Anno accademico 1973-1974 Dissertazione: La legge di gravitazione universale e le sue verifiche sperimentali astronomiche e di laboratorio. Nel 1897 J.J. Thomson misurò il rapporto π/π tra la carica e la massa dell’elettrone (Philosophical Magazine 44, 293, 1897). Thomson fece uso di un tubo a raggi catodici (schematizzato in figura). Tra le piastre π e π′ del condensatore piano, di lunghezza π e poste alla distanza π l’una dall’altra, può essere stabilito un campo elettrico πΈβ . Nella stessa zona, mediante opportune bobine (non mostrate in figura), può anche essere stabilito un campo di induzione β perpendicolare a πΈβ ed alla direzione del fascio di elettroni. Il magnetica π΅ procedimento di misura è il seguente: 1) si osserva la posizione della macchia luminosa sullo schermo π in assenza di πΈβ β; e di π΅ β si applica una differenza di potenziale nota π tra le 2) sempre in assenza di π΅ piastre e si osserva la nuova posizione della macchia luminosa. Qual è la traiettoria degli elettroni tra le piastre? Qual è la loro traiettoria fuori dalle piastre? Qual è, in funzione di π/π, della velocità π£ che hanno gli elettroni quando entrano fra le piastre e degli altri dati, la deviazione lineare π¦ all’uscita delle piastre deviatrici? Di quale angolo π viene deviato il fascio? 3) Lasciando fisso π si applica anche il campo magnetico, regolato in modo da annullare la deviazione prodotta dal campo elettrico. Se π = 225 π£πππ‘, π = 1.5 ππ, π΅ = 5.5 β 10−4 π€ππππ/π2 , quanto vale π£? Usando il valore di π£ così determinato, calcolare π/π sapendo che la deviazione angolare osservata nell’operazione 2) è π = 8/110 πππ e che π = 5 ππ. Un altro procedimento usato per la misura di π/π consiste nel determinare la velocità, l’intensità di corrente e l’energia cinetica portata per unità di tempo dal fascio di elettroni. Come è legato π/π con questi dati? Per quanto riguarda l’intensità del fascio, si potrebbe pensare di determinarla misurando la forza che il fascio esercita in presenza del campo elettrico dato sul condensatore. Qual è l’ordine di grandezza di questa forza per una intensità di 0.1 ππ΄? 2 Sir Joseph John Thomson (Manchester, 18 dicembre 1856 – Cambridge, 30 agosto1940), fisico britannico e premio Nobel per la Fisica nel 1906, sapeva che la particella responsabile dei raggi catodici era dotata di una carica elettrica negativa, quindi fece costruire sotto sua indicazione un tubo di Crookes, o tubo catodico, opportunamente modificato. Questo tubo catodico portava, nella parte anteriore all’anodo, il polo positivo, delle piastre alle quali era possibile applicare un campo elettrico esterno variabile. 1) In assenza di campo elettrico e di induzione magnetica, la particella prosegue indisturbata il suo volo ed impatta sullo schermo di fondo lungo la linea tratteggiata, mostrata in figura, ovviamente trascurando la gravità. β si applica una differenza di potenziale nota π tra le 2) Sempre in assenza di π΅ piastre e si osserva la nuova posizione della macchia luminosa. Thomson notò che l’angolo di deflessione π, mostrato nella figura che segue e provocato dalla differenza di potenziale nota π sul fascio di particelle, che venivano prodotte dal tubo catodico e che si dirigevano verso il polo positivo, era direttamente proporzionale al campo elettrico applicato πΈβ . Detta allora πΉ la forza agente sulla particella in transito sotto gli elettrodi ed indicato con π = 1.6 β 10−19 πΆ il valore assoluto della carica dell’elettrone, all’epoca ancora ignoto, deve essere 3 πΉ = −ππΈβ = ππ , in cui π è la massa dell’elettrone ed π l’accelerazione prodotta, tutta diretta verso l’alto, cioè verso il polo positivo, in figura. Si ponga un sistema di riferimento con l’asse delle ascisse coincidente con quello del moto in assenza di campi, con l’asse delle ordinate perpendicolare alle piastre e con l’origine situate nel punto medio delle piastre, all’imbocco delle stesse. Lungo le ascisse il moto non è accelerato e, pertanto, le equazioni orarie degli elettroni transitanti sotto le piastre sono π£π₯ (π‘) = π£ , π₯(π‘) = π£π‘ . Lungo le ordinate il moto è accelerato e le equazioni orarie sono π£π¦ (π‘) = ππ‘ , π¦(π‘) = π 2 ππΈ π‘ , con π = . 2 π 4 Eliminando il tempo dalle due variabili spaziali, si ottiene π₯ ππ₯ 2 π‘= → π¦= 2. π£ 2π£ La particella, finché si muove sotto le piastre ed è soggetta al solo campo elettrico, descrive un arco di parabola, ma, appena raggiunge il limite della zona delle piastre, cioè quando π₯ = π continua il suo volo muovendosi di moto rettilineo uniforme, conservando la velocità (e la tangente) del punto di uscita, sicché l’angolo di deflessione π risulta pari a tan π = ππ πΈππ πΈππ −1 = → π = tan ( ), π£ 2 ππ£ 2 ππ£ 2 essendo π la lunghezza delle piastre deviatrici. Si noti che, se dal punto di uscita del fascio di particelle, si prolunga la tangente indietro si finisce proprio al centro delle placchette deflettrici. Per risolvere questa equazione si doveva calcolare o misurare la velocità delle particelle, il che era veramente un problema di difficile risoluzione. Thomson escogitò dunque un sistema ingegnoso: il campo elettrico applicato dalle armature veniva mantenuto costante e provocava una deflessione π; all’uscita β variabile, delle piastre però veniva applicato un campo di induzione magnetica π΅ che veniva opportunamente variato finché il raggio catodico non si allineava di nuovo con la traiettoria rettilinea naturale, cioè quella in assenza dei due campi. La figura che segue mostra la deflessione prodotta dal solo campo di induzione magnetica, in assenza di campo elettrico e si nota chiaramente la simmetria della deflessione prodotta, che induce a considerare la possibilità di rendere uguali ed opposti i due termini della forza di Lorentz. 