Macron. La rivoluzione liberale francese. Un libro a puntate

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ANNO XXII NUMERO 104 - PAG 1
IL FOGLIO QUOTIDIANO
GIOVEDÌ 4 MAGGIO 2017
Macron. La rivoluzione liberale
francese. Un libro a puntate
MINISTRO DI RUPTURE
Dietro un vetro dell’Eliseo, il primo
ministro Valls, di spalle, il
presidente Hollande e Macron,
ministro dell’Economia, nel
dicembre 2014
di Mauro Zanon
L
a dialettica ricœuriana, la sua esigenza e il suo rifiuto
del pensiero semplice ispireranno il ragazzo di
Amiens. Tuttavia, stando accanto al filosofo, prenderà anche coscienza di non avere intenzione di sacrificare la propria vita a un’attività esclusivamente intellettuale, astratta,
senza un ancoraggio nella realtà, ma di voler agire, di andare in battaglia: “Avrei mai capito, senza di lui che non ero
fatto per una vita speculativa? (…) Non ho mai amato i luoghi chiusi”. Tranne la casa della nonna materna, Germaine
Noguès, detta Manette, dove amava trascorrere i suoi pomeriggi adolescenziali, leggendo ad alta voce André Gide,
Jean Giono, Albert Camus, Jean Cocteau, Colette, e dove
scoprì una passione per la letteratura che lo spinse, a 16
anni, a voler essere “scrittore”.
Fino ai 18 anni, si sente più letterato che filosofo. “I
nutrimenti terrestri” di Gide e “Nozze a Tipasa” di Camus
sono i suoi breviari: il primo, per avergli mostrato il cammino che porta dalla dimensione cerebrale a una sensualità debordante, come racconterà in un’intervista di confessioni letterarie al settimanale Obs, il secondo dalla sensualità a l’intelletto puro. Ma il destino, tre anni dopo, lo
condurrà sulle tracce della filosofia, all’università di Nanterre, dove si consacrerà all’opera di Hegel e Machiavelli.
Tra i professori che hanno segnato il percorso universitario del fondatore di En Marche!, spicca su tutti Étienne
Balibar, filosofo marxista allievo di Louis Althusser, che fu
uno dei grandi strutturalisti degli anni Sessanta, accanto a
Michel Foucault. “Ho seguito i suoi corsi, che erano degli
esercizi filosofici assai unici. Vero e proprio pozzo di
scienza, spiegava un concetto per due ore. Nel corso successivo, per riprendere il filo, si lanciava generalmente in
un’introduzione che durava un’ora e mezza e che consisteva nel rivisitare il corso precedente. Ho frequentato le sue
lezioni per tre o quattro anni e redatto sotto la sua direzione un lavoro su Machiavelli. E’ in quel momento che ho
abbandonato la metafisica per la filosofia politica (…) Ciò
mi permetteva di mettere in relazione lo spazio teorico
filosofico e la realtà. La filosofia politica permette effettivamente di mettere in tensione la realtà con dei concetti,
di illuminarla grazie alla loro luce”.
Durante i suoi studi a Nanterre, sublimati dagli incontri
quotidiani con Ricœur, si renderà conto, anzitutto, che la
filosofia è necessaria all’azione politica: “Aiuta a costruire. Dà un senso a ciò che, altrimenti, è soltanto un magma
di atti e di discorsi. E’ una disciplina che non vale nulla
senza il confronto con la realtà. E la realtà non vale nulla
senza la sua capacità di risalire al concetto. Bisogna dunque accettare di vivere in una zona intermedia fatta di
impurità nella quale non si è mai un pensatore sufficientemente brillante per il filosofo, e si è sempre percepiti come
troppo astratti per affrontare la realtà. Bisogna essere in
questa zona intermedia. Penso che questo sia lo spazio della politica”.
