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LE FONTI SECONDARIE
NELLA L. 31 LUGLIO 1997, N. 249 (C.D. «MACCANICO»)
di Leonardo Bianchi
SOMMARIO: 1. Fonti secondarie e riserva di legge nel settore radiotelevisivo. – 2. Segue: a) caratteri
della riserva di legge; b) riserva di legge e concessione radiotelevisiva. – 3. Il potere regolamentare dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed il procedimento regolamentare. – 4. Le
competenze della commissione per le infrastrutture e le reti. – 5. Le competenze della commissione per i servizi e i prodotti. – 6. Le competenze del consiglio. – 7. Spunti di considerazione.
1. Fonti secondarie e riserva di legge nel settore radiotelevisivo
La l. 31 luglio 1997, n. 249, recante «Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo», ha, come è noto, provveduto a dettare una nuova disciplina,
sia pure parziale – considerato che contiene una serie di disposizioni stralciate dalla più generale legge di riforma del settore che si trova ancora all’attenzione della Commissione Lavori pubblici del Senato della Repubblica –
del complessivo settore delle comunicazioni, inclusivo non solamente della
radiotelevisione, ma anche delle telecomunicazioni. In questo quadro, uno
dei dati normativi di sicuramente maggiore rilievo riguarda l’istituzione della nuova Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (art. 1), organo che, in
linea generale, è destinato a sostituire l’attuale Garante per la radiodiffusione e l’editoria, da un lato rilevandone le funzioni, dall’altro, ponendo il problema del riassetto complessivo del governo del sistema e della reazione sulle competenze normative ed amministrative corrispondenti che vengono
esercitate nel settore, in primo luogo su quelle relative ai livelli di intervento governativo e parlamentare, considerati nel loro complesso e nelle rispettive articolazioni.
Di particolare rilievo, ai fini di una più compiuta valutazione dell’intervento legislativo del 1997, si ritiene che sia l’inquadramento dell’esistenza di
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una riserva di legge in materia radiotelevisiva e dei suoi eventuali caratteri.
A questo proposito, va sottolineato che il punto della situazione è stato fatto dalla Corte costituzionale nella sent. n. 112/1993 (successivamente richiamata, in termini di sostanziale conferma e rafforzamento, nella sent. n.
420/1994). Più esattamente, è da rilevare come, in prima battuta, la Corte,
muovendosi nel solco di una giurisprudenza consolidata, ponga in evidenza
che il «diritto all’informazione» (da intendersi, verosimilmente, nella sua accezione classicamente «attiva», cioè come diritto di informare) vive in concreto taluni limiti che ne comportano una parziale relativizzazione rispetto
ad un assoluto, ma astratto, diritto soggettivo individuale.
Tali limiti sono di duplice natura: a) fattori giuridico-costituzionali («vincoli di ordine costituzionale»); b) fattori, per così dire, empirico-fattuali
(«particolari fisionomie della realtà»). L’apprezzamento di questi fattori qualificanti il «diritto all’informazione» risulta demandato al legislatore sia per
quanto riguarda l’applicazione dei principi fondanti della nostra forma di
Stato, sia per quanto riguarda l’individuazione di quei fattori di vario ordine (sociale, economico, giuridico e tecnico) che possono tradurre in privilegio arbitrario l’esercizio di una libertà costituzionale.
È a questo punto che viene introdotta la tematica della riserva di legge in
materia radiotelevisiva. La questione delle fonti di regolamentazione del sistema radiotelevisivo emerge in tutta la sua importanza ove si abbia riguardo alla circostanza che, in questa sede, si verte in tema di mezzi di diffusione del pensiero, la libertà del cui esercizio è riconosciuta e garantita dall’art.
21 Cost., disposizione che, come è ben noto, pur senza contenere alcun riferimento espresso al mezzo radiotelevisivo, si ritiene pacificamente proteggere a livello costituzionale la libertà di espressione radiotelevisiva.
Risulta, dunque, centrale – come d’uopo in materia di diritti di libertà –
il quadro costituzionale di garanzie all’interno del quale si sviluppa il fenomeno radiotelevisivo. A questo proposito, occorre ricordare come da lunga
data la tendenza della Corte risulti diretta ad avallare l’indicazione, di provenienza dottrinale 1, sull’esistenza di una riserva di legge in materia radiotelevisiva, abbracciando in questo settore la prospettazione di chi ritiene che
si abbia riserva – in coerenza con la ratio stessa che riposa alla base di questo istituto di garanzia – ogniqualvolta «sussista un interesse, concreto ed attuale, di un qualsiasi soggetto a che sia fatto valere come riserva un rinvio alla legge contenuto in norme costituzionali» (anche se non necessariamente
1
Vedi S. FOIS, Libertà di diffusione del pensiero e monopolio radiotelevisivo, in Giur. cost.,
1960, 1127 ss., e F. PIERANDREI, La televisione in giudizio davanti alla Corte costituzionale, in
Riv. dir. comm., 1961, II, 181.
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in termini espliciti), «relative a materie in cui l’esigenza della tutela delle minoranze abbia particolare importanza e sicuro rilievo» 2.
