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Samantha Lenarda
CENNI DI
GRAMMATICA
VENETA
490
Guida alla comprensione grammaticale del nostro dialetto
Questo lavoro si propone di semplificare l’oneroso compito di quei
linguisti e/o storici del linguaggio che si sono adoperati con incessante ricerca allo studio della modalità costitutiva di una lingua e della
sua applicazione metodologica: con il verbo semplificare non intendiamo però sminuirne i concetti o impoverirne i significati ma avvicinare in modo fruibile un argomento ostico come la grammatica ai
“detentori del dialetto” rendendoli consapevoli degli strumenti linguistici che abitualmente usano parlando (e che diversamente si perderebbero tra le pieghe del tempo).
La motivazione di questa scelta è che noi riteniamo fondamentale il
“diritto di appartenenza”: il dialetto appartiene a chi lo parla e deve
essere compreso da chi lo usa: l’obiettivo che ci siamo posti è quindi
quello di riuscire a rendere comprensibili anche quelle deduzioni che
ne spiegano l’imprescindibile storicità linguistica.
La cultura ed il dialetto sostengono infatti il concetto di identità regionale ed è per questo che consideriamo la divulgazione di una materia così interessante e basilare, che solitamente trova spazio di discussione solo nelle aule universitarie, come l’intento di riportare al
diretto interessato, al fruitore del dialetto, le origini dell’essenza di
un popolo e dell’identità linguistica che gli appartiene e che marchia
indelebilmente la sua propria unicità.
Detto questo, ci rendiamo perfettamente conto che la percentuale di
coloro che oggi usufruisce del dialetto come lingua di base si è di
molto ridotta nel corso degli anni, principalmente perché è cambiato
il grado di istruzione e di conseguenza si è modificato lo stesso tessuto sociale che, trasformandosi, ha dato la preferenza alla lingua italiana come principale mezzo di comunicazione tra parlanti, relegando il dialetto a mera interiezione colloquiale: questa considerazione
ci ha portati ad optare per lo sviluppo di una grammatica che partisse
proprio dalla lingua più in uso oggi, appunto l’italiano, sebbene fossimo ben consci del fatto che anche quest’ultimo, come il nostro dia491
letto, sia il risultato di un’evoluzione linguistica nata anch’essa da un
idioma locale.
Concludo facendo altresì presente che abbiamo formulato la seguente grammatica prendendo in esame solo una porzione temporale relativamente breve (di tre o quattro passaggi generazionali): abbiamo
voluto fotografare solo un segmento di tempo in cui il nostro dialetto
era ancora nell’uso quotidiano, un dialetto che oggi sta quasi ormai
per essere sepolto nella memoria dei nostri nonni.
Salutiamo dunque questo spaccato di un’epoca, questo fermo immagine linguistico e tendiamo l’orecchio alla sua continua evoluzione,
augurandoci che mai se ne perda completamente l’uso.
Avvertimento al lettore
Come già detto, una grammatica è un elaborato artificiale che non nasce spontaneamente, ma
che viene estrapolata in ogni sua regola da una lingua esistente, da un codice linguistico in uso
tra parlanti: le derivazioni da una matrice linguistica comune sono necessarie per comprendere
le mutazioni subite nel tempo dalla lingua presa in considerazione e sono altresì doverose per
capire le motivazioni di alcuni esiti: mi vedo quindi obbligata a portare alcuni esempi da derivazioni latine o da altra matrice per dimostrare i procedimenti logico-deduttivi che hanno comportato il passaggio ai nessi dialettali ora esistenti.
Per quanto riguarda la pronuncia, essa non verrà trascritta secondo le regole dell’alfabeto fonetico internazionale (IPA), poiché sarebbe un’ulteriore complicazione nella comprensione e nella
fruibilità del dialetto; per ottenere un buon risultato, sarà quindi compito del lettore attento farsi
parte diligente ed attenersi alle poche norme linguistico-comportamentali qui riportate.
Samantha Lenarda
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Il vocalismo/Alfabeto e pronuncia
Il vocalismo
Il vocalismo latino ha dato in italiano alcuni esiti ben noti che non ci dilungheremo a
riportare; sia sufficiente rammentare, parafrasando dalla “Propedeutica al Latino” del
Traina, che le vocali intemedie e, o, in epoca
latina, potevano avere quantità breve o lunga
e venivano pronunciate in maniera diversa,
rispettivamente aperte o chiuse; a prescindere dai risultati e dalle trasformazioni linguistiche, anche la nostra pronuncia rispecchia
questa distinzione: si è quindi preferito contrassegnare le vocali con accenti fonici che
le differenzino; se dunque si trova annotato
l’accento acuto é, ó, le vocali dovranno essere pronunciate chiuse:
candéla- candéla;
botte- bóte;
se invece si troveranno annotate con l’accento grave è, ò la pronuncia sarà aperta:
bambino- putèlo;
bicchiere- gòto.
Da notare che la pronuncia veneziana della /
e/ davanti a -nt-, -ns- ha generalmente timbro
chiuso discostandosi così dall’italiano standard che la vuole aperta, abitudine che si riflette generalmente anche nell’italiano regionale:
gènte- zénte;
sènso- sénso;
vièni- vién;
cliènte- cliénte;
cènto- sénto;
vènto- vénto;
con alcune eccezioni soprattutto sugli aggettivi numerali:
viginti- vénti- vinti ma in italiano regionalevènti;
triginta- trénta- trènta.
La diversa accentazione, come in italiano,
può dare origine a quelle che in fonologia
vengono chiamate coppie minime:
béco (bécco)- bèco (bècco);
vérze (verze)- vèrze (apre);
bóte (bótte)- bòte (bòtte).
L’accento tonico
Per definizione l’accento tonico indica la sillaba su cui cade l’accento nella pronuncia:
il dialetto segue le stesse regole della lingua
italiana tranne quando anticipa la posizione
dell’accento in alcune parole parossitone:
restìo- rèstio;
concìme- còncime;
calcàre- càlcare;
o quando la posticipa:
circùito- circuìto;
intùito- intuìto;
confondendo in questo caso l’accentazione
del sostantivo con quella del verbo.
.
Davanti a /n/ seguita da consonante velare o
a –gl, la /i/ e la /u/ toniche tendono a trasformarsi in /e/ e in /o/:
spingere- spénzer;
famiglia- famégia;
lungo- lóngo;
unghia- óngia;
unto- ónto.
____________________________________
Alfabeto e pronuncia
L’alfabeto veneziano è formato da ventun lettere (cinque vocali e sedici consonanti) come
il fondamentale italiano.
La pronuncia è la seguente:
a, bé, cé, dé, è, èfe, gé, aca, i, èle, ème, ène, o,
pi, qu, ère, èsse, té, u, vé, zéta o zita.
Il dittongo ed il trittongo
L’unione di due o tre vocali che si pronunciano con una sola emissione di fiato prende il
nome di dittongo:
cuore- cuòr;
pietra- pièra;
fiore- fiór;
o di trittongo:
ragazzi- fiói;
fagioli- fasiò(l)i.
Essendo la i e la u fonemi instabili, oscillanti
493
Iato/Comportamento ricorrente del dialetto
tra il timbro vocalico e quello consonantico,
esse sono per tal motivo denominate semivocali o semiconsonanti /j/ e /w/ e si distinguono a seconda della posizione che occupano
all’interno della parola e secondo i fonemi
che li seguono o li precedono.
Per la formazione di un dittongo si rende necessaria l’unione di una semivocale con a, e,
o; oppure l’unione di due semivocali.
I dittonghi uo, ie, sono detti dittonghi mobili
perché, quando nelle parole derivate l’accento non cade più su di essi, perdono la prima
vocale:
scuò-la, scolàro;
cié-lo, celèste.
Da segnalare: la pronuncia dell’incontro tra
la semivocale /j/ e la vocale /e/ segue generalmente l’italiano standard iè /jε/:
gondolière- gondolièr;
cavalière- cavalièr (la cosa non avviene negli altri dialetti veneti, ma alcuni nomi, fanno eccezione: dièci- diése; niènte- niéntegnénte).
L’apertura del dittongo /wò/- uò in dialetto si
contrae in una ó chiusa perdendo la semivocale:
bonum- buòno- bón;
locum- luògo- lógo;
coquus- cuòco- cógo
Nota sui trittonghi.
Nel nostro dialetto la ricorrenza è assai rara
perché la successione delle sillabe viene
spesso interrotta da un inserimento consonantico: ad esempio, aiutare diventa a-giutar di evidente derivazione latina adiuvare
dove il nesso /dj/ subì la trasformazione nel
tempo in /j/ e quindi in -gg- che in dialetto
non regge e quindi perde una doppia per il
processo detto di “degeminazione”
___________________________________
Iato
Condizione necessaria per la formazione dello iato è che le due vocali contigue formino
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sillabe separate.
