ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE
ALDO MORO
Liceo Scientifico
Istituto Tecnico
Via Gallo Pecca n. 4/6 - 10086 Rivarolo Canavese
Tel 0124 454511 - Cod. Fiscale 85502120018
E-mail: [email protected] Url: www.istitutomoro.it
ANNO SCOLASTICO 2015/2016
ESAME DI STATO
Lorenzo Furbatto
Classe 5C
Sezione Scientifica
BREVE STORIA DELLA PUBBLICITÀ ITALIANA
ABSTRACT
La tesina ripercorre in modo indiretto la storia italiana dall’inizio del XX secolo sino ad oggi,
in modo particolare dal punto di vista economico e sociale, seguendo il progressivo cambiamento dei messaggi pubblicitari sia dal punto di vista della forma che dei contenuti.
La principale motivazione nella scelta di tale argomento è stato l’interesse personale e la
curiosità per tale ambito, interessante è il forte collegamento tra la storia, la cultura italiana
e i caratteri distintivi che essi hanno portato nella comunicazione promozionale e che sono
pervenuti fino ai nostri giorni.
La circoscrizione dell’argomento a un singolo periodo e un singolo Stato è stata dettata dalla
vastità e dalla complessità dell’argomento scelto, è stato pertanto preferito il periodo più
significativo, la scelta della Nazione è stata dettata da motivazioni personali e dalla particolarità dell’evoluzione del fenomeno.
La principale difficoltà incontrata è stata causata dalla crescita progressiva che la pubblicità
ha avuto nel corso del tempo e quindi dalla crescente vastità e varietà di messaggi; pertanto
è stato solo possibile ricostruire un filone generale corrispondente alle principali caratteristiche e basato sui più celebri e fondamentali esempi, mentre sono state tralasciate le divagazioni sui casi meno importanti. Al fine di una trattazione più chiara e coinvolgente è stato
dato largo spazio a numerosi esempi ritenuti emblematici e rappresentativi del periodo
scelto.
The essay indirectly retraces the Italian history since the beginning of the XX century until
today, particularly from an economic and social point of view, following the
gradual change of advertising, concerning both the form and the subject.
The key motivating factors behind this topic choice were the personal interest and the curiosity in this area, interesting is the close link between Italian history and culture and the
distinguishing features they have brought into the promotional messages and have come to
date.
The restriction to a single period and to a single country was induced by the extent and the
complexity of the argument chosen, it was therefore preferred the most significant period
and the choice of the country was determined by personal reasons and by the peculiarity in
the phenomenon development.
The main problem faced was caused by the progressive growth of the advertising phenomenon, in other words by the increasing of the vastness and variety of promotional messages;
therefore it was only possible to find the central idea corresponding to the main features
and based on the most famous and indispensable examples, whereas marginal parenthesis
were omitted.
For a clearer and more captivating dissertation, were made room for copious symbolic and
representative examples.
Sommario
BREVE EXCURSUS SULLA SUA NASCITA............................................................................................................ 1
ANNI ‘10 ............................................................................................................................................................ 3
ANNI ’20-’30 ...................................................................................................................................................... 3
VENTENNIO NERO DELLA PUBBLICITÀ ............................................................................................................. 5
DALLA RICOSTRUZIONE AL BOOM DI CONSUMI ............................................................................................. 5
CAROSELLO.................................................................................................................................................... 7
LA PUBBLICITÀ DI FRONTE ALLA CRISI ............................................................................................................. 9
I GLORIOSI ANNI OTTANTA............................................................................................................................. 10
CRISI E RINASCITA DELLA MARCA .................................................................................................................. 14
(UNITED COLORS OF) BENETTON ............................................................................................................... 16
L’INVASIONE.................................................................................................................................................... 16
LA PUBBLICITÀ ITALIANA NEL TERZO MILLENNIO ......................................................................................... 17
Bibliografia: ..................................................................................................................................................... 19
Sitografia: ........................................................................................................................................................ 19
BREVE EXCURSUS SULLA SUA NASCITA
Le insegne dei commercianti utilizzate per attirare i clienti possono essere considerate una prima forma di pubblicità, pertanto vi è chi fa risalire le sue origini fino alle civiltà
del passato. Tuttavia, soltanto dopo il XV secolo, con l’invenzione della stampa, nacquero i
primi manifesti, sebbene avessero ancora un uso limitato (perlopiù grida, editti, sentenze o
annunci religiosi). Nel Seicento si diffusero le gazzette che concedevano un ampio spazio ad
una réclame ancora priva di illustrazioni e basata su un testo simile a quello giornalistico. Le
prime forme di pubblicità vera e propria apparvero quindi sui giornali inglesi (primo tra tutti
il Mercurius Britannicus nel 1625) e a fine secolo esse arrivarono anche nel nostro paese: nel
1691 sul Protogiornale Veneto Perpetuo (un almanacco contenente informazioni su feste
religiose e civili) comparve un annuncio di un profumo per le ricche signore di Venezia. Fin
dagli albori della réclame viene fatto uso dei cosiddetti testimonial ovvero personaggi famosi
che prestano la propria immagine per pubblicizzare un prodotto.
La figura del venditore di spazi pubblicitari fu introdotta dal farmacista bresciano Attilio Manzoni, il quale creò nel 1863 la prima concessionaria pubblicitaria italiana: la A.MANZONI & C, ancora oggi attiva sul mercato. Essa operava a Milano e si occupava del commercio
all’ingrosso di prodotti farmaceutici e chimici; utilizzò spazi sui giornali italiani dell’epoca per
promuovere, oltre ai propri prodotti, anche quelli di aziende farmaceutiche straniere di cui
prima si era assicurata la rappresentanza esclusiva per l’Italia.
A fine ‘800 i quotidiani e i settimanali dedicavano l’ultima pagina (ovvero la quarta)
ad annunci pubblicitari, per cui fino alla seconda guerra mondiale l’espressione “quarta pagina” indicava la piccola pubblicità e nel 1888 ci sono le prime campagne nazionali per le
acque minerali di Fiuggi e Santa Caterina Valfurva.
Nell’Ottocento, grazie alla litografia, comparvero i primi manifesti murali in bianco e
nero nelle principali città europee, tuttavia erano ancora pubblicità concepite per essere
lette; dalla seconda metà dell’Ottocento con la cromolitografia (che permetteva l’uso del
colore) i manifesti acquistarono una maggiore efficacia espressiva e l’immagine prese il sopravvento in modo da rivolgersi ad un pubblico più ampio. A farne uso per primi furono gli
editori, seguiti quindi da teatri, cabaret e circhi equestri; sui giornali, invece, per catturare
l’attenzione si ricorse allo slogan, una breve frase di forte impatto che poteva facilmente
essere ricordata dal lettore.