Nel senso di riconoscere la sussistenza di quell’«interesse» in materia radiotelevisiva, sostanzialmente dimostrava già in precedenza di orientarsi la
Corte costituzionale, come provano le affermazioni contenute nelle sentt. 13
luglio 1960, n. 59 (sulla «necessità di leggi destinate a disciplinare» la possibilità di accesso ai mezzi radiotelevisivi), 10 luglio 1974, n. 225 (in cui «la
Corte ritiene che la legge debba almeno prevedere alcune condizioni minime necessarie perché il monopolio statale possa essere considerato conforme ai principi costituzionali»), 28 luglio 1976, n. 202 (circa la «necessità
dell’intervento del legislatore nazionale» per stabilire l’organo competente
all’assegnazione delle frequenze e le condizioni per l’esercizio del diritto di
iniziativa privata), nonché la sent. 30 luglio 1984, n. 237 («La trasmissione
via etere su scala locale, esercitata dai privati ..., è assolutamente libera nel
senso che si svolge in regime di totale carenza legislativa»), che ha dato la
precisa sensazione di ammettere, ancorché implicitamente, l’impossibilità di
disciplinare il settore con strumenti normativi non legislativi in assenza di
una legge, e dunque di una riserva di legge in materia (con la consequenziale esclusione, ad esempio, a’ termini dell’art. 17, c. 1°, della l. n. 400/1988,
di regolamenti governativi c.d. indipendenti) 3.
Cosicché la Corte ha avuto buon gioco nel richiamare, come nozione
ormai consolidata, il principio della riserva di legge in materia radiotelevisiva, in quanto garantito dall’art. 21 Cost., tanto più che, nella gran parte
delle decisioni citate, ci si riferisce proprio alla previsione delle condizioni
all’esercizio del diritto di trasmettere (e del provvedimento permissivo che
vi si accompagni). Dunque, in materia radiotelevisiva, ricorre una riserva
di legge 4.
2
S. FOIS, La riserva di legge - Lineamenti storici e problemi attuali, Milano, Giuffrè, 1963,
316 s. Il rinvio operato dal Costituente, secondo questa lettuta, non dovrebbe dunque esprimersi di necessità in termini espliciti, in quanto altrettanto lecitamente ricavabile, in via di interpretazione sistematica, anche attraverso l’individuazione di uno stretto collegamento tra certe disposizioni ed altre ove il rinvio è esplicito (cfr., per il settore in esame, la disciplina costituzionale della libertà di stampa).
3
Su questo punto, cfr. U. DE SIERVO, Gli organi statali di governo del sistema radiotelevisivo, in P. BARILE-R. ZACCARIA (a cura di), Rapporto ’93 sui problemi giuridici della radiotelevisione in Italia, Torino, Giappichelli, 1994, 81 ss. Sulla problematica compatibilità con il principio della riserva di legge di un regolamento sulla televisione a pagamento, ci si permetta di rinviare a.
4
Cfr. R. ZACCARIA, La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di libertà di espressione radiotelevisiva, in Nuove dimensioni nei diritti di libertà. Scritti in onore di Paolo Barile,
Padova, Cedam, 1990, 545 ss.
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2. Segue: A) caratteri della riserva di legge; B) riserva di legge e concessione radiotelevisiva.
A) Ora, la sent. n. 112/1993 ha consentito di ravvisare, a questo proposito, alcuni segnali di novità in punto di qualificazione, di precisazione delle caratteristiche della riserva di legge nel settore radiotelevisivo. In prima
battuta, la Corte ha sentito l’esigenza di dire la sua circa l’assolutezza o meno di tale riserva. Non è un mistero, infatti, che in materia si fronteggino, da
una parte, quanti prospettano una riserva «relativa», anche sulla scorta della consolidata giurisprudenza costituzionale in tema di proprietà e di impresa, che consente anche a provvedimenti della p.a., purché «sulla base» di disposizioni di legge, di configurare le situazioni soggettive nei corrispondenti settori 5; dall’altra, quanti richiedono una riserva «assoluta» come la sola
atta a garantire contro l’apposizione di limiti amministrativi per fini e motivi diversi da quelli consentiti 6.
Al che, va soggiunto, non è estranea la circostanza che l’impresa radiotelevisiva non risulta assimilabile tout court alle altre imprese, in quanto portatrice di un tratto specifico, di caratteristiche affatto particolari, che in altri
settori imprenditoriali non vengono in considerazione, date dal sicuro coinvolgimento in questa sede del diritto di libertà di manifestazione e diffusione del pensiero ex art. 21 Cost., rispetto a cui si pone l’esigenza di una soglia di garanzia particolarmente elevata. Così, la Corte ha preso posizione a
favore di una riserva di legge assoluta, che è desumibile dall’art. 21 Cost. a
tutela della libertà di espressione del pensiero con il mezzo radiotelevisivo;
ciò nonostante, proprio in relazione ad alcune peculiarità tecnico – strutturali relative tra l’altro alla limitatezza dello spettro hertziano, tale assolutezza conosce un temperamento con riguardo alla concessione radiotelevisiva.
Ma la Corte, in altro luogo, sembra aver rimarcato anche il carattere
«rinforzato» della riserva di legge in questione. In effetti, dell’esistenza di
una riserva di questo tipo si era correttamente ragionato ancora in presenza
del monopolio pubblico radiotelevisivo, in quanto si riteneva che il combinato disposto degli artt. 21 e 43 Cost. attribuisse alla riserva di legge un con-
5
A. PACE, La radiotelevisione in Italia con particolare riguardo all’emittenza privata, in Riv.
trim. dir. pubbl., 1987, 644. Di fatto risulta concludere in direzione analoga anche E. CHELI,
Verso la disciplina del sistema radiotelevisivo italiano come sistema misto, in V. ROPPO (a cura
di), Il diritto delle comunicazioni di massa, Padova, Cedam, 1985, 63 s.
6
S. FOIS, Libertà di diffusione, cit., 1145 e n. 40. Cfr. R. ZACCARIA-L. CAPECCHI, La libertà
di manifestazione del pensiero, in Libertà costituzionali e limiti amministrativi, Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, Padova, Cedam, 1990, 294 ss.
