Parrocchia di Bovolone
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
CAPITOLO VIII
LA COMUNITÀ FAMILIARE
DI EVANGELIZZAZIONE
1. COMUNITÀ E FAMIGLIA __________________________________________________ 183
a. Fondamenti biblici__________________________________________________________ 183
b. Le caratteristiche della comunità_______________________________________________ 183
c. Le prime comunità cristiane si riunivano nelle case ________________________________ 184
d. Le piccole comunità articolano meglio la parrocchia _______________________________ 186
2. LA “COMUNITÀ FAMILIARE DI EVANGELIZZAZIONE” _____________________ 187
3. I VANTAGGI DI UNA COMUNITÀ FAMILIARE ______________________________ 188
a. È flessibile ________________________________________________________________ 188
b. È a misura di ogni persona ___________________________________________________ 188
c. Può crescere_______________________________________________________________ 189
d. La coppia responsabile non necessita di una preparazione teologica ___________________ 189
e. Ha grande adattabilità alla vita parrocchiale ______________________________________ 189
4. NOTE QUALIFICANTI DELLA COMUNITÀ FAMILIARE______________________ 190
a. La comunità familiare non è un “gruppo” ________________________________________ 190
b. Caratteristiche della comunità familiare _________________________________________ 190
c. Dinamica della comunità familiare: moltiplicarsi __________________________________ 191
d. Parroco e comunità familiare _________________________________________________ 193
e. comunità familiare: a tempo pieno _____________________________________________ 193
5. I 7 MOMENTI DI UN INCONTRO DI COMUNITÀ FAMILIARE _________________ 195
a. Canto con la preghiera di lode e di ringraziamento (circa 15 minuti) ___________________ 196
b. Condivisione (circa 20 minuti) ________________________________________________ 200
c. Insegnamento (circa 15 minuti)________________________________________________ 202
d. L’approfondimento (circa 15 minuti) ___________________________________________ 203
e. Notizie utili dalla parrocchia e problemi pratici (circa 5 minuti) ______________________ 203
f. Preghiera di intercessione (circa 10 minuti)_______________________________________ 204
g. Preghiera sui fratelli presenti (10 minuti circa)____________________________________ 205
h. Conclusione dell’incontro della comunità familiare ________________________________ 209
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Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
6. DAL FINE GENERALE DELL’EVANGELIZZAZIONE AI SETTE FINI PARTICOLARI
DELLA COMUNITÀ FAMILIARE _____________________________________________ 211
a. Crescere in intimità con il Signore _____________________________________________ 211
b. Crescere nell’amore reciproco_________________________________________________ 212
c. Condividere Gesù con gli altri. ________________________________________________ 212
d. Svolgere un ministero nel Corpo Mistico della Chiesa ______________________________ 213
e. Dare e ricevere sostegno _____________________________________________________ 215
f. Formare le nuove coppie responsabili ___________________________________________ 216
g. Respirare a pieni polmoni la cattolicità__________________________________________ 216
LABORATORIO PERSONALE E DI COPPIA ___________________________________ 219
a. Studio della Bibbia (1): Koinonia ______________________________________________ 219
b. Studio della Bibbia (2): L’incontro della Comunità familiare di evangelizzazione ________ 220
c. Studio della Bibbia (3): La fratellanza___________________________________________ 221
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
1. COMUNITÀ E FAMIGLIA
a. Fondamenti biblici
Gesù ha costituito un piccolo gruppo di 12 persone che ha curato in modo speciale, pur non
trascurando i discepoli, la folla intera, e gli incontri con le singole persone.
Egli ha voluto legarsi ad alcuni amici in particolare. Pur rimanendo aperto e disponibile a
tutti aveva una più stretta cerchia di amici e amiche. Non solo ha scelto e costituito il gruppo dei
dodici, ma tra questi ha scelto tre come suoi più intimi e accanto ad essi ha scelto uno come suo
discepolo prediletto. Da risorto non è apparso a tutto il popolo, ma solo ad alcuni, coi quali ha
mangiato anche dopo la risurrezione, come a riconfermare il carattere “familiare” che ha voluto
dare alla propria missione e alla propria comunità. Il tenore e il fatto dell’ultima cena ha ben
rivelato questa maniera di fare del Cristo. Egli ha voluto mangiare la cena pasquale con la sua
haburà e cioè il gruppo di persone che ha nel padre di famiglia il suo principio unificante. Tale
gruppo non è solo un “raduno occasionale o rituale”, ma vera famiglia.