La progressiva urbanizzazione dell’Italia e delle nazioni occidentali rese la strada il
luogo centrale di espressione, pertanto a fine Ottocento il manifesto si ingrandì (a volte diventò pure orizzontale). Il crescente utilizzo dei mezzi di trasporto veloci (come il tram a
cavalli) da una parte fece sì che i manifesti venissero visti sempre più frettolosamente,
dall’altra rese il tram stesso luogo ideale per la pubblicità, nacquero difatti in questo periodo
i cosiddetti uomini sandwich, che si collocavano lungo le linee di percorrenza o addirittura
salivano sui mezzi.
1
La grande espansione economica e dei consumi portata dalla seconda rivoluzione industriale rese il manifesto il principale mezzo di comunicazione.
I manifesti a colori di Jules Chéret sono il vero punto
di partenza di quelli moderni: egli possedeva un
grande senso della messa in scena e riuscì a far convivere armonicamente testo e immagini. Altri grandi
nomi di cartellonisti dell’epoca furono Henri de Toulouse-Lautrec (che si ispirò all’essenziale grafica giapponese da cui prese l’uso di campiture di colore
piatte, rielaborandola in uno stile personale) e Alphonse Marie Mucha (che fece ricorso all’art noveau,
molto vicina idealmente alla pubblicità che permetteva di portare l’arte fuori dalle gallerie).
In Italia il primo manifesto a colori fu
realizzato nel 1863
da
Rossetti
per
l’opera lirica Faust, successivamente il manifesto d’autore si
diffonderà anche in Italia; i nomi più famosi furono quelli di
Giovanni Maria Mantaloni (da molti ritenuto il primo vero
cartellonista italiano), Leonetto Cappiello, il quale realizzò
più di 3000 manifesti, tra cui quello per il cioccolato Klaus
che diventò manifesto-marchio del prodotto per il forte impatto visivo che ebbe (Klaus diventò “quello della donna
verde”) e Marcello Dudovich, padre del manifesto italiano in
stile Liberty ed erede ideale di Henri de Toulouse-Lautrec.
La vera storia della pubblicità comincia solo agli inizi del Novecento grazie agli studi
sulla psiche umana: da questo momento in avanti, infatti, i pubblicitari cercheranno di sviluppare delle pubblicità in grado di stimolare le componenti istintuali degli individui.
2
ANNI ‘10
Innanzitutto, per capire l’importanza crescente del settore, si diffuse l’uso del termine
“pubblicità” che sostituì quello di “réclame” finora adoperato.
Il periodo di deciso sviluppo economico fece espandere il mondo pubblicitario. Ad
occuparsi della pubblicità c’erano artisti (mancavano ancora gli esperti del settore) spesso
anche molto famosi al punto da rivestire anche il ruolo di testimonial: Giacomo Puccini compose versi per il dentifricio Odol (1910), Gabriele D’Annunzio creò il brand La Rinascente e
prestò la propria creatività e prestigio personale a diversi prodotti tra cui l’Amaro Montenegro (il “liquore delle virtudi”) ed i biscotti Saiwa (Società Accomandita Industria Wafer e Affini): “Queste vostre novissime scatole di biscotti fini superano in finezza e in bontà le migliori di Inghilterra. Son troppo squisite per me. Vi ringrazio, Vi lodo”. Anche Arturo Gazzoni
utilizzò sistematicamente artisti per promuovere i suoi prodotti (l’Antinevrotico De Giovanni,
l’Idrolitina e La pasticca del Re Sole).
In particolare vi fu un intenso rapporto tra la pubblicità e i futuristi italiani anche a
causa dell’elevata sintonia tra essi e il mondo dell’industria; essi intuirono pienamente le
potenzialità della pubblicità, giungendo a teorizzarne l’innovatività e ad assumerla come
forma artistica (la stessa innovazione futurista delle parole in libertà dovette, infatti, molto
alla grafica che caratterizza i manifesti pubblicitari): “Fatalmente moderna, fatalmente audace, fatalmente pagata, fatalmente vissuta” (Depero).
Lo stesso Marinetti si cimentò
nell’arte pubblicitaria componendo poemi
industriali per la Snia Viscosa che voleva lanciare il Lanital; Campari fece ricorso a numerosi artisti e il rapporto più significativo fu
con Depero, il quale lavorò dal packaging del
prodotto fino alla progettazione di distributori automatici e all’ideazione di oggetti
d’arte sponsorizzabili, al punto che ancora
oggi nell’identità visiva del marchio è riconoscibile la sua influenza (Mojana, Masoero,
2010).
ANNI ’20-’30
La pubblicità si trasformò in un vero e proprio sistema industriale e di comunicazione
che contribuì alla creazione di una cultura di massa. Alla pubblicità creata per far ricordare
un prodotto o una marca subentrò un orientamento volto a mostrare ed esaltare le qualità
e le prestazioni del prodotto: il messaggio perse l’immediatezza, ma divenne più articolato
e completo.
3
Adriano Olivetti creò nel ’31 l’Ufficio Sviluppo e Pubblicità nella sua azienda per lanciare la
Lettera 42 e vennero ingaggiati i migliori grafici
che realizzarono 18 tavole a colori; famosa divenne quella di Giovanni Pintori che rappresentava una rosa nel calamaio ad indicare che con la
macchina da scrivere il calamaio diventava inutile,
che venne poi ripresa nel ’52 come pubblicità
della Studio 44.
Negli anni Trenta operavano diversi studi grafici dove dei grafici professionisti si occupavano
del disegno e solitamente ci si rivolgeva a qualche giornalista per la parte verbale.
Da ricordare il ruolo di Dino Villani: tra i tanti lavori creò nel 1939 (insieme a Cesare
Zavattini) il concorso 5000 lire per un sorriso per promuovere il dentifricio Erba - Gi. Vi.
Emme, che nel 1946 divenne la celebre manifestazione Miss Italia.
Alla fine della Grande Guerra fece il suo ingresso sul panorama italiano la radio, la
quale entrando nelle case degli italiani portò con sé anche la pubblicità che si trasformò ed
assunse un rapporto più “intimo” col consumatore. Così nel 1926
la pubblicità radiofonica arrivò anche nel nostro paese, ma in una
prima fase furono scarsamente impiegate le capacità comunicative del nuovo mezzo e le prime pubblicità erano perlopiù di interesse locale. Si faceva uso di un linguaggio dialettale, sintetico,
laconico e teso ad escludere divagazioni con un frequente ricorso
alla rima, ad esempio: “Ne podi più de vedegh no per metter su
gli ociai del Vigano”; “Se di affanni e di malanni non si sente più
novella, se ciascun sorride lieto e la vita trova bella, se ragione
misteriosa a gioir ciascuno appella, questa è l’ora senza pari, questa è l’ora del Campari”.
