BM Storia Insegnanti Pagina 1 di 4 PERLASTORIA AREA INSEGNANTI Ricerca > Settecento e Ottocento > Fonti CHI SIAMO CATALOGO CONTATTI Eric J. Hobsbawm CERCA Cerca nel sito... RICERCA AVANZATA AREA PUBBLICA STORIA SUI GIORNALI APPUNTAMENTI UTILI CIAK SULLA STORIA LEGGERE DI STORIA DIZIONARI STORIA SUL WEB AREA STUDENTI ESERCIZI DI AUTOVALUTAZIONE PERIODI STORICI PREISTORIA E PRIME CIVILTÀ LA CIVILTÀ GRECA LA CIVILTÀ ROMANA TARDO ANTICO E MEDIOEVO L'ETÀ MODERNA SETTECENTO E OTTOCENTO IL NOVECENTO E IL MONDO ATTUALE PERLASTORIA MAIL ARCHIVIO NEWSLETTER Il banditismo come fenomeno sociale Lo storico anglosassone E. J. Hobsbawm, nato nel 1917, ha scritto nel 1969 un’opera per analizzare i fenomeni di banditismo che si sono presentati varie volte sulla scena europea. Riferendosi al brigantaggio italiano postunitario, Hobsbawm sostiene che esso, come altre forme di banditismo, non aveva una reale valenza rivoluzionaria. I capi briganti non avevano di mira la sollevazione contadina, ma solo la vendetta contro un nuovo governo ritenuto disonesto e antimeridionale. Tuttavia, egli ricorda che il banditismo può assumere un carattere rivoluzionario quando, proprio come accade in Italia, esso si allea con le forze di un ordine tradizionale in pericolo (o che è stato appena scalzato); benché tale alleanza possa essere stata casuale, tuttavia sovente produce (e ciò accadde in Italia) un rafforzamento del banditismo. L’altro motivo per cui il banditismo può divenire rivoluzionario è costituito dal carattere idealistico che talvolta assume la figura del brigante: anche in una società rassegnata alla fame e alla miseria, non scompare mai l’aspirazione a un mondo più giusto. Quando riaffiora tale confusa aspirazione, in periodi di grandi mutamenti politici, essa può condurre a rivolgimenti che, pur non avendo obiettivi politici determinati, possiedono un carattere di rivolta sociale. Quale parte hanno i banditi, se ne hanno una, in queste trasformazioni della società? Come individui, più che ribelli politici o sociali, o ancor meno rivoluzionari, sono contadini che si rifiutano di sottomettersi e perciò si staccano dagli altri contadini o, più semplicemente, sono uomini che si trovano esclusi dalla occupazione usuale del proprio ceto e pertanto sono costretti a diventare fuorilegge e a «darsi al crimine». En masse, sono soltanto sintomi di crisi e di tensione all’interno della società in cui vivono sintomi di carestia, di pestilenza, di guerra o di qualunque altra causa di sconvolgimento. Il banditismo in sé, mhtml:file://C:\Users\utente sala docenti\Desktop\Risorgimento\E.J.Hobsbawm-Il banditismo come fen... 18/10/2010 BM Storia Insegnanti Pagina 2 di 4 perciò, non è un programma della società contadina, ma una forma di autonomia per sottrarsi a essa in circostanze particolari. I banditi, a parte la loro volontà o capacità di rifiutare la sottomissione individuale, non hanno idee diverse da quelle della società contadina (o di una parte di quella società) di cui fanno parte. Sono uomini d’azione e non ideologi o profeti, da cui ci si possa aspettare nuove visioni o nuovi piani di organizzazione politica e sociale. Sono capi, nella misura in cui uomini duri e sicuri di sé, forniti spesso di personalità forti e di talento militare, sono pronti a incarnare quel ruolo; la loro funzione, comunque, è sempre di aprirsi la via, non di scoprirla. Alcuni capi briganti dell’Italia meridionale tra il 1860 e il ‘70, come Crocco e Ninco Nanco, rivelarono doti di comando che suscitarono l’ammirazione degli ufficiali che combatterono contro di essi, ma per quanto gli «anni del brigantaggio» costituiscano un raro esempio di un’importante sollevazione contadina capitanata da banditi sociali, i capi briganti non incitarono mai, in nessun momento della rivolta, i propri uomini a occupare le terre, e a volte, anzi, parvero addirittura incapaci di concepire una «riforma agraria», come oggi verrebbe chiamata. Il «programma» dei banditi, quando ne hanno uno, è di difendere o di restaurare l’ordine tradizionale, di ristabilire le cose come «dovrebbero essere» (e cioè, per le società tradizionali, come si credeva che fossero in un passato, reale o mitico). I banditi raddrizzano i torti, correggono e vendicano le ingiustizie, applicando un criterio più generale di giustizia e di equità nei rapporti fra