Cristo ha voluto vivere in pienezza e in profondità alcuni rapporti personali. Si è voluto
legare ad alcune persone, andando fino in fondo nella relazione con loro. L’universalità del Cristo
non è nata da una generica e vaga apertura, ma da una specificità di relazioni personali. Cristo ha
vissuto un tipo di relazioni così vere ed autentiche da renderle tipiche ed universali.
Ora cosa hanno fatto i discepoli di Gesù? Più di quanto non sembra hanno ricalcato il
metodo di Cristo: quello di vivere come una famiglia, di essere “fratelli e sorelle”, l’essere cioè uniti
sia nella fede che nella vita.
Dopo la Pentecoste i cristiani stavano insieme in piccoli gruppi per vivere alla luce della
Parola, nella preghiera, nell’amicizia e per far crescere la comunione tra loro. Il libro degli Atti
riporta la vitalità di questi piccoli gruppi e la loro esperienza centrata sulla persona di Cristo Risorto
nella potenza dello Spirito Santo.
Per gli Atti ciò che trasforma un gruppo di persone in ekklesia è il vivere in comune non
solo la fede in Cristo, non solo la preghiera, non solo le esperienze liturgiche, ma è vivere in
comune la vita stessa con le sue gioie, le speranze e le sofferenze.
La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno
diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande
forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano
di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case
li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli
apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno (At 4,32-34).
Secondo gli Atti degli apostoli, l’autenticità di una comunità si misura dal grado di
comunione esistente tra i cuori dei membri che la formano e non dalla complessità delle sue
strutture, non dall’uniformità delle abitudini, non dal numero di ore passate insieme nella stessa
struttura. Una comunità diventa tale soltanto se i cuori sono in comunione!
b. Le caratteristiche della comunità
Una delle caratteristiche della Chiesa di Cristo dei primi tempi era di avere una dimensione
familiare. La famiglia, infatti, nel disegno della creazione rappresenta una delle esperienze di
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Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
comunione più profonde che l’umanità può vivere. Dunque, la Chiesa delle origini per “imparare” a
vivere la comunione si riferisce al modello familiare offerto da Dio Padre e riconfermato da Cristo.
Le chiese primitive vivevano, dunque, come “famiglie” e stavano nelle case proprio perché il vivere
ecclesiale ha un suo paradigma nella vita coniugale e familiare. La cosa è venuta da sé, si è imposta
istintivamente. La relazione d’amore che si vive tra coniugi e in famiglia è da sempre aperta, cioè
predisposta e preposta a plasmare e a configurare la relazione d’amore tra gli uomini e Dio.
La Chiesa, infatti, si è autocompresa come la sposa di Cristo Sposo:1 percepirsi sposa dello
Sposo, percepirsi famiglia di Dio, riconoscersi come fratelli e sorelle, genitori e figli gli uni degli
altri, fa tutt’uno col sentirsi chiamati ad essere Chiesa. La Chiesa è chiamata a riscoprire e vivere il
mistero delle relazioni personali, le quali sono ciò che rendono ogni persona se stessa2
c. Le prime comunità cristiane si riunivano nelle case
I luoghi dove il vangelo è stato spezzato per costituire la comunità cristiana in quanto tale
erano delle vere e proprie comunità-famiglie o famiglie-comunità, che comprendevano oltre i
familiari in senso stretto anche amici e conoscenti.