Finalmente negli Anni Trenta arrivò anche in Italia la strada della sponsorizzazione (già
ampiamente impiegata da tempo negli USA) con concerti di musica classica offerti dalla
Campari e Martini & Rossi e radioromanzi a puntate di tipo parodistico-sociale come I Quattro Moschettieri (inaugurato nel 1934) e Due Anni Dopo, entrambi sponsorizzati dalla Buitoni-Perugina e sapientemente abbinati ad un concorso a premi basato sulla raccolta di figurine contenute nei prodotti dell’azienda che ebbe un successo crescente fino a raggiungere la mania collettiva.
Col passare del tempo si comprese che il nuovo mezzo necessitava di uno specifico
linguaggio e si decise di ricorrere alla musica; nacquero così le prime canzonette d’accompagnamento: la prima pubblicità a farne impiego nel nostro paese fu quella del purgante
Euchessina (“Euchessina, Euchessina, sei fattor di gioventù, al mondo nulla serve come sai
servire tu”).
4
VENTENNIO NERO DELLA PUBBLICITÀ
La politica autarchica del fascismo e la crisi economica globale dovuta al crollo della
borsa di Wall Street rallentarono lo sviluppo della cultura pubblicitaria nella penisola e per
volere di Mussolini l’Italia e la pubblicità furono letteralmente invase dal mito della Roma
imperiale.
Il regime fascista fece un largo uso della pubblicità al fine di promuovere il regime e sostenere le campagne collettive a favore dei prodotti nazionali, strada che venne percorsa anche
dalle aziende private. Si pensi alla pubblicità della Perugina che utilizzò una frase pronunciata dal Duce durante una visita nei loro stabilimenti (“[…] vi
dico e vi autorizzo a ripeterlo, che il vostro cioccolato è veramente squisito”), ai manifesti della Magneti Marelli che presentavano i propri prodotti con la fotografia di aerei da combattimento in volo dentro il profilo di un fascio littorio e lo
slogan “La perfezione del prodotto è sicuro ausilio alla potenza dell’ala fascista”, e infine alla FIAT, la quale lasciò che
Mussolini battezzasse la sua 508 Balilla e chiamò Ardita un
altro suo modello di automobile. In ultimo non è da dimenticare la traduzione italiana dei termini stranieri, di cui furono
vittime anche nomi di aziende e prodotti (come il cognac Ramazzotti che diventò arzente Ramazzotti).
DALLA RICOSTRUZIONE AL BOOM DI CONSUMI
Nel secondo dopoguerra il mondo dei consumi di massa in Italia cominciava a muovere i suoi primi passi, tuttavia le difficoltà del paese, lo scarso reddito e le diffidenze (le
casalinghe italiane per esempio diffidavano degli elettrodomestici, visti come concorrenti, temendo di perdere il proprio
ruolo centrale nella famiglia) incisero negativamente sulla
pubblicità che si ritrovò in una fase arretrata, anche se il linguaggio cominciava a modernizzarsi e raggiunse una forma simile a quella attuale seppur meno sofisticata e creativa, con
slogan meno altisonanti, ma più caldi e vicini al consumatore
con le prime novità sull’uso della parola mediante una “semplificazione” del linguaggio: “Assaggiatemi, diverremo amici”
(Biancosarti, 1946); “Camminate Pirelli” (Pirelli, 1950); “Contro il logorio della vita moderna” (Cynar, 1950); “Come natura
crea, Cirio conserva” (Pelati Cirio, 1952).
5
La fotografia si fece sempre più largo rispetto all’illustrazione che tuttavia mantenne
il proprio ruolo centrale; più in generale, l’arte si allontanò dallo specifico pubblicitario e la pubblicità si interrogò sul proprio rapporto con essa, così le immagini
e le illustrazioni persero l’abito creativo e artistico che
le aveva contraddistinte fino al ‘39/40; tuttavia arte e
pubblicità resteranno indissolubilmente in stretto rapporto e avranno sempre contorni molto sfumati. Nonostante molte persone sostengano che la pubblicità
non sia altro che una forma d’arte (come il filosofo
Marshall McLuhan che definisce pubblicità “la più
grande forma d’arte del XX secolo”), occorre ricordare
che in linea di massima la pubblicità sebbene molto
spesso sfrutti l’arte ha uno scopo ben preciso: pubblicizzare un prodotto o un servizio, e che dietro ad una
pubblicità ci sono anche pratiche tecniche e sperimentative volte alla ricerca del consenso.
Le campagne più significative erano ancora frutto di artisti o della collaborazione di
essi con i tecnici della pubblicità; in particolare è necessario ricordare l’agenzia Armando
Testa (al giorno d’oggi l’unica delle grandi ad essere di proprietà unicamente nazionale) che
realizzò molti manifesti, il più celebre fu per l’aperitivo Punto e mes della Carpano che rappresentava una sfera e una mezza sfera su sfondo bianco nel quale è ben visibile il suo stile
inconfondibile (sfondo bianco, colori primari e forme semplici dotate di grande capacità di
sintesi e forza espressiva).
Vennero aperte in questi anni le prime succursali di grandi multinazionali della pubblicità di origine generalmente statunitense che portarono in Italia un modello professionale che negli USA era già a livelli di elevata maturità. Nel dopoguerra convivevano quindi
due mondi pubblicitari differenti: quello italiano formato ancora da botteghe di tipo artigianale e da piccoli studi, e quello americano che possedeva una rigorosa cultura aziendale
imperniata sul marketing, ricerche di mercato e aveva al proprio interno ruoli professionali
ben distinti; alla fine fu quest’ultimo modello a prevalere grazie a campagne di comprovata
efficacia (come la campagna Lux il sapone delle stelle del 1927, imperniata sulla seducente
bellezza delle attrici più importanti di Hollywood), la vittoria americana portò inoltre un
modello basato sull’equilibrio tra parte visiva e verbale.
6
CAROSELLO
Il 3 febbraio 1957 davanti a 366000 famiglie italiane con la
pubblicità della Shell iniziava la trasmissione che cambiò il corso
della pubblicità e che la mantenne sempre su una strada diversa
rispetto a quella prevalente nel mondo internazionale. Il Carosello fu un’invenzione tutta italiana, presentava delle “scenette”,
ovvero delle pubblicità che ricalcavano forma e struttura di spettacoli teatrali riuscendo a coinvolgere l’intero mondo dello spettacolo.