Lo spessore filosofico del futuro ministro dell’Economia
e il suo ruolo di assistente editoriale per “La memoria, la
storia, l’oblio” sono stati messi in discussione da alcuni
professori universitari e pensatori, tra cui Myriam Revault
d’Allonnes, membro del consiglio scientifico del Fonds
Ricœur, che hanno accusato il ragazzo di Amiens di aver
impreziosito esageratamente il suo rapporto con il filosofo, che sarebbe stato, a loro detta, puramente tecnico. Ma
Olivier Mongin, direttore di Esprit dal 1988 al 2012 e amico
di lunga data di Ricœur, ha assicurato che la loro relazione
intellettuale era assolutamente reale e la “solidità filosofica” del fondatore di En Marche! è “incontestabile”. L’idea
ricœuriana di una capacità propria agli individui di “liberare delle potenzialità”, lontano dai determinismi sociali,
verrà ripresa da Macron per sviluppare il suo discorso sulla “società della mobilità”, in opposizione alla società delle rendite di posizione, degli status sociali troppo rigidi,
degli insiders del mercato del lavoro iperprotetti. Accanto
a questo, condividerà con il filosofo la convinzione che la
deliberazione politica e la cultura del dissenso nello spazio democratico siano una virtù, concretizzando il suo anelito di dissidenza con En Marche!. “Credo all’ideologia politica. L’ideologia, è una costruzione intellettuale che illumina la realtà dandole un senso, e che dà una direzione
alla vostra azione. E’ un lavoro di formalizzazione della
realtà. L’animale politico ha bisogno di dare un senso alla
sua azione. Questa ideologia deve essere presa in una tecnica deliberativa, confrontarsi senza sosta con il reale,
adattarsi, rivisitare permanentemente i suoi principi. Penso che la verità politica non possa costruirsi in una verità
unica né in uno spazio di relativismo assoluto, che è una
Le lezioni di Balibar, il lavoro su Machiavelli. “Ho
abbandonato allora la metafisica per la filosofia
politica”. Il 26 agosto 2014 la chiamata di Hollande:
all’Economia al posto dello statalista Montebourg
tendenza dell’epoca. Non è così. Ci sono delle verità, delle l’opportunità di agire. Anche se le missioni da compiere
contro-verità, ci sono cose che possono essere messe in sono difficili o sembrano impossibili. La mia storia persodiscussione. Tutte le idee non si equivalgono!”, dirà nel nale è intrisa di questo”.
luglio 2015, quando il suo movimento politico non era ancora nato.
Il ministro uberizzatore
La creazione di En Marche! partirà dalla constatazione
che i partiti, oggi, non si fondano più su una base ideologigià tutto pronto. I corsi sul tema del “riformismo in
ca, ma “vivono su una base di appartenenza e sulla rimaEuropa” che dispenserà una volta alla settimana alla
nenza retinica di qualche idea”: “Cosa significa esse- London School of Economics e alla Hertie School of Goverre...‘Repubblicani’ oggi – è strano da dire, no? Avere una nance di Berlino, il nome della società di consulenza financarta e pagare la propria quota, e anche sostenere degli ziaria che ha messo in piedi in estate, Macron Partners, la
uomini. Essere d’accordo con un corpus
start-up dedicata all’insegnamento che
ideologico composto da molti malintesi,
ha progettato con l’amico Ismaël EmeIl libro
in un momento in cui le idee sono state
lien, senza dimenticare i libri da finire
ampiamente abbandonate dai partiti
Quarta puntata di “Macron. La ri- e la famiglia con cui potrà trascorrere,
politici. Fatto che spiega perché mobili- voluzione liberale francese”, il libro finalmente, più tempo. Ma il 26 agosto
tano meno”. Già quando si iscrive al di Mauro Zanon, collaboratore del 2014, mentre si trova sulla spiaggia del
Partito socialista, a 24 anni, la situazio- Foglio da Parigi, che sarà a giorni in Touquet con la moglie Brigitte, arriva la
ne “era così” – aggiunge –. E’ così da di- libreria, edito da Marsilio nella colla- chiamata che stravolgerà tutti i piani:
versi decenni. Ciò che è strano oggi, è na Ancora. In attesa del secondo dall’altro lato della cornetta c’è Franche lo spazio del dibattito critico è mes- turno delle presidenziali francesi, il çois Hollande, che lo ha scelto come
so da parte. Gli intellettuali si sono ri- libro spiega il fenomeno che ha cam- prossimo ministro dell’Economia.
piegati nel campo universitario e si so- biato lo scenario politico a Parigi e in
E pensare che soltanto pochi giorni
no specializzati nella loro disciplina. I Europa. La storia di Emmanuel Ma- prima, Macron e consorte erano ancora
politici, invece, si sono riconcentrati sui cron è accompagnata da un’intervi- negli Stati Uniti, nella costa Ovest, per
valori, ossia su un rapporto molto più sta esclusiva al candidato all’Eliseo. visitare la Silicon Valley e recuperare
emotivo e acritico dell’opinione”.