1
2
“La Chiesa è la sposa di Cristo. È il dono dell’umanità nuova che, partecipe dello Spirito, completa nella storia ciò
che manca alla pienezza di Cristo. Essa è il “corpo” di Cristo come il corpo della sposa è dello sposo e,
reciprocamente, quello dello sposo è della sposa. (…) Davvero il fine che Dio si era prefisso era sposare questa
umanità, ed ora Egli ha compiuto questa straordinaria unità del suo amore divino nella carne di Cristo e da qui
chiama tutti ad unità. (…) Per il mistero di Cristo Sposo, Cristo e la Chiesa sono un’unica realtà. La Chiesa è la
sposa di Cristo e vive in un’unità d’amore con Lui. Essa non è un organismo, né – per principio – una nuova entità
religiosa. Essa è una relazione, la relazione dello Sposo. Essa è il frutto maturo della partecipazione che Dio ha fatto
di sé all’umanità. Essa è l’espandersi fecondo della relazione di amore intratrinitaria, che a Dio è piaciuto
partecipare all’umanità. Essa è quindi la sposa dell’Agnello (Ap 19,7) comprata a caro prezzo (1Cor 6,20) da Cristo
nella sua morte. Essa è l’umanità nuova che si riceve interamente dallo Sposo”. (F. PILLONI, Ecco lo Sposo,
uscitegli incontro, ed. Effatà, 72-73).
Sulla relazione tra la Chiesa e la famiglia riportiamo qui i nn. 5-6 del documento Comunione e Comunità nella
chiesa domestica:“Inserita nella Chiesa dallo Spirito mediante il sacramento del Matrimonio, la famiglia cristiana
riceve, come tale, una sua struttura e fisionomia interiore, che la costituisce «cellula viva e vitale» della Chiesa
stessa. Il legame della coppia e della famiglia cristiana con la Chiesa, pur comportando ed elevando anche gli aspetti
sociali e psicologici, caratteristici di ogni comunione umana, presenta propriamente un aspetto di grazia: e un
vincolo nuovo, soprannaturale. La famiglia cristiana non è legata alla Chiesa semplicemente come la famiglia
umana è aggregata alla società civile; ma le è unita con un legame originale; donato dallo Spirito Santo, che nel
sacramento fa della coppia e della famiglia cristiana un riflesso vivo, una vera immagine, una storica incarnazione
della Chiesa. In tal senso la famiglia cristiana si pone nella storia come un «segno efficace» della Chiesa, ossia come
una «rivelazione» che la manifesta e la annuncia, e come una sua «attualizzazione» che ne ripresenta e ne incarna, a
suo modo, il mistero di salvezza. Il rapporto Chiesa-famiglia cristiana è reciproco e nella reciprocità si conserva e
si perfeziona. Con l'annuncio della Parola e la fede, con la celebrazione dei sacramenti e con la guida e il servizio
della carità, la Chiesa madre genera, santifica e promuove la famiglia dei battezzati. Nello stesso tempo la Chiesa
chiama la famiglia cristiana a prendere parte come soggetto attivo e responsabile alla, propria missione di
salvezza: «Per questo la coppia e la famiglia cristiana si possono dire "quasi una Chiesa domestica", cioè comunità
salvata e che salva: essa infatti, in quanto tale, non solo riceve l'amore di Gesù Cristo che salva, ma lo annuncia e
lo comunica vicendevolmente agli altri». Il mistero della Chiesa, che viene a suo modo realmente partecipato alla
famiglia cristiana, non si esaurisce in questa, ma la supera e la trascende. La famiglia cristiana, infatti, rivela e
rivive il mistero della Chiesa soltanto in alcuni suoi aspetti e non in tutti. In particolare la Chiesa domestica ha
bisogno per esistere e per vivere la propria identità di comunione-comunità cristiana dell'Eucaristia e del ministero
dei Pastori che annunciano il Vangelo e il comandamento del Signore: per questo la famiglia cristiana, mentre è
inserita nella Chiesa, si apre a tutto il mistero della Chiesa di Cristo e solo così può vivere in pienezza la grazia
della comunione.
