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LA NOSTRA TERRA, CULLA DI ANTICHE CIVILTA’….
“…Dagli avanzi di abitazioni, dai sarcofaghi, dalla suppellettile funebre, dalle medaglie è lecito
congetturare che alla Piana sorse un tempo e fiorì una cittadina greco-romana. Era l’antichissimo
Bronte, i cui abitanti salirono poscia più su […] Al Rinazzo nel podere di Pace Antonino, […] lungo
la trazzera reggia, alle Casazze, a Castellacci fu ritrovato un sarcofago di lamine di piombo misto ad
altri metalli preziosi che, ricordo, fu venduto a un orefice”.
(Benedetto Radice, Memorie Storiche di Bronte)
Il fascino della nostra terra, la Sicilia, l’aria arsa dal sole e densa di profumi,
ha ispirato gli scrittori di
tutte le epoche. Omero nell’Odissea, Virgilio
nell’Eneide, Pindaro nelle sue Odi, parlano della Sicilia o perché attratti dal
paesaggio o per spiegare, come nel caso dello lo storico Tucidide, le cause che
spinsero i greci a colonizzare la nostra terra.
La costa orientale della Sicilia fu una delle prime terre idonee alla
colonizzazione per i coloni greci diretti verso Occidente. Il suo territorio,
costituito per la maggior parte di pianure fertili, si prestava assai bene all’attività
agricola e offriva buone possibilità di insediamento, con l’opportunità inoltre di
utilizzare come porti naturali alcuni tratti della costa ionica. Proprio nelle zone
costiere della Sicilia orientale infatti, vennero fondate, intorno alla metà
dell’VIII secolo a.C. o poco dopo, le prime colonie greche ad opera di coloni
calcidesi, megaresi e corinzi.
La scelta dei primi siti evidenzia soprattutto una strategia di tipo
commerciale: Messina, Naxos, Reggio, Catania, Siracusa sono tutti porti che si
trovavano lungo una delle rotte commerciali più importanti del tempo.
La presenza dei Greci a Bronte, il nostro paese d’origine, risale probabilmente
a dopo la fondazione di Naxos (735-730 a.C.). E’ attestata da rinvenimenti
di avanzi di mura, orcioli e manufatti di uso quotidiano, mattoni e tegole,
monete e sarcofagi nelle nostre contrade Piana, Spedalieri, Saragordio, Spanò,
Cardà e Castellaci.
Buona parte di tali territori ricade nell’antica “via consolare”, posta nelle
immediate vicinanze del fiume Simeto e confinante col territorio dell’antica
Adranos.
La lava di antiche
eruzioni che colmarono
il primitivo letto del
Simeto è stata nei
secoli
erosa
e
potentemente scavata
dalla potenza del fiume
in
una profonda
incisione, assai stretta
e con lisce pareti
laviche quasi verticali.
Le
forre
laviche
iniziano
con
uno
strapiombo
e
un
selvaggio burrone, dai
brontesi denominato "u
bazu
‘a
càntira" (il
balzo della Càntera),
dove, sotto i ponti
Cantera e Serravalle, i
fiumi Simeto e Troina
si precipitano sulla lava
e sui blocchi di pietra
arenaria.
Uno dei due fiumi (il
Troina) è scavalcato
dall’antico Ponte
Normanno
(nella
figura 1), una opera
arditissima composta
da pile idrodinamiche
che reggono le arcate
medievali di un ponte
a schiena d’asino, è
caratterizzata
cromaticamente
dall’uso delle pietre
locali
basaltiche
in
alternanza a conci di
tufo bianco con un
effetto
bicromatico
veramente particolare.
Fu fatto costruire dal
Conte Ruggiero nel
1121 in memoria della
madre Adelasia, morta
a Patti nel 1118.
Figura 1
A tal proposito, lo storico brontese Benedetto Radice, nelle Memorie Storiche di
Bronte, - una raccolta sistematica di 16 monografie pubblicate per articoli e
raccolte in due volumi editi rispettivamente nel 1928 e nel 1936, nella sezione
Epoca Greco-Romana - a pag. 18 ci narra del ritrovamento a Castellaci di un
sarcofago laminato di piombo e altri metalli preziosi, venduto poi ad un orefice.
