cap. 3 Avvio s.sf.

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Cap. 3:
Razionalità classica
e
educazione
EDUCAZIONE COME FATTO
DELL’ESPERIENZA UMANA
Come tale, può essere interrogata da diversi punti
di vista:
scienze moderne:
psicologia, sociologia, antropologia
culturale, neurofisiologia, economia,
diritto, ecc.
pedagogia:
essa è una scienza che conserva
al proprio interno uno spazio per
interrogativi teoretici in senso
classico (“che cos’è l’educazione
e perché proprio così e non
in un altro modo”)
La prospettiva pedagogica sull’educazione rappresenta
un punto di vista unitario, che cerca di cogliere non solo
la dimensione teoretico-eziologica dell’educazione,
ma anche quella pratica.
Infatti, si parla correttamente di pedagogia
(paidos-agogé) e non di
pedologia (paidos-logos).
Se l’uomo fosse solamente vita vegetativa, non ci
sarebbe educazione, poiché egli sarebbe semplicemente
un sistema vivente autopoietico, che
avrebbe bisogno solo di “nutrizione e crescita”.
In queste condizioni,
non è possibile parlare di educabilità.
Se l’uomo fosse solamente vita irrazionale, cioè se fosse
un’unità di vita vegetativa e desiderativa inconsapevole,
non sarebbe comunque educabile. Infatti, le sensazioni,
le pulsioni e le emozioni primarie sono fenomeni
funzionali e reattivi, frutto dell’autopoiesi biologica.
In queste condizioni si vivrebbe solo in un presente perpetuo
e nello stato di natura hobbesiano (homo homini lupus).
L’educazione è propria dell’uomo in quanto è un essere
razionale che ha ragione del proprio essere nel pensare.
educabilità
dell’uomo
vita umana
(bios)
L’uomo è educabile e diventa soggetto ed oggetto di
educazione se e solo se è vita umana;
l’uomo diventa uomo, cioè vive sempre più umanamente
la vita, se e solo se è educabile.
Né la vita umana, né tantomeno l’educazione sono
condizioni statiche, uguali per tutti ed invariabili
nel tempo e nello spazio.
Ogni persona vive la sua umanità e la sua
educazione nelle circostanze e con le forme genetiche,
sentimentali, ambientali, culturali e storiche date, in
un processo di crescita e di approfondimento che
non ha mai fine.
Tutti gli uomini, in modi e forme diverse, vivono, in
quanto uomini, la vita umana; per questo motivo, essi
sono sempre, per tutta la vita, soggetti ed oggetti
di educazione (educazione permanente o
lifelong learning).
Benché la vita vegetativa e la vita desiderativa
inconsapevole non siano la conditio sine qua non
dell’educazione, le energie emozionali hanno un ruolo
importante nel consolidare, sostenere e sviluppare
le dimensioni razionali della vita umana.
A prescindere dalle dispute sull’origine evolutiva o
meno della vita razionale, quello che conta per la
pedagogia è che la vita umana è umana se tutte le
sue dimensioni, nessuna esclusa, sono pensate,
integrate con e dirette da quella razionale.
È fondamentale che la pedagogia sappia
armonizzare reciprocamente le dimensioni
corporee, sensitivo-desiderative e razionali
(per raggiungere la sophrosyne, cioè
l’assennatezza che deriva dal raccordo di tutte le parti).
Benché nell’uomo si manifestino prima le funzioni
dell’anima vegetativa, poi quelle della sensitiva e, infine,
quelle dell’anima razionale, esse sono presenti tutte
e tre fin dall’inizio, perché l’uomo è e sarà sempre
unitariamente uomo.
Infatti, la psicologia contemporanea, compresa quella
piagetiana, non mette in dubbio che il pensiero sia
un tratto costante dello sviluppo umano, così come
non discute sul fatto che il bambino sia razionalità
intenzionale fin dal grembo materno.
L’uomo è originariamente “anima razionale”.
Quali sono le implicazioni pedagogiche?
Il problema educativo per
eccellenza è come
educare il corpo e il
patire- sentire- reagire
consapevole e inconsapevole
per il fine della razionalità
umana.
Il fine della razionalità umana
non è astratto, ma esiste nel
concreto delle funzioni vegetative
di un corpo e delle dimensioni
sensitive che lo accompagnano.
La pedagogia, per essere tale, non ha fini
riduzionistici, ma si pone come traguardo l’educazione
dell’uomo come essere che impiega corpo e psiche
per esercitare al meglio la razionalità umana.