Sta qui la ragione della essenziale «relativizzazione» della famiglia cristiana alla Chiesa. La qualifica di «Chiesa
domestica» data alla famiglia cristiana è da intendersi preciò in senso analogico: dice sì il suo inserimento e la sua
partecipazione, ma anche la sua «inadeguatezza» a manifestare e a riprodurre, da sola, il mistero della Chiesa in se
stesso e nella sua missione di salvezza”.
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
Di ciò troviamo una particolare e puntuale conferma nella lettura attenta dell’ultimo capitolo
della lettera di San Paolo ai Romani (16,3-16), dove l’apostolo, salutando questa Chiesa che sta per
visitare, ricorda continuamente che la Chiesa di Roma era strutturata in tante piccole aggregazioni
dove circolava un amore molto intenso tra i membri e che avevano nelle case private, generalmente
di una coppia di sposi (anche se spesso viene citato solo il capofamiglia), il loro punto di
riferimento anche per vivere con discrezione davanti all’ostilità che le circondavano.
Rm 16,5: “Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; …salutate anche la
chiesa che si riunisce in casa loro”.
Rm 16,7. “Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia. Sono degli
apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me”
Rm 16,10: “Salutate quelli di casa Aristobulo”.
Rm 16,11: “Salutate quelli di casa Narciso che sono nel Signore”.
Rm 16,15: Paolo saluta un'altra casa: in essa viè una coppia di sposi (Filologo e Giulia),
probabilmente i loro figli (Nereo e sua sorella) e Olimpa di cui non sappiamo il tipo di relazione che
lo lega a questa famiglia.
Ciò anche in altre lettere paoline:
Col 4,15: “Salutate i fratelli che sono a Laodicea, Ninfa e la chiesa che è in casa sua”.
Fil 4,22: “I fratelli che sono con me vi salutano. Tutti i santi vi salutano e specialmente
quelli della casa di Cesare”.
1Cor 16,19: “Le chiese dell’Asia vi salutano. Aquila e Prisca, con la chiesa che è in casa
loro, vi salutano molto nel Signore”.
Era, dunque, nelle case che i cristiani si riunivano per ascoltare la Parola di Dio e spezzare il
pane eucaristico.
Si dice espressamente, in At 2,46, che il pane veniva spezzato di casa in casa e At 5,42
registra che il vangelo veniva annunziato nel tempio ma anche presso le case.
A conferma di questo (At 20,20) Paolo dice: “io non mi sono trattenuto dall’annunciarvi in
pubblico e nelle case tutto quanto poteva esservi di aiuto.” Quindi Paolo, oltre a predicare in
pubblico, davanti a tutti, soprattutto nelle sinagoghe, svolgeva il proprio ministero nelle case
private.
Quindi, se uno voleva “arrestare” i cristiani (non dimentichiamoci che siamo in tempi di
persecuzione), sapeva dove andarli a trovare: nelle loro case. At 8,3:”Saulo intanto infuriava contro
la chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione”.
Per i primi secoli della storia della Chiesa, tutte le comunità cristiane si riunivano nelle case,
in piccoli gruppi, per la preghiera, l’ascolto della Parola, la catechesi, per celebrare l’Eucaristia.
Solo nel secolo IV, quando la Chiesa ha potuto professare liberamente la propria fede, i cristiani,
accanto alla loro vita comunitaria che continuava ad essere vissuta nelle case, hanno cominciato a
costruire degli edifici (le basiliche)3 per contenere la “grande famiglia” e cioè la Chiesa che voleva
stare insieme nello stesso luogo per la mensa eucaristica domenicale.
3
È molto interessante notare che gli architetti cristiani non si sono ispirati ai templi pagani (esternamente maestosi, ma
all’interno, dove si custodiva la statua della divinità, erano molto angusti ), ma alle basiliche che erano allora gli
edifici pubblici più spaziosi.
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Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
d. Le piccole comunità articolano meglio la parrocchia
L’idea del piccolo gruppo è chiaramente auspicata dal magistero della Chiesa per rinnovare
le parrocchie.
