28 gennaio 2017 Istituzione classica artistica e musicale - Aosta XXV OLIMPIADE DI FILOSOFIA SELEZIONE DI ISTITUTO Il candidato, prendendo liberamente spunto dalle citazioni proposte e valorizzando il proprio patrimonio di conoscenze e di considerazioni filosofiche, costruisca un percorso argomentativo o riflessivo imperniato sul tema proposto da una delle seguenti quattro tracce. TRACCIA 1. La questione gnoseologica Potresti forse trovare una cosa che sia più propria della sapienza di quanto è la verità? - E come? - disse - E' possibile che la medesima natura ami sia la sapienza sia il falso? - No certo. - E allora chi realmente ama apprendere deve, fin da fanciullo, desiderare più che può tutta la verità". Platone, La Repubblica L'origine del nostro concetto di «conoscenza». Traggo questa spiegazione dalla strada; ho udito un uomo del popolo dire «non mi ha riconosciuto» e mi sono domandato: che cosa intende in realtà il popolo quando si parla di conoscenza? Che cosa quando dice di voler «conoscere»? Nient'altro che questo: ricondurre ogni elemento estraneo a qualcosa di noto. E noi filosofi — abbiamo mai inteso, parlando di conoscenza, qualcosa di più! II noto, cioè qualcosa a cui siamo abituati, cosicché non ce ne meravigliamo più, il nostro quotidiano, una specie di regola in cui ci nascondiamo. Ogni cosa e tutto ciò in cui ci sentiamo di casa: — come? Anche il nostro bisogno di conoscenza, non è proprio questo un bisogno di noto, la volontà di scoprire, sotto tutti gli aspetti estranei, insoliti, dubbi, qualcosa che ci tranquillizzi? Non sarà questo istinto di paura a spingerci alla conoscenza? L'esultanza di chi conosce non sarà proprio l'esultanza del ritrovato senso di sicurezza?... F. Nietzsche, La gaia scienza, Libro V, § 355, 1882 M. C. Escher, Mano con sfera riflettente, 1935 Sulla mano del disegnatore c'è una sfera riflettente. In questo specchio egli vede un'immagine molto più completa dell'ambiente circostante, di quella che avrebbe attraverso una visione diretta. Lo spazio totale che lo circonda - le quattro pareti, il pavimento e il soffitto della sua camera - viene infatti rappresentato, anche se distorto e compresso, in questo piccolo disco. La sua testa, o più precisamente, il punto fra i suoi occhi, si trova nel centro. In qualsiasi direzione si giri, egli rimane il punto centrale. L'ego è invariabilmente il centro del suo mondo M.C. Escher, Grafica e disegni […] se ciò che conosciamo immediatamente sono le nostre rappresentazioni, non possiamo allora essere immediatamente sicuri che esse rappresentino la realtà vera propria: non possiamo essere sicuri che la realtà esterna e indipendente dalla nostra mente sia così come noi ce la rappresentiamo. Questa sicurezza sussiste sino a che la realtà vera e propria è intesa come il contenuto immediato del pensiero; ma una volta che ci si rende conto che tale contenuto è un pensato cioè non è la realtà vera e propria, quale si costituisce indipendentemente dal pensiero -, allora chi ci assicura che le nostre rappresentazioni corrispondano alla realtà esterna? E. Severino, Filosofia, vol. II, 1984 La nostra scienza ha compiuto giganteschi progressi nell'ambito della conoscenza, ma gli stessi progressi della scienza più avanzata, la fisica, ci avvicinano a un incognito che sfida i nostri concetti, la nostra logica, la nostra intelligenza, e ci pongono il problema dell'inconoscibile. La nostra ragione, che ci sembrava il mezzo di conoscenza più sicuro, scopre dentro di sé una macchia cieca. Che cos'è la nostra ragione? È universale? razionale? Non può trasformarsi nel suo contrario senza rendersene conto? [...] Abbiamo un bisogno vitale di situare, riflettere, reinterrogare la nostra conoscenza, cioè di conoscere le condizioni, le possibilità e i limiti della sua capacità di giungere a quella verità cui mira. [...] La ricerca della verità è ormai legata a una ricerca sulla possibilità della verità. Essa racchiude quindi in sé la necessità di interrogare la natura della conoscenza per esaminarne la validità. Noi non sappiamo se dovremo abbandonare l'idea di verità, se cioè dovremo riconoscere come verità l'assenza di verità. Noi non cercheremo di salvare la verità ad ogni costo, cioè a costo della verità. E. Morin, La conoscenza della conoscenza, in Il Metodo, 1986 TRACCIA 2. Filosofia e filosofare Allora qualcuno potrebbe dire: - Socrate, ma non riuscirai a vivere stando zitto e tranquillo, una volta allontanatoti da noi? - Convincere qualcuno di voi su questo è la cosa più difficile di tutte. Perché se vi dico che un simile comportamento è disubbidienza al dio e perciò è impossibile voi non mi credete e pensate che faccia finta ; e se vi