La prefazione è di Giuliano Ferrara. le energie lontano dal microcosmo paPer rialzare la politica al livello del
rigino. Scesi a Los Angeles avevano inpensiero, come voleva Ricœur, “c’è
contrato Xavier Niel, presidente del
molto lavoro da fare”, dirà Macron. E una “scommessa fol- gruppo delle telecomunicazioni Iliad e azionista di Le
le”, En Marche!: “Sono un idealista, insieme determinato e Monde, che con tono scherzoso aveva chiesto all’ex consipragmatico. Lo sono nella mia vita privata, nella vita politi- gliere di Hollande: “Non ritornerai mica in politica vero?”.
ca, nella mia vita sociale. E’ un idealismo romantico, che “Mai”, gli risponderà Macron. “Sì invece, ci ritornerà”, lo
dà la forza del coraggio e dell’azione (…) L’idealismo non è corregge Brigitte. Avrà ragione quest’ultima. Non ci sarà
una fantasticheria, è un’esigenza. E’ costringersi, darsi nessun corso di economia a Londra, nessuna start-up sul-
E’
l’insegnamento, nessuna società di consulenza finanziaria,
bensì un inaspettato ritorno in politica, e non in un posto
qualsiasi: a capo di Bercy, nel ministero faro del governo.
Fino a quel giorno, il fondatore di En Marche! era stato
soltanto un tecnocrate. Brillante, certo, ma relegato comunque al semplice ruolo di consigliere, non di decisore.
Da vice segretario generale dell’Eliseo, era rimasto profondamente deluso dall’inerzia della macchina governativa, dall’incapacità del presidente di prendere decisioni
definitive e avviare le riforme strutturali di cui il Paese
aveva bisogno. E frustrazione dopo frustrazione aveva deciso di fare i bagagli all’inizio dell’estate. Ma a fine agosto
il telefono squilla. “Mi sarà concesso spazio per fare le
riforme?”, chiede subito a Hollande. Si prende un’ora di
riflessione. Poi, improvvisamente arriva anche la chiamata di Valls, allora primo ministro. Macron ripete la domanda sulle “riforme”, l’inquilino di Matignon rassicura il giovane di Amiens che avrà libertà di manovra, e nel giro di
poche ore è già a Parigi. Il giorno dopo, alle 9.30, c’è il
passaggio delle consegne con Arnaud Montebourg, e alle
10 il primo consiglio dei ministri. Senza mai essere stato
eletto, senza un partito alle spalle, senza nemmeno la militanza che contraddistingue la carriera classica di un politico, il 36enne di Amiens si ritrova ai posti di comando per
decidere la politica economica del Paese. “Sono sempre
stato interessato all’azione politica. Ma non sono mai stato
attirato, né a mio agio nel campo della rappresentazione
politica classica. Non ci sono arrivato subito dopo essere
uscito dall’ENA, per esempio. Ci ho pensato, certo, ma trovavo che fosse poco stimolante. Sono arrivato nel 2012 per
le coincidenze della vita. Volevo fare politica più tardi!”,
racconterà.
La sua nomina al posto dello statalista Montebourg, portabandiera della “demondializzazione” e difensore della
linea anti-austerity, è il simbolo della svolta social-liberale che il duo Hollande-Valls vuole imprimere al Paese, ma
che la sinistra di governo fatica a digerire. Per i giacobini,
il neoeletto ministro è un concentrato di tutto ciò che odiano e che secondo loro è contrario agli ideali storici della
sinistra: è liberale, è un ex banchiere d’affari, dice che lo
status dei funzionari “non è più adeguato”, che “essere
eletti è un curriculum d’altri tempi”, difende la distruzione creatrice di Uber et similia e pensa che la regola delle
35 ore lavorative, santuario inviolabile della gauche paragonabile al nostro articolo 18, sia oramai superata.