I vescovi italiani si pongono al riguardo degli interrogativi sulla capacità delle parrocchie di
oggi di far fare vera esperienza di Chiesa ai fedeli:
Ci interroga la connotazione della parrocchia come figura di Chiesa vicina alla gente: come
accogliere e accompagnare le persone, tessendo trame di solidarietà in nome di un Vangelo di verità
e di carità, in un contesto di complessità sociale crescente? E ancora, la parrocchia è figura di
Chiesa semplice e umile, porta di accesso al Vangelo per tutti: in una società pluralista, come far sì
che la sua “debolezza” aggregativa non determini una fragilità della proposta? E infine la
parrocchia è figura di Chiesa e popolo, avamposto della Chiesa verso ogni situazione umana,
strumento di integrazione, punto di partenza per percorsi più esigenti: ma come sfuggire al pericolo
di ridursi a gestire il folklore religioso o il bisogno di sacro?.4
Domande che trovano risposta nella Christifideles laici 26:
Perché tutte le parrocchie siano veramente comunità cristiane, le autorità locali devono favorire
(…) le piccole comunità ecclesiali di base, dette anche comunità vive, dove i fedeli possano
comunicarsi a vicenda la Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell’amore; queste comunità
sono vere espressioni della comunione ecclesiale e centri di evangelizzazione, in comunione con i
loro Pastori.
Comunità ecclesiali di base così definite dalla Redemptoris missio 51:
Gruppi di cristiani a livello familiare o di ambiente ristretto, i quali si incontrano per la preghiera,
la lettura della Scrittura, la catechesi, per la condivisione dei problemi umani ed ecclesiali in vista
di un impegno comune. Esse sono un segno di vitalità della Chiesa, strumento di formazione e di
evangelizzazione, valido punto di partenza per una nuova società fondata sulla civiltà dell’amore.
Tali comunità decentrano e articolano la comunità parrocchiale, a cui rimangono sempre unite. In
esse il singolo cristiano fa un’esperienza comunitaria, per cui anch’egli si sente un elemento attivo,
stimolato a dare la sua collaborazione all’impegno di tutti. In tal modo esse sono strumento di
evangelizzazione e di primo annuncio.
“La Chiesa del futuro sarà costruita a partire dal basso
attraverso comunità di base.”
(Karl Rahner)
4
Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia 4
Parrocchia di Bovolone
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
2. LA “COMUNITÀ FAMILIARE DI EVANGELIZZAZIONE”
Comunità: è “la chiesa che si riunisce nella tua casa”(Rm 16,15) per lodare il Signore,
ascoltare la sua Parola e vivere rapporti di fraternità e di amicizia.
Familiare: è una comunità che ha come guida una coppia di sposi che, per la grazia del
sacramento del matrimonio e per il mandato del parroco, rende presente e attualizza Gesù che ama
la sua Chiesa e, incontrandosi nelle case, contribuisce a dare forma familiare a tutta la comunità
parrocchiale: ogni famiglia infatti è seme di Chiesa.
di Evangelizzazione: ha come scopo di accogliere e far crescere i nuovi discepoli nel
Signore e stimolare ogni membro a evangelizzare all’interno del proprio ambiente di vita. Pertanto
è destinata costantemente a moltiplicarsi.
in Parrocchia: la comunità familiare inizia ma non compie la pienezza della vita della
Chiesa. La comunità familiare è chiamata ad esprimere visibilmente l’appartenenza all’unico
mistico Corpo di Cristo, accogliendone la Sua parola autorevole e il corpo eucaristico nella
comunità più grande che è la parrocchia in comunione con il vescovo.
La comunità familiare dunque non è un metodo aggregativo, ma è un’articolazione
pastorale che mette in risalto la rete relazionale umana e la soggettività sacramentale della
famiglia.
La comunità familiare si fonda sul dinamismo naturale per il quale gli sposi gradualmente
costruiscono attorno a sé dei legami relazionali che, pur variando d’intensità, come a cerchi
concentrici si allargano ai figli, ai parenti, ai vicini, ai colleghi, agli amici.
Si fonda altresì sulla grazia sacramentale del matrimonio che conferisce agli sposi un dono e
un compito specifico nel costruire Chiesa.
La famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in
modo proprio e originale, ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo
essere ed agire, in quanto intima comunità di vita e di amore. Se la famiglia cristiana è comunità, i
cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla
missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità comunitaria: insieme, dunque, i coniugi
in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al
mondo. Devono essere nella fede «un cuore solo e un'anima sola» (cfr. At 4,32), mediante il comune
spirito apostolico che li anima e la collaborazione che li impegna nelle opere di servizio alla
comunità ecclesiale e civile5.
La vita degli sposi è ripresentazione e attualizzazione efficace dell’amore unitivo di Cristo
con la sua Chiesa. Essi, perciò, in forza del sacramento e col mandato del sacerdote, possono
coagulare attorno a sé delle persone, che fanno parte del loro ambiente di vita, per far fare a costoro
l’esperienza dell’incontro con Gesù e per far respirare loro cos’è essere Chiesa. Non a caso il
Direttorio di pastorale familiare definisce la famiglia una “comunità evangelizzante”6.
5
6
Familiaris consortio, 50.
Cfr Direttorio di pastorale familiare 141: “Secondo il dinamismo tipico di ogni esperienza cristiana ed ecclesiale, da
comunità credente ed evangelizzata, la famiglia cristiana diventa comunità evangelizzante. Lo diventa realmente
“nella misura in cui accoglie il Vangelo e matura nella fede” (Familiaris consortio, 52). Lo diventa per una
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
188
Se gli sposi cristiani sono chiamati ad attualizzare nel loro amore l’amore appassionato di
Dio per l’umanità, e se sono luogo non solo di visibilizzazione, ma anche di comunicazione di
quanto Cristo Gesù sta amando l’umanità e la sua Chiesa, allora essi hanno ricevuto la grazia dallo
Spirito per essere costruttori di Chiesa. "Fate della vostra casa una Chiesa", raccomandava S.
Giovanni Crisostomo ai suoi fedeli in un suo sermone.
La garanzia di questo compito è data sia dal fatto che Cristo ha legato la sua presenza agli
sposi, come dal fatto che gli sposi agiscono in comunione con tutta la Chiesa svolgendo questo
compito su mandato del parroco e riferendosi continuamente a lui capo-guida di tutta la comunità
cristiana parrocchiale.
La comunità familiare ha perciò come guida responsabile una coppia di sposi incaricata dal
parroco.
3. I VANTAGGI DI UNA COMUNITÀ FAMILIARE
a. È flessibile
Poiché la comunità familiare è un piccolo gruppo, può facilmente cambiare le sue procedure
o il suo funzionamento per venire incontro a situazioni mutevoli e raggiungere obiettivi diversi.
Grazie alla sua informalità ha poco bisogno di rigidi schemi di operazioni. È flessibile per quanto
riguarda il luogo, i giorni di incontro, gli orari.
La comunità familiare può incontrarsi in casa, in ufficio, in negozio o in qualsiasi altro
posto. Essendo dove la gente vive (o dove lavora, studia e si ritrova) non vi è il bisogno di dover
persuadere i nuovi ad entrare in un ambiente a loro estraneo.
b. È a misura di ogni persona
Una comunità familiare può dimostrare una grande disponibilità ad accogliere gente di tutti i
tipi.
Quando una persona è attratta in un piccolo circolo dedito alla preghiera e alla profonda
condivisione di risorse spirituali, ella è ben conscia di essere per tutti una benvenuta e di esserlo per
la sua stessa salvezza, dal momento che il piccolo gruppo non ha un bilancio, né alcun funzionario
incaricato del successo dell’amministrazione e niente da promuovere (Elton Trueblood).
I rapporti umani soffrono spesso di “impersonalità”, sono troppo rapidi, troppo
professionali. Ma in un piccolo gruppo i rapporti avvengono a livello personale. Questo è il motivo
per cui il piccolo gruppo, meglio di qualsiasi mezzo di comunicazione, può realmente raggiungere
più persone.
vocazione radicata nel battesimo e precisata e corroborata col dono sacramentale del matrimonio. Lo diventa,
innanzitutto, con il suo stesso “esserci” come famiglia cristiana: come tale, infatti, essa è partecipe del mistero
dell’amore di Dio e del suo pieno compimento nella Pasqua di Cristo.