Costituiscono sempre iato:
- le due vocali contigue a, e, o (ma-è-stro,
sa-é-ta);
- le due vocali contigue semiconsonantiche i,
u toniche (cor-te-sì-a, pa-ù-ra).
Lo iato si trova anche nelle parole composte
in cui i significati dei due termini si percepiscono ancora indipendenti (ri-aver).
.
____________________________________
Comportamento ricorrente
del dialetto
La degeminazione
E’ il fenomeno per cui il raddoppiamento delle consonanti di una parola perde efficacia e
subisce scempiamento:
gatto- gato;
mamma- mama.
Generalmente ciò accade anche in posizione
fonosintattica (trattasi di un raddoppiamento
fonetico che avviene spontaneamente in lingua italiana tra una parola che termina in vocale ed una parola che inizia con consonante:
ad esempio la frase “vado a casa” risulterà all’orecchio vado “accasa” che foneticamente
si scrive /a’kkasa/).
Nel dialetto, che non ammette questo raddoppiamento, la frase suonerà “vado casa”.
Perdita della vocale finale
Si verifica nel nostro dialetto quando la parola termina in -le, -re, -ne:
ospedale- ospeal;
andare- andar;
cane- can.
La lenizione delle consonanti
Il termine stesso ne descrive la fenomenologia: si tratta di un rilassamento sonoro,
un ammorbidimento della natura velare delle consonanti che si trovano in posizione intervocalica e che, in alcuni casi, si riduce in
modo tale da cadere:
Comportamento ricorrente del dialetto
marito- marido- marìo;
maturo- maduro- maùro.
Di seguito riporto qui il comportamento di alcune consonanti che, di norma, subiscono lenizione (o addirittura la caduta della consonante stessa):
- la consonante C /c/ velare in dialetto sonorizza in G /g/:
dico- digo;
amico- amigo;
- la consonante T /t/, assume l’esito della D /d/
e può subire caduta la sola consonante intervocalica o addirittura l’intera sillaba finale:
nepotem- nipote- névodo;
catenam- catena- cadena- caéna;
flatum- fiato- fiado- fià.
Nota: alcuni nomi di derivazione latina con t- o con il nesso consonantico -tr- in posizione intervocalica, subiscono lenizione in italiano con la conseguente caduta dell’intervocalica in veneziano:
hospitalem- ospedale- ospeal;
patrem- padre- pare;
critare- gridare- criar.
In altri casi l’italiano mantiene il nesso intervocalico latino mentre nel dialetto veneziano
subisce caduta:
vitrum- vetro- véro;
anitram- anatra- ànara;
- la consonate P /p/ smorza la sua naturale
esplosività e si riduce sovente a V /v/ (che in
alcune parole addirittura cade):
capelli- cavéli;
sapere- savér;
sapone- saón;
sopra- sóra.
Ciò non accade mai nelle parole con -pi- intervocalica:
capito- capìo;
capitano- capitano;
- in posizione intervocalica il comportamento
della consonante B /b/ è spesso associato alla
consonante V /v/ così che, in dialetto, spesso
si scambiano e si confondono tendendo talvolta alla spirantizzazione:
bibere- bibita- bivita;
labrum- labbra- lavri o làvari;
o, talaltra, al betacismo:
avuto- avudo- avuo- abuo;
laborare- lavorare- lavorar- laborar.
Alcuni nomi subiscono caduta di -b- / -v-:
tabulam- tavola- tàola- tòla;
- la consonante V /v/ può subire caduta:
uva- ua;
rivo- rio, ma riva- riva.
Alcune osservazioni:
- La duplice natura della consonante S e della
consonante Z.
La consonante S in posizione iniziale di parola segue gli stessi esiti dell’italiano cambiando la sua natura da sibilante sorda /s/ a
sonora /z/ a seconda delle consonanti che la
seguono:
sole- sol;
scaldato- scaldà;
sdentato- sdentegà;
In posizione intervocalica la pronuncia sarà
generalmente sonora:
casa- casa;
viso- visin, viséto;
chiesa- ciésa.
Si è voluto mantenere lo stesso grafema s in
entrambe le accezioni e non differenziarlo
tra s sorda e quella sonora /z/ perchè essendo l’autrice di origine settentrionale, e precisamente veneziana, non possiede il concetto
fonico della s sibilante sorda in posizione intervocalica quindi, poiché nella lettura, ove
mai si riscontri differenza alcuna nella grafia,
la nostra pronuncia predilige per natura e posizione geografica sempre la sibilante sonora
(la s di sballo): così ho cercato di mantenerla
confidando nella buona memoria del lettore,
sperando che non me ne voglia.
Per rendere ancora più esplicito tale concetto riporto un aneddoto capitato in una prima
495
Le palatali
elementare di Venezia: la maestra, di origine laziale, diede come compito: “disegnare
una casetta”, ma non lo scrisse alla lavagna
(i bambini non l’avrebbero saputo leggere)
e quindi lo assegnò a voce. Ed ecco subito
l’equivoco: mia figlia tornò a casa pensando
di dover disegnare una “cassetta”: il messaggio che aveva recepito era stato confuso dalle
sue s intervocaliche che sono generalmente
sonore, mentre quelle della maestra, peraltro
foneticamente corrette, erano state pronunciate con timbro sordo.
- Le consonanti doppie nella grafia dialettale.
Come si è potuto notare il dialetto veneziano opera uno scempiamento delle consonanti doppie italiane, ma ciò non significa che il
dialetto ne sia privo, tant’è che in alcuni casi
è utile segnalarne graficamente la presenza:
- per esigenze distintive:
visino- visin; vicino- vissin;
piacere (verbo)- piàser; piacere (sostantivo)piassér;
muso- muso; asino- musso;
- per rispettarne la derivazione:
hashish- assassino- ‘ssassin;
eccum sic- così- cussì;
- per non tradirne la derivazione latina in -tjche si vedrà in seguito.
Questo fenomeno riguarda per lo più il fonema /s/ la fricativa sibilante sorda.
La X era molto usata nella grafia storica e
molto spesso denotava una pronuncia in s sonora, ma nel nostro caso, ho ritenuto il grafema x desueto quindi ho preferito usare, come
ho poc’anzi dimostrato, la doppia s, o nel
caso del verbo essere il grafema z /z/ come
simbolo per la sibilante sonora nella seconda
e terza persona singolare:
egli è- lu el ze
tu sei- ti ti ze
- La consonante Z /ts/, affricata dentale sorda, essendo dotata di due nature come la pre-
496
cedente consonante, generalmente rinuncia al
timbro occlusivo dando esito in dialetto alla
fricativa sibilante sorda /s/:
zucchero- sucaro;
zucca- suca;
zitto- sito;
ma se la consonante Z /ts/ si trova davanti a
iato oppure davanti alla vocale /e/ dà come
risultato una fricativa sibilante sonora /z/ che
abbiamo reso con il grafema z
zio- zio;
zecchino- zéchin;
zecca- zéca;
____________________________________
Le palatali
- la consonante C seguita dalle vocali E, I: se
posta all’inizio di parola generalmente dà esito ad una sibilante sorda /s/:
certo- sèrto;
cena- séna;
cima- sima;
tranne le dovute eccezioni:
celeste- celèste;
cioccolata- cicolata;
se in posizione intervocalica dà esito ad una
sibilante sonora /z/ indicata con il grafema s:
cucina- cusina;
lucertola- losèrtola;
pace- pase;
in alcuni parole si può trovare la doppia grafia:
cucire- cùser, cùzer;
tacere- tàser, tàzer;
piacere (verbo)- piàser, piàzer;
ma in alcuni casi la s risulta sorda:
piacere (sostantivo)- piassér.
vicino- vissin;
- la consonante G seguita dalle vocali E,I:
l’affricata palatale evolve per la maggior parte dei casi, in fricativa sibilante sonora che in
dialetto abbiamo reso con il grafema z:
gente- zénte;
Alcuni esiti particolari di pronuncia
leggere- lèzer;
ungere- ónzer;
pungere- pónzer;
ma in alcuni casi rimane invariato:
giro- giro;
gelo- gèlo.
La consonante G derivata da parole latine in
dj- danno esito dialettale in /z/:
diurnum- giorno- zórno;
e lo stesso vale per le parole latine che iniziano per semiconsonante:
iam- già- zà;
iocare- giocare- zogar.
Come si può notare, in questo specifico caso,
il dialetto si basa sull’esito dell’italiano il
quale, pur derivando da nessi latini diversi,
evolve in G seguita da vocale e, i e conseguentemente il risultato dialettale ripropone
la sibilante sonora /z/.
____________________________________
Alcuni esiti particolari di pronuncia
- La consonante L /l/
Il suono della occlusiva dentale laterale nell’accezione veneziana non è stato riprodotto
nell’alfabeto fonetico internazionale (IPA) ed
alcuni linguisti si sono cimentati in una possibile descrizione che ne esprimesse la sonorità
effettiva: il Lepschy dà come definizione “articolazione in cui l’aria passa attraverso un avvallamento nella parte centrale nel dorso della
lingua, sollevato verso la volta palatina, mentre i due lati del dorso della lingua sono a contatto con i lati della corona dei denti superiori”; il Canepari considera la /l/ come una semivocale prevelare arrotondata e ne fornisce
l’illustrazione in cui sono messi in evidenza i
punti toccati dalla lingua all’interno del cavo
orale dopo l’emissione dell’aria.