Ad aggravare la situazione, il giorno dopo la sua entrata
a Bercy, appare un’intervista che aveva rilasciato al direttore del settimanale Le Point, Étienne Gernelle, prima della sua nomina. Gernelle voleva un punto di vista socialliberale per arricchire il numero che aveva in mente intitolato “Chi può salvare la Francia?”, e aveva pensato a
Macron, il quale, libero dai vincoli politici e concentrato
sui suoi progetti di professore e imprenditore, aveva detto
tutto, ma proprio tutto quello che pensava, senza infingimenti. Il socialismo? “Lì dove essere socialista consisteva
nell’estendere sempre i diritti formali dei lavoratori, la
realtà ci invita a riflettere sui diritti reali di tutti, compresi
e soprattutto di quelli che non hanno un lavoro”. L’economia francese? “Soffriamo di due problemi specifici ed endemici: la nostra competitività, particolarmente degradata, e il nostro deficit di bilancio (…) Per questo la chiave
del rilancio sta nel liberare le energie per creare l’attività”. Le 35 ore? “Potremmo autorizzare le imprese e i settori, nel quadro di accordi maggioritari, a derogare alle regole di durata dell’orario di lavoro e di remunerazione. E’ già
possibile per le imprese in difficoltà. Perché non estenderlo a tutte le imprese, a condizione che ci sia un accordo
maggioritario con i dipendenti? Bisogna uscire da questa
trappola dove l’accumulo dei diritti dati ai lavoratori si
trasforma in altrettanti handicap per coloro che non hanno
un lavoro”. Ecco, in pillole, quello che in poco tempo verrà
definito il “macronismo”: l’idea di sviluppare delle opportunità a favore delle persone escluse dal sistema, partendo
da un’analisi della società divisa in insiders e outsiders.
“Esistono tre strati nel Paese. Anzitutto, ci sono le élite
politico-economiche e giornalistiche in stato di nevrosi.
Guardano il loro Paese attraverso un prisma negativo perché non sanno più vederlo così com’è. In seguito, la gioventù, polarizzata tra un’enorme attesa e una disperazione
profonda. Voglio attivare questi giovani, permettendo loro
di darsi un futuro. Infine c’è una Francia che pensa che la
mondializzazione sia soltanto un rischio, una perdita. Sono
le zone del declassamento che non riescono a proiettarsi in
questi nuovi equilibri. E’ necessario proteggerle e spiegarglielo. La situazione non migliorerà fino a quando non
avremo riconciliato questi tre stati della Francia” , spie(segue nel retro)
gherà l’allora ministro dell’Economia.
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IL FOGLIO QUOTIDIANO
GIOVEDÌ 4 MAGGIO 2017
Dicembre 2014, Macron, allora
ministro dell’Economia, con il
primo ministro Manuel Valls.
All’inizio del 2016 lo strappo tra
i due e, nel giro di due mesi, la
creazione di En Marche!
(foto LaPresse)
(segue dalla copertina)
Mettere in discussione uno dopo
l’altro i feticci inattaccabili della sinistra, significava inimicarsi a vita la
corrente ortodossa. Ma a Macron,
questo fatto importava ben poco. “Appartengo a una generazione che non è
prigioniera dei dogmi. Essere di sinistra vuol dire essere efficaci per
sbloccare ciò che paralizza l’economia. Stare sul fronte, lottare per difendere le aziende, l’artigianato, l’economia sociale e solidale”, dirà al
Nouvel Observateur. E ancora: “Non
è vietato essere di sinistra e di buon
senso. Se non si produce, dice da sempre mia nonna, non c’è niente da distribuire”. Le affermazioni dell’allora ministro dell’Economia troveranno d’accordo il premier Valls, che
sempre al Nouvel Observateur, dirà
che bisogna farla finita con la “sinistra passatista, attaccata a un tempo
finito e nostalgico, ossessionata dal
super-io marxista e dal ricordo delle
Trente Glorieuseus”: “La sola questione che valga è come orientare la
modernità per accelerare l’emancipazione degli individui
(…) Quando la sinistra si ripiega sul suo passato, sui suoi
totem, smette di essere fedele all’ideale del progresso, e
dunque a sé stessa (…) La sinistra che rinuncia a riformare,
che sceglie di difendere le soluzioni di ieri piuttosto che
risolvere i problemi di oggi, ha sbagliato la battaglia da
combattere”.