gli uomini in generale, e in particolare tra il ricco e il povero, tra il potente e il debole. Il fine, però, è modesto, e ammette che il ricco sfrutti il povero (ma senza oltrepassare i limiti riconosciuti tradizionalmente come «equi»), che il potente opprima il debole (ma entro i limiti del ragionevole, senza dimenticare i propri doveri morali e sociali). Il banditismo non chiede che non ci siano più padroni e neppure si aspetta che i signori non prendano più le donne dei propri sudditi, ma esige che quando lo fanno non si sottraggano poi all’obbligo di dare un’educazione ai propri bastardi. I banditi sociali sono, in questo senso, dei riformatori, non dei rivoluzionari. Due cose però possono trasformare quest’obbiettivo modesto, se pure violento, dei briganti - e della società rurale a cui essi appartengono - in un genuino moto rivoluzionario. La prima si ha quando il brigantaggio diventa il simbolo, anzi la punta avanzata di resistenza dell’intero ordine tradizionale mhtml:file://C:\Users\utente sala docenti\Desktop\Risorgimento\E.J.Hobsbawm-Il banditismo come fen... 18/10/2010 BM Storia Insegnanti Pagina 3 di 4 contro le forze che cercano di scalzarlo e di distruggerlo. Una rivoluzione sociale non è meno rivoluzionaria perché si schiera a favore della «reazione», secondo la definizione di chi ne è al di fuori, contro il «progresso». I banditi - e i contadini del Regno di Napoli che insorsero in nome del papa, del re e della fede contro i giacobini e gli stranieri erano dei rivoluzionari, mentre il papa e il re non lo erano. (Come disse, verso il 1860, un capo brigante insolitamente acuto a un avvocato suo prigioniero, che sosteneva di essere anche lui favorevole ai Borboni: “Tu hai studiato, sei avvocato e credi che noi fatichiamo per Francesco II?»). I briganti non insorgevano a difesa del regno dei Borboni «reale» - molti, anzi, pochi mesi prima avevano collaborato con Garibaldi per abbatterlo - ma per l’ideale della società del buon tempo antico, simbolizzata naturalmente dall’ideale del Trono e dell’Altare. In politica i banditi tendono a essere dei tradizionalisti rivoluzionari. L’altra ragione per cui i banditi diventano dei rivoluzionari è inerente alla società contadina. Anche chi accetta lo sfruttamento, l’oppressione e la soggezione come norma di vita, sogna un mondo dove essi non esistano: un mondo di uguaglianza, di fratellanza e di libertà, un mondo totalmente nuovo, privo di male. Raramente esso è qualcosa di più di un sogno. Raramente è qualcosa di più di un’aspettazione apocalittica, benché in molte società il sogno millenaristico persista, nell’attesa dell’Imperatore Giusto che un giorno verrà, della Regina dei Mari del Sud che un giorno sbarcherà (secondo la versione giavanese di questa speranza sommersa), e tutto allora sarà diverso e perfetto. Ci sono, è vero, momenti in cui l’apocalisse appare imminente; quando l’intera struttura della società esistente, di cui l’apocalisse simbolizza e predice il crollo totale, sembra sul punto di sfasciarsi, e allora la tenue fiammella della speranza diventa la luce di una possibile aurora. In momenti come quelli, anche i briganti, come tutti gli altri, sono spazzati via. Non sono essi sangue del sangue del popolo? Non sono forse uomini, che nel loro modo limitato, hanno dimostrato che il vivere alla macchia offre libertà, uguaglianza e fratellanza a chi paga il prezzo di essere senza una casa, di vivere nel rischio, sotto la minaccia di una morte quasi certa? (Le bande dei cangaeiros brasiliani furono paragonate seriamente da un sociologo moderno a «una sorta di confraternita laica» e gli osservatori rimasero colpiti dalla straordinaria lealtà mhtml:file://C:\Users\utente sala docenti\Desktop\Risorgimento\E.J.Hobsbawm-Il banditismo come fen... 18/10/2010 BM Storia Insegnanti Pagina 4 di 4 che regolava le relazioni personali all’interno delle bande). I briganti non ammettono forse, consciamente o inconsciamente, la superiorità del movimento rivoluzionario o millenaristico sulle proprie attività? da E. J. Hobsbawm, I banditi. Il banditismo sociale nell’età moderna, Einaudi, Torino 1971, pp. 19-22. Tutti i diritti riservati © 2007-2010, Pearson Italia P.I. 07415430011. Privacy policy mhtml:file://C:\Users\utente sala docenti\Desktop\Risorgimento\E.J.Hobsbawm-Il banditismo come fen... 18/10/2010