In veneziano la /l/ ha varie modalità di pronuncia che riporterò qui di seguito tentando
di descriverne la particolarità; premetto, inoltre, che non sarà usato qui alcun segno di distinzione per rendere graficamente il timbro
della laterale dentale:
la /l/ seguita dalle vocali o, a si pronuncia secondo il modo veneziano: si ritira la lingua in
modo che, arcuandosi, appoggi lateralmente
contro i molari superiori; quindi la si spinge
leggermente in avanti lasciandola libera nella
pronuncia della vocale successiva alla l:
lana- lana;
lucertola- losèrtola;
-seguita dalla vocale u: si pronuncia come
una “elle mouillé” francese:
luglio- lùgio; lui- lu;
-seguita dalla vocale i può dare esiti fonetici diversi:
può mantenere il suono delle l italiana:
lepre- lièvoro;
o può anche cadere completamente nelle parlate di alcuni sestieri:
limpido- lìmpio, ìmpio;
nebbia- calìgo o anche caìgo: in quest’ultimo caso è bene far notare che la l non sempre
cade ma spesso viene pronunciata alla veneziana cioè arretra la propria posizione da dentale a palatale ed essendo e, i vocali anteriori palatali anch’esse, la l subisce una caduta
apparente mentre in realtà la sua pronuncia si
fonde assieme alle vocali che la seguono:
scale- scale- scae;
- se è in posizione finale di una parola ed insieme in posizione iniziale della parola che
segue, cade incorporandosi alla consonante l
della parola precedente, perciò la frase:
“scendi dal letto” non risulterà “vien zò dal
(l)eto” con la laterale dentale pronunciata alla
maniera di Venezia, ma: “vien zò daleto” seguendo la regola della degeminazione fonosintattica di cui sopra.
- se si trova in finale di parola, generalmente a causa della caduta della vocale finale, si
pronuncia come l’italiano “qual”:
canale- canal.
Nota: alcuni vocaboli non seguono la regola generale: di conseguenza la consonante /l/
viene pronunciata come in lingua italiana:
leone- leon; lido- lido; letame- loame; loffiolòfio; lupo- lovo ...
497
Nessi consonantici
- La consonante R /r/, nella pronuncia dialettale, arretra la posizione della lingua sul
palato: in questo modo, durante l’emissione
dell’aria, la punta della lingua tocca la metà
del palato, e leggermente vibrando dà origine
alla r veneziana.
Sembra quasi essere un difetto di pronuncia, in
realtà è la caratteristica che contraddistingue
il dialetto veneziano e lo rende riconoscibile:
questa particolarità si riscontra anche nell’italiano regionale dei veneziani e tra la gente era
in uso chiamare questo evidente impigrimento
della R “el parlar reroraro” vocabolo intraducibile e chiaramente onomatopeico.
La R subisce metatesi in alcuni vocaboli:
starnutire- stranuar;
fabbro- favro- fravo; dentro- drento.
- La dissimilazione delle liquide e delle nasali
La dissimilazione è un fenomeno che differenzia un segmento fonico identico ad un altro in un determinato contesto.
Il veneziano tende a confondere ed a scambiare consonanti fonologicamente affini:
cultellum- coltello- cortelo;
purtroppo- pultropo;
mappamondo- napamondo.
Nessi consonantici
il fenomeno della palatalizzazione:
- il nesso di derivazione latina kl- dà come
esito in italiano il nesso kj- (chi-) ed evolve
in dialetto palatalizzando:
clamare- chiamare- ciamar;
ecclesiam- chiesa- ciésa;
clarum- chiaro- ciaro.
In dialetto esiste il nesso s-c non presente in
italiano se non in un caso: scervellato in cui
avviene la separazione della s dalla c:
schiavo- s-ciavo;
scheggia- s-cénza.
- il nesso latino gl- in posizione iniziale di parola, diventa gj- (ghi-) in italiano, in dialetto
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palatalizza:
glaceum- ghiaccio- giasso;
glandulam- ghiandola- giandussa;
- lo stesso esito dialettale in g affricata palatale si ha dal nesso consonantico latino lj- che
evolve in italiano in -gli- ed in dialetto in -gi
oppure in -j-:
familia- famiglia- famégia o faméja;
mulierem- moglie- mugièr o mujèr;
allium- aglio- àgio o ajo.
La diversa pronuncia per tradizione dipende
dai sestieri: generalmente a Cannaregio e a
Castello preferiscono l’accezione -j-.
Alcuni nomi fanno eccezione; infatti, seppur
derivanti dalla stessa desinenza hanno un esito diverso:
coniglio- conìcio oppure cunicio, differentemente dagli altri dialetti veneti che riportano conejo
- La consonante nasale dentale n + e, i, palatalizza in gn:
neanche- gnanca;
niente- gnente;
- il nesso italiano gn mantiene la palatalizzazione anche in dialetto:
gnocco- gnòco.
- Il nesso italiano ng evolve in dialetto in alcuni casi in palatale gn:
mangio- magno;
tengo- tègno;
in altri casi dà esito in fricativa sibilante sonora z :
ungere- ónzer;
pungere- pónzer;
in altri ancora mantiene la pronuncia italiana:
ingegnere- ingegner.
-Il nesso italiano sc perde la palatalizzazione
e diventa s /s/ sorda:
scimmia- simia;
scienza- siénsa.
Nessi consonantici
- La consonante M /m/ che precede le occlusive /b/ e /p/ e la nasale dentale /n/ in finale
di parola rimasta tronca dalla caduta della vocale atona finale vengono pronunciate come
una n nasale velare, come nell’italiano “banca”:
imbarcarsi- imbarcarse- inbarcarse;
imbuto- impiria- inpiria;
mano- man;
cane- can.
- Il nesso italiano rj, di derivazione latina arius, in italiano perde la vibrante e diventa aius, -aio: in alcuni casi il dialetto restituisce
la forma originaria in aro, ario, ariòl:
januarium- gennaio- zenaro;
herbarium- erbaiolo- erbariòl.
Ma generalmente il dialetto dà la forma in -er
Ad esempio i nomi dei mestieri:
caligarium- calzolaio- calegher;
beccarium- macellaio- becher;
librarium- libraio- librer;
lo stesso valga per i nomi di alcuni alberi:
pomarium- melo- pomer;
ficum- fico- figher.
-il nesso intervocalico latino -kj- evolve in
italiano in -cci- e in dialetto in -ssbrachium- braccio- brasso;
seguendo la regola della lenizione delle palatali italiane.
- il nesso italiano gu-, di probabile derivazione germanica w-, in dialetto si mantiene:
guadagno- guadagno (tranne nel vocabolo
guardare derivato da un’ipotetico germanismo ward che si trasforma nel dialettale vardar: si ha testimonianza di questo termine
già nel XIV secolo in un documento notarile redatto a Venezia da tale Pignol Zucchello
di origine pisana che appunto riporta varda
in luogo di guarda, ma a dimostrazione che
all’epoca lo stesso esito era più esteso dell’odierno unicum guarda- varda).
Ne riporto due esempi dalla tenzone tridialettale del Canzoniere Colombino di Nicolò De’
Rossi in cui vengono usati Verço al posto di
Guercio e vadagnis per guadagni:
“ Verço, co’ tu sis struolego che montis
urir aqua cum verigola ad olto!
Pesse tristo, mo’ co no’ < tu - t’afrontis
(e certo cusì fas tu en Riolto)
mo’ stas tu coy signori, e sì contis
che ’l dose col conseio è stado molto,
e che tanto vadagnis, se t’apontis,
che pos mançar folege e mesolto.
Bestia bestia, co’ < tu - sis enganado!
Vèstite ad oro e sis conparisente,
e và cum gl’oltri a l’oste de Ferera:
averàs ficio e seràs meritado.
Or oldi: no ti sgumentar nïente,
cha, par Dïo, nu averemo la tera.”
- il nesso latino -tj- intervocalico in italiano
dà esito ad una z affricata dentale sorda e nel
dialetto diventa -ss-. Ho segnato graficamente la doppia s sebbene il dialetto non abbia
geminazione allo scopo di sottolinearne la
pronuncia enfatizzante.
Venetiae- Venezia- Venessia;
statio- stazione- stassion: ma in alcuni casi
pur derivando dallo stesso nesso latino il dialetto ha un diverso comportamento:
rationem- ragione- razon (questo fenomeno accade perchè quando il nesso latino -tjsi trasforma in italiano in G seguito da e, i,
il dialetto applica la regola sopra riportata e
restituisce una fricativa sibilante sonora che
viene qui resa con il grafema z).