I filmati si dividevano in due grandi categorie: i film d’animazione
(suddivisi a loro volta in cartoni animati e film in
passo uno) e i film dal vivo. I cartoni animati e i film
in passo uno diedero vita a personaggi di fantasia
che si imposero stabilmente nell’immaginario collettivo: Toto e Tata (Motta), Jo Condor e il Gigante
amico (Ferrero), Olivella e Mariarosa (olio Bertolli),
l’Omino coi baffi (caffettiera Bialetti), Calimero e
l’Olandesina (Mira Lanza), Topo Gigio (Pavesini). I
film dal vivo furono interpretati da importanti attori dell’epoca, quali Ernesto Coliandri,
Gino Cervi, Alberto Lionello, Amedeo Nazzari, Vittorio Gassman, Aldo Fabrizi, Paolo Panelli,
Totò, Eduardo de Filippo, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini, Mina, Dario
Fo e vi collaborarono inoltre molti registi quali Sergio Leone, Mauro Bolognini, Carlo Lizzani,
Damiano Damiani, Ermanno Olmi, Dino Risi e Pupi Avati.
I filmati erano dedicati alle 3 tipologie principali di pubblico: bambini, giovani e soprattuto le donne, si fece leva su un tratto tipicamente italiano: l’adorazione per i bambini,
sia rivolgendosi direttamente ad essi, sia raggiungendo indirettamente gli adulti (stimolando il sentimento materno o comunque quello stato di tenerezza generalmente associato
ai bambini). Tuttavia dal punto di vista aziendale Carosello non era molto efficace, anzi
spesso la scenetta o il testimonial monopolizzavano l’attenzione mettendo in ombra il prodotto.
La RAI aveva una preoccupazione moralistica di matrice cattolica, condivisa da ampi settori della sinistra, dello spettro consumistico; essa pertanto cercò di ritardare il debutto della
pubblicità in televisione, e, quando la permise, lo fece entro rigidissimi vincoli (qui sotto
elencati) in cui dovevano restare i messaggi.
 La pubblicità doveva essere suddivisa in due parti: la prima di puro spettacolo e il
codino commerciale, le durate erano ben definite (inizialmente rispettivamente 105
e 30 secondi) e furono ritoccate più volte;
 il prodotto non può essere citato né comparire nel pezzo;
7












il prodotto non può essere pronunciato o scritto più di sei volte nel codino;
ogni comunicato pubblicitario può essere replicato non più di una volta;
ogni azienda può promuovere un solo prodotto alla volta;
le aziende devono acquistare necessariamente cicli di presenza in video costituiti da sei passaggi;
tra un passaggio e l’altro devono passare almeno 10 giorni;
tra la fine di un ciclo e il successivo non possono trascorrere
meno di due mesi;
non possono essere raccontate storie che “presentino la disonestà, il vizio o il delitto in maniera atta a suscitare compiacenza o imitazione”;
non possono essere raccontate storie volgari, ripugnanti e
truci;
le storie poliziesche possono essere raccontate a patto che il
reato non venga raccontato con “eccessivi particolari tecnici o
raccapriccianti” e a patto che esso sia immediatamente seguito da condanna;
non è consentito fare riferimento all’adulterio;
non è consentito rappresentare scene erotiche, i baci sono
consentiti, ma non devono “indurre a morbose esaltazioni”;
non è consentito l’accesso alla pubblicità a beni di lusso (come
crociere, gioielli pellicce, etc.…).
A ciò andava poi aggiunto anche un rigidissimo codice morale fatto di regole non scritte
quali evitare parole sconvenienti come forfora, sudore, depilazione, era inoltre vietata la
reclamizzazione della biancheria intima (sia maschile che femminile) e/o mostrare ragazze
in costume da bagno e il tutto, ovviamente, richiedeva un linguaggio consono e mai volgare.
I personaggi entrarono nell’immaginario collettivo, mentre le battute ripetitive e gli slogan fecero il loro ingresso nel linguaggio comune, il vocabolario era scarno, ma non povero
grazie all’uso creativo di pochi vocaboli. Carosello non fu semplice pubblicità, ma un mondo
fiabesco in cui regnavano felicità e benessere, un mondo molto affascinante per gli italiani
dell’epoca, che presentava il mondo dei consumi rendendolo estremamente familiare, e
anziché far respingere l’idea del consumismo, la pose con grazia in un modo soft e leggero.
Mentre l’Italia si divertiva con le scenette di Carosello si accentuava il ritardo tra il nostro
paese e il resto del mondo dal punto di vista del linguaggio; pertanto ai festival internazionali del film pubblicitario tutti i paesi si presentavano con spot brevi, spesso a colori e impeccabili sul punto di vista dell’incisività pubblicitaria, mentre gli italiani arrivavano con lunghi filmati in bianco e nero del Carosello divertenti soltanto per i connazionali. Ovviamente
questo ritardo non fu solo causa del Carosello, ma anche dello squilibrio sul piano dell’influenza sul mercato.
8
LA PUBBLICITÀ DI FRONTE ALLA CRISI
In tutto il mondo dopo il boom economico la pubblicità
dovette affrontare un periodo di crisi sia economica che culturale, numerose critiche da parte degli intellettuali e movimenti giovanili che rimproveravano la creazione negli individui di bisogni di consumo “falsi” e “superflui”. In Italia questa
fase ebbe avvio verso il 1964-65, a questi avvenimenti si aggiunsero poi la crisi petrolifera del 1973 e quelle successive,
il mondo della pubblicità allora ne risentì e i pubblicitari italiani adottarono una posizione “difensiva”, tentarono quindi
di giustificare il proprio operato e i ruoli dei prodotti che andavano a promuovere; ciò comportò testi verbali molto lunghi e razionali e la riduzione di peso della componente visiva.
Accanto alle campagne tradizionali (come la carta igienica Scottex “10 piani di morbidezza” o l’amaro Jagermeister, basata su più di cento annunci differenti con foto di personaggi particolari che dichiarano di consumare il prodotto per un proprio specifico motivo,
spesso ironico o assurdo) vennero ripresi nei messaggi anche le ideologie contestative e
politicizzate che imperavano all’epoca, ben visibile ad esempio nello shampoo libera e bella
o nello slogan della linea d’abbigliamento Cori “né strega né madonna solo donna”.
I pubblicitari tentarono inoltre di recuperare i giovani che da ribelli e contestatori
vennero trasformati nei nuovi modelli di riferimento della società dei consumi, la pubblicità
degli anni ’70 li considerò interlocutori privilegiati. Si rivolse ad essi ispirandosi agli USA
(“Brooklyn, la gomma del ponte”) o mediante chiare allusioni sessuali (“Chi Vespa mangia
le mele (chi non Vespa no)” della Piaggio dove l’azione di mangiare le mele rimanda al peccato originale biblico, quindi l’atto sessuale).
