G20, user fees e la salute dei poveri | 1 di Gavino Maciocco In questo momento c’è un aspetto che ha un disperato bisogno di politiche internazionali giuste e forti: le spese per l’assistenza sanitaria pagate direttamente dalle famiglie al momento della malattia, che colpiscono soprattutto le fasce più povere della popolazione. Ogni anno i costi dell’assistenza sanitaria trascinano nella povertà circa di cento milioni di persone. Lancet pubblica, nel numero uscito il 18 aprile, un editoriale sulle conclusioni del summit del G20 tenutosi recentemente a Londra[1]. L’articolo si apre con l’amara costatazione che nel comunicato conclusivo dell’importante riunione economico-finanziaria non si fa alcun accenno ai problemi della salute, non si ravvisa alcun provvedimento per affrontare il progressivo peggioramento delle condizioni di vita dei miliardi di persone che vivono nelle aree più povere del pianeta. Le Nazioni Unite avvisano che un miliardo di persone sono al limite della sopravvivenza, ma nonostante ciò il linguaggio dei diritti umani latita nel contesto della crisi finanziaria. Continua a prevalere il “pensiero unico” del cosiddetto effetto “trickle-down” della crescita economica: ovvero solo quando ci sarà abbastanza ricchezza ai piani alti qualcosa colerà (trickle-down, appunto) nelle cantine dell’umanità. “Tale effetto – sostiene Lancet – non raggiungerà mai coloro che si trovano nella condizione di maggiore bisogno – particolarmente la maggioranza di coloro che vivono nell’Africa Sub-sahariana”. In questo momento – evidenzia Lancet – c’è un aspetto che ha un disperato bisogno di politiche internazionali giuste e forti: le spese per l’assistenza sanitaria pagate direttamente dalle famiglie al momento della malattia (user fees – out-of-pocket), che colpiscono soprattutto le fasce più povere della popolazione. La mancanza di ogni forma di protezione sociale nella maggior parte dei paesi più poveri rende la situazione sempre più grave. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno i costi dell’assistenza sanitaria trascinano nella povertà circa cento milioni di persone. Inoltre – come illustra efficacemente un paper di Rob Yates pubblicato nell’edizione on-line di Lancet[2] – le user fees hanno rappresentato un terribile deterrente nell’accesso ai servizi sanitari, essendo questa pratica una delle principali cause di morte della popolazione: una stima cauta ci dice che in Africa si sarebbe potuta risparmiare la vita di 3 milioni di Scaricato da Saluteinternazionale.info G20, user fees e la salute dei poveri | 2 bambini negli ultimi venti anni se le famiglie non fossero state costrette a pagarsi le cure. L’introduzione delle user fees nell’assistenza sanitaria fu una delle misure imposte dalla Banca Mondiale negli anni ’80, all’interno delle strategie di “aggiustamento strutturale” nei confronti dei paesi più poveri. Da allora decine e decine di articoli, documenti, paper hanno denunciato la crudeltà, perfino la stupidità di quella scelta (tra questi citiamo un paper di Lancet del 2001[3], forse il più completo e significativo). E oggi c’è un generale consenso – persino la Banca Mondiale si è ricreduta – sul fatto che le user fees non sono il meccanismo giusto per finanziare i sistemi sanitari nei paesi “in via di sviluppo”. Eppure sono tuttora in vigore quasi dappertutto, continuando a produrre morte e povertà. Ricette alternative non mancano: dal finanziamento attraverso la fiscalità generale alle assicurazioni sociali, dalle assicurazioni comunitarie al conditional cash tranfers (vedi post del 6 aprile). Manca – finora non si è proprio vista – la volontà politica dei governanti dei paesi più poveri e, soprattutto, quella delle istituzioni internazionali e dei donatori. Bibliografia Editorial. Health slips as the financial crisis grips. Lancet 2009; 373:1311 Yates R. Universal health care and the removal of user fees. Lancet 2009; published online April 14. Whitehead M, Dahlgren G, Evans T. Equity and health sector reform: can low-income countries escape the medical poverty trap? Lancet 2001; 358: 833-36. Facebook Twitter LinkedIn Scaricato da Saluteinternazionale.info