Nel dicembre 2014, i due riformisti del governo si ritrovano all’Assemblea nazionale per presentare un pacchetto
di misure atte a rilanciare l’asfittica economia e rendere
più flessibile il mercato del lavoro: è la famosa loi Macron,
l’unica lenzuolata di liberalizzazioni del quinquennio hollandiano. Inizialmente era stata proposta come “la legge
per la crescita e il potere d’acquisto”, quando il ministro
dell’Economia era ancora Montebourg, e avrebbe dovuto
restituire 6 miliardi di euro di potere d’acquisto ai francesi. Ma con il nuovo titolare di Bercy e l’aria liberale che si
respira nel governo Valls II, cambia nome e prospettive: si
chiama “legge per la crescita, l’attività e l’uguaglianza delle opportunità economiche” e ha come obiettivo principale
quello di sbloccare il rigido sistema francese, liberalizzan-
“Appartengo a una generazione che non è
prigioniera dei dogmi”. La loi Macron, unica
lenzuolata di liberalizzazioni del quinquennio di
Hollande. La “rupture” digitale frenata da Valls
do gli orari di apertura dei negozi, le professioni regolamentate, i trasporti, le autoscuole, aprendo alla concorrenza il settore degli autobus e facilitando la vita delle imprese. Dopo otto mesi di iter legislativo e notti intere trascorse
a fare pedagogia su ogni singola misura, Macron saluta la
sua approvazione il 10 luglio 2015.
Nello stesso periodo, ospite dei Rencontres Économiques di Aix-en-Provence, forum annuale che riunisce im-
prenditori, accademici ed economisti, il futuro presidente
di En Marche! difende l’“uberizzazione” e l’“autoimprenditoria”, non due parolacce come pensa la sinistra radicale, ma due “vie alternative” alla “rigidità del Cdi” (contratto a tempo indeterminato). “Funzioniamo ancora con il
vecchio dispositivo. Bisogna dunque interrogarci su come
andare più lontano” rispetto a fenomeni come Uber e la
rivoluzione digitale, spiega Macron davanti alla platea,
prima di aggiungere: “La nostra difficoltà è determinata dal fatto che abbiamo gli strumenti della vecchia società e della vecchia politica – che significa essenzialmente fare leggi e
trovare accordi che richiedono molto
tempo – per regolare uno spazio economico-sociale che va sempre più veloce”. Quattro mesi dopo, si spinge ancora più in là, dicendo di essere apertamente “contro l’interdizione di
Uber” in Francia, mentre i suoi compagni di governo gridavano contro la
“concorrenza sleale” del disruptor
dei taxi, e anzi più che favorevole a un
rapido sviluppo della società californiana sul suolo francese. Lo dirà anche Travis Kalanick, capo di Uber,
quando a gennaio vola Los Angeles,
promettendogli di “normalizzare” il
modello Uber nell’Esagono.
A inizio 2016, l’allora titolare di
Bercy deposita un altro progetto di
legge ambizioso, che va ancora più
lontano nel tentativo di modernizzazione del Paese: “Noé” (Nouvelles opportunités économiques). Il fulcro del
progetto è l’“uberizzazione” di diversi settori, ossia l’arrivo
di attori che utilizzano le nuove tecnologie e sconquassano
le imprese tradizionali creando più crescita e più posti di
lavoro. In altre parole: la rupture digitale, l’adattamento
dell’economia francese alla rivoluzione tecnologica in corso. Oltre a ciò, l’idea del pacchetto di legge, anche conosciuto come “loi Macron 2”, è quella di “aiutare i giovani a
riuscire”, a “mettere fine ai corporativismi”, a “favorire
l’affiorare delle start-up” e ad “incentivare la creazione di
nuove attività individuali”. Tuttavia, rimarranno soltanto
delle buone intenzioni. Il premier Valls, infastidito dall’esuberanza e dal troppo spazio che il suo ministro dell’Economia sta prendendo nell’esecutivo, stoppa il progetto di
legge, diluendolo nella futura riforma del Lavoro, il “Jobs
Act francese”, difeso dalla ministra Myriam El Khomri. Per
Macron è un declassamento inaccettabile, lo strappo con
Valls diventa definitivo, e nel giro di due mesi, con la creazione di En Marche!, si prepara a uberizzare la politica.
(4 - continua)
Mauro Zanon, “Macron. La rivoluzione liberale francese”
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