La parola ai protagonisti
di Carmelo Causale
In Quale libertà si narrano i fatti di Bronte occorsi nell’agosto 1860 dopo lo sbarco di
Garibaldi. Un episodio che non fu, in Sicilia, isolato, liquidato con poche righe nella
memorialistica garibaldina, che marca la differenza tra i giovani gentili artisti, poetini
e medici angosciati dal tirar di schioppo sulle plebi e la squallida e sordida
antropologia lombrosiana dei ribelli: un’esplosione di follia collettiva, insomma, dei
primitivi istinti di una comunità di montanari storditi dalla parola “libertà” - e così
dissimulato e intitolato l’episodio rivive in una novella di Verga, che poi, nei primi
anni Sessanta, sarà contestato violentemente da Leonardo Sciascia, il quale, di contro,
lo interpreterà, secondo la sua ormai prevalente visione della storia siciliana – con
Verga nel ruolo di bieco interprete della reazione aristocratica.
Già sepolto nell’oceano di retorica garibaldesca e accademica, solo l’opera solitaria
di uno storico locale, Benedetto Radice, che all’epoca dei fatti aveva cinque anni,
riuscì a sottrarlo all’oblio con la pubblicazione nel 1910 di un saggio intitolato Nino
Bixio a Bronte, sul quale, molto liberamente, si fonda il film del 1972 di Florestano
Vancini Bronte – Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato,
rivisitato come la preconizzazione di una lotta di classe impossibile per quanto
auspicata e fissato su un’idea stereotipata della Sicilia.
Nell’opera Quale libertà, invece, il racconto è svolto restituendo la parola a tutti i
protagonisti della tragedia ricostruita attraverso documenti d’archivio e atti
processuali, che acquistano forza evocatrice nella contrapposizione dialettica tra le
parti sociali e politiche, tra le vittime e i carnefici, tra gli accusatori e gli accusati.
Nella scena ricostruita dall’autore su fonti d’archivio originali si muovono sia gruppi
insurrezionalisti e radicali con ideali coltivati in lunghi anni di attesa, ma costretti a
patteggiare con il nuovo potere sabaudo fino a consumare il tradimento delle proprie
radici, sia coalizioni di interessi economici e politici antichi e recenti – fino alle faide
familistiche giustapposte alle contrapposizioni sociali, in un intreccio non facile da
dipanare di motivazioni pubbliche e pulsioni emotive personali e di appartenenze
microcomunitarie prepolitiche e premoderne che hanno caratterizzato lo sviluppo
della società siciliana nel suo rapporto con la nazione italiana.
L’autore del dramma non ha distribuito né condanne individuali né condanne
collettive e non ha seguito le interpretazioni ordinarie, le quali tendono
semplicisticamente a “scaricare” le responsabilità dell’abuso giuridico che portò alla
condanna a morte degli imputati su Nino Bixio, anzi si restituisce a questi il ruolo di
mero esecutore materiale di una logica politica a cui non dovrebbe essere sottratto,
semmai, Garibaldi, ubbidiente - come attestano i documenti conservati al Public
Record Office di Londra - alle sollecitazioni del governo inglese garante delle
proprietà e degli interessi britannici nell’isola. In quest’opera, infatti, si privilegia la
messa a nudo delle fondamenta contraddittorie sulle quali nasce la nazione italiana e
quindi il rapporto tuttora irrisolto con la sua stessa memoria storica, costretta a
nascondere dietro le campiture piane delle celebrazioni oleografiche ufficiali i
momenti bui della propria costituzione, inenarrabili perché scandalosi e perciò
occultati tra le pieghe degli eventi.