Nell’ottica della nuova evangelizzazione, il contributo delle famiglie per la testimonianza e l’irradiazione del Vangelo
assume grande importanza e può investire diverse forme. In particolare, risulta opportuna l’opera di coppie e
famiglie che mettono a disposizione la loro casa per momenti di ascolto della Parola di Dio e sanno chiamare a
questo confronto altre coppie e famiglie del quartiere o del vicinato”.
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189
Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
I mass-media raggiungono milioni di persone superficialmente ma ben poche in profondità.
La Chiesa giustamente usa tutte le forme di comunicazione possibili. Tuttavia, per proclamare Gesù
che parla personalmente all’uomo, niente può sostituire il rapporto personale e la vita in comunità.
c. Può crescere
Un gruppo produce effetti soltanto quando mantiene piccole dimensioni, perchè si può
moltiplicare facilmente. L’evangelizzazione sarà così possibile. La comunità familiare fornisce
l’ambiente migliore in cui una persona possa udire l’annuncio dell’amore di Dio, la persuasiva e
convincente voce dello Spirito Santo e possa rinascere spiritualmente attraverso la fede. Scoprirà
che la fede è contagiosa quando lo spirito di solidarietà è genuino.
d. La coppia responsabile non necessita di una preparazione teologica
Per svolgere un ministero come la catechesi per gli adulti, tenere un insegnamento, o guidare
un gruppo biblico occorre una guida molto competente. Mentre crediamo che un’ottima coppia
responsabile può essere formata con il presente Manuale, perchè si vengono ad utilizzare
competenze naturali della coppia stessa.
e. Ha grande adattabilità alla vita parrocchiale
La comunità familiare non richiede un rivoluzionamento delle strutture della parrocchia.
Essa deve essere vista come una componente, un’articolazione della stessa struttura parrocchiale e
non come sostitutivo delle attività pastorali esistenti.
«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri,
o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni»
(Papa Paolo VI, EN 41)
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Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
4. NOTE QUALIFICANTI DELLA COMUNITÀ FAMILIARE
a. La comunità familiare non è un “gruppo”
É importante cogliere la distinzione tra gruppo e comunità familiare.
Il “gruppo” (per esempio “gruppo di crescita”, “gruppo del Vangelo”, “gruppo familiare”,
“gruppo di ascolto”) parte da un nucleo che, man mano procede nel cammino, difficilmente può
accogliere i nuovi arrivati, a meno che si tratti di persone allo stesso livello di vita cristiana.
Tendenzialmente quindi, il gruppo, dopo un po’ di tempo, è portato a non inserire nuove persone.
La comunità familiare, invece, essendo orientata all’evangelizzazione, realizza se stessa nel
momento in cui un fratello lontano dalla fede entra a farne parte. Tutta la comunità familiare si
piega su di lui e, per così dire, ‘segna il passo’ in attesa che il fratello possa camminare con gli altri.
Qui si attua la sfida evangelica per cui, occupandosi degli ultimi, si diventa primi (Mc 9, 35).
Pertanto è sempre meglio usare il termine “comunità familiare” al posto del termine
“gruppo”. La comunità familiare non è, infatti, una sottospecie di “gruppo familiare”. Un gruppo
familiare è caratterizzato dal fatto di essere composto solo da coppie di sposi che insieme
percorrono un cammino formativo.
La comunità familiare, invece, ha sì in una coppia di sposi i responsabili, ma i suoi membri
appartengono a tutte le condizioni di vita (single, vedovo, sposato, consacrato). Inoltre, pur essendo
presente l’aspetto formativo, lo scopo principale della comunità familiare è l’evangelizzazione.
Pertanto una comunità familiare è destinata a “moltiplicarsi”, a crescere in analogia alla famiglia
che accoglie i “nuovi arrivati” e poi, una volta “diventati adulti”, li incoraggia ad “uscire” affinché
realizzino delle nuove famiglie.