La “rivoluzione sessuale” dei giovani degli anni Settanta
portò negli annunci donne ammiccanti e aggressive (“Scappa con
Superissima!” della BP o “Chiamami Peroni, sarò la tua birra”). È
bene precisare che la rivoluzione avvenne in tempi abbastanza lunghi, poiché ci si trovava ancora in un mondo in cui alcuni argomenti
erano ancora decisamente tabù (basti pensare che la RAI censurò la
canzone di Puccini “Dio è morto” che però fu trasmessa persino da
Radio Vaticana). Il nuovo clima sociale portò anche messaggi nuovi
e innovativi come la campagna per i Jesus Jeans (1972-73) che riprendeva frasi dei vangeli per pubblicizzare il prodotto: “Non avrai
altro jeans all’infuori di me” e il celebre “Chi mi ama mi segua”. Le nuove campagne suscitarono vivaci polemiche da parte delle persone ancorate ai vecchi principi morali e i pubblicitari rafforzarono la loro posizione “difensiva” contro la crescente critica nei confronti delle
imprese e della pubblicità accusata di manipolare la mente delle persone. Nel 1971 nacque
9
così la Pubblicità Progresso, organismo avente come principale obiettivo la promozione e la realizzazione di campagne
pubblicitarie finalizzate a stimolare la coscienza delle persone e delle organizzazioni ad agire per il bene comune; ai
suoi albori lo Stato italiano
era totalmente assente
dall’ambito delle iniziative di
comunicazione di tematiche sociale e l’intenzione degli operatori del settore era anche quella di stimolarlo ad investire su
tale ambito (risultato in parte raggiunto). Pubblicità Progresso
ebbe il merito di aver reso più sensibili gli italiani rispetto a
diversi problemi sociali, tra cui AIDS, razzismo, incidenti sul lavoro, volontariato e prevenzione di incidenti domestici, e alcune sue campagne rimasero scolpite: “C’è bisogno di sangue.
Ora lo sai” (1971), “Il verde è tuo: difendilo!” (1972) e “Chi
fuma avvelena anche te. Digli di smettere” (1975).
Negli anni Settanta la pubblicità italiana si diede anche una struttura di autoregolamentazione (a dire il vero già ad Ischia in occasione del VII congresso della pubblicità era
stato istituito un codice di autodisciplina), un insieme concordato di regole volontariamente
sottoscritto da tutte le categorie professionali; sebbene sia volontario, e quindi teoricamente sia possibile non aderirvi, è molto difficile che una campagna possa sottrarsi ad esso.
Le finalità di questa regolazione (tutt’ora presente) erano di tutelare gli interessi dei consumatori, dei singoli utenti e della pubblicità stessa. Il Codice fu aggiornato praticamente ogni
anno per mantenere le proprie norme sintonizzate rispetto ai mutamenti della società e
della realtà pubblicitaria (negli ultimi anni esso ha allargato il proprio ambito d’intervento,
occupandosi anche di promozioni, direct marketing, o comunicazione via Internet).
I GLORIOSI ANNI OTTANTA
Il mondo italiano mutò ancora una volta natura e la televisione fu uno dei fattori principali di questo cambiamento. Già dal 1° gennaio 1977 la RAI aveva fatto morire Carosello,
diventato per le imprese troppo costoso e limitato. Il mese dopo la stessa RAI cominciò a
trasmettere a colori.
L’uso del colore ampliò notevolmente le possibilità espressive televisive e, inoltre,
ruppe simbolicamente rispetto al passato, il cui clima sociale di austerità economica e di
crisi culturale si identificava efficacemente nel tono povero e serio del bianco e nero televisivo; l’arrivo del colore portò con sé anche un insieme di significati che esprimevano l’abbondanza, il benessere e il piacere del consumo, si costruì quindi un ambiente favorevole
allo sviluppo delle successive televisioni commerciali. Queste avevano già cominciato ad
operare, insieme alle radio private, dall’inizio degli anni Settanta in tutta la penisola (nel
1977 si potevano contare 246 tv private e ben 1637 stazioni radiofoniche), ma solo dopo ad
10
una sentenza emessa nel 1976 dalla Corte Costituzionale che venne resa sostanzialmente
possibile la “libertà d’antenna”.
Il primo network televisivo nacque nel 1980 ad opera di Silvio Berlusconi con il consorzio Canale 5, progressivamente allargatosi con l’acquisizione di Italia Uno dall’editore Rusconi e di Rete 4
dall’editore Mondadori. Sorse pertanto un nuovo polo di riferimento che si reggeva solo sulla raccolta pubblicitaria e che (anche
grazie all’aiuto del presidente del consiglio Bettino Craxi) diventò
un’efficace alternativa al tradizionale monopolio della televisione
pubblica.
Si contrapponevano così due mondi diversi nella TV: quello pubblico
che cercava di accreditarsi come l’unico in grado di mostrare la realtà
com’era rigorosamente dal vivo (aveva infatti il totale monopolio
delle trasmissioni in diretta), e quello commerciale e consumista,
della televisione capace di far sognare un mondo di benessere che doveva il proprio successo alla capacità di sganciarsi da ogni riferimento
dalla realtà concreta della vita.
La nuova televisione fece crescere esponenzialmente gli investimenti delle imprese
nella pubblicità, soprattutto nel privato; non fu un caso che nel 1986 sia nata l’Auditel, un
sistema elettronico di misurazione quantitativa degli ascolti di tutti i programmi televisivi
(tutt’ora operante, viene utilizzato per stabilire il prezzo di vendita degli spazi pubblicitari);
il giorno dopo il suo lancio si registrò uno share complessivo RAI pari del 41,14% contro il
53,71% delle reti Fininvest.
Lo spot da 30 secondi non solo occupò lo spazio lasciato dai vecchi caroselli, ma, da
semplice appendice alla campagna stampa, diventò il centro della strategia di comunicazione delle imprese. Inoltre le varie strategie messe in pratica permisero praticamente a
chiunque di farsi pubblicità e così anche marche sconosciute (come ad esempio il mobiliere
Aiazzone) poterono guadagnarsi un’elevata notorietà.
La nuova espansione del sistema economico rese le agenzie pubblicitarie internazionali sempre più vaste, e così anche il mondo pubblicitario italiano fu interessato da una
crescente internazionalizzazione; diverse agenzie italiane vennero acquisite da parte di importanti circuiti internazionali, ma vi furono anche collaborazioni e fusioni.