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tenuto rinforzato dall’obbligo per il legislatore di assicurare adeguate garanzie di imparzialità ed obiettività, completezza ed apertura dell’informazione,
nonché di costruire il diritto di accesso in termini il più possibile effettivi e
garantiti (sentt. nn. 59/1960 e 225/1974) 7.
Successivamente, a partire dalla sent. n. 202/1976, veniva ad accentuarsi
la tendenza a ricostruire la riserva rinforzata in termini di prescrizioni – limite al legislatore inerenti al nuovo regime di autorizzazione 8. Da questo
punto di vista, sembra particolarmente significativo che i giudici costituzionali abbiano raccolto alcuni valori e principi fondamentali del nostro sistema radiotelevisivo sotto il comune denominatore di «imperativo costituzionale» – «ineludibile», sottolinea la Corte nella sent. n. 420/1994. L’insieme di questi valori (pluralismo delle fonti; obiettività ed imparzialità dei
dati; completezza, correttezza e continuità dell’informazione; rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori) viene ad identificare, cioè, sicuramente
il contenuto rinforzato di questa riserva di legge, in nome del quale il legislatore può legittimamente porre limiti alla libertà di manifestazione e diffusione del pensiero ex art. 21, ma, ancor più, assume una dimensione precettiva nei confronti dello stesso legislatore che è tenuto a provvedere non
solo nell’osservanza di certi limiti, ma a dare attuazione quei precisi principi.
Non per niente, infatti, l’accento è caduto, in particolare a proposito del
principio pluralistico, sul «vincolo al legislatore di impedire la formazione di
posizioni dominanti e di favorire l’accesso nel sistema radiotelevisivo del
maggior numero possibile di voci diverse» (sent. n. 112/1993) – nonché sul
fatto che «il diritto all’informazione garantito dall’art. 21 Cost. implica indefettibilmente il pluralismo delle fonti» (sent. n. 420/1994) –, sviluppando
orientamenti ormai consolidati (cfr. sentt. nn. 148/1981 e 826/1988) 9. È al7
In dottrina, cfr. P. CARETTI-R. ZACCARIA, Diritto di accesso e legittimità costituzionale del
monopolio radiotelevisivo alla luce del discorso sulla riforma della RAI-TV, in Foro it., 1970, 2615
s. e R. ZACCARIA, L’alternativa posta dalla Corte: monopolio «pluralistico» della radiotelevisione
o liberalizzazione del servizio, in Giur. cost., 1974, 2180.
8
Cfr. R. ZACCARIA, Radiotelevisione e Costituzione, Milano, Giuffrè, 1977, 148 s. e 350 s. ed
A. PACE, La radiotelevisione in Italia, loc. cit.
9
La particolare energia («imperativo costituzionale», «vincolo al legislatore») posta dalla
Corte nel delimitare la discrezionalità del legislatore nell’an e nel quid in ordine a questi punti
pare, dunque, verosimilmente rafforzare l’orientamento già espresso (vedi sentt. n. 153/1987 e
826/1988) circa la configurabilità di un diritto del cittadino ad un’informazione pluralistica, il
quale deve trovare tutela almeno all’interno del sistema di giustizia costituzionale. Ciò non vuol
dire, peraltro, che la soluzione legislativa debba essere, per così dire, a rime baciate: su questo
punto, la Corte ha correttamente sottolineato – se ve ne fosse stato bisogno – «l’innegabile im-
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lora possibile che, di fronte ad una riserva di legge estremamente rigorosa,
in quanto assoluta e necessariamente rinforzata, risultino destinate a cadere
nell’alveo dell’illegittimità costituzionale tutte quelle norme (ma anche lacune) legislative che risultino tali non solo da ledere direttamente quei principi, ma anche, nella misura in cui producano anche una semplice resistenza
di tipo inerziale all’attuazione di questi, da svuotarne, in qualche misura, il
significato (il che può però gettare nuova luce su quella catena di decreti-legge e leggi di conversione che, di proroga in proroga, hanno allontanato nel
tempo il momento del rilascio delle stesse concessioni radiotelevisive, con
qualche problema con riferimento anche all’altro principio di certezza del
diritto, cui fa ampio riferimento la Corte).
In definitiva, dunque, il principio della riserva di legge assolve alla funzione di parametro fondamentale alla stregua del quale valutare la legittimità
costituzionale delle norme regolatrici del settore radiotelevisivo 10.
B) Nel dettare la disciplina della concessione radiotelevisiva – argomento trattato ex professo dalla Corte – il legislatore incontra alcuni particolari
limiti di cui la Corte è chiamata a verificare il rispetto. Già nella sent. n.
826/1988, la Corte aveva richiamato la necessità di determinare per l’assegnazione delle concessioni idonei criteri obiettivi, nella salvaguardia del principio pluralistico, che comporta il divieto di acquisizione di posizioni dominanti. Nella sent. n. 112/1993 essa ha sviluppato queste affermazioni, sottolineando l’aggancio con gli istituti di garanzia, sopra i quali riposa la tutela
costituzionale della libertà di espressione radiotelevisiva.
A questo proposito, particolarmente marcato risulta l’accento sulla riserva di legge per quanto riguarda il rispetto dell’art. 21. Quanto al profilo dell’affidamento delle frequenze, la Corte ha ritenuto che il rispetto della norma sia conseguito assicurando la massima obiettività ed imparzialità, e quindi vincolando la scelta a precisi parametri legali: nella specie, poi, si è ritenuto che l’art. 16 della l. n. 223/1990 abbia soddisfatto queste condizioni,
dettando requisiti oggettivi tali da delimitare i poteri amministrativi corrispondenti. Analogo esito positivo ha conseguito la verifica di costituzionalità delle norme sui limiti e sui controlli, che esplicitano rispettivamente limiti desumibili dalla Costituzione (art. 15) ed identificano parametri legislativi rispettosi della riserva assoluta di legge (art. 6).
possibilità di individuare una soluzione obbligata, che possa dirsi essa sola rispettosa del canone costituzionale dell’art. 21 Cost.» (sent. n. 420/1994).
