La Beta Talassemia Major Le talassemie sono un gruppo di malattie del sangue genetiche ed ereditarie, causate dall’alterazione della sintesi dei componenti dell’emoglobina, che determina un abbassamento del suo contenuto nel sangue e una riduzione del volume dei globuli rossi. L’emoglobina è la proteina incaricata del trasporto dell’ossigeno nei tessuti ed è costituita da quattro catene di aminoacidi (catene globiniche) contraddistinte da lettere greche: α(alfa), β (beta), δ (delta),γ (gamma). Le mutazioni all’interno di queste catene danno origine alle diverse sindromi talassemiche, delle quali le più frequenti sono le alfa-talassemie e le beta-talassemie. La forma “beta” della talassemia, si manifesta quando vengono mutati i geni implicati nella composizione delle catene beta (a livello del cromosoma 11). Se a mutare è solo un gene, si parla di beta-talassemia minor, in cui generalmente il paziente non lamenta sintomi rilevanti e non necessita di trattamenti. l coinvolgimento di entrambi i geni costituenti le catene beta dell'emoglobina provoca una betatalassemia major (o anemia di Cooley), che riflette un quadro clinico severo. Le persone affette da talassemia hanno entrambi i genitori portatori sani del difetto genetico che dà origine all’anomalia dell’emoglobina. La possibilità che nascano figli sani dall’unione di due portatori sani è del 25%: stessa percentuale per la probabilità di avere figli malati, mentre sale al 50% la possibilità che nascano figli portatori sani. Uno specifico esame del sangue presso laboratori qualificati consente di sapere se si è portatori sani. Nell’ambito delle emoglobinopatie rientra anche la drepanocitosi o anemia falciforme, una malattia genetica ed ereditaria associata a un’anomalia dell’emoglobina nella quale i globuli rossi perdono la loro tipica forma a lente biconcava per assumere quella a falce e da molto flessibili diventano estremamente rigidi e fragili. Diffusione Ogni anno nel mondo nascono circa 300.000 bambini talassemici. Le persone affette da Beta Talassemia Major sono 3 milioni nel mondo. In Italia si valuta che vi siano circa 7.000 pazienti e circa 3.500.000 portatori sani. Le talassemie sono prevalentemente diffuse tra le popolazioni che occupano la fascia tropicale e subtropicale, estesa dal bacino del Mediterraneo (Africa settentrionale, Spagna meridionale, Grecia, Italia e la maggior parte delle isole come Sicilia, Sardegna, Corsica, Malta, Cipro, Creta) al Sud-Est Asiatico. Negli ultimi anni le migrazioni stanno modificando la mappa epidemiologica delle talassemie: i flussi migratori provenienti da alcune regioni del Medio Oriente, del Sud-Est Asiatico, dell’India, del bacino mediterraneo, stanno determinando la cosiddetta “talassemia di ritorno”, con un incremento del 40% delle richieste di cura nella popolazione pediatrica rispetto ai primi anni del 2000. Oggi i migranti rappresentano il 4,6% dei pazienti talassemici. I sintomi I sintomi della talassemia compaiono già nei primi mesi di vita, ma si manifestano lentamente nei primi due anni. I primi segni di questa patologia sono debolezza e affaticamento. I sintomi cominciano a manifestarsi attraverso un senso di malessere, rialzi termici improvvisi associati spesso a episodi influenzali e disturbi della dentizione. Il vero campanello d’allarme, che richiede un parere immediato del medico, è il pallore causato dalla progressiva anemia, associato ad un colorito giallognolo, simile all’ittero (a causa dell’accumulo nel sangue della bilirubina, pigmento di colore giallo-rossastro, contenuto nella bile). La diagnosi Quando la sintomatologia fa sospettare la presenza di talassemia è possibile arrivare alla diagnosi attraverso una serie di test di laboratorio (analisi del sangue e test genetici). La presenza di talassemia nel paziente viene confermata dal quadro ematologico, caratterizzato da spiccata anemia e drastica riduzione della quantità di emoglobina circolante. Il primo intervento diagnostico consiste in un esame del sangue periferico (valutazione al microscopio di una goccia di sangue strisciata su un vetrino) e uno studio qualitativo e quantitativo delle frazioni dell’emoglobina che permette di stabilire qual è il carattere anomalo e