Vorrei ora soffermare l’attenzione su un vocabolo usatissimo nel dialetto veneziano: ciò.
La sua derivazione è dal latino tollere- toretor- tuor- tjor; il Boerio attesta la pronuncia
cior, da cui si ha ciò: si usa generalmente
come intercalare popolano ed indica un rafforzamento negativo o positivo nella volontà della risposta; quando è negativo è sovente
accompagnato da gesti scurrili.
Ciò, el me ga dito che vaga da lu (in questo
caso è un richiamo all’attenzione).
Ti vol che te vaga fora de casa? Ciò! (in questo caso trattasi di risposta negativa secca, ar-
499
Apostrofo/Aferesi/Apocope/Prosodia
ricchita dal gesto della passera).
Ti vien a magnar a casa mia? Ciòòò.. oppure
e ciòòò...(il prolungamento della o indica ovvietà affermativa nella risposta).
Apostrofo
Indica in generale la caduta della vocale o
della sillaba iniziale o finale di parola e serve
ad indicare l’elisione, l’aferesi e l’apocope.
Aferesi
L’aferesi è la caduta di una vocale o di una
sillaba iniziale di parola che viene sostituita
con un apostrofo.
Da notare che il dialetto veneziano è popolato da aferesi:
questa qua-‘sta qua; è sempre in dubbio- el ze
sempre tra ‘l si e ‘l no;
andiamo o non andiamo?- ‘ndemo o no ‘ndemo?
In particolare la /a/ quando si trova in posizione iniziale atona spesso cade:
arrivare- ‘rivar;
andare- ‘ndar;
aspettare- ‘spetar.
500
Apocope
L’apocope avviene quando cade la sillaba o
la vocale finale (sostituita dall’apostrofo), indipendentemente dalla parola che segue:
e poi mi ha detto…- e po’ ‘l me ga dito...;
e poi siamo andati a casa...- e po’ semo ‘ndai
a casa o a ca’.
Prosodia
La mescolanza di questi comportamenti ricorrenti, il ritmo dell’accentazione ossitona e
l’alternanza delle quantità vocaliche regalano al dialetto quella modulazione cantilenante che lo rende subito identificabile: sembra
quasi che l’espressione dialettale si componga e si conformi sulla territorialità insulare,
sul movimento ritmico delle lunghe onde lagunari che si susseguono in una lenta e costante danza, sul sinuoso andamento cadenzato dei ponti, sul succedersi scansionato del
remo che si distende morbido nell’acqua.
Il nostro dialetto si compone di questi suoi
atavici segmenti dando luogo ad una parlata
unica e, tra noi, imprescindibile.
Morfologia
MORFOLOGIA
L’alterazione può dare origine a:
- diminutivi o vezzeggiativi con desinenza in
Il nome
-éto
-usso
viso- viseto
péto- petusso
Il nome nasce dalla necessità di distinguere gli oggetti, gli esseri, le idee ed i fatti fra
loro.
Quando il nome determina l’oggetto (omo,
dona, can, fior, pianta) è detto sostantivo.
Il nome, può essere:
- concreto quando indica qualsiasi cosa che
si può vedere, toccare, sentire, odorare e gustare: bambino- putèlo; tavola- tola; canzonecanson; fiore- fior
- astratto: quando è compreso nella sfera
emozionale e cioè che non si può né vedere, né toccare, né sentire se non attraverso i
sentimenti: angelo- angelo; bellezza- belessa; bontà- bontà;
- proprio: quando ci si riferisce ad un solo individuo di una specie: Toni, Bortolo, Bepi...;
Da notare che, a differenza dell’italiano, il
nome proprio femminile in dialetto è sempre
anticipato dall’articolo determinativo concordato: la Maria, le Marie;
- comune: quando si riferisce nel complesso a
intere classi di persone, animali o cose:
i cani- i cani, gli uomini- i òmeni, il fiumeel fiume;
- collettivo: quando si vuole indicare un insieme di individui della stessa specie:
flotta- flota, vasellame- vaselame, posatepossàe.
I nomi possono essere:
- primitivi, quelli formati da radice + desinenza: cas (radice) + a (desinenza), casa;
- derivati, quelli che derivano dai primitivi:
casa-casalinga;
- alterati, quelli che sono la risultanza dei
nomi primitivi ai quali si aggiunge un suffisso con il risultato di modificarne il significato.
-èla
- in, èlo
puta- putèla
campana- campanin
o campanèlo
Da sottolineare che esistono delle eccezioni:
piccolo- picòlo oppure picenin (picinin) con
due accezioni diverse: il primo termine indica la statura o l’età, il secondo definisce solitamente un appellativo dato con affetto ai
bambini durante l’infanzia.
Un’altra desinenza che designa un’alterazione vezzeggiativa è -esso e viene usata generalmente per indicare parole che riguardano
la sfera affettiva / amorosa: coccole- cocolecocolessi
Aggiungo un solo caso di vezzeggiativo in
-oldo, usato preferibilmente ad alterazione
del termine primitivo sémpio il cui significato principale è sciocco, ma viene spesso pronunciato in maniera bonaria. Il suo alterato
sempiòldo ha l’accezione di sciocchino, stupidino come intercalare consolatorio.
- accrescitivi con desinenza in
-on
-oto
Grasso- grasson
Cicio- cicioto
Da notare che maton non è accrescitivo di
matto- mato, ma indica il mattone e cavalon non deriva da cavallo- cavalo ma indica
un’onda più grande del normale.
- dispregiativi con desinenza in
-uco
-asso
Pélo- peluco
Capèlo- capelasso
-astro
Zovine- zovinastro
501
Morfologia
Talvolta la desinenza in -asso assume il significato di grande: el ze un siorasso non sempre con significato spregiativo ma, a seconda dell’intenzione, si potrà anche interpretare
come: egli è un gran signore.
Senza dimenticare che il Canal Grande ha
sempre avuto l’appellativo di Canalasso.
- composti: sono quei nomi formati dall’unione di due termini:
acquasanta- aqua-santa; capolavoro- capolavoro; lampionaio- impissa-farai.
Nella lingua italiana di solito, aggiungendo.
la desinenza -aio al nome di un oggetto industriale, si forma il nome del mestiere di
chi fa o smercia quell’oggetto: così da cappello abbiamo cappellaio; da libro, libraio;
merce (varia) merciaio; carbone, carbonaio
ecc.
Specchietto italiano - dialetto veneziano delle
parole che aggiunte alla desinenza formano il
nome di un mestiere o altro:
italiano
Desinenza in -aio
veneziano
Desinenza in -er
prestiti
Francese
cappello/cappellaio
libro/libraio
merce/merciaio
carbone/carbonaio
capelo/capeler
Chapelier
Livrier
Mercier
Charbonier
libro/librer
merce/marser
carbon/carboner
desinenza in -iolo;
-endolo
desinenza in -riol
bosco/boscaiolo
barca/barcaiolo
frutta/fruttivendolo
bosco/boscariol
barca/barcariol
fruti/frutariol
La desinenza italiana in -ugliolo trova uscita
nel veneziano -ìgolo.
desinenza in -ugliolo
desinenza in -ìgolo
rivendita/rivendugliolo, a
revendita/revendìgolo, a
(unicum)
502
desinenza in -tore, -trice
desinenza in -dor, -ora
suono/suonatore
Suonatrice
misura/misuratore
Misuratrice
fornire/fornitore
Fornitrice
sóno/sonador
sonadora
misura/misuradór
misuradóra
fornir/fornidor
fornidóra
In dialetto veneziano non sempre i nomi dei
mestieri corrispondono a quelli della lingua
italiana; ne elechiamo alcuni:
l’arrotino- el gua di probabile derivazione da
un tardo latino acutiare- rendere aguzzo, affilare;
il pasticciere- el scaleter, pare che le scaléte
fossero una pasta dolce a forma di scala a
pioli che veniva esposta nella vetrina del pasticciere;
il lattaio- el pestrin, dal latino pestrinum che
indica il locale in cui si produce il cacio o
dove si macina il grano;
il fornaio che cuoce il pane- el pistor, dal latino pistorem. I pistores publicae annonae erano gli incaricati alle provviste di grano;
il farmacista- el spissier, dal latino species
che indica i prodotti che subiscono manipolazione (ad es: il vino è una species dell’uva),
quindi il venditore di “specifici”;
il guantaio- el mus-cer. Il Boerio riporta “per
l’uso che v’era di vender guanti con l’odore
di muschio”;
lo stagnino- el piriéta, era colui che aggiustava gli imbuti chiamati in dialetto impirie dal
greco peirein- infilare con, in - dentro;
il lattonaio- el bander, probabile derivazione
dal latino medievale banda indicante lamiera
di metallo sottile;
il materassaio- el stramasser.