10
Su questi ed altri aspetti della giurisprudenza costituzionale citata, ci sia consentito di rinviare a L. BIANCHI, La concessione radiotelevisiva tra riserva di legge e situazioni dei concessionari, in Giur. cost., 1993, 2122 ss. e ID., Quest. giust., 1995.
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Dunque, la disciplina della concessione radiotelevisiva è stata ancorata a
precisi istituti di garanzia. Epperò, diverso risulta il grado di tutela che si riconnette rispettivamente all’affidamento-installazione ed all’esercizio dell’attività radiotelevisiva. Infatti, mentre in quest’ultimo caso la riserva di legge
garantisce nella misura massima che la libertà di espressione radiotelevisiva
abbia la stessa estensione della libertà di manifestazione del pensiero, nel caso della concessione di frequenza, quegli stessi motivi che del provvedimento in questione determinano la discrezionalità amministrativa ineliminabile
comportano una maggior difficoltà nel ricorrere allo schema della riserva assoluta di legge, fermo restando che comunque l’autorità amministrativa deve trovare un limite nella necessaria – a pena di incostituzionalità della stessa legge – previsione di precisi ed oggettivi parametri legali, il che comporta che ricorra egualmente in materia una riserva di legge.
Quanto al rispetto del diritto di iniziativa economica, la Corte ha riconosciuto che, in relazione al necessario contemperamento con i principi costituzionali che tutelano la libertà di espressione radiotelevisiva, quelli cioè del
pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione, tale diritto può conoscere
una serie di limitazioni più rigorose nei confronti delle imprese operanti nel
settore (come da tempo ritenuto: vedi, fra le altre, sentt. n. 35/1986 e n.
826/1988). Tuttavia, il legislatore si trova vincolato, in conformità ai principi che la Corte pone in premessa da due tipi di parametro.
Il primo attiene ai principi in nome dei quali limiti e controlli maggiormente rigorosi, ai sensi dell’art. 41, cc. 2° e 3°, sono prevedibili per l’impresa radiotelevisiva: si tratta dei «valori primari della libertà del pluralismo e
dell’imparzialità dell’informazione (televisiva)» contenuti nell’art. 21. Ora, la
salvaguardia di tali principi rende possibili, secondo la Corte, limiti e controlli più rigorosi. Ma, in realtà, come si evince con sicurezza dalla consolidata giurisprudenza costituzionale, tali limiti e controlli non sono solo possibili, ma costituzionalmente necessari, nel senso che si pongono quale condizione di legittimità costituzionale della disciplina radiotelevisiva.
Dunque, secondo una lettura organica e più «forte» dei principi costituzionali in materia radiotelevisiva, la legislazione in materia non solo può, ma
soprattutto non può non contenere limiti e controlli al diritto di impresa che
salvaguardino libertà, pluralismo ed imparzialità dell’informazione 11. In altri termini, sembra corretto ritenere non tanto che sia costituzionalmente indifferente che il legislatore preveda limiti alla libertà di impresa nel nome
11
Critico verso l’insufficienza di tali limiti e controlli, come disciplinati dalla l. n. 223/1990
è stato P. CARETTI, Commento all’art. 20, in V. ROPPO-R. ZACCARIA (a cura di), Il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, Milano, Giuffrè, 1991, 404 ss.
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dell’art. 21, come si potrebbe ritenere ad una prima lettura di questo passaggio della sentenza, quanto, invece, che o la disciplina del settore conterrà
limiti e controlli al diritto di iniziativa economica radiotelevisiva nel nome
della libertà e del pluralismo dell’informazione, oppure non sarà costituzionalmente legittima (cfr. ancora sent. n. 148/1981).
L’altro parametro concerne lo strumento attraverso il quale possono essere previsti limiti alla libertà di impresa. Esiste infatti una riserva di legge
posta dall’art. 41, cc. 2° e 3°, il cui mancato rispetto può inficiare la legittimità stessa di tali limiti. Il legislatore deve infatti muoversi nel rispetto dei
principi della riserva di legge e pure della certezza giuridica. Sicché anche
questo parametro, non meno dell’altro, si pone come condizione necessaria,
ancorché di per sé non sufficiente, del legittimo intervento regolatorio. Dunque, è forse possibile identificare a questo proposito una riserva di legge
rinforzata a tutela della libertà di impresa radiotelevisiva, giacché il regolatore non solo non potrà utilizzare uno strumento normativo diverso dalla legge, ma non potrà prevedere una disciplina vincolistica se non in nome dei
valori costituzionali identificati dall’art. 21 Cost.
Nella specie, poi, la Corte (sent. n. 112/1993) ha avallato l’intervento legislativo in quanto realizzato attraverso la «predeterminazione in norme di
legge del contenuto essenziale e della forma dei limiti imponibili all’autonomia imprenditoriale», e quindi «in termini oggettivi di legalità sostanziale».
Il che può avere un qualche significato se la Corte, pur senza arrivare a conferirgli dignità di principio costituzionale, finisce per riconoscere come il prestabilire lo schema, «il contenuto essenziale e la forma» dell’intervento amministrativo nel settore, non costituisce tanto un limite al legislatore, quanto l’identificazione di un percorso rispettoso dei principi della riserva di legge e della certezza giuridica. Sembra, insomma, che la Corte abbia proposto
una versione, per così dire, tenue, del principio di legalità sostanziale, quasi
suggerendo al legislatore che comportandosi come se questo principio-limite operasse, il rispetto della riserva di legge e della certezza giuridica verrebbe assicurato 12.