stabilire di quale anemia emolitica soffre il paziente. Diagnosi prenatale Quando entrambi i futuri genitori sono portatori sani, la coppia è considerata ad alto rischio e a essa è riservata la diagnosi prenatale, eseguita attraverso una duplice tecnica di prelievo: la biopsia del tessuto dei villi coriali o villocentesi (CVS), eseguita a partire dalla decima settimana, e la cordocentesi, con cui si preleva sangue fetale. Complicanze I pazienti affetti da talassemia devono fare i conti con una serie di complicanze dovute alla patologia stessa, alla terapia trasfusionale e al conseguente accumulo di ferro nel sangue e negli organi: cuore, fegato e sistema endocrino sono infatti i principali organi bersaglio della tossicità del ferro in eccesso. La compromissione delle ghiandole endocrine può causare ipotiroidismo, problemi della crescita staturale (dai quali è affetto circa il 30-50% dei pazienti con talassemie major), ipogonadismo, mancato sviluppo puberale, diabete, ipocorticosurrenalismo e ipoparatiroidismo. Da tale compromissione endocrina e dall’iperattività del midollo derivano inoltre disturbi del metabolismo del calcio e dunque fragilità ossea, con un’alta incidenza di osteoporosi della colonna vertebrale e dell’anca in entrambi i sessi e di osteopenia, che comporta la riduzione della massa e della solidità ossea e un rischio più alto di fratture. I pazienti in cura sono spesso soggetti a ipersplenismo, cioè ingrossamento e malfunzionamento della milza, costretta a filtrare nel sangue i microrganismi nocivi ed eliminare i globuli rossi alla fine del loro ciclo vitale. I pazienti sottoposti a un regime trasfusionale cronico vanno inoltre incontro a complicanze epatiche e cardiache, giacché le trasfusioni comportano un graduale deposito di ferro sia a livello del fegato che del muscolo cardiaco, con l’eventualità di disfunzioni anche gravi (ad esempio fibrosi e cirrosi epatica, scompenso cardiaco e/o aritmie). Tra le complicanze vanno annoverate anche le infezioni al cui rischio i pazienti sono esposti in seguito a trasfusioni di sangue, anche se il controllo sui donatori e sulle sacche di sangue ha ridotto molto questo rischio, Le infezioni più comuni in particolare nei pazienti adulti sono epatite B, epatite C, citomegalovirus, parvovirus B19, che comporta aplasia (insufficiente sviluppo cellulare), miocardite (infiammazione del miocardio) e Malattia di Chagas. Altra patologia infettiva abbastanza frequente è l’infezione da Yersinia Enterocolitica. Terapie Grazie allo sviluppo della diagnosi precoce e dunque alle possibilità di iniziare tempestivamente la terapia trasfusionale, allo sviluppo e miglioramento di tecniche sempre meno invasive per la diagnosi e monitoraggio del sovraccarico di ferro, alla disponibilità della terapia ferro chelante e al miglioramento delle tecniche di trapianto di midollo osseo, oggi il paziente talassemico è in grado di avere una buona qualità di vita e oltrepassare i 40-50 anni, a fronte di un’aspettativa di vita che fino a due decenni fa non superava i 20 anni. I più recenti sviluppi della terapia genica, inoltre, stanno aprendo reali possibilità di una cura risolutiva della patologia. La terapia trasfusionale Per i pazienti con beta-talassemia major la terapia trasfusionale cronica rappresenta il trattamento cardine, necessario e salvavita.Grazie al supporto trasfusionale è possibile correggere l’anemia grave, tenere sotto controllo i sintomi come stanchezza ed affaticamento, prevenire alcune complicanze come il ritardo nella crescita e sviluppo migliorando quindi sia la qualità che l’aspettativa di vita dei pazienti. La quantità di sangue e la frequenza delle trasfusioni dipendono da molti fattori tra cui il grado di anemia da correggre, il peso del paziente, lo stile di vita. Specifiche linee guida indicano i parametri di riferimento da valutare per una corret impostazione del regime trasfusionale. Tuttavia l’impiego di questa opzione terapeutica è gravato da un effetto indesiderato che può risultare molto grave: a lungo andare, infatti, la trasfusione comporta un accumulo di ferro negli organi, soprattutto fegato, milza, miocardio e ghiandole endocrine, associato a numerose conseguenze cliniche severe. Se