Publitalia (la concessionaria Mediaset) diede un notevole impulso alla trasformazione del sistema pubblicitario italiano, spesso scavalcando le agenzie e rivolgendosi direttamente ai clienti aziendali;
inoltre rivoluzionò le modalità di vendita degli spazi pubblicitari introducendo incentivi, sconti, compartecipazioni e persino pagamenti in
merci. Introdusse le telepromozioni, ovvero l’inserimento dei prodotti
11
da promuovere all’interno dei programmi televisivi gestiti spesso dagli stessi conduttori dei
programmi; va riconosciuto infine a Mediaset e alle altre TV commerciali il merito di aver
imposto una nuova modalità di presenza della pubblicità: l’interruzione dei programmi, che
era sconosciuta alla RAI.
Tutto ciò rese il linguaggio pubblicitario più immediato e aggressivo, inoltre fece sì
che il linguaggio televisivo gli si avvicinasse maggiormente assorbendone le caratteristiche
di brevità e modularità (nacquero nuovi programmi strutturati come contenitori di sequenze autonome per temi come ad esempio il Drive in).
Sulla fine degli anni Ottanta i due diversi modelli televisivi (privato e pubblico) cominciarono
ad avvicinarsi e integrarsi, o, meglio, la RAI rinunciò sempre più al proprio ruolo pubblico
avvicinandosi al modello commerciale, affermatosi come vincente.
Lavoravano nel settore pubblicitario numerosi registi di grosso calibro quali: Ridley e
Tony Scott, Martin Scorsese, Spike Lee, Woody Allen, Franco Zeffirelli, Gabriele Salvadores,
Giuseppe Tornatore e anche Federico Fellini (che nelle interviste si dichiarò più volte nemico
della pubblicità) si lasciò tentare con gli spot del Bitter Campari (1984), dei Rigatoni Barilla
(1985) e una campagna per la Banca di Roma. La pubblicità inoltre fu in grado di lanciare
nuovi talenti e nuovi linguaggi perché i pubblicitari, finita la crisi degli anni Settanta, avevano
ritrovato il coraggio di esprimersi, e, ispirati dal successo del mezzo televisivo, avevano cercato di attribuire alla pubblicità un carattere altamente spettacolare. Il linguaggio riprese
quindi a sperimentare (“Uno! È comodosa”, “Uno! È scattosa”, “Uno! È risparmiosa”, pubblicità Fiat Uno), a volte anche facendo la parodia di pubblicità contemporanee come la
campagna Bic: “Bic, il gusto pieno della barba” (dall’amaro Averna), “Bic, passa parola” (da
Perlana), “Bic, il più amato dagli italiani” (da Scavolini), “United Colors of Bic” (da Benetton),
“Bic, titilla la pupilla” (da Golia Bianca).
Nel nostro paese la pubblicità seguì due vie principali: la cosiddetta pubblicità-spettacolo come quella
per l’amaro Ramazzotti “Milano da bere” che sfruttava l’immagine estremamente positiva di cui godeva la città in quegli anni, e la serialità che consentiva di fidelizzare i consumatori, nacquero quindi
delle vere e proprie saghe pubblicitarie, le quali han
fatto generalmente ricorso a quel linguaggio che caratterizzava i filmati di Carosello, come ad esempio
il caffè Lavazza (che ebbe come protagonista Nino Manfredi dall’81 al ‘92), Yomo (con l’allora comico Beppe Grillo) o i dolci Bistefani (“Chi sono io, Babbo Natale?”).
Un caso a parte fu la lunga serie di spot che Gavino Sanna ideò per la pasta Barilla che
si sviluppò dal lungo primo soggetto Treno del 1985 sino a quello denominato Babbo Natale
del 1986 e Mosca, vero e proprio mini-film diretto nell’89 dal regista cinematografico russo
Nikita Michalkov. In questa serie Sanna creò un modello comunicativo fatto di storie brevi
12
ma ricche di emozioni con una decisa innovazione rispetto ai linguaggi prevalsi sinora. Gli
italiani si identificarono facilmente in quelle storie semplici e rassicuranti che giocavano sui
buoni sentimenti e sfruttavano il loro particolare attaccamento alla famiglia.
In quegli anni la marca assunse un ruolo particolarmente significativo, per le imprese
diventò uno strumento indispensabile per fronteggiare la forza di una distribuzione che acquistava sempre un maggior peso sul mercato, per i consumatori divenne un mezzo per
esprimere uno status sociale, ma anche come oggetto dotato di valenze simboliche e culturali e un punto di riferimento per le proprie scelte.
In questo clima nacque la figura dello strategic planner che si occupava della progettazione
strategica e della gestione dell’immagine della marca a partire da un’approfondita conoscenza del consumatore.
Sul versante della stampa ci fu un estremo tentativo della
pubblicità di coinvolgere i consumatori giocando con le parole
per mantenere quel predominio culturale che la TV le stava sottraendo. In questo contesto si inserirono le pubblicità di Ferrarelle (“Liscia? Gassata? O Ferrarelle?”) che tradusse sul piano
visivo una particolare natura del prodotto e quella di Golia
Bianca (“Titilla la pupilla”, “sfrizzola il velopendulo”, “Galvanizza l’ugola”) che propose espressioni che sembravano rubate
alla letteratura colta.
Si presentò inoltre una nuova “rivoluzione sessuale” quando cominciarono ad apparire gli annunci per l’abbigliamento intimo maschile, giocati sull’ironia (annunci Julipet o
quelli di Manara Milo per Eminence), ma anche contenenti fotografie di modelli sexy, nudi o quasi. Al contempo si videro anche slogan come “Toccalo, accarezzalo, stringilo. È il piacere infinito” (tessuti Piacenza) e “Io
ce l’ho profumato” (Mentàl) oppure i manifesti degli slip
Roberta e gli spot di Campari, La Perla e Golden Lady; il
corpo diventò quindi protagonista centrale dell’immaginario pubblicitario dell’epoca.
Gli anni Ottanta possono essere ricordati come il primo periodo nel quale è fu riconosciuta da parte della società italiana l’importanza del ruolo sociale ed economico svolto dalla
pubblicità, su di essa nacquero libri, articoli e rubriche nei periodici più popolari, riviste specializzate e persino programmi televisivi come Pubblimania e La notte dei pubblivori.
13
CRISI E RINASCITA DELLA MARCA
Agli inizi degli anni Novanta si presentò un fenomeno che trovò sostanzialmente impreparate le imprese: la crisi della marca, ovvero la crisi di quello che era andato costituendosi nel corso degli anni Ottanta come il più solido punto di riferimento delle strategie aziendali.
Il consumatore, da un lato più maturo, dall’altro disponendo di una minor quantità di reddito (a causa della crisi economica del ’91) divenne più attento e selettivo nella scelta dei
prodotti, pertanto valutava bene la qualità effettiva dei prodotti e cosa ogni marca fosse
realmente in grado di offrirgli; divenne così disposto ad acquistare prodotti non di marca.
La crisi fu inoltre favorita dall’arrivo in Italia degli hard discount, spazi di vendita estremamente economici.