dico ancora che il più gran bene che può capitare a una persona è discorrere ogni giorno della virtù e del resto, di cui mi sentite discutere e indagare me stesso e gli altri - una vita senza indagine non è degna di essere vissuta voi mi credete ancor meno. Ma è così come dico, cittadini, per quanto non sia facile convincervene. Platone, Apologia di Socrate Ai giovani bisogna mostrare che cos’è davvero lo studio filosofico, e quante difficoltà presenta, e quanta fatica comporta. Allora, se colui che ascolta è dotato di natura divina ed è veramente filosofo, congenere a questo studio e degno di esso, giudica che quella che gli è indicata sia una via meravigliosa, e che si debba fare ogni sforzo per seguirla, e non si possa vivere altrimenti. Quindi unisce i suoi sforzi con quelli della guida, e non desiste se prima non ha raggiunto completamente il fine, o non ha acquistato tanta forza da poter progredire da solo senza l’aiuto del maestro. Così vive e con questi pensieri, chi ama la filosofia: e continua bensì a dedicarsi alle sue occupazioni, ma si mantiene in ogni cosa e sempre fedele alla filosofia e a quel modo di vita quotidiana che meglio d’ogni altro lo può rendere intelligente, di buona memoria, capace di ragionare in piena padronanza di se stesso: il modo di vita contrario a questo, egli lo odia. Platone, Lettera VII […] la filosofia si colloca nel bel mezzo della storia, non è mai indipendente dal discorso storico. ma essa, di principio, sostituisce al simbolismo tacito della vita un simbolismo consapevole, a un senso latente un senso manifesto. essa non si accontenta di subire l'ambiente della circostanzialità storica (come l'ambiente a sua volta non si accontenta di subire il suo passato): essa lo cambia, rivelandolo a lui stesso e offrendogli in tal modo l'occasione di allacciare con altri tempi e con altri ambienti un rapporto dal quale emerge la sua verità. [...] a contatto con tutti i fatti e con tutte le esperienze, essa cerca di cogliere col massimo rigore i momenti fecondi nei quali un senso prende possesso di sé, essa recupera, e inoltre spinge al di là di ogni limitazione, il divenire della verità che presuppone e che fa sì che vi sia una sola storia e un solo mondo. [...] essa abita la storia e la vita, ma vorrebbe situarsi al loro centro, nel punto in cui esse si configurano come evento, come senso nascente. la filosofia ha a noia il già costituito. come espressione essa si compie solo rinunciando a coincidere con ciò che è espresso; piuttosto se ne allontana per vederne il senso. è l'utopia di un possesso a distanza. la sua natura può dunque essere tragica, e poiché alberga il suo contrario in se stessa, non è mai un'occupazione seria. . l'uomo serio, se mai esiste, è l'uomo votato a una cosa sola, alla quale dice si'. i filosofi più risoluti vogliono invece sempre i contrari: realizzare ma distruggendo, sopprimere ma conservando. essi coltivano sempre una qualche riserva. il filosofo dona all'uomo serio - all'azione, alla religione, alle passioni un'attenzione forse più acuta di qualsiasi altro, ma è proprio per questo che si sente che egli non vi partecipa. [...]alla fine di una riflessione che all'inizio lo tiene in disparte, ma solo per fargli apprezzare meglio i vincoli di verità che lo legano al mondo e alla storia, il filosofo non trova l'abisso dell'io o del sapere assoluto, ma l'immagine rinnovata del mondo, e se stesso ben piantato in essa, insieme agli altri." M. MERLEAU-PONTY, Elogio della filosofia, titolo originale "Eloge de la philosophie", 1953 Ponendo delle domande a cui non si può rispondere, sul significato, gli uomini si pongono come esseri interroganti. (…) Ora, è più che probabile che se gli uomini dovessero perdere l’appetito di significato che chiamiamo pensare, se cessassero di fare domande senza risposta, perderebbero insieme non solo l’attitudine a produrre quegli enti di pensiero che si chiamano opere d’arte, ma anche la capacità di porre tutte le interrogazioni suscettibili di risposta su cui si fonda ogni civiltà. In questo senso, la ragione costituisce la condizione a priori dell’intelletto e del sapere. H. Arendt, La vita della mente, 1978 La filosofia è morta, viva la filosofia. Non bisogna aspettarsi dalla filosofia ciò che ci si aspetta dalla scienza, cioè risposte, anche se parziali. Il compito della filosofia è porre delle domande, non lasciare l'uomo senza domande, e fare intendere che al di là delle risposte della scienza c'è sempre una domanda ulteriore; non appagarsi mai della risposta, per quanto ardita e geniale, dello scienziato; rendersi conto che per quanto sia stretta la zona di luce del nostro sapere, c'è sempre una zona