12
Sul significato del principio di legalità sostanziale, v. sempre L. CARLASSARE, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Padova, Cedam, 1966, 113 ss. Sulla traduzione del principio di legalità sostanziale della riserva di legge, vedi G. ZAGREBELSKY, Diritto costituzionale. Il
sistema delle fonti del diritto, Torino, Utet, 1988, 53 ss. Sull’accoglimento del principio nella
giurisprudenza della Corte, vedi L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, Il Mulino,
1996.
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3. Il potere regolamentare dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed il procedimento regolamentare
Da una disamina delle fonti secondarie il cui potere di emanazione viene
attribuito dalla l. n. 249/1997 all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
emerge, in prima battuta, il numero di regolamenti dell’Autorità, organo
complesso, in ciascuna delle articolazioni in cui prende forma (commissione
per le infrastrutture e le reti, commissione per i servizi ed i prodotti, consiglio): si tratta in tutto di ventuno regolamenti, adottati secondo tipologie differenziate, ad esempio, per quanto riguarda la procedura, con particolare riferimento alla raccolta di pareri obbligatori da parte di organi vari 13. Ma, soprattutto, va sottolineato come, secondo la classificazione che viene fatta con
riguardo al rapporto tra fonti primarie e secondarie, vi sono, da un lato, alcuni rilevanti casi di delegificazione (come ad esempio in materia di registro),
non sempre nel rispetto dei principi fissati dalla l. n. 400/1988, anche se formalmente qui non si è nel settore dei regolamenti governativi, regolati dall’art. 17 di quella legge; dall’altro, i numerosi casi di regolamenti di attuazione ed integrazione si risolvono, data l’estrema genericità della disciplina,
in casi di regolamenti sostanzialmente indipendenti 14.
Dal punto di vista del procedimento di formazione dei regolamenti dell’Autorità, occorre sottolineare quanto specificamente previsto all’art. 1, c.
9°, della l. n. 249/1997, in base al quale «tutte le delibere ed i regolamenti
di cui al presente comma sono adottati dall’Autorità con il voto favorevole
della maggioranza assoluta dei suoi componenti». Si tratta, a ben vedere, di
una maggioranza qualificata che identifica un quorum particolarmente elevato, che richiede su ciascuno di questi atti un’espressione favorevole di cinque su nove componenti dell’Autorità. A parte le delibere relative all’«autonoma gestione delle spese per il ... funzionamento» della stessa Autorità, le
altre votazioni hanno ad oggetto atti regolamentari.
Per l’esattezza, tali atti sono il regolamento organizzativo dell’Autorità, di
cui vengono meglio dettagliati l’oggetto (organizzazione, funzionamento, bilanci, rendiconti e gestione delle spese, ecc.) e la tempistica (termine di novanta giorni dal primo insediamento dell’Autorità), ed il Codice etico, aven-
13
Su questo tema, vedi in generale, v. N. MARZONA, Il potere normativo delle autorità indipendenti, in S. CASSESE-C. FRANCHINI (a cura di), I Garanti delle regole, Bologna, Il Mulino, 1996,
87.
14
Sul potere normativo delle autorità amministrative indipendenti in generale, vedi N. MARZONA, Il potere normativo delle autorità indipendenti, cit. Vedi anche G. DE MINICO, I poteri
normativi del Garante per la radiodiffusione e l’editoria, in Politica del diritto, 1995, 511.
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te ad oggetto modalità operative e comportamentali di personale, dirigenti e
componenti dell’Autorità. Anche di quest’ultimo, nonostante l’imperfetta testualità della disposizione («L’Autorità adotta regolamenti ... attraverso
l’emanazione di un documento denominato Codice etico») non sembra consentito dubitare della natura di atto regolamentare.
Piuttosto, sulla base di quanto previsto dall’art. 1, c. 9°, si potrebbe forse sostenere – applicando il criterio ubi lex voluit, dixit – che, poiché la legge richiede questa maggioranza qualificata relativamente ai soli regolamento
organizzativo e codice etico, nei casi di votazione degli altri regolamenti la
deliberazione può passare a maggioranza semplice (dei presenti o dei voti validi), sia del consiglio sia di ciascuna commissione, a meno che non sia lo
stesso regolamento organizzativo a disporre diversamente, ben potendo farlo in quanto materia rientrante nel suo oggetto.
A questa considerazione si potrebbe, peraltro, aggiungere che proprio il
regolamento organizzativo ed il codice etico, in virtù del particolare procedimento di formazione e dell’oggetto, nonché della circostanza che si tratta
di regolamenti ad adozione obbligatoria da parte dell’Autorità –a differenza
di altri –, risultano fonti provviste di un regime tutt’affatto qualificato rispetto
agli altri regolamenti del consiglio e delle commissioni, tale da porli, in definitiva, in una posizione di sovraordinazione rispetto a questi. Tale considerazione risulta valere, in particolare, per il regolamento organizzativo.
Quest’ultimo, infatti, ai sensi dell’art. 1, c. 7°, della l. n. 249/1997, può
operare una redistribuzione delle competenze tra gli organi componenti dell’Autorità (commissioni e consiglio), così come analiticamente indicate al c.
6° dello stesso articolo. Sicché, a ben vedere, la singolarità di questo tipo di
operazione – comprensibile soltanto in una logica di avviamento dell’istituzione – consiste in questo, nell’individuazione puntuale e dettagliata delle
competenze dell’Autorità in capo a ciascuno dei suoi organi (c. 6°), e nella
contestuale delegificazione di tutta la materia (c. 7°) a favore del regolamento
organizzativo, delegificazione oltretutto «in bianco», in carenza totale, cioè,
di disposizioni legislative recanti le linee normative generali della materia 15.
