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SALUTE. Anemia mediterranea: al via il progetto per la diagnosi precoce
e cura
02/04/2007 - 14:34
Nuove speranze di migliorare le prospettive di vita per gli italiani affetti da anemia mediterranea, la
malattia genetica ereditaria (chiamata anche thalassemia major o malattia di Cooley). Sono 7.000 i malati
conclamati pi ù un numero di portatori (thalassemia minor) stimato intorno ai 2 milioni: da due genitori
portatori del tratto talassemico esiste una possibilità su 4 che nasca un figlio malato. Lo screening dei
portatori e la diagnosi prenatale costituiscono il cardine per la prevenzione della malattia, che registra le
maggiori concentrazioni, tra malati e portatori, in Sardegna, in Sicilia e nel delta del Po.
E' stato presentato in questi giorni Miot (Myocardial iron overload in thalassemia), un progetto scientifico
tutto italiano, organizzato dal Laboratorio di Risonanza Magnetica Cardiovascolare dell'Istituto di fisiologia
clinica (Ifc) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Pisa, sar à possibile, nell'arco dei prossimi tre anni,
valutare nei dettagli l'accumulo di ferro nel cuore e la fibrosi miocardica di 2.000 talassemici, mediante
un'originale tecnica di risonanza magnetica, definita T2* (Ti -Due-Star).
Questa tecnica è l'unica che consente oggi di misurare in modo affidabile, rapido e non invasivo
l'accumulo di ferro nel cuore. Con la T2* si può precocemente diagnosticare ciò che con un
elettrocardiogramma o con un'ecografia cardiaca non si pu ò vedere. Infatti con tali metodiche il
coinvolgimento cardiaco si apprezza ma solo quando la disfunzione è già in atto ed avanzata.
La talassemia impedisce al midollo osseo di produrre una quantità adeguata di emoglobina, il pigmento
che dà il colore rosso al sangue ma che, soprattutto, ha il compito di trasportare l'ossigeno legato a molecole
di ferro. Per sopperire a questa mancanza congenita, il talassemico ha bisogno di continue trasfusioni. La
continua distruzione dei globuli rossi libera ferro, che va a depositarsi in vari organi, soprattutto nel fegato e
nel cuore. È proprio la disfunzione cardiaca, legata ai depositi di questo metallo, a determinare la precoce
mortalità dei pazienti. Per eliminare il ferro esiste un'apposita terapia, definita "ferrochelante", spiega
Massimo Lombardi, coordinatore dello studio e responsabile del Laboratorio di risonanza magnetica presso
l'Ifc-Cnr di Pisa, "che viene tradizionalmente somministrata mediante infusione sottocutanea, molto lenta
(dodici ore), di desferoxamina. La nuova disponibilità di terapie ferrochelanti per via orale (deferiprone) libera
invece queste persone dalla schiavitù dell'infusione continua"
2007 - redattore: SB
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