d'ombra, che non sembra diventare più piccola per il solo fatto che la nostra esplorazione nel cosmo si è perfezionata. [...] La filosofia non può dare risposte definitive proprio perché il suo orizzonte è la totalità e nessuna mente umana può abbracciare la totalità N. Bobbio, Che cosa fanno oggi i filosofi?, 1982 TRACCIA 3. Le funzioni comunicative dell’arte Oh questo interminabile monotono giro di migliaia di giorni e di notti […] tutta la vita dell’uomo, tutta la vita dell’intero universo, non è altro che un interminabile gioco di scacchi sui due campi.: bianco e nero, gioco nel quale nessuno vince se non l'infausta morte [...] tutto questo potrebbe in certe ore far perdere la testa! E invece ci si deve sostenere con braccia coraggiose in mezzo al caos delle rovine, nel quale la nostra vita è sminuzzata e attaccarci fortemente all'arte, alla grande, alla duratura arte che, al di sopra di ogni caos, attinge l'eternità, l'arte che dal cielo ci porge una mano luminosa, così che noi stiamo sospesi in ardita posizione sopra un abisso deserto, fra cielo e terra. Wackenroder, Fantasie sull’arte per amici dell’arte, 1799 Nel quadro di Van Gogh non potremmo mai stabilire dove si trovino quelle scarpe. Intorno a quel paio di scarpe da contadino non c'è nulla di cui potrebbero far parte, c'è solo uno spazio indeterminato. Grumi di terra dei solchi o dei viottoli non vi sono appiccati, denunciandone almeno l'impiego. Un paio di scarpe da contadino e null'altro. Ma tuttavia... Nell'orificio oscuro dall'interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando. Nel massiccio pesantore della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. Il cuoio è impregnato dell'umidore e del turgore del terreno. Sotto le suole trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala. Per le scarpe passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono di messe mature e il suo oscuro rifiuto nell'abbandono invernale. Dalle scarpe promana il silenzioso timore per la sicurezza del pane, la tacita gioia della sopravvivenza al bisogno, il tremore dell'annuncio della nascita, l'angoscia della prossimità della morte. Questo mezzo appartiene alla terra, e il mondo della contadina lo custodisce. Da questo appartenere custodito, il mezzo si immedesima nel suo riposare in se stesso. Ma forse tutto ciò non lo vediamo che noi nel quadro. […] È il quadro che ha parlato. Stando nella vicinanza dell'opera, ci siamo trovati improvvisamente in una dimensione diversa da quella in cui comunemente siamo. L'opera d'arte ci ha fatto conoscere che cosa le scarpe sono in verità. […] Che significa ciò? Che cos'è in opera nell'opera? Il quadro di Van Gogh è l'aprimento di ciò che il mezzo, il paio di scarpe, è in verità. Questo ente si presenta nel non-nascondimento del suo essere. Il non-essere-nascosto dell'ente è ciò che i Greci chiamavano aletheia. Noi diciamo: «verità», e non riflettiamo sufficientemente su questa parola. Se ciò che si realizza è l'aprimento dell'ente in ciò che esso è e nel come è, nell'opera è in opera l'evento della verità. Heidegger, Sentieri interrotti, 1950 Come gli altri linguaggi anche il linguaggio pittorico evoca, “di fatto” se non “di diritto”, il mistero. Faccio attenzione a non dipingere –nella misura del possibile – se non quadri che evochino il mistero con la precisione e il fascino necessari alla vita del pensiero. Pare evidente che l’evocazione precisa e affascinante del mistero consiste in immagini di cose famigliari, riunite o trasformate in modo tale da far meno il loro accordo con le nostre idee ingenue o scientifiche. Attraverso queste immagini, veniamo a conoscere la precisione e l’incantesimo che mancano al mondo detto reale in cui esse appaiono. R. Magritte, Scritti, 1957-1967 Banski, 2011, stencil e pittura a spray su muro, Londra, Ftzrovia [I graffiti] resistono a qualunque interpretazione, a qualsiasi connotazione e non denotano più nulla né nessuno: né denotazione né connotazione e, in quanto significanti vuoti, fanno irruzione nella sfera dei segni pieni della città, che essi dissolvono con la sola loro presenza. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, 1979 TRACCIA 4. La dimensione dialogica della politeia Noi siamo gli stessi a giudicare e a ragionare correttamente sulle questioni, perché non pensiamo che i ragionamenti nuocciano all’azione, ma che sia invece nocivo non sviscerare le questioni nel dibattito, prima di intraprendere le necessarie azioni. Anche in questo mostriamo la nostra differenza: agiamo con audacia e sappiamo ragionare freddamente su ciò che stiamo per affrontare, mentre per gli altri l’ardimento nasce dall’ignoranza, e la riflessione procura titubanza. Tucidide, La guerra del Peloponneso E' chiaro quindi per quale ragione l'uomo è un essere socievole molto più di ogni ape e di ogni capo d'armento. Perché la natura, come diciamo, non fa niente senza scopo e l'uomo, solo tra gli animali, ha la parola: la voce (ϕονέ) indica quel che è doloroso e gioioso e pertanto l'hanno anche gli altri animali (e, in effetti, fin qui giunge la loro natura, di avere la sensazione di quanto è doloroso e gioioso, e di indicarselo a vicenda), ma la parola (λόγος) è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo e, di conseguenza, il giusto e l'ingiusto: questo è, infatti, proprio dell'uomo rispetto agli altri animali, di avere, egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto e degli altri valori: il possesso comune di questi costituisce la famiglia e lo stato. Aristotele, Politica Il male più temibile non è il violento conflitto tra parti diverse della verità, ma la silenziosa soppressione di una sua metà; finché la gente è costretta ad ascoltare le due opinioni opposte c’è sempre speranza; è quando ne ascolta una sola che gli errori si cristallizzano in pregiudizi, e la verità stessa cessa di avere effetto perché l’esagerazione la rende falsa. E poiché poche qualità mentali sono più rare della facoltà che permette di giudicare intelligentemente tra due visioni contrapposte di una questione, di cui una soltanto ha un difensore, le probabilità di vittoria della verità sono proporzionali alla misura in cui ciascun suo aspetto, ciascuna sua opinione che ne esprime una pur minima parte, non solo trova chi la difende, ma viene attivamente difesa e ascoltata. John Stuart Mill, On liberty, 1859 Nell'esperienza della pòlis, che non a caso è stata definita come il corpo politico più d'ogni altro basato sulla parola, e ancor più nella filosofia politica che da essa scaturì, azione e discorso si separarono diventando attività sempre più indipendenti. Si diede preminenza al discorso inteso come mezzo di persuasione piuttosto che come modo specificamente umano di rispondere, reagire e opporsi a tutto ciò che accadeva o si faceva. Essere politici, vivere nella pòlis, voleva dire che tutto si decideva con le parole e la persuasione e non con la forza e la violenza. Nella concezione greca, costringere la gente con la violenza, comandare piuttosto che persuadere, erano modi di trattare prepolitici caratteristici della vita fuori della pòlis, di quella domestica e familiare, dove il capofamiglia dettava legge con incontestato potere dispotico, o di quella degli imperi barbari dell'Asia, il cui dispotismo era spesso paragonato all'organizzazione domestica. H. Arendt, Vita activa, 1958 I diritti e le libertà che furono fattori d’importanza vitale alle origini e nelle prime fasi della società industriale cedono il passo ad una fase più avanzata di questa: essi vanno perdendo il contenuto e il fondamento logico tradizionali. Le libertà di pensiero, di parola e di coscienza erano idee essenzialmente critiche, al pari della libera iniziativa, che servivano a promuovere e a proteggere, intese com’erano a sostituire una cultura materiale e intellettuale obsolescente con una più produttiva e razionale. Una volta istituzionalizzati, questi diritti e libertà condivisero il fato della società di cui erano divenuti parte integrante. La realizzazione elimina le premesse. H. Marcuse, L'uomo a una dimensione. L'ideologia della società industriale avanzata, 1964 Chi odia discutere, il misologo, odia la democrazia, forma di governo discutidora. Alla persuasione preferisce l' imposizione. Maestro insuperabile dell' arte del dialogo, cioè della filologia, è certo Socrate, cui si deve la denuncia di due opposti pericoli. Vi sono - dice - "persone affatto incolte", che "amano spuntarla a ogni costo" e, insistendo, trascinano altri nell'errore. Vi sono poi però anche coloro che "passano il tempo nel disputare il pro e il contro, e finiscono per credersi i più sapienti per aver compreso, essi soli, che, sia nelle cose sia nei ragionamenti, non c'è nulla di sano o di saldo, ma tutto va continuamente su e giù". Dobbiamo guardarci da entrambi i pericoli, l'arroganza del partito preso e il tarlo che nel ragionare non vi sia nulla di integro. Per preservare l'onestà del ragionare, deve essere prima di tutto rispettata la verità dei fatti. Sono dittature ideologiche, quelle che li manipolano, travisano o addirittura creano o ricreano ad hoc. Sono regimi corruttori delle coscienze «fino al midollo», quelli che trattano i fatti come opinioni e instaurano un «nichilismo della realtà», mettendo sullo stesso piano verità e menzogna. G. Zagrebelsky, Democrazia. Decalogo contro l' apatia politica, 2005