A volte il nome del mestiere nasce sia dal
verbo dell’azione sia dall’oggetto su cui si
opera come, ad esempio, nell’italiano spazzacamino,: spassacamin o scoacamin, sia dal
soggetto e dall’azione: l’omo del (che porta)
Il genere dei nomi
giasso- l’uomo del ghiaccio, quelo che giusta
le gorne- l’uomo delle grondaie
____________________________________
Il genere dei nomi
Sono generalmente maschili:
- i nomi terminanti in -o: el libro, el bidelo, el
putelo; fanno eccezione: la radio, la moto...
- i nomi che terminano per consonante: el sport,
el bar, el can, ecc.; fa eccezione: la man;
- tutti i nomi di albero terminanti in -er, in -o,
in -e (el pomer, el perer, l’arese);
- i nomi di frutti: el pomo, el pero, el figo, el
limon;
Dunque come si può notare, mentre in italiano
generalmente i nomi di frutto sono femminili e
quelli dell’albero corrispondente sono maschili: la mela, il melo. Ciò non accade in dialetto
che restituisce ad entrambi il maschile come
dagli esempi sopra riportati: el pomo, el pomer, sebbene in alcuni casi affianchi l’italiano
dando il genere femminile al frutto: la banana- la banana, la ciliegia- la sarièza ed esplicitando il genere dell’albero con una locuzione:
l’albero delle banane- l’albaro dele banane,
l’albero delle ciliegie- l’albaro dele sarièze
(o talvolta sariezer);
- i nomi dei monti, dei fiumi e dei laghi anche
se terminano per -a, -e:
el Grappa, el Piave, el Garda perchè si sottintende la parola monte, fiume, lago; fanno
eccezione: le Alpi, le Dolomiti.
- i nomi dei mesi:
zénaro, fébraro, marso, avril, màgio, giugno,
lùgio, agosto, setèmbre, otobre, novèmbre,
desèmbre perchè si sottintende el mese de...
Una curiosità: in origine il calendario romano
contava dieci mesi. Vennero aggiunti poi Gennaio e Febbraio; nella riforma giuliana (Giulio
Cesare) del calendario il mese quintile prese il
nome di Julius (luglio); quando Augusto volle cambiare il nome del mese sextilis in Augustus (agosto), trovando che il mese di luglio
aveva trentun giorni, non volle essere da meno
di Cesare e tolse un giorno a febbraio per aggiungerlo al suo agosto. L’ultima riforma del
calendario avvenne con papa Gregorio Magno, ed è quella adottata ancor oggi;
- i nomi dei giorni della settimana: luni, marti, mèrcore, ziòba, vènere, sabo perchè si sottintende el zorno de; fa eccezione doménega perchè deriva dal latino pars dominica, la
parte della villa di proprietà padronale (dominus, signore e quindi persona che si occupa di far lavorare altri perché mantengano la
sua proprietà).
Sono generalmente femminili:
- i nomi terminanti in -a:
la casa, la maestra... fanno eccezione: el poeta, el problema, el giornalista, el clima;
- i nomi che terminano in -ù:
la zoventù, la virtù; fanno eccezione alcuni
nomi di origine straniera: el cauciù, el caracatù;
- i nomi terminanti in -i: la crisi, l’analisi; fa
eccezione el brindisi.
Formazione del femminile
Per quanto riguarda la formazione del femminile l’unica eccezione alla lingua italiana è
la desinenza dal maschile -tor, che solitamente si risolve al femminile con -trice; mentre
in dialetto veneziano risolve, per la maggior
parte dei casi, in -tora:
attore- attrice- ator - atrice ma tintor - tintora; pastor – pastora.
Altra cosa curiosa da sottolineare è che fino
agli anni ’50 era invalso l’uso, per indicare la
moglie, di formare al femminile il cognome
del marito: la Bosèla (la moglie di Bosèlo), la
Boschina (la moglie di Boschin).
Alcuni nomi hanno un femminile completamente diverso dal maschile:
omo
zenero
missier
béco
molton
dona
niora, gnora
madona
cavra
piègora
503
Il genere dei nomi
Nomi di animali
Il dialetto segue generalmente la lingua italiana, ma segnalerei la trasformazione del
femminile oca nel maschile dialettale oco,
e in ugual modo la lepre diventa el lièvoro.
Inoltre i colombi sono designati solo dal maschile, perché a noi irriconoscibili nel genere,
mentre si usa il femminile quando il colombo
è bianco per ovvia iconografia tradizionale.
Esistono alcuni nomi che possiedono sia nel
femminile sia nel maschile un’unica forma e
si riconosce a quale genere appartengono dall’articolo e dall’aggettivo ad essi concordato:
cantante, negoziante, ecc., in dialetto alcuni
di questi nomi fanno eccezione: nipote- nevodo, nevoda; in altri casi come “negoziante”
il nome esiste solo con un sinonimo costituito
da entrambi i generi: botegher, boteghèra.
- I nomi in -co e -go, in dialetto, fanno eccezione al plurale e seguono in alcuni casi:
la lenizione:
fuochi- fóghi; asparagi- ‘spàrazi; manicimaneghi;
in altri casi si adattano al timbro sordo del
singolare;
pratico- pratico-pratichi; sindaco- sindacosindachi; parroco- paroco-parochi;
in altri ancora tralasciano la regola dell’assibilazione delle palatali ce, ci adattandosi alla
forma del singolare dialettale
greco- grego-greghi; manico- manego-maneghi
alcuni nomi invece presentano ambedue le
varianti
amico- amigo-amighi (amissi); nemico- nemigo-nemighi (nemissi);
I nomi difettivi sono quelli che mancano
del singolare o del plurale: in dialetto alcuni
nomi, a differenza dell’italiano, conservano
ambedue i numeri:
i pantaloni- la braga, le braghe;
le mutande- la mudanda, le mudande;
gli occhiali- l’ocial, i ociali;
il nailon- el nailon, i naili.
504
- I nomi sovrabbondanti hanno diverse desinenze sia nel maschile che nel femminile o
solo nel singolare o nel plurale.
Nella maggior parte dei casi il dialetto segue
la stessa regola dell’italiano ma i sovrabbondanti con plurale maschile in -i e plurale femminile in -a con modifica nel significato della
parola al singolare, sono assai pochi:
il fondamento- el fondaménto, i fondaménti
(le regole prime); le fondaménte (della casa);
il cervello- el sarvèlo, i sarvèli (le intelligenze), le sarvèle (materia cerebrale);
il budello- el buèlo, i buèli (i cunicoli), le
buèle (le budella).
In italiano alcuni sostantivi sono sovrabbondanti nel plurale mentre nel dialetto fanno il
plurale con un’unica desinenza:
braccia - bracci
ossa - ossi
labbra - labbri
frutta - frutti
brassi
ossi
labri, lavri
fruti
In italiano alcuni nomi maschili in -o hanno il
femminile nel plurale:
uovo- uova; paio- paia
in dialetto il plurale concorda con le regole
del nome maschile ed esce in -i al plurale:
vóvo- vóvi; péro- péri.
I nomi in -e
La formazione del plurale segue i nomi maschili in -o come in italiano. Fanno eccezione:
la chiave, le chiavi- la ciave, le ciave
il bue, i buoi- el bò, i bò
il numerale mille- mile nei multipli in dialetto
si mantiene mile e quindi domile, tremile.
___________________________________
L’articolo
Gli articolo possono essere determinativi o
indeterminativi.
L’articolo/L’aggettivo
Articolo determinativo:
masch.sing.
il- el
Masch. plur
i- i
femm. sing.
la- la
femm. plur.
le- le
Premetto che il dialetto non usa quasi mai
l’articolo determinativo lo maschile singolare, gli maschile plurale e nemmeno l’articolo
indeterminativo singolare uno.
L’articolo el sing. e i plur. si usano davanti a
tutti i sostantivi di genere maschile singolare e plurale, anche davanti a quelli che iniziano per s spuria, o complicata e ai gruppi
gn, ps, pn:
lo spione, gli spioni- el spion, i spioni;
lo sgabello- el scagno, i scagni;
lo gnocco- el gnoco, i gnochi;
lo psicologo, gli psicologi- el psicologo, i
psicologhi.
Da notare che spesso questi nessi subiscono
metatesi: el spicologo oppure vengono semplificati el sicologo.
Nota: in alcuni isole di Venezia, tra cui Burano, l’articolo determinativo maschile singolare el, è spesso sostituito da lo e usato anche
davanti ai nomi propri di genere maschile,
cosa alquanto inusuale: lo gato, lo Aldo
Inoltre viene omesso davanti agli aggettivi
possessivi: mio papà, mia mama, mia sorela,
mio fradelo, mia morosa tranne nelle forme affettive: la mia soreleta d’oro, caro el mio ben.
Articolo indeterminativo:
masch. sing.
femm. sing.
un- un, ‘n
una- una, ‘na
L’articolo indeterminativo un si usa davanti a
tutti i nomi maschili singolari compresi quelli comincianti per s impura, z, e ai gruppi gn,
ps, pn: un can; un spirito; un zoo; un gnoco; un psicologo; un pneumatico. L’uso dell’indeterminativo uno è raro ma certe volte lo
si trova a sostituire il pronome indefinito un
tale, un certo:
Ho incontrato un tale- go incontrà uno.