I compiti sempre aperti e mai scontati dell’educazione:
armonizzare le diverse forme
della razionalità umana
(theoria, téchne e phronesis)
armonizzare le diverse componenti
della vita umana
(vita vegetativa, vita sensitiva
e vita razionale)
Quale “vita umana” e quale “educazione” si vivono?
Si pensi all’uomo come animal laborans o ai “dannati della
terra”: nonostante essi siano stati educati e vivano come
se fossero organi della natura e animali, continuano
a rimanere persone.
Anche nell’uomo più disumanizzato opera l’intenzionalità,
perciò egli è uomo e in quanto tale è educabile.
Si veda l’esempio di Victor, ragazzo selvaggio dell’Aveyron,
educato dal medico francese Jean Itard.
L’uomo è in grado di trascendere la propria condizione
contingente, anche quando è vissuto e continua a vivere
in un contesto di totale abbruttimento.
Siccome nessuno di noi può avere esperienza diretta della
vita di un’altra persona, dobbiamo riconoscere che ogni
altro da noi vive una vita umana, compreso anche
chi, per handicap gravissimi o forti compromissioni,
sembra vivere solo una vita vegetativa, o al massimo, sensitiva.
Ad ogni uomo, in quanto tale, dobbiamo riconoscere la vita
umana che si esplica nell’intenzionalità.
Ogni uomo è persona, cioè è un essere
la cui essenza profonda rimarrà sempre misteriosa.
Non è possibile chiamare educazione quei processi della vita
umana che sono sottratti all’intenzionalità razionale e che non
partecipano, sebbene a differente titolo, alla consapevolezza
teoretica, pratica e tecnica dell’uomo.
Da tale affermazione, sorge un interrogativo cruciale:
si può parlare di educazione anche quando apprendiamo per
imitazione o per abitudine?
I casi di apprendimento per imitazione e per abitudine coprono
una vasta gamma del nostro imparare. Essi non segnalano
l’assenza della razionalità intenzionale e dell’educazione dai
comportamenti umani, ma ne confermano la complessità.
Occorre evitare di fare una lettura riduttiva dei comportamenti
umani, che, come l’imitazione e l’abitudine, sono stati definiti
funzionali, in contrapposizione ai comportamenti intenzionali.
Non esiste solo eteroeducazione (educazione intenzionalmente
perseguita da altri su di noi), ma ogni uomo pratica anche
l’autoeducazione (l’educarsi).
Una forma di autoeducazione è quella che avviene tramite
comportamenti funzionali come l’imitazione e l’abitudine: essi,
infatti, nascono dall’apprendimento spontaneo di intenzionalità
e di educazione da persone, ambienti, gruppi e mezzi che non
hanno scopi specificamente ed esplicitamente educativi.
L’imitazione è mimesi, è un gioco (Platone),
perché non ha la serietà del giudizio
epistemico, ci fa ridere in quanto è un
copiare meccanico, ove l’imitatore non sa
se le cose che imita sono vere, ma le crede.
Eppure il gioco è il mezzo più importante
di apprendimento per il bambino ed è
manifestazione della razionalità intenzionale
di ciascuno.
Non c’è imitazione umana senza una teoria
della mente e della conoscenza propria
ed altrui, così come senza
una teoria della realtà.
In altre parole, l’imitazione umana non
sarebbe possibile se l’uomo non avesse
elaborato
una psicologia, una gnoseologia e
un’ontologia.
Nell’imitazione umana l’esterno al soggetto
prevale sul suo interno, perciò essa
evoca significati di passività e di
spersonalizzazione che sembrano
mal accordarsi
con l’idea più comune di educazione.
In realtà, anche l’imitazione umana, in
quanto espressione di razionalità
intenzionale, fa parte dell’educazione umana.
Infatti, appartengono
all’educazione umana sia i processi di
educazione funzionale o informale
(a cui il soggetto aderisce senza esprimere
giudizi di valore)
sia i processi di educazione intenzionale
o formale (direttamente agiti e prodotti
dall’uomo, in quanto frutto del suo giudizio).
S. Tommaso ci ricorda che il termine
abitudine deriva dal latino “habitus”,
a sua volta dipendente dal
verbo “habeo” (avere).
L’abitudine (o abilità) non è qualcosa
che l’uomo è, ma è qualcosa che
l’uomo ha, possiede.
L’abitudine è frutto di un libero passaggio
dal volere all’eseguire.
L’abitudine, in quanto inerente all’avere
dell’uomo, si può acquistare ma si può
anche perdere.
