Solo un fatto di lifting? La marca camaleonte

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Solo un fatto di lifting?
La marca camaleonte. Sempre più si chiede alla marca di evolversi per rispondere alle esigenze
di una società in continua trasformazione. La marca risponde in maniera camaleontica: la
sostanza non muta ma tutto il resto si... In futuro tutte le marche saranno “transformer”.
Aldo Cernuto e Roberto Pizzigoni
Vice presidenti e direttori creativi esecutivi Young & Rubicam
Si può dire che le marche stiano diventando tutte un po’ “camaleontiche”?
A nostro avviso, il concetto semantico di “camaleonte” ha un’accezione negativa per la marca:
quest’ultima non si deve mai mimetizzare né deve porre in atto evoluzioni repentine.
Soprattutto, la marca non può subire i cambiamenti adattandosi ad essi in modo passivo, ma
deve farsi traino delle situazioni. La marca è più simile ad un robot transformer in grado di
cambiare forma, organizzando in maniera diversa gli stessi pezzi e gli stessi circuiti,
dimostrandosi così attenta alle esigenze del mercato e capace di affrontarle con
determinazione. La marca “transformer” è riconosciuta dai consumatori, ai quali essa si
rivolge con modalità differenti, coerentemente con la conformazione che assume.
Indubbiamente, le situazioni di trasformazione si sono moltiplicate rispetto al passato. Un
tempo la marca si manteneva sostanzialmente inalterata, mentre ciò che variava erano le
offerte di prodotto e le promozioni. Adesso, al contrario, il cambiamento coinvolge anche la
comunicazione, con la possibilità di comunicare la marca in modo diverso a target diversi.
In che modo si affronta questa attività di transformer? Con quali rischi e quali opportunità?
Innanzitutto con grande cautela: la marca è divenuta più duttile e flessibile ma è
indispensabile mantenere inalterata la sua identità, affinché non si trasformi in una marca
diversa. Questo è il grande rischio. Le opportunità, al contrario, sono di essere percepiti dal
proprio target in modo più puntuale e ficcante.
In realtà, un problema con il quale la marca deve fare i conti è la perdita di significato del
concetto di customer satisfaction: ormai, infatti, il customer non è più uno solo. Sia dal punto
di vista della fruizione dei prodotti, sia da quello della comunicazione, i target sono molteplici.
Nel contempo, ogni consumatore desidera che la marca si rivolga a lui in maniera sempre più
personalizzata, stabilendo una relazione unica. Per questi motivi, l’azienda è costretta ad
assumere sembianze diverse in funzione dei suoi diversi consumatori. La difficoltà per la brand
è proprio trasformarsi continuando ad essere se stessa, usare rappresentazioni diversificate
rimanendo uguale nella sostanza.
Questo approccio porta ad una visione di comunicazione integrata. Mentre in passato, quando
ci si rivolgeva ad un solo customer, i mezzi classici si facevano interpreti dell’immagine della
marca, oggi non esistono più media in grado di svolgere da soli questo compito, ma è dalla
somma di tutte le attività di comunicazione che emerge la brand image. Il nostro lavoro è un
po’ come quello del chirurgo che interviene su una frattura multipla: solo ricomponendo con
precisione tutti i pezzi il risultato sarà perfetto.
Possiamo citare degli esempi di marche transformer?
Potremmo citare tutte quelle della telefonia mobile, perché sono big spender e, all’interno del
loro grande target, annoverano sia referenti giovanissimi che maturi, rivolgendosi così a target
estremamente diversi. Per queste marche, quindi, essere transformer è fondamentale.
Pensiamo all’utilizzo del cellulare da parte dei teen-ager rispetto agli over-sixty: la marca non
può che proporsi a loro in modo totalmente difforme.
Peraltro, tutte, prima o poi, dovranno diventare aziende transformer, almeno dal punto di vista
del media, perché la capacità della marca di farsi percepire in maniera personalizzata da
ciascuno dei propri target sarà fondamentale.