Nel giro di poco tempo però le marche industriali riuscirono a recuperare il terreno
perso, mostrando al consumatore tutte le ricerche, gli investimenti, e l’innovazione tecnologica che si nascondevano dietro al prodotto industriale e alla sua marca.
Barilla fu una delle prime aziende a reagire, dapprima eliminò le promozioni (cruciali per il
suo successo sul mercato degli anni precedenti) e abbassò stabilmente il prezzo dei propri
prodotti; il provvedimento fece molto discutere all’epoca, ma tuttavia funzionò e venne
prontamente imitato. L’azienda inoltre fece impiego della pubblicità per rafforzare il proprio
peso di marca, facendo uscire messaggi maggiormente finalizzati a mettere in luce la qualità
dei suoi prodotti e i vantaggi che il consumatore ne poteva ottenere, e anche in ciò fu seguita da tanti altri.
Superate le difficoltà, le imprese e le agenzie diedero vita a messaggi
pubblicitari sempre più affascinanti e coinvolgenti per i consumatori;
uscirono rafforzate dalla crisi in modo particolare le grandi marche internazionali come Nike, Adidas, Coca-Cola, Pepsi, Audi, Mercedes, Absolut, Ikea, Levi’s o Apple, le quali, come avevano già iniziato a fare nel
decennio precedente, avevano portato avanti efficaci strategie pubblicitarie in grado di svilupparsi attraverso molteplici soggetti e dialogare
perciò nel tempo con i consumatori, ma anche di mantenere un’elevata qualità comunicativa.
A fianco di queste grandi campagne, cominciò a mettersi in luce anche l’elevata qualità
creativa di filmati pubblicitari dei paesi in via di sviluppo, come Brasile o Argentina. Tali
paesi, pur disponendo di modeste risorse economiche, presentarono opere vincenti al Festival del cinema pubblicitari o di Cannes, dove l’Italia aveva continuato, invece, ad essere
emarginata perché non era ancora riuscita a liberarsi dai condizionamenti culturali dovuti
al fatto che per molti anni essa si era dovuta sviluppare sotto l’influenza delle strette regole
imposte da Carosello. Lo evidenziano le numerose operazioni di rilancio perseguite in quegli
14
anni che avevano avuto un notevole successo ai tempi di Carosello: la bionda della Peroni, Calimero, l’uomo in ammollo
di Bio Presto, il cowboy Gringo della carne Montana, il salto
della staccionata dell’olio Cuore. Ma lo evidenzia soprattutto il fatto che molti dei casi pubblicitari italiani di successo
furono il frutto di tentativi di riprendere il vetusto linguaggio
di Carosello, basato su divertenti scenette nelle quali è fondamentale il dialogo verbale, in cui cioè predomina una comicità tipica degli sketch televisivi e teatrali, sono esemplari
da questo punto di vista le saghe della Telecom (con Massimo Lopez che grazie al telefono riusciva a rimandare la propria fucilazione), di Parmacotto (con Christian de Sica), di Lavazza con Tullio Solenghi (dal 1995), Paolo Bonolis (dal 2000)
ed Enrico Brignano ai giorni nostri, che si comportano in Paradiso come se non fossero ancora morti. Mancava totalmente però il linguaggio universale comprensibile da tutte le culture che contraddistinse le campagne più efficaci delle grandi marche internazionali che
seppero usare un magico equilibrio di suggestività dell’ambiente, efficacia espressiva della
mimica e della gestualità degli attori, capacità di coinvolgere emotivamente attraverso la
musica.
Barilla si discostò ancora una volta dalla massa producendo, nel 1995, spot molto sofisticati e ambientati in grandi città italiane: Napoli, Firenze, Roma, Milano, Venezia, Lecce,
Ferrara, Bologna e Verona che si affidavano alla computer graphic trasformando le strade e
le piazze in meravigliosi campi di grano; l’impatto visivo deciso e ricco di fascino fu contrappuntato in maniera singolare dalle colonne sonore scelte, canzoni profondamente “italiane”
come That’s Amore, Parlami d’amore Mariù e la pucciana O mio bambino caro.
Rispetto al panorama internazionale l’Italia si trovava ancora in una fase decisamente
arretrata, visibile dal fatto che nonostante dal 1999 fosse prevista la possibilità di effettuare
campagne comparative tra marche diverse, ci fu (e c’è tutt’ora) pochissimo ricorso a questa
strategia che costringeva a ideare nuove modalità comunicative, e dall’utilizzo di “scorciatoie” come l’uso di testimonial presi dal mondo dello spettacolo, brani musicali particolarmente accattivanti e corpi nudi (sia maschili che femminili).
Lo scenario sin qui delineato presentava naturalmente delle eccezioni rappresentate
ad esempio dalle aziende Martini, Pirelli, Diesel e Swatch che avevano saputo parlare un
linguaggio internazionale fatto di originalità, ironia ed elevata qualità estetica, spesso grazie
alla collaborazione di creativi e registi stranieri.
15
(UNITED COLORS OF) BENETTON
Un caso a sé risulta essere invece quello
della Benetton: dopo aver rinunciato alla televisione, nel 1991 decise di imboccare la strada
delle campagne a tematica sociale.
Strategia che partì dalla constatazione che il mercato della pubblicità era sostanzialmente “drogato” e mediamente mediocre dal punto di vista ideativo (le campagne infatti si
vedevano ma non si ricordavano), Benetton decise inoltre di controllare direttamente la propria strategia di comunicazione, e soprattutto di proporre le stesse tipologie di contenuti e
linguaggi contemporaneamente in tutto il mondo. Vendendo abbigliamento e puntando
sulla contemporaneità in tutto il mondo decise di abbandonare il prodotto (quando in Sud
America è inverno, in Europa è estate) e puntare sulla sensibilità e in particolare (ma non
solo) sull’integrazione razziale.
La campagna degli anni 1985-1991 basata sullo slogan “United Colors of Benetton”,
che invitava all’unione tra le varie etnie, raccolse il plauso di tutti; ma quando prese esplicitamente posizione su temi sociali scottanti e
controversi (come l’AIDS o la pena di morte), a
volte utilizzando anche un linguaggio molto aggressivo, fu spesso accusata di voler invadere un
territorio estraneo al mondo della pubblicità
commerciale. Inoltre i suoi soggetti coglievano i
luoghi comuni, istintività di fondo non filtrata da
alcuna considerazione razionale, pertanto ognuno vi leggeva ciò che voleva (o meglio ciò che
sentiva) anche a rischio di dannose incomprensioni, a causa delle diverse culture con cui la
gente leggeva i messaggi: ad esempio la donna nera che allatta un bambino bianco (per noi
un messaggio profondamente antirazzista) scatenò la reazione dei neri americani che vi avevano letto il contrario, ovvero lo stereotipo schiavistico della balia che allatta il figlio del
padrone.