La si mantiene solo esercitandola.
Abitudine come insistita ripetizione ed
imitazione di “buone azioni”, che
finalizzano all’anima razionale
la corporeità vegetativa e la
dimensione desiderativa.
Anche le abitudini, al pari dell’imitazione
umana, sono una dimostrazione
dell’intenzionalità e sono uno dei più alti
prodotti della libertà umana. Esse la
rafforzano se sono volte all’esercizio di
azioni buone.
Le abitudini si mantengono all’avere
dell’uomo nel corso
della vita umana solo esercitandole con
fatica e con concentrazione.
Esse sono uno strumento per realizzare
il proprio fine, cioè il proprio bene.
L’infinita plasmabilità umana, dimostrata sia nell’imitazione
sia nelle abitudini, non fa altro che testimoniare la straordinaria
importanza dell’educazione nella vita umana.
Solo una buona educazione intenzionale e funzionale
aiuta l’uomo a vivere una vita sempre più umana.
La cultura è il frutto dell’esclusiva capacità
dell’uomo di produrre simboli,
cioè di pensare.
La cultura è la condizione
originaria dell’educazione
e della vita umana, perché senza
una cultura già pensata
e depositata
nel mondo non esisterebbe
educazione e vita umana.
La cultura è il risultato ultimo
dell’educazione e della vita
umana, perché ogni pensiero
umano produce cultura ed
incrementa il patrimonio
razionale disponibile per
l’umanità.
La cultura
in senso antropologico:
la cultura è “quell’ insieme
complesso che include
la conoscenza, la fede, l’arte,
la morale, la legge,
il costume e qualunque altra capacità
e abitudine acquisite dall’uomo
come membro della società”
(E. B. Tylor, Primitive culture,
1871)
gli antropologi successivi hanno
parlato di cultura antropologica: ideale
(valori, credenze, stereotipi, idee, ecc.),
materiale (territorio, clima,
manufatti, ecc.)
e sociale (usi, costumi, riti, ecc.).
La cultura in senso antropologico
rappresenta un “mondo vitale”
(Husserl, Habermas), poiché da
essa tutti i soggetti che nascono
mutuano le modalità concrete
di vivere, pensare e praticare
la vita umana e l’educazione.
La totalità è una categoria importante
nella cultura antropologica, poiché
in essa ogni sua manifestazione si
collega ad un’altra. Frazer parla
di contiguità e somiglianza
delle cose contenute nel tutto.
Ogni cultura antropologica è sempre “uno schermo altamente selettivo”
tra noi e il mondo, che decide quali siano le cose cui prestare
attenzione e quali ignorare.
Nascono, perciò, problemi di relazione e di comunicazione fra gli
uomini di diverse culture, cioè uomini vissuti in “mondi vitali” diversi.
Purtroppo, spesso e volentieri il modello risolutivo di
questo confronto/scontro è la verità della forza e non la forza della verità.
L’antropologia si è rifugiata nella weberiana avalutatività della scienza,
poiché essa descrive, comprende e prende atto di quello che accade,
senza esprimere valutazioni e giudizi in merito.
Questo atteggiamento si è spesso tradotto in una deriva di stampo
relativista e, in alcuni casi, nichilista.
la cultura non è solamente un “mondo
vitale” di cui ci nutriamo, ma è l’oggetto
critico della nostra analisi razionale
(teoretica, tecnica e pratica), da
cui potersi anche distaccare per
la cultura umana è un prodotto della
assumere uno sguardo altro
nostra intenzionalità razionale, ma
(decentramento).
esiste un grado diverso di
formalizzazione dentro questa
comune attività simbolica che
Tre dispositivi per definire la cultura
va a costituire l’intero della cultura.
in senso classico:
in nome della dimostrazione
scientifica teoretica e/o
dell’argomentabilità
razionale pratica, viene introdotta
una gerarchia di valori all’interno
della cultura in senso antropologico
e in quella in senso classico.
Occorre ribadire che, mentre la cultura antropologica resta “primaria”,
perché è una riflessione sulla e della esperienza che si vive
in un determinato spazio e in un certo tempo,
la cultura in senso classico è “secondaria”, perché rappresenta una
“riflessione” sulla riflessione condotta sull’esperienza e dell’esperienza,
per trovare ciò che unifica i diversi fatti e segni, cioè i simboli, al fine
di raggiungere il “sapere universale”. A questo concorre l’arricchimento
della cultura antropologica con conoscenze, costumi ed abitudini che
il nostro personale esercizio di riflessione critica su di essa ci ha rivelato
necessari per esprimerci al massimo livello. Si vuole giungere al
risultato di far coincidere cultura antropologica (locale) e
classica (universale), grazie ad un lavoro di selezione critica dei prodotti
simbolici, di loro organizzazione sul piano assiologico e di astrazione di
tutti quegli elementi che sopportano l’universalizzazione.
costituisce una connessione
circolare di cultura in senso
antropologico
e in senso classico, fino
all’esaurimento della differenza
fra le due e alla loro
sovrapposizione.