Parlare non ad un consumatore ma a tanti cluster di consumatori, ciascuno dei quali si aspetta
un’offerta personalizzata: dove si trova il punto di incontro tra questa esigenza ed il
mantenimento dell’identità di marca?
Questo è uno dei maggiori problemi della comunicazione, oggi. La difficoltà non nasce quando
si comunicano differenze di prodotto, per le quali è sufficiente adottare un approccio tattico
diverso, ma quando si veicola la marca. È difficile, infatti, riuscire ad essere forti allo stesso
modo su target molto differenti. Anche per questo, ormai l’immagine di marca non si sostiene
più con un solo mezzo importante, perché questo parla solo ad uno dei target di riferimento,
ma si è costretti, per salvaguardare l’unità dell’identità della marca, a tenere d’occhio
contemporaneamente tutti i canali attraverso cui la brand si esplica. Per quanto ci riguarda,
uno dei punti di forza del brand Y&R è proprio il modo in cui noi affrontiamo la comunicazione
integrata: un organismo in cui la mano destra sa cosa fa la sinistra, perché c’è un unico
cervello che coordina ogni azione.
Quando la brand si pone l’obiettivo di entrare in aree di mercato differenti, quali problematiche
si aprono?
Quando la brand si diversifica facendo stretching di prodotto, la marca diventa testimonial di
se stessa. In questo caso, quindi, deve ribadire la propria identità con grande coerenza e
riconoscibilità, perché il consumatore nel nuovo prodotto cerca la stessa qualità. Naturalmente
deve esserci compatibilità tra prodotto e marca, pertanto generalmente l’estensione avviene
in aree strettamente limitrofe al core business. I tentativi fatti di uscire da propri settori spesso
si sono tradotti in insuccessi.
Un momento di frattura rispetto al passato per una marca può anche essere rappresentato da
una improvvisa ed evidente variazione nel media mix?
Sicuramente, anche se raramente si abbandona un mezzo all’improvviso: non esiste un media
che possa sostituirne un altro in maniera completa, quindi si finirebbe con il perdere una parte
di target. In genere, il percorso delle marche, quando queste non ci approdavano
immediatamente, era costituito da una serie di tappe verso la televisione. Adesso assistiamo,
invece, ad un allontanamento dei marchi dalla tv. Questo dà luogo ad una frammentazione
della comunicazione che introduce una nuova tipologia di problemi. Mentre lo spot è un evento
a cui tutta Italia è esposta contemporaneamente, infatti, con i nuovi canali c’è una sfasatura
temporale nella ricezione del messaggio da parte del pubblico. Si tratta evidentemente di
approcci diversi: nel caso della pubblicità il messaggio si rivolge ad una platea vasta e
differenziata, in una attività di direct marketing si parla ad una persona specifica che si trova
sola davanti al messaggio. Ciò comporta anche un rapporto diverso con la creatività. È la
differenza che corre tra il parlare a dieci amici telefonando a ciascuno di loro, o invitandoli
contemporaneamente nel salotto di casa.
È più efficace la marca statuaria che riesce a mantenersi uguale a se stessa nel tempo e nelle
situazioni, o quella che sa dimostrarsi flessibile e mutevole?
Statuarietà e coerenza sono valori ormai superati: erano importanti quando la marca usava
solo i mezzi classici in modo non interattivo, unilaterale e mirato sui vari target. Oggi la brand
deve saper essere coerente a target diversi, che si evolvono nel tempo. Per fare ciò occorre
una grandissima flessibilità. E ciò sarà ancora più vero in proiezione futura.
Eleonora Marin
Responsabile comunicazione Invicta
Ci pare che Invicta possa ben interpretare il concetto di “marca camaleonte”, in considerazione
dell’evoluzione posta in atto nell’azienda oltre che nel posizionamento del brand. Condivide
questa considerazione?
Mi sembra che il termine “camaleonte” possa di per sé essere letto anche con un’accezione
negativa di marchio che evolve senza avere una propria visione. Ci tengo invece a sottolineare
che il brand Invicta, al contrario, si è sviluppato in modo sia propositivo che versatile rispetto
al target, ma sempre fedele al proprio core business e alla propria identità.