Oggi, nella zona, sopravvivono i resti di mura absidate (una chiesetta a croce
greca dedicata a San Nicolò), un bellissimo portale in pietra lavica contenente
una piccola edicola votiva e i resti di tombe.
Il Radice dà inoltre testimonianza diretta di un altro ritrovamento di
monete (forse delle epoche di Timoleonte e di Agatocle), di anforette, vasi di
fine argilla e lucerne, di sicura origine greca.
Vasi e monete andarono a ruba e purtroppo, nessuno ne impedì la dispersione.
Recentemente, le Guardie forestali del distaccamento di Bronte, nel contesto di
una operazione organizzata per individuare i tombaroli che illegalmente fanno
razzia di antichità, hanno rinvenuto un "Askos a colomba", ovvero un piccolo
contenitore di unguenti di ceramica fine decorata, che l'archeologo, Francesco
Privitera, giunto a Bronte per rendersi conto del valore del ritrovamento, ha
datato della fine del V secolo a. C.
Alcuni antichi reperti ritrovati nelle campagne di Bronte, sfuggiti alle distruzioni
ed ai saccheggi, sono conservati nel Real Collegio Capizzi.
Benedetto Radice scrive ancora nelle sue “Memorie “ che nel 1900, per turismo
si recò a Londra per rivedere un “bellissimo busto di bronzò d'imperatore o
filosofo, con occhi di platino, barba e capelli ricci” ritrovato in un suo podere al
Margiogrande nel 1870. Annota che “il busto trovasi ora al Museo di Londra
nella sala dei bronzi e, come cosa pregevole, è custodito sotto una campana di
cristallo, ma non è dato sapere chi rappresentasse”.
In un’epoca spesso indifferente al ricordo dei grandi uomini, abbiamo
voluto con queste poche pagine, ricordare un nostro illustre concittadino.
Uomo dal rigoroso profilo morale, di vasta cultura, storico, Benedetto Radice, è
uno dei figli di Bronte degno di memoria, il nostro cronista per eccellenza.
Nato a Bronte il 1° Febbraio 1854, è noto soprattutto per averci tramandato una
sua lettura storica sull’epica impresa garibaldina che porterà all’Unità d’Italia, e
su quanto avvenne a Bronte dal 2 al 5 Agosto 1860.
A proposito di questa monografia, Franco Antonicelli, critico, saggista, poeta e
parlamentare di sinistra nel recensire una ristampa di Nino Bixio a Bronte curata
da Leonardo Sciascia, definì il Radice come «uno di quegli studiosi di storia
locale ricchi di amor patrio e di pazienza erudita: [...] un cittadino di Bronte di
molto acume, che sapeva ricercare e vagliare documenti a stampa e
testimonianze orali, avendo a cuore un convincimento, che la famosa
repressione operata nel suo paese da Nino Bixio, nell’agosto del 1860, era stata
una necessità feroce oltre il giusto, fuori del legale e cieca di vera comprensione
sociale e umana.» Questo argomento fu poi ripreso dal regista Florestano
Vancini nel suo film del 1972 «Bronte, cronaca di un massacro che i libri di
storia non hanno raccontato » che ha avuto il merito di far conoscere il nostro
borgo, noto come Città del Pistacchio e della Cultura, e lo stesso Radice in
ambito nazionale.
Rigoroso studioso della storia della Città di Bronte, ancora oggi, il suo annoso e
sfibrante lavoro di ricerca minuziosa in archivi e biblioteche di tutta Italia,
rappresenta un fondamentale punto di riferimento (in effetti è l’unico) per la
conoscenza del nostro passato.
«Quando l'epidemia colerica decimò intere famiglie brontesi, la dedizione e
l’amore di Benedetto Radice, diede un nobilissimo esempio di altruismo e
dedizione verso la cittadinanza. Alla testa di pochi generosi, sostituì il sindaco e
gli assessori (che avevano preferito fuggire) organizzando soccorsi, e
apportando l'ordine e il conforto là dove regnava la confusione e l'abbandono».1
Per tali ragioni, ebbe un significativo riconoscimento da parte del Ministero
degli Interni che gli concesse una medaglia d’argento con diploma al merito
sanitario.
1
(Luigi Margaglio, Il Ciclope, 19 marzo 1947)