Oltretutto, in base all’art. 1, c. 22°, tale regolamento organizzativo identifica una’ipotesi di delegificazione assai rilevante di alcune disposizioni della l. n. 223/1990, tra cui anche quelle fondanti del sistema radiotelevisivo misto, e che ne definiscono i principi, disposizioni che, in sede di riforma, trovano il proprio luogo naturale non nella l. n. 249/1997, ma nel disegno di
legge n. 1138, ancora all’esame del Senato.
15
Su tutta la materia delle delegificazioni, si veda G. TARLI BARBIERI, Le delegificazioni, Torino, Giappichelli, 1996.
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In considerazione di tutto ciò, si può forse allora ritenere di essere in presenza, nei casi visti, di una potestà regolamentare più forte e qualificata rispetto agli altri casi di regolamento attribuiti all’Autorità, tale da rendere i
regolamenti di cui all’art. 1, c. 9°, classificabili in una categoria a sé di fonti
secondarie, relegando gli altri ad una sorta di fonti terziarie.
Sempre dal punto di vista procedimentale, vi è un altro caso significativo, previsto dall’art. 1, c. 13°, della l. n. 249/1997. Nel quadro della istituzione, in qualità di organi ausiliari, dei Comitati regionali per le comunicazioni, si prevede, infatti, che «l’Autorità, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, adotta un regolamento per definire le materie di sua competenza che possono esser delegate ai comitati regionali per le comunicazioni».
Questa previsione modifica radicalmente il modello previgente, delineato
sulla base della l. n. 223/1990 e del rispettivo regolamento di attuazione
(d.p.r. n. 255/1992), nonché dei successivi atti normativi.
Mentre, infatti, fin qui lo strumento tecnico previsto ed impiegato per la
collaborazione tra Garante per la radiodiffusione e l’editoria ed i Comitati
regionali per i servizi radiotelevisivi è consistito in una semplice lettera di
«avvalimento» trasmessa dal Garante agli stessi Comitati, i cui contenuti venivano determinati unilateralmente dallo stesso Garante, il modello viene
adesso di molto aggravato, attraverso la previsione – oltre che del ben più
forte istituto della delega invece che dell’avvalimento – di un regolamento
apposito, ad adozione obbligatoria, dell’Autorità, i cui contenuti (ma anche
la cui tempistica di adozione) vanno negoziati e concordati d’intesa con la
Conferenza Stato – Regioni, con una valorizzazione, precedentemente non
prevista a livello procedimentale, del ruolo delle autonomie regionali 16.
Vi è poi tutta un’attività di regolazione che, senza che la legge faccia
espresso riferimento al termine di «regolamento», viene attribuita all’Autorità: in molti casi, si tratta di una normativa tecnica, si vedano ad esempio,
la determinazione degli standard dei decodificatori o i criteri di definizione
dei piani di numerazione; ma non vi è dubbio che in vari altri casi siamo in
presenza di un’attività normativa di tipo sostanzialmente regolamentare, come ad esempio per quanto riguarda le norme di attuazione in materia di propaganda, pubblicità ed informazione elettorale 17.
16
Su questi aspetti, ci si consenta di rinviare a L. BIANCHI, Il rapporto regioni-informazione;
un quadro giuridico, in Quaderni reg., 1993, 117.
17
Per un’interessante ricostruzione di tutta la vicenda relativa agli atti normativi di attuazione della legge Mammì, si veda G. SAVORANI, La catena normativa, in Politica del diritto, 1995,
nonché, per gli aspetti procedimentali e legistici, ID., L. 6 agosto 1990, n. 223, in G. VISINTINI (a
cura di), Analisi di leggi - campione. Problemi di tecnica legislativa, Padova, Cedam, 1995, 169 ss.
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4. Le competenze della commissione per le infrastrutture e le reti
Come si è accennato, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è un
organo complesso, che si articola in tre organi, ciascuno dei quali dotato di
proprie attribuzioni normative, modificabili, tuttavia, in virtu’ di una disposizione delegificante, dal regolamento di organizzazione dell’Autorità (art. 1,
c. 6°, lett. c), nn. 7 e 9).
La Commissione per le infrastrutture e le reti vede disciplinati suoi poteri normativi dall’art. 1, c. 6°, lett. a), della l. n. 249/1997. Tale lettera dispone l’attribuzione a questa commissione di uno specifico potere regolamentare in due settori. In primo luogo, viene in considerazione il registro degli operatori di comunicazione, la cui tenuta viene assegnata alla cura dell’Autorità
(n. 5). A questo livello, la legge avvia, dunque, una reductio ad unum anche
formale di tutti gli operatori nel sistema della comunicazione, indipendentemente dal fatto che questi svolgano la rispettiva attività nell’uno e/o nell’altro
mezzo di comunicazione (sono tenuti, infatti, all’obbligo della registrazione
«i soggetti destinatari di concessione ovvero di autorizzazione in base alla vigente normativa da parte dell’Autorità o delle amministrazioni competenti,
le imprese concessionarie di pubblicità da trasmettere mediante impianti radiofonici o televisivi o da diffondere su giornali quotidiani o periodici, le imprese di produzione e distribuzione dei programmi radiofonici e televisivi,
nonché le imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici o riviste e le
agenzie di stampa di carattere nazionale, nonché le imprese fornitrici di servizi telematici e di telecomunicazioni ivi compresa l’editoria elettronica e digitale; nel registro sono altresì censite le infrastrutture di diffusione operanti nel territorio nazionale»).