Per il plurale, in veneziano, si usano le espressioni un fià de; un fiantin de; un pochi de; un
poche de: della minestra- un fià de minestra;
delle pecore- un poche de pecore
___________________________________
L’aggettivo
Aggettivo qualificativo
Generalmente l’aggettivo concorda con il genere e il numero del sostantivo al quale si riferisce, in dialetto, per metaplasmo, ciò accade anche negli aggettivi uscenti in -e.
Mio figlio è grande- mio fio ze grando oppure se si trattasse di una figlia- mia fia ze
granda.
Come ben si può intuire non riporterò tutti
i gradi dell’aggettivo qualificativo per ovvia
similitudine all’italiano ma mi preme sottolineare alcuni coloriti aspetti del superlativo assoluto che si può rendere nei seguenti
modi:
- preponendo al grado positivo i prefissi:
stra-, stradelà-, bis-, sora-:
cottissimo- stracoto;
bellissimo- stradelà de belo,
untissimo- bisonto,
sopraffino- sorafin;
- rafforzando il grado positivo con un altro
aggettivo:
stanchissimo- straco morto, nuovissimonovo novente;
- ripetendo il positivo:
bianchissimo- bianco bianco;
- usando il francesismo très:
buonissimo- tre volte bon;
- rafforzando il positivo con un avverbio:
stai molto attento- sta ben ‘tento.
Da notare è la diversa accezione che l’aggettivo assume a seconda della posizione all’interno della frase:
- può seguire il sostantivo: quel tipo è bellochel tipo ze belo oppure: è un uomo buono- el
ze un omo bon; in questi casi ricopre la sfera
505
L’aggettivo
delle qualità fisiche o morali e dunque è un
complimento
- può essere anteposto al sostantivo: quello è
un bel tipo- el ze proprio un bel tipo oppure
è un buon uomo- el ze un bon omo; in questi
casi ricopre la sfera dei sottintesi e degli eufemismi che nascondono delle qualità caratteriali, e rafforzano un giudizio; quindi bel tipo
è collegato ad un’idea di poca fiducia e bon
omo al contrario al concetto di onestà.
Aggettivo possessivo
masch. sing
femm. sing.
mio
to
so
nostro
vostro
suo de lori/e
mia
to
so
nostra
vostra
sua de lore/i
masch. plur.
femm. plur.
mii
to, tui
so, sui
nostri
vostri
sui de lore/i
mie
to, tue
so, sue
nostre
vostre
sue de lore/i
Come si può notare dallo specchietto, l’aggettivo possessivo to, so, è unico per tutti i
generi e numeri quando è anteposto al nome:
la tua roba- la to roba; le tue scarpe- le to
scarpe; i tuoi libri- i to libri; le sue gonne- le
so còtole; i suoi occhiali- i so ociali.
Inoltre l’aggettivo anticipa il sostantivo
come in italiano tranne nella forma plurale
loro dove viene posticipato e rafforzato dall’
espressione suo de concordata con il sostantivo a cui si riferisce es: il loro mantello- el tabaro suo de lori.
Aggettivo dimostrativo
Segue le regole dell’italiano:
masch. sing.
questo, sto
quelo, chel
506
femm. Sing
questa, sta
quela, chela
masch. plur
questi, sti
queli, cheli, chili
femm. plur
queste, ste
quele, chele
Aggettivo numerale
È l’aggettivo che determina la quantità in
modo esatto e può essere:
- cardinale, quando indica semplicemente la
quantità in numeri:
uno, dó, trè, quatro, sinque, sìe, sète, òto
nòve, diéze, ùndeze, dódeze, trèdeze, quatòrdeze, quìndeze, sédese, di-issète, disdòto,
disnòve, vinti, vintiun; trènta; quaranta;
sinquanta; sessanta; setanta; otanta; novanta; sénto, sénto e uno; duzénto; trezénto; quatrosénto; sinquesénto; siesénto; setesénto; otosénto; novesénto; mile; domile;
un milion; un milion de milioni (un miliardo) o milanta mile milioni o anche un miliardo.
Per quanto riguarda la pronuncia vorremmo
qui ricordare che le z hanno l’esito della fricativa sibilante alveolare sonora dell’italiano
sballo ma in questo caso hanno lo stesso esito
anche le s davanti a consonante dei numeri:
dis-doto, dis-nove; tutte le altre sibilanti presentano timbro sordo.
La laterale dentale /l/ mantiene la pronuncia
italiana nei termini milion (sia singolare che
plurale) e miliardo, negli altri casi scivola
nella propria venezianità.
- ordinale, quando indica la posizione nell’ordine di successione: primo, secondo, terso…
(sono tutti declinabili). Al posto dell’ordinale
si può usare la cifra romana corrispondente
(Giovanni ventritreesimo, XXIII, detto a Venezia, confidenzialmente e affettuosamente
anche Nane Schedina)
- moltiplicativo, quando moltiplica una determinata quantità: come in italiano dopio, triplo
- distributivo, quando distribuisce una quantità: per uno- par uno solo, a due a due- a dò
a dò, a tre a tre, per due- par do, par tre, par
quatro, due alla volta- do a la volta, ecc.
- collettivi: ambo- tuti do, tute do;
Il pronome
- frazionari: un terzo- un terso, due quarti- do
quarti, tre quinti, ecc.
Per indicare l’ora il dialetto non ricorre ai
24 numeri cardinali, quindi se sono le 14.00,
come spesso accade anche in italiano, si dirà:
sono le due- ze le do.
Cambia il modo di dire se invece sono le
13.00 o l’1.00 che si dirà: ze un bòto, lo stesso si può dire se sono le 2.00, ma solo nell’accezione diurna: ze do bòti, dove chiaramente
il termine bòto/i si riferisce ai rintocchi delle campane (nella accezione notturna: ze un
bòto o do bòti de note).
Aggettivo indefinito
Determina in modo generico il nome: qualche soldo- qualche scheo, un po’ di libri- un
fià de libri, ogni veneziano- ogni venessian,
nessun uomo- nissun omo.
____________________________________
Il pronome
I pronomi sostituiscono il nome o ne fanno
le veci.
I pronomi personali:
Soggetto nominativo
io
tu
egli
ella
noi
voi
essi
esse
mi
ti
elo, lu, el
ela, la
nialtri, nualtri, nu
vialtri, vualtri, vu
lori, li
lore, le
Complemento oggetto accusativo
me, mi
me
te
te
lo
lo, elo
la
la
ci
ne, se
vi
ve
li
lori, li
le
lore, le
I complementi indiretti si riferiscono al genitivo, al dativo e all’ablativo e ne riporterò qui
solo il dialetto senza la versione italiana:
de mi
de ti
de lu, de elo
de ela
de nualtri (nialtri)
de vualtri, de vialtri,
de vu
de lori
de lore
a mi, me
a ti, te
a lu, a elo, ghe
a ela, ghe
a nualtri, nialtri, ne
a vualtri, a vialtri,
a vu, ve
a lori, ghe
a lore, ghe
da (co, par) mi
da (co, par) <ti
da (co, par) lu, elo
da (co, par) ela
da (co, par) nualtri,
nialtri
da (co, par) vualtri,
vialtri, vu
da (co, par) lori
da (co, par) lore
es: Io mangio- Mi (sogg) magno.
Tu parlavi di me- Ti ti parlavi de mi (compl. specif.)
Egli mi ha chiamato- El me (compl. ogg.)
ga ciamà.
Si osservi che alcuni pronomi subiscono spesso rafforzamento pleonastico: ti ti; mi me
Es: tu mi hai parlato- ti ti me ga parlà; mi
sono voltato- mi, me so girà (ma non nelle
interogative).
Per quanto riguarda il pronome gli, complemento di termine, in alcuni casi nella lingua
italiana, si fonde ai pronomi lo, la, li, le, ne
del complemento oggetto: glielo porto domani. Il dialetto lo restituisce con la particella
pronominale ghe: glielo porto domani- ghe lo
porto doman; questa particella viene inoltre
usata anche come avverbio di luogo in sostituzione della particella pronominale italiana
ci: vacci tu!- vaghe ti!
Il pronome si riflessivo, in dialetto si traduce
con se quando questo è oggetto della proposizione e quando corrisponde a sé.
507
Pronomi possessivi/dimostrativi
es: Maria si pettina- la Maria se pètena,
Toni si è fatto male- Toni se ga fato mal.
Le espressioni italiane di sé, da sé, per sé si
sviluppano in dialetto con: de elo, de ela, da
elo, da ela, de lu, da lu;
es: Toni ha studiato musica da sé- Toni ga
studià musica da elo solo o da lu solo;
Piero parla sempre di se stesso- Piero parla
sempre de lu .
