denti di roditore della dimensione di cristalli di sale ai musi allungati degli ippopotami. Ben presto si imbatterono in un antico crocevia per le diverse specie di animali che si muovevano lungo la sponda alberata dell’antico lago Ciad. Le condizioni erano proibitive, anche per gli standard di Brunet. Diverse volte le tempeste di vento seppellirono le loro tende, intrappolandoli all’interno per molti giorni, durante i quali sopravvissero con pasta e tonno, riso e sardine. Quando furono finalmente in grado di avventurarsi al di fuori, dovettero scavare nella sabbia come se fosse neve e tenersi d’occhio l’un l’altro così da non perdere l’orientamento nella tempesta di vento. Ma il vento era anche loro alleato. Ogni anno, le tempeste di vento erodono quasi tre centimetri di arenaria, facendo ondeggiare lentamente le dune lungo il piatto deserto come le onde nel mare, ed esponendo fossili rimasti sepolti per milioni di anni. La dote di fossili che lasciavano sulla propria scia diede a Brunet la fiducia per rinnovare la sua ricerca. Non voleva niente di meno che trovare il primo antenato dell’uomo. E sapeva di non avere tempo da perdere: altre due squadre erano già davanti a lui, compresa quella di White.