La cultura
in senso educativo:
affonda le sue radici sul fatto che
il processo educativo dovrebbe essere
l’occasione per aiutare il soggetto
a passare da una riflessione primaria
sulle esperienze ad una riflessione
sempre più secondaria, classica.
non esiste cultura veramente educativa e
umanizzante quando essa si riduce alla cultura
di massa tipica della società di massa.
Occorre
metabolizzare
tre consapevolezze:
una concezione “filistea” non aiuta l’esercizio di una
cultura il più possibile educativa ed umanizzante.
L’aggettivo “filistea”, nell’accezione data da Marx, fa
riferimento a quella “mentalità che nei suoi giudizi usa
il criterio dell’utilità immediata e del valore materiale”.
La cultura è ridotta a merce sociale, a mezzo.
occorre superare le prime due consapevolezze,
perché esse aiutano l’uomo ad accrescere la qualità
della propria vita vegetativa e sensitiva, facendolo
“sentire meglio”, ma per sviluppare la dimensione
razionale della vita umana è necessario
intraprendere prospettive diverse.
“solo ciò che sopravvive nei secoli” e che vince
“l’usura del processo vitale degli uomini” può
rivendicare il titolo di oggetto culturale degno
del Mondo 3 (termine con cui Popper definisce
l’insieme dei prodotti dello spirito umano).
Prospettive diverse
per una cultura
in senso educativo:
un oggetto culturale è degno di una cultura educativa
se si sottrae alla prospettiva funzional-utilitaristica
(es. quella filistea), per superarla. Tale oggetto
deve essere fatto, guardato ed impiegato “in sé”,
non per qualcosa.
costituisce contenuto di cultura educativa tutto ciò
che nega, nel senso hegeliano di superare,
la logica che presiede necessariamente alla
produzione umana.
La cultura educativa richiama il “colere” dei Romani,
cioè il prendersi cura, il conservare, il mantenere,
mettendosi al servizio di, con rispetto.
Gli atteggiamenti più pertinenti e profondi della cultura educativa
devono superare l’assolutizzazione della téchne e mobilitare le
altre due forme della razionalità umana, mediandole grazie
al gusto estetico.
Infatti, dobbiamo ricordarci che quando esiste un rapporto personale,
non possiamo sacrificare la dignità dell’altro
all’astratta supremazia assoluta della verità.
Dobbiamo cercare di “con-vincere” gli altri, non di vincerli,
perché esprimere un giudizio di gusto (= gustare una verità)
richiede di trovare un accordo con altri a proposito di qualcosa.
C’è cultura educativa se “amiamo le cose belle con
precisione della mira”, cioè se siamo così bravi da praticare il giudizio
che ci unisce come persone singole che vivono insieme, nei confronti
di quanto è vero e, perciò, bello per tutti e buono per ciascuno,
agendo con eutéleia (precisione di mira) e phronesis.
al grado più alto, a cui devono confluire anche
i precedenti e che si sintetizzano nella cultura
educativa, troviamo il diletto coltivato,
la scholé greca, l’otium latino, ovvero il
tempo delle attività libere e disinteressate che
si imparano e si svolgono nella serietà.
Secondo gli
ammaestramenti classici,
per vivere pienamente
la vita umana ed educare/ci,
ci troviamo di fronte
ad una gerarchia
di situazioni:
al terzo livello, si trovano le situazioni
formative basate sul gioco (la paidìa),
ovvero tutti quegli hobby e quelle attività
apprese in modo divertente e come un
divertimento.
al secondo livello, troviamo le situazioni
legate all’esercizio di attività condizionate
e costrette come l’imprenditorialità, gli
affari, le prestazioni professionali (ascholia).
Ad esse fa riferimento una formazione basata
sull’utile e sul conveniente.
al livello più basso, troviamo le situazioni
caratterizzate per il lavoro faticoso (pònos)
che implicano. Ad esse corrispondono
le attività richieste dalla “schiavitù”
(necessità) vegetativa e sensitiva.
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