Un’espressione dialettale che vorrei evidenziare e che si trova anche in altri dialetti quali
ad esempio quello milanese de per lu, è: da
par sé o anche da par lu che assume il significato di tra sé e sé: egli parlava fra sé e sé- el
parlava da par sé.
Pronomi Possessivi:
Come gli aggettivi possessivi, i pronomi indicano l’appartenenza alla persona o alla cosa
nominata ma quando gli aggettivi non sono
accompagnati dal sostantivo, ma ne fanno le
veci, si chiamano pronomi: il mio cane è buono e il tuo no- el mio can ze bon, el tuo no.
Singolare
Maschile
Femm.
mio
tuo
suo (de elo,de lu)
nostro
vostro
suo (de lori)
mia,
tua
sua (de ela)
nostra
vostra
sua (de lore)
Plurale
Maschile
Femm
mii
tui
sui (de lori)
nostri
vostri
sui (de lori)
mie
tue
sue (de lore)
nostre
vostre
sue (de lore)
es: il tuo gatto è bello come il loro- el to gato
ze belo come el suo de lore;
la mia tavola e la tua- la mia tola e la tua;
il suo scialle è lungo come il suo- el so sial ze
508
longo come el suo de ela.
Come si può notare nelle terze persone singolari e plurali è necessaria la specificazione
della persona a cui ci si riferisce.
Pronomi dimostrativi
Servono a sostituire:
- nomi di persona:
maschile singolare:
questi- custìo; costui- costù; quegli- culìo;
colui- colù
maschile plurale:
costoro- costori; coloro- colori
femminile singolare:
questa- custìa; costei- custìa; quella- culìa;
colei- culìa
femminile plurale:
costoro- costore; coloro- colore
Mentre in italiano questi e quegli si usano
soltanto come soggetto, le forme dialettali custìo e culìo assumono anche valenza di
complemento.
Es: Piero e Toni sono due brave persone, quegli è un lavoratore, questi è un buon padre di
famiglia, di questo e di quello ci si può fidare- Piero e Toni ze do brave persone, culìo ze
un gran lavorador, custìo ze un bon pare de
famegia; de custìo e de culìo se se pol fidar.
Custìo e culìo si usano anche in senso dispregiativo: non parlatemi di questo!- no stéme a
parlar de custìo!
- nomi di cosa:
In italiano: questo, codesto, quello, declinati
a seconda del genere.
In dialetto seguono lo schema degli aggettivi dimostrativi di cui sopra. Questi pronomi
vengono affiancati generalmente da un avverbio di luogo che ne sottolinea la posizione
spazio-temporale rispetto al parlante.
Es: questa borsa è più pesante di quella- sta
borsa ze più pesante de chela là;
quell’uomo è più grande di questo- chel omo
ze più grando de sto qua.
Il pronome invariabile ciò, che fa le veci soltanto di nomi di cose e significa questa o
quella cosa, in dialetto non viene usato mai:
Pronomi relativi/interrogativi
lo stesso termine ciò, con valenza completamente diversa, si usa generalmente come intercalare di cui si è già parlato in altro paragrafo.
Pronomi relativi
Detti anche congiuntivi perché oltre a sostituire il nome, servono a mettere in relazione due proposizioni riunendole in un’unica
espressione.
Per quanto riguarda il pronome relativo che,
rispetto alla lingua italiana, il dialetto fa storia a sé in quanto si usa sia per il maschile
che per il femminile, sia per il singolare che
per il plurale:
Italiano
nominativo
genitivo
dativo
accusativo
ablativo
che, il quale
del quale, di
cui
al quale, a cui,
cui
che, il quale
dal quale, da
cui
Dialetto
che
che
che
che
che
es: L’uomo che (il quale) mi ha scritto è gentile- l’omo che me ga scrito el ze zentil.
L’argomento del quale si trattava ora è inutile- la discussion che se parlava no serve
più.
Quello è il ragazzo a cui ho dato un librochel là ze el fio che ghe go dà un libro.
Il discorso che ti ho fatto va bene- el discorso
che te go fato va ben.
L’albergo dal quale siete usciti è famoso- l’albergo che se vegnìi fóra el ze conossuo.
In dialetto il pronome che, proprio per questa sua particolarità, non sempre può soddisfare la chiarezza del discorso quindi, quando occorre, è necessario aggiungere un altro
pronome.
Es: Il lavoro per il quale tu ti sacrifichi non
sempre dà soddisfazioni- el lavoro che ti te
strussi par lu no sempre el te dà sodisfassion.
In questo caso il pronome par lu deve esse-
re usato per chiarire meglio il significato della frase.
Il pronome chi, indeclinabile, in dialetto è
usato per tutti i casi (colui il quale, colei la
quale, coloro i quali, coloro le quali ecc.) per
tutti i generi e per tutti i complementi (come
il pronome che), ed è spesso seguito dal rafforzativo che:
es: chi ha padrini, ha favori- chi che ga sàntoli, ga bussolai;
con chi voglio io- co chi che vògio mi.
Pronomi interrogativi
Le forme dei pronomi relativi chi ? che +
cosa? diventano pronomi interrogativi.
Il dialetto omette il che nella seconda forma
e mantiene solo il cosa?, quindi si avrà questa forma: cossa?
Segnalo che i pronomi chi? cossa?, sono, generalmente seguiti dal verbo essere.
Es. Chi vuoi? Chi ze che ti vol?; Che cosa
vuoi? Cossa ze che ti vol?
L’italiano quale?, in dialetto, a differenza dell’italiano, ha genere e numero e, come in italiano può essere usato come soggetto e come
complemento.
masch. sing.
qualo?
de qualo?
masch. plur.
quali?
de quali?
femm. sing.
quala?
de quala?
femm. plur.
quale?
de quale?
Es: Qual è il più bravo?- Qualo zelo el più
bravo? Di quale bambina state parlando?- De
quala putela se drio a parlar?
Anche in questo caso come negli aggettivi, il
pronome subisce metaplasmo.
Quanto, usato per lo più come aggettivo,
come pronome interrogativo indica al singolare, cosa e, al plurale, persona.
Es: Quanto guadagni?- Quanto ze che ti guadagni? Quanti erano?- Quanti gerili?
509
Pronomi indefiniti/Il verbo
Pronomi indefiniti
Hanno molte delle loro forme grammaticali in comune con gli aggettivi indefiniti, e
quando sostituiscono un nome, ne indicano
la quantità in modo indeterminato.
In dialetto sono:
- uno, un, ogniun che hanno il femminile e
non il plurale;
uno ha parlato- uno ga parlà;
ognuno ha avuto la sua parte- ogniun ga vuo
la so parte;
- qualcuno- qualchidun, nessuno- nissun
hanno sia il maschile che il femminile plurale: qualchidun/i ga parlà, qualchiduna/e
ga parlà
nessuno ha parlato- nissun/i ga parlà; nissuna/e ga parlà;
- niente- gnente, indeclinabile come in italiano ed è usato per indicare cose.
Non ho visto niente- no gò visto gnente;
- poco- póco, troppo- massa, tutto- tuto, tanto- tanto, altrettanto che- altretanto che, hanno sia il femminile che il plurale, tranne troppo- massa che è indeclinabile.
- Le forme del singolare sèrto, sèrta (certo,
certa) sono usate come aggettivo:
un certo uomo- un serto omo, una certa donna- ‘na serta dona
o hanno accezione di avverbio: certo che vengo- serto che vegno;
mentre al plurale sono usati come pronomi:
sono buoni questi bambini? Certi sì, certi noze boni sti puteli? Serti sì, serti no.
I pronomi italiani chiunque, nulla, certuno,
taluno, alcuno, parecchio, alquanto, in dialetto non esistono.
510
____________________________________
Il verbo
I modi e i tempi seguono quelli italiani eccezion fatta per il passato remoto e il trapassato remoto del modo indicativo che vengono
sempre sostituiti dal passato prossimo e dal
trapassato prossimo.
Es: ieri vidi mia zia e la salutai, geri go visto
mia zia e la go saludada
Quando ebbe avuto un figlio, si sposò, co la
gaveva vuo un fio la se gaveva sposà ma si
può dire anche: co la ga vuo un fio la se ga
sposà.
In veneziano, come in italiano, abbiamo tre
coniugazioni:
la prima termina nell’infinito in -ar: magnar,
amar ...
la seconda termina nell’infinito in -er: vender, ...
la terza termina nell’infinito in -ir: finir, ...
I tempi composti si formano con una voce del
verbo esser o del verbo aver e col participio
passato del verbo che si vuole coniugare: mi
so ‘ndà, ti ti ga magnà.
I verbi esser e aver si dicono ausiliari (dal
latino auxilium = aiuto) perchè “aiutano” gli
altri verbi nella coniugazione.
Si deve sottolineare che tanto esser che aver
possono essere usati anche come verbi a sé:
Dio ze (el esiste); chi ga da dar ga da ‘ver.