5 3) Quando, per l’azione congiunta dei due campi, le particelle non presentano più alcuna deflessione, si verifica la condizione di equilibrio ππΈ = ππ£π΅ → π£ = πΈ π π = ≅ 2.73 β 107 . π΅ ππ΅ π Si osservi che il rapporto tra la velocità calcolata e quella della luce nel vuoto 6 π£ 2.73 β 107 ≅ ≅ 0.091 π 3 β 108 è sufficientemente basso, da giustificare il trattamento non relativistico che si sta sviluppando. La nuova condizione di equilibrio consente, dunque di determinare la velocità della particelle all’ingresso delle piastre. Adoperando l’espressione dell’angolo di deflessione, si può ricavare il rapporto π/π dell’elettrone π πΈ π πΆ 11 = tan π = tan π ≅ 0.72 β 10 . π π π΅2 π π π΅2 ππ Thomson determinò così il rapporto tra la carica e la massa della particella responsabile dei raggi catodici che, misurata con i moderni acceleratori, corrisponde a 1,75882 β 1011 πΆ/ππ. Successivamente Thomson, non pago della riuscita del suo esperimento, utilizzò per la stessa determinazione tubi con elettrodi composti da metalli diversi e all’interno del tubo impiegò molti tipi di gas, ma il valore del rapporto π/π determinato era sempre costante. 7 Con queste prove sperimentali Thomson poté dimostrare, in maniera incontrovertibile, che il raggio catodico non era composto da frammenti ionici di atomi, ma da particelle universali contenute da tutti gli elementi, alle quali venne dato il nome di elettroni, proposto nel 1874 dall’irlandese G. J. Stoney. Stoney ricavò il nome dalla denominazione greca dell’ambra (Δlektron) che, se sfregata con forza con un panno di lana, produce effetti elettrostatici, attirando pezzetti di carta o sollevando i capelli. Fu così che J. J. Thomson formulò il primo modello atomico che descriveva l’atomo come formato da particelle subatomiche e quindi divisibile. Un aspetto importante del modello atomico di Thomson, detto a panettone, è che questo rappresenta l’atomo come composto da particelle puntiformi dotate di carica positiva e negativa; all’interno dell’atomo le particelle negative (elettroni) sono nello stesso numero di quelle positive così che l’atomo, allo stato elementare, risulta completamente neutro. Un altro procedimento usato per la misura di π/π consiste nel determinare la velocità, l’intensità di corrente e l’energia cinetica portata per unità di tempo dal fascio di elettroni. Nella sua prima determinazione, Thomson bombardò un elettrodo con raggi catodici e misurò sia la corrente fornita all’elettrodo, sia l’aumento di temperatura prodotta dal bombardamento. Dall’aumento di temperatura e dalla capacità termica dell’elettrodo egli fu in grado di determinare l’energia fornita dalle particelle dei raggi catodici. Più precisamente, si supponga di voler misurare la corrente π trasportata da un certo numero di corpuscoli, animati da una velocità costante π£, ponendosi in un piano ortogonale al loro moto. Nell’intervallo di tempo elementare ππ‘ attraverseranno il piano di osservazione ππ corpuscoli, ciascuno di carica π, in valore assoluto, in modo da individuare la corrente π=π ππ . ππ‘ Gli stessi corpuscoli trasportano l’energia cinetica 1 π = π ππ£ 2 , 2 8 che potrebbe essere misurata, come già accennato, con metodi calorimetrici. Considerandone la variazione infinitesimale, risulta ππ 1 ππ = ππ£ 2 . ππ‘ 2 ππ‘ Ebbene, il rapporto 1 ππ ππ£ 2 = π ππ‘ 2π fornisce il rapporto π/π una volta noto π£, sicché π π π£2 = . π 2 ππ/ππ‘ Per quanto riguarda l’intensità del fascio, si potrebbe pensare di determinarla misurando la forza che il fascio esercita in presenza del campo elettrico dato sul condensatore. Infatti, ponendosi nella sezione di ingresso del condensatore, da dove entrano le particelle cariche, una volta che una particella è nella regione interna alle piastre, essa esercita, per il principio di azione e reazione, la stessa forza che il condensatore esercita su essa, sicché πΉ = πππΈ , dove π rappresenta il numero d particelle presenti a regime. Ora, dato che una sola particella impiega il tempo βπ‘ = 9 π π£ per percorrere la zona delle piaste, si può scrivere πΉ = βπ‘ ππ π πΈ= ππΈ. βπ‘ π£ Si nota che la quantità π= ππ βπ‘ rappresenta proprio la corrente che fluisce attraverso le piastre del condensatore. Posto π = 0.1 ππ΄ e sostituendo i valori numerici, si ottiene, in definitiva, il valore della forza esercitata dalle corrente sul condensatore πππΈ πππ 0.1 β 10−3 β 0.05 β 225 πΉ= = ≅ π ≅ 2.76 β 10−9 π . 7 π£ ππ£ 0.015 β 2.73 β 10 10