L’INVASIONE
La pubblicità in Italia (a differenza di quanto avveniva in
contemporanea nel resto del mondo) era prevalentemente
concentrata nella televisione, ignorando i vantaggi derivanti da
un rapporto equilibrato tra i vari mezzi. Inoltre andava aumentando il numero dei canali televisivi (Vittorio Cecchi Gori tentò,
senza successo, di creare il “terzo polo” con Telemontecarlo e Videomusic, nacque poi La 7,
nel ’91 arrivò Telepiù, poi MTV, Stream, e nel 2003 Sky), tuttavia la proliferazione dei canali
16
non determinò un miglioramento sostanziale dei programmi, il che fu determinato dal permanere nel sistema televisivo italiano del potere duopolistico di RAI e Mediaset.
La pubblicità poté così comunque usufruire di un numero sempre maggiore di canali
televisivi, ma non si fermò e invase anche sempre una maggiore quantità di territorio mediatico: tutti gli spazi nei mass media tradizionali che non le erano ancora dedicati e, soprattutto, quelli presenti nei nuovi media, a cominciare da Internet.
Nel contempo la pubblicità venne sempre più accettata all’interno della società italiana anche grazie al merito della Pubblicità Progresso (diventata dal 2005 una fondazione)
che, nonostante la progressiva perdita della spinta emotiva che l’aveva da sempre caratterizzata e con toni sempre più soft e misurati, diede impulso a numerose iniziative tra cui il
primo festival della comunicazione sociale.
LA PUBBLICITÀ ITALIANA NEL TERZO MILLENNIO
A livello internazionale si è sviluppata una maggiore consapevolezza delle difficoltà
insite nei processi di comunicazione e si comincia a cercare di modificare le modalità con le
quali si era sempre rivolto ai consumatori. D’altronde il contesto culturale e sociale si è fatto
più complicato: la critica da parte di diversi movimenti sociali, il grande successo del libro
No Logo (2001), la maggiore accortezza con cui le aziende pianificano i messaggi, cercando
di evitare promesse eccessive e incoerenze ne sono la testimonianza.
La frammentazione delle audiences che riguarda l’intero mondo dei media e la fruizione dei programmi televisivi in tempi sempre più differiti e personalizzati rendono molto
più difficile per la pubblicità raggiungere contemporaneamente ampie quantità di persone.
Così i pubblicitari hanno deciso di rafforzare i messaggi provando a declinarli su un numero
crescente di mezzi senza perdere sul piano della compattezza e dell’efficacia: possiamo citare ad esempio la “falsa” fiction nel 2009 su Giovanni (un ragazzo invaghito della vicina)
trasmessa via e-mail, facebook e un apposito sito per promuovere i Baci Perugina sotto San
Valentino; o la campagna Auditorium (2009) per la Heineken basata su uno scherzo a Milano
ai danni di alcuni tifosi, trasmessa su numerosi mezzi di comunicazione, ha vinto al festival
di Cannes ben 8 leoni d’oro.
La pubblicità ha anche dovuto imparare a “mettersi da parte”, ovvero sfruttare le
possibilità dei nuovi media per far “lavorare” il consumatore, per chiedergli di produrre autonomamente dei messaggi pubblicitari e discorsi favorevoli ai prodotti.
La pubblicità sembra vivere una situazione di debolezza, perché cerca sempre meno di persuadere direttamente all’acquisto; in realtà essa utilizza nuove modalità che, quando funzionano, sono più coinvolgenti ed efficaci del passato. La pubblicità, inoltre, deve imparare
a mescolarsi con il flusso di messaggi dove si inserisce senza perdere nulla sul piano dell’impatto, per fare ciò deve sviluppare le sue caratteristiche più immediate e dirette: immagini
molto veloci con continui cambi di scena e suoni particolarmente intensi (anche, a volte,
fastidiosi) che si fanno notare, “Il linguaggio televisivo prima e quello dei new media come
17
Internet poi hanno reso inefficiente il verbalismo per la sua lentezza comunicativa e la forte
rigidità” (Paola Panarese).
In Italia tuttavia la pubblicità ha continuato a presentarsi nelle sue forme tradizionali,
con diverse serie di spot televisivi divenuti molto popolari perché semplici, divertenti e programmati con elevata frequenza, ma anche di modesto livello qualitativo; ad esempio: Vodafone con Francesco Totti e Ilary, Wind con Aldo, Giovanni e Giacomo, Tim con Christian
de Sica, Neri Marcoré poi e Pif ora e Mulino Bianco con Banderas.
In fin dei conti, fatta eccezione per i cartellonisti di fine Ottocento e inizio Novecento,
l’Italia ha progressivamente accumulato un ritardo a causa dello scarso coraggio e capacità
dei pubblicitari, ma anche dei committenti; probabilmente la causa remota di ciò si trova
nella frammentazione del sistema industriale italiano in piccole e medie imprese.
A ben vedere negli ultimi anni
c’è stato comunque spazio per messaggi di qualità come lo spot in bianco e
nero su Gandhi (2004 Telecom) realizzato da Spike Lee, la pubblicità per la
Nuova Fiat 500 con montaggio delle immagini dei personaggi che hanno maggiormente segnato la storia del nostro
paese (2007) e gli annunci stampa di Sisley.
Ultimamente il marketing tradizionale è stato sostituito da un nuovo approccio: non
si cerca più di imporre sul mercato un prodotto o una marca, ma tale risultato viene ricercato
come indiretto di un processo il cui principale obiettivo è costruire una relazione con il consumatore che sia corretta e quanto più possibile vicina a quella tra esseri umani. Spesso si
offre al consumatore la possibilità di fare esperienze fisiche e sensoriali (eventi spettacolari
oppure luoghi di marca aventi oltre al negozio anche locali e divertimenti di vario genere).
Tutti questi nuovi fenomeni che si stanno progressivamente affermando nel resto del
mondo, però sono decisamente ancora molto poco presenti in Italia.
18
Bibliografia:
VANNI CODELUPPI, Storia della pubblicità italiana (Carocci 2013);
DANIELE PITTERI, La pubblicità in Italia, Editori Laterza (edizione 2006).
Libri scolastici consultati:
Nuovo Arte tra noi 5
Sitografia:
http://carosellomito.net
http://www.operapoesia.it
http://www.pubblicitaprogresso.org
http://www.spot80.it
http://www.giornalediconfine.net
http://www.armandotesta.it
La presentazione è disponibile al seguente indirizzo:
https://prezi.com/vqdtrug5j8xi/breve-storia-della-pubblicita-italiana/
19