Il verbo aver fa da ausiliare a se stesso, usando nei tempi composti le voci del verbo aver
col participio passato di se stesso e cioè avuo,
vuo, buo: mi go avuo/ buo;
Il verbo esser, nei tempi composti, usa le voci
del verbo esser col participio passato del verbo star: io sono stato- mi so sta.
Di solito si usa l’ausiliare aver nelle forme attive e il verbo esser in quelle passive e riflessive: tu l’hai sgridato- ti ti lo ga crià, tu sei
stato sgridato- ti ti ze sta crià.
Da notare che il verbo riflessivo ha come ausiliare, in veneziano, sia esser che aver.
Es. mi sono vestito- me so vestìo; me go vestìo.
Il verbo esser
La forma interrogativa, nella parlata più antica, mantiene nella II persona singolare la –s
di derivazione del latino e applica l’inversione del soggetto.
Es: hai mangiato? Gastu magnà?
Verbo impersonale.
Il verbo impersonale indica un’azione di cui
non si conosce il soggetto o la persona che la
compie.
Es: piove a sbregabalon; ga nevegà tuto el
zorno; fa bel tempo.
Generalmente questi verbi indicano fenomeni naturali come: piove- pióve, tuona- tonìza,
grandina, diluvia- scravassa ecc.
Il loro ausiliare, in veneziano è aver (ga piovesto; gà tonizà; ga grandinà ecc.).
Alcuni verbi impersonali:
ocorer; parer; convenir; piazer; rincresser;
importar; anche per questi si usa l’ausiliare
aver.
Locuzioni impersonali: fa caldo, va ben, ze
necessario, ze fasile, ecc.
Prima di elencare le coniugazioni dei verbi voglio ancora ricordare che il passato remoto e il
trapassato remoto in dialetto non esistono.
I pronomi personali sono:
Mi, ti, lu /elo-ela, nialtri/nialtre, vialtri/vialtre, lori/lore.
I pronomi Nu, Vu sono desueti.
Per la terza persona singolare userò in primis
quella di uso corrente: lu.
CONIUGAZIONE DEL VERBO ESSER
Tempi semplici: modo Indicativo
Presente
Mi so
Ti ti ze
Lu, elo/a ze
Nialtri/e sémo
Vialtri/e se’
Lori/e ze
Imperfetto
Mi gero
Ti ti geri
Lu, elo/a gera
Nialtri/e gèrimo
Vialtri/e gèri(vi)
Lori/e gera
Passato remoto
Mi so sta
Ti ti ze sta
Lu, elo/a ze sta
Nialtri/e sémo stai
Vialtri/e se’ stai/e
Lori/e ze stai/e
Futuro
Mi sarò
Ti ti sarà
Lu, elo/a sarà
Nialtri/e saremo
Vialtri/e saré
Lori/e sarà
Modo Congiuntivo
Presente
Che mi sia
Che ti ti sii
Che lu, elo/a sia
Che nialtri/e sémo
Che vialtri/e se’
Che lori/e sia
Imperfetto
Che mi fusse
Che ti ti fussi
Che lu, elo/a fusse
Che nialtri/e fùssimo
Che vialtri/e fùssi(vi)
Che lori/e fusse
Modo Condizionale
Presente
Mi sarìa o sarave
Ti ti saressi
Lu, elo/a sarìa
511
Il verbo esser/Il verbo aver
Nialtri/e saressimo
Vialtri/e saressi(vi)
Lori/e sarìa
Modo Interrogativo
Presente
Sògio mi?
Sistu ti?
Zelo lu?
Sémo nialtri/e?
Seu vialtri/e?
Zeli/e lori/e?
Imperfetto
Gero/a mi?
Gèristu ti?
Gera lu, elo/a?
Gèrimo nialtri/e?
Gèri(vi) vialtri/e?
Gèrili/e lori/e?
Futuro
Sarògio mi?
Sarastu ti?
Saralo lu, elo/a?
Saremo nialtri/e?
Sareu vialtri/e?
Sarali/e lori/e?
Condizionale
Sarave mi?
Saréssistu ti?
Saràvelo lu, elo/a?
Saréssimo nialtri/e?
Saréssi(vi) vialtri/e?
Saràveli/e lori/e?
Nota: per i tempi composti sarà sufficiente
aggiungere il Participio passato sta/stada al
singolare e stai/stae al plurale.
CONIUGAZIONE DEL VERBO AVER O ‘VER
Tempi semplici: modo Indicativo
Presente
Mi go
Ti ti ga
Lu, elo/a ga
Nialtri/e gavémo
Vialtri/e gavé
Lori/e ga
Imperfetto
Mi gavevo/a
Ti ti gavevi
Lu, elo/a gaveva
Nialtri/e gavévimo
Vialtri/e gavevi
Lori/e gaveva
Passato remoto
Mi go vuo o buo
Ti ti ga vuo
Lu, elo/a ga vuo
Nialtri/e gavemo vuo
Vialtri/e gavé vuo
Lori/e ga vuo
Futuro
Mi gavarò
Ti ti gavarà
Lu, elo/a gavarà
Nialtri/e gavaremo
Vialtri/e gavaré
Lori/e gavarà
Modo Congiuntivo
Presente
Che mi gàbia
Che ti ti gabi
Che lu, elo/a gàbia
Che nialtri/e gavemo
Che vialtri gavé
Che lori/e gàbia
Imperfetto
Che mi gavesse
Che ti ti gavessi
512
Il verbo aver/Le coniugazioni
Che lu, elo/a gavesse
Che nialtri/e gavéssimo
Che vialtri/e gavessi(vi)
Che lori/e gavesse
Modo Condizionale
Presente
Mi gavarìa o gavarave
Ti ti gavaressi
Lu, elo/a gavarìa
Nialtri/e gavaréssimo
Vialtri/e gavaréssi(vi)
Lori/e gavarìa
Modo Interrogativo
Presente
Gògio mi?
Gastu ti?
Galo/a lu, elo/a?
Gavemo nialtri/e?
Gavéu vialtri/e?
Gali/e lori/e?
Imperfetto
Gavevo/a mi?
Gavévistu ti?
Gavévelo lu, elo/a?
Gavévimo nialtri/e?
Gavévi(vi) vialtri/e?
Gavévili/e lori/e?
Futuro
Gavarò(gio) mi?
Gavarastu ti?
Gavaralo lu, elo/a?
Gavarémio nialtri/e?
Gavareu vialtri/e?
Gavarali/e lori/e?
Condizionale
Gavaràvio mi?
Gavaréssistu ti ?
Gavaràvelo lu, elo/a?
Gavaréssimo nialtri/e?
Gavaréssi(vi) vialtri/e?
Gavaràveli/e lori/e?
Nota: per i tempi composti basterà aggiungere ai tempi semplici il participio passato ‘vuo
o ‘buo al singolare e ‘vui o ‘bui/e al plurale e,
per il verbo essere, sta, stai/e.
Le coniugazioni
Per le tre coniugazioni verbali, peraltro simili a quelle italiane, si è preferito per brevità trascrivere solo la prima persona dei tempi
principali.
Verbi in “are” (Cantar, cantare)
Modo Indicativo
Presente - Mi canto
Imperfetto - Mi cantavo
Passato Remoto - Mi go cantà
Futuro - Mi cantarò
Modo Congiuntivo
Presente - Che mi canta
Imperfetto - Che mi cantasse
Modo Condizionale
Presente – Mi cantarìa o cantarave
Verbi in “ere” (Vénder, vendere)
Modo Indicativo
Presente - Mi vendo
Imperfetto - Mi vendevo
Passato Prossimo - Mi go venduo
Futuro - Mi vendarò
Modo Congiuntivo
Presente - Che mi venda
Imperfetto - Che mi vendesse
Modo Condizionale
Presente - Mi vendarìa o vendarave
Verbi in “ire” (Finir, finire)
513
Le coniugazioni
Modo Indicativo
Presente - Mi finisso
Imperfetto - Mi finivo
Passato Remoto - Mi go finìo
Futuro - Mi finirò
Modo Congiuntivo
Presente - Che mi finissa
Imperfetto - Che mi finisse
Modo Condizionale
Presente - Mi finirìa o finirave
ULTIME AVVERTENZE:
- il verbo dovér (it. dovere) è usato in dialetto
assai raramente (solo in locuzioni proverbiali
o in alcuni modi di dire) ed è sempre sostituito dal verbo aver (aver da ...; ad es.: devo
andare, mi go da ‘ndar ...);
- l’italiano “stare per ...” è sempre reso, in
dialetto, con esser drìo par ...
- i verbi irregolari veneti star, ‘ndar, dar ( Ind.
Pres.: mi stago, mi vago, mi dago ...) seguono
in linea di massima la coniugazione italiana ;
- i verbi “fare, dire”, rispettivamente della
prima e della terza coniugazione, hanno derivazione latina: dicere e facere (e quindi, per
la sonorizzazione daella palatale c in g, digo
e, per il latino fàcere, facio, fasso).
- in veneziano, la terza persona plurale di
ogni modo verbale assume sempre la stessa
forma della terza persona singolare.
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