A questo proposito, all’Autorità viene attribuito un apposito potere regolamentare relativamente all’organizzazione ed alla tenuta del registro e
«per la definizione dei criteri di individuazione dei soggetti tenuti all’iscrizione diversi da quelli già iscritti al registro alla data di entrata in vigore della presente legge»; così riguardata, la disposizione sembrerebbe assegnare all’Autorità un potere regolamentare di attuazione e di integrazione rispetto a
quanto previsto al numero 5, anche se la stessa disposizione parrebbe sufficientemente compiuta nelle previsioni.
Di rilievo è, invece, la previsione del numero 6 della stessa lett. a), che
identifica una vera e propria norma delegificante in tema di registro, disponendo l’applicazione del modello dell’abrogazione differita (all’entrata in vigore del regolamento di cui sopra) di tutte le disposizioni concernenti la tenuta e l’organizzazione del Registro nazionale della stampa e del registro nazionale delle imprese radiotelevisive. Da questo punto di vista, mentre per
quanto riguarda l’identificazione dei soggetti tenuti all’iscrizione non par-
Fonti secondarie nella l. 31 luglio 1997, n. 249
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rebbero esserci molti problemi dal punto di vista del rispetto della riserva di
legge, più scoperta sul lato legislativo risulta la tenuta e l’organizzazione del
Registro.
5. Le competenze della commissione per i servizi e i prodotti
Notevoli sono anche, ma in larga misura prevedibili, i poteri regolamentari assegnati alla commissione per i servizi ed i prodotti, elencati dalla lett.
b) dell’art. 1, c. 6°, della legge. Tra questi poteri regolamentari (come tra quelli assegnati agli organi dell’autorità, in genere), vanno distinti quelli di cui la
legge stessa prevede l’esercizio obbligatorio e quelli per cui, invece, l’esercizio del potere regolamentare costituisce una facoltà. Di particolare interesse
sono in particolare i primi. Il settore di maggiore rilievo, anche per l’estensione in cui viene configurato il rispettivo potere regolamentare, è quello della pubblicità commerciale.
Dispone, infatti, il n. 5 della lett. b) che la commissione per i servizi ed i
prodotti «in materia di pubblicità sotto qualsiasi forma e di televendite, emana i regolamenti attuativi delle disposizioni di legge e regola l’interazione organizzata tra il fornitore del prodotto o servizio o il gestore di rete e l’utente, che comporti acquisizione di informazioni dall’utente, nonché l’utilizzazione delle informazioni relative agli utenti. Accanto a questa previsione va,
innanzitutto, citata quella contenuta nel n. 12 della stessa lett. b), a norma
del quale, in materia di pubblicazione e diffusione dei sondaggi sui mezzi di
comunicazione di massa, è la stessa commissione che deve provvedere ad
emanare un apposito regolamento contenente i criteri il cui rispetto dovrà
essere verificato, poi, ancora dalla commissione.
Di tipo, poi, sostanzialmente regolamentare (ancorché la legge non ne parli in termini formali), risultano essere le norme di attuazione che – in coerenza con quanto avviene attualmente a cura del Garante per la radiodiffusione e l’editoria – la commissione per i servizi ed i prodotti è tenuta ad emanare in materia di propaganda, pubblicità ed informazione politica ed in materia di pubblicazioni e di trasmissione di informazioni e di propaganda elettorale (norme delle quali, unitamente a quelle legislative, la stessa commissione è chiamata poi a garantire l’osservanza) (art. 6, c. 1°, lett. b), n. 9).
Quanto all’esercizio facoltativo del potere regolamentare da parte della
stessa commissione, questo ha luogo, a’ termini dell’art. 6, c. 1°, lett. b), n.
3, nel più ampio settore delle telecomunicazioni, in linea con la funzione di
vigilanza sulle modalità di distribuzione dei servizi e dei prodotti assegnata
alla commissione. La commissione stessa può, infatti, emanare regolamenti,
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nel rispetto delle norme dell’Unione europea, «per la disciplina delle relazioni tra gestori di reti fisse e mobili e operatori che svolgono attività di rivendita di servizi di telecomunicazioni».
6. Le competenze del consiglio
Vi è, poi, tutto il capitolo delle competenze regolamentari del consiglio,
organo collegiale formato da tutti i componenti dell’Autorità, le cui funzioni vengono elencate dalla lett. c) dell’art. 1, c. 6°, della l. n. 249/1997. Anche in questo caso, vi sono alcuni regolamenti obbligatori ed altri facoltativi. Tra questi ultimi, si segnala in particolare il potere di predisporre specifici regolamenti (di attuazione) al fine di garantire l’applicazione delle norme legislative sull’accesso ai mezzi e alle infrastrutture di comunicazione (art.
6, c. 1°, lett. c), n. 2).
Tra i regolamenti obbligatori di competenza del consiglio, si segnala che,
a norma del n. 4 della lett. c), il consiglio è tenuto ad adottare i regolamenti di cui al c. 9°. Tra questi, vi è un regolamento di portata generale, accompagnato da altri dotati di rilievo specifico. Il regolamento generale in questione è il «regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento, i
bilanci, i rendiconti e la gestione delle spese, ... nonché il trattamento giuridico ed economico del personale addetto». Questo regolamento non è solo
obbligatorio, ma deve essere anche adottato entro un certo termine, pari a
novanta giorni dal primo insediamento dell’Autorità, anche se poi non viene previsto, come accade di frequente in casi simili, nessun tipo di sanzione
nel caso di inosservanza del termine.