Peraltro, il cambiamento e l’innovazione fanno parte della nostra natura. Quando negli anni ‘80
Invicta è diventata leader incontrastato nel mercato dello zaino-scuola, ha assunto un
posizionamento di rottura perché ha trasformato lo zaino da montagna, tradizionale prodotto
del marchio, e ne ha cambiato l’utilizzo, influenzando e modificando le abitudini dei ragazzi,
che fino a quel momento avevano usato la cartella. Invicta è da sempre marketing oriented:
avendo individuato questa interessante area, ne ha approfondito le esigenze e ha capito che i
ragazzi amano i colori, la personalizzazione, la possibilità di andare a scuola in maniera più
informale, e ha risposto a questi desideri adeguando il know how del marchio rispetto alle
esigenze del mercato.
Dove è giunta oggi l’evoluzione del marchio? Qual è il suo posizionamento e verso quali
obiettivi si muove?
Oggi, dopo l’acquisizione da parte di Seven, stiamo definendo un nuovo posizionamento.
L’evoluzione in atto, che era già iniziata lo scorso anno ed è visibile nell’ultima collezione
Invicta attualmente sul mercato, si muove verso un posizionamento rivolto ad un target più
adulto rispetto al passato. Per questo motivo non avremo più solo una linea mirata di zainiscuola, ma la nostra offerta di prodotto comprenderà una vasta gamma di borse, zaini e
accessori, che possono essere usati per il viaggio e il tempo libero. Il brand si rivolgerà,
quindi, a un target più definito di età compresa tra i 18 e i 25 anni, attivo e molto ricettivo nei
confronti delle novità. Altrettanto si può dire della nuova collezione di guanti, che prevede una
serie di innovazioni sia nello stile che nei materiali. Con questi prodotti ci avviciniamo, in
particolare, a nuove discipline come lo snowboard e il freestyle, che non appartenevano alle
nostre tradizioni. Il nostro posizionamento, infatti, era legato al guanto classico, di qualità
elevata, usato dai migliori atleti dello sci internazionale. Oggi ci proponiamo di incrementare il
nostro know how, coerentemente alla nostra cultura aziendale, per realizzare anche prodotti
dedicati ad un target giovane, introducendo quindi grafiche nuove e colori forti.
Cosa è cambiato con l’acquisizione del marchio da parte di Seven?
Il percepito del marchio è sempre molto positivo, anche grazie alla forte eredità del passato.
Oggi, però, noi vogliamo offrire un’immagine contemporanea di Invicta, fedele a ciò che siamo
oggi realmente: un brand dai valori forti ma in continuo divenire, capace di adeguarsi alle
esigenze di un target che cambia nel tempo.
Oggi il posizionamento del marchio è più definito e preciso mentre in precedenza ci
rivolgevamo a target più ampi, dal giovanissimo al meno giovane, e proponevamo anche
prodotti molto classici. Adesso il nostro bagaglio stilistico e tecnologico si concretizza nella
produzione di articoli rivolti ad un referente preciso, mentre il segmento zaino-scuola per i più
piccoli viene coperto da Seven, evitando qualsiasi sovrapposizione.
In questa ottica stiamo avviando delle attività di comunicazione che passano anche attraverso
internet, il punto vendita, le fiere e le attività commerciali, per andare a colpire efficacemente
il nostro target.
Generalmente la marca tende a mantenere inalterato nel tempo il proprio posizionamento,
preferendo la continuità al cambiamento; al contrario, voi avete voluto comunicare un segnale
di discontinuità. Avete messo in conto dei rischi?
Qualsiasi prodotto che evolve è in qualche modo segmentante, soprattutto se il marchio si
vuole dare una forte connotazione. Invicta è un marchio forte che, proprio per questo, può
permettersi il lusso di prendersi dei rischi, di rivolgersi con forza ad un unico target rilevante e
di proporsi al mercato con una personalità chiara e ben definita. Il cambiamento, vissuto in
un’accezione positiva, diventa un’opportunità, come dimostra anche la case history dello zaino
scuola Invicta negli anni ’80.
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