i livelli di ferro non sono efficacemente controllati, i pazienti vanno incontro a elevata morbilità e mortalità. Le terapie ferrochelanti Al fine di contrastare l’accumulo di ferro nel sangue é necessario dunque che il paziente talassemico sia sottoposto ad una terapia ferrochelante, che permette di catturare il ferro nel sangue e fornire una protezione costante nelle 24 ore dagli effetti tossici del ferro. Buona parte del ferro in eccesso si deposita nel fegato e la misurazione dei livelli di ferro epatico (LIC) consente di determinare con accuratezza i valori della concentrazione in tutto l’organismo. Le tecnologie più evolute sono la T2 Star, una risonanza magnetica per immagini (MRI) orientata per la quantificazione del ferro cardiaco ed epatico e lo SQUID (Superconducting Quantum Interference Device, che sta per Dispositivo Superconduttore a Interferenza Quantistica), in grado di misurare variazioni molto piccole di flusso magnetico, come quelle provocate dal ferro immagazzinato sotto forma di ferritina nell’organismo. La cosiddetta “chelazione del ferro” ha registrato una notevole evoluzione dalla fine degli anni ’60, quando è stato introdotto in Italia il primo farmaco specifico per tale funzione, la deferoxamina, consentendo un cambiamento della storia naturale della malattia e permettendo ai pazienti trasfusi di aumentare significativamente l’aspettativa di vita. Pur essendosi dimostrata efficace, la cura comporta notevoli disagi nella somministrazione, che deve avvenire per via sottocutanea, con una pompa d’infusione, e durare 10-12 ore consecutive per un minimo di 6 notti la settimana, per via della breve emivita del farmaco (20-30 minuti), cioè il tempo necessario perché la concentrazione del farmaco nell’organismo si dimezzi. Quando la terapia con deferoxamina risulta controindicata o non adeguata, si utilizza il deferiprone, che presenta un’emivita più lunga (3-4 ore) ed è somministrato in compresse, da prendere 3 volte al giorno. Un’altra opzione terapeutica oramai consolidata e disponibile anche per i pazienti italiani da oltre 10 anni (dagli studi clinici iniziati nel 1999 alla commercializzazione nel 2007), deferasirox, l’unica terapia ferrochelante ad oggi da assumere una volta al giorno per via orale con un buon assorbimento a livello intestinale. Il deferasirox ha un’emivita lunga (12-16 ore) garantendo una copertura chelante continua e costante nelle 24 ore, con una documentata efficacia sia nella riduzione del sovraccarico di ferro negli organi (cuore, il sistema endocrino e il fegato) che nella prevenzione dell’accumulo dello stesso. La via di somministrazione e la semplicità d’impiego contribuiscono all’aderenza del paziente alla terapia ferrochelante, aspetto fondamentale per assicurare l’efficacia adeguata. Il trapianto di midollo osseo Il trapianto di midollo osseo, attraverso il quale cellule staminali sane dei globuli rossi prelevate da un donatore sono trapiantate nell’organismo del malato e prendono il posto di quelle alterate, può offrire la possibilità di curare e guarire definitivamente la talassemia. Tuttavia questa opzione terapeutica non è sempre disponibile per tutti i pazienti in quanto legata alla reperibilità di un donatore compatibile e dalle condizioni di salute del paziente steso che deve poter affrontare le terapie necessarie sia prima sia dopo l’esecuzione del trapianto. La terapia genica: obiettivo “guarigione” L’ingegneria genetica delle cellule staminali rappresenta oggi la nuova speranza per una cura risolutiva della talassemia. La terapia genica, attualmente in sperimentazione, prevede tre fasi: il prelievo dall’organismo del paziente talassemico di cellule staminali emopoietiche, in grado cioè di produrre globuli rossi; la sostituzione del gene talassemico con un gene corretto funzionante (tale sostituzione viene eseguita mediante l'utilizzo di un virus reso innocuo che funge da vettore, vettore virale); il ritrasferimento nell’organismo del paziente delle cellule staminali modificate contenenti l'informazione corretta per la formazione dei geni globinici della beta proteina. In tal modo, l’organismo del paziente è messo nelle condizioni di produrre in maniera autonoma globuli rossi funzionanti.