Tuttavia, sarà verosimilmente nello stesso interesse dell’Autorità dotarsi
al più presto di questo regolamento, indispensabile al fine di una piena operatività della stessa Autorità, da un lato, ma che consente, dall’altro, il dispiegarsi di un incisiva autonomia regolamentare, che il Garante per la radiodiffusione e l’editoria non possedeva, disponendo soltanto di un mero potere di iniziativa rispetto al regolamento di organizzazione, che rimaneva comunque di competenza del Governo.
Nel quadro di questo regolamento, l’Autorità deve anche adottare regolamenti «sulle modalità operative e comportamentali del personale, dei dirigenti e dei componenti dell’Autorità attraverso l’emanazione di un documento denominato Codice etico dell’Autorità per le garanzie nelle comunivazioni». Pur nell’impiego di una terminologia non univoca («emanazione di
un documento»), non dovrebbero esserci dubbi che anche in questo caso si
è in presenza di un atto regolamentare, in rapporto verosimilmente di spe-
Fonti secondarie nella l. 31 luglio 1997, n. 249
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cialità anziché di subordinazione rispetto al regolamento organizzativo. D’altra parte, va sottolineato come, ancora a’ termini del c. 9°, entrambi i regolamenti sono adottati dall’Autorità «con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti).
Di particolare importanza è poi quanto disposto dall’art. 6, c. 1°, lett. c),
n. 5, che attribuisce all’Autorità il potere regolamentare di attuazione (ad
esercizio obbligatorio) in materia di licenze, concessioni ed autorizzazioni,
distintamente per i settori delle telecomunicazioni e della radiotelevisione.
Nel primo caso, tale potere regolamentare viene esercitato rispetto a regolamenti delegati adottati in seguito ad un’apposita delegificazione, operata dal
c. 2° dell’art. 1 del d.l. n. 545/1996, convertito nella l. n. 650/1996, che prevede l’emanazione di regolamenti governativi per l’attuazione delle direttive
europee in materia di televisione via cavo, telefonia vocale e concorrenza nel
settore delle telecomunicazioni.
L’Autorità interviene, così, in questo settore, in terza battuta, a seguito
della legge delegificante e dei regolamenti delegati, in materia dei criteri e
delle modalità per il rilascio delle licenze e delle autorizzazioni e per la determinazione dei relativi contributi. Mentre nel settore della radiotelevisione, il consiglio in rapporto di attuazione direttamente della legge, deve adottare il regolamento sui criteri e sulle modalità di rilascio delle concessioni e
delle autorizzazioni e per la determinazione dei relativi canoni e contributi.
Vanno, ancora, almeno ricordati il regolamento sulle modalità di verifica
dei bilanci e dei dati relativi alle imprese radiotelevisive (art. 1, c. 6°, lett. c), n.
7); il regolamento sui criteri per la designazione, l’organizzazione e il funzionamento, nonché la fissazione del numero dei componenti del Consiglio nazionale degli utenti secondo principi e criteri già identificati in legge, diversamente che in precedenza (art. 1, c. 28°); il regolamento sui provvedimenti ed
i procedimenti relativi alle posizioni dominanti vietate (art. 2, c. 5°): il regolamento apposito sulla diffusione radiotelevisiva via satellite (art. 3, c. 10°).
7. Spunti di considerazione
Rispetto al quadro delle competenze normative precedente 18, va osservato che la l. n. 249/1997 introduce, tutto sommato, modificazioni significati-
18
Vedi R. ZACCARIA, Le fonti dell’ordinamento radiotelevisivo. Competenza statale e regionale, in R. ZACCARIA (a cura di), I servizi dell’informazione, II, Radiotelevisione, in Trattato di
diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova, Cedam, 1996, 106 ss.
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ve. Dalla rassegna che si è andati facendo dei casi più significativi di regolamenti dell’Autorità emergono a favore di questo tipo di fonti due tendenze
dirette ad esaltarne il ruolo nella regolamentazione del settore della radiotelevisione e delle telecomunicazioni. Da un lato, infatti, va registrato come tutta una serie di scelte, tra cui molte delle più qualificanti, vengono spostate
dalla sede legislativa a quella regolamentare dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la possibilità di riproposizione – anche in considerazione della composizione stessa dell’Autorità – di rilevanti motivi di duro
confronto, quando non di scontro, politico.
Dall’altro, va registrato – rispetto a quanto rilevato, ad esempio, tra il 1992
ed il 1994 19 – la sottrazione di tutta una sfera decisionale dall’area governativa (cui permangono in capo ancora notevoli competenze regolamentari, ma
più ancora amministrative, come il rilascio della concessione) a favore ancora della stessa Autorità, con un riequilibrio, almeno tendenziale, della precedente situazione, non a favore, tuttavia, della sede legislativa, ma della potestà regolamentare dell’Autorità, e, quindi, con tutta una serie di problemi,
alcuni dei quali si sono visti sopra, in punto di rispetto della riserva di legge
esistente in materia.
In questo quadro, rilevano anche alcuni aspetti di diritto transitorio, regolati dall’art. 1, cc. 23° e 25°, della l. n. 249/1997. La prima disposizione
prevede, infatti, una ristrutturazione degli uffici del Ministero delle comunicazioni, attraverso regolamenti governativi autorizzati ex art. 17, c. 2°, della
l. n. 400/1988, con una forma di delegificazione molto generale, ma che potenzialmente anticipa, sottraendo almeno in via transitoria una parte delle rispettive decisioni, il regolamento organizzativo, dovendosi occupare tra l’altro dell’individuazione delle competenze trasferite, del coordinamento delle
competenze dell’Autorità con quelle delle pubbliche amministrazioni interessate dal trasferimento di competenze. Per questa via, le considerazioni
svolte appena sopra possono conoscere dunque un anche sensibile temperamento, almeno in via transitoria.
19
Cfr. U. DE SIERVO, Gli organi statali, cit., 81 ss.
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