Come è più grande la gioia di vedere un figlio adulto che si è formato una nuova famiglia
così sarà più grande la gioia di una comunità familiare che genera adulti per altre comunità familiari
anziché continuare ad essere un gruppo che si ingigantisce perdendo così la novità, la freschezza,
l’intensità dei rapporti umani del piccolo nucleo.
Il moltiplicarsi è assolutamente necessario affinché la comunità familiare rimanga
sufficientemente piccola da poter venire incontro alle esigenze delle persone. La moltiplicazione le
permette di raggiungere nuove persone con doppia efficacia in quanto la comunità familiare
“comunità madre” dà vita ad una nuova comunità familiare “comunità figlia” e tutte e due
ricominceranno nuovamente il processo vitale di crescita e di fecondità spirituale. La fecondità, il
crescere e moltiplicarsi, è il segno della continuità non solo nella vita ma anche nella trasmissione
della fede.
b. Caratteristiche della comunità familiare
La comunità familiare di evangelizzazione è una comunità nella quale si entra o attraverso
relazioni naturali familiari, o per richiesta dell’interessato, o per invito da parte di un membro della
comunità.
In essa c’è lo spazio per l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, la condivisione,
l’approfondimento e la reale conoscenza e fraternità. Per questo è di piccole dimensioni: da 8 a 15
persone circa. Quando supera questo numero deve moltiplicarsi. Deve, infatti, rimanere sempre una
comunità “a misura d’uomo”, dove possano continuare ad esserci relazioni di vicinanza, di
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
amicizia, di complementarietà, di servizio reciproco, dove vi sia la possibilità di fare una autentica
esperienza di Chiesa dentro una rete di rapporti umani e dove tutti i membri della comunità
familiare possano essere seguiti concretamente dalla coppia responsabile.
Si condivide la fede con chi si condivide la vita: quante volte, infatti, abbiamo provato un
senso di estraneità e di imbarazzo (e adesso cosa dico? Speriamo che non mi veda!) per un semplice
incontro, nella corsia di un supermercato, con quella persona con la quale, seduti uno accanto
all’altro, avevamo commentato insieme positivamente le catechesi del parroco sull’amore fraterno
che dovrebbe circolare tra noi cristiani.
La comunità familiare è mediazione tra la parrocchia nel suo insieme, la famiglia e le
persone che vengono messe così in condizione di sperimentare fino in fondo cosa vuol dire
veramente essere Chiesa: “Avevano un cuor solo ed un’anima sola” (cfr. At 4,32) che è cosa
materialmente impossibile in una grande parrocchia.
La comunità familiare è, quindi, una piccola, ma intensa realizzazione di Chiesa; Chiesa in
miniatura. Ma la comunità familiare non è la parrocchia, bensì una sua “articolazione” per
rispondere in modo adeguato al vivere ed annunciare il Vangelo.
La comunità familiare è luogo di conversione perché in essa si vive costantemente il
piegarsi verso l’ultimo arrivato. Questo è ciò che distingue la comunità familiare dai gruppi dove
tutti i membri sono allo stesso “livello”. La logica è quella del servizio a chi ha più bisogno, nella
convinzione che “si cresce nella misura in cui si serve” coloro che non conoscono ancora la gioia
della fede fuori della comunità e gli ultimi arrivati in comunità familiare.
c. Dinamica della comunità familiare: moltiplicarsi
Già nel nome è detto lo scopo: essere comunità “salvata ma anche salvante”7. I partecipanti
mentre si lasciano evangelizzare sono coinvolti nell’evangelizzazione.
Pertanto una dinamica della comunità familiare è la moltiplicazione. Si vive così fortemente la
bellezza dell’essere famiglia dei figli di Dio da sentire vivamente la mancanza di quanti non hanno
mai saputo di essere “figli” o hanno perso la memoria di che cosa significa.
Agli sposi responsabili della comunità familiare e a ciascun membro di essa non è chiesto di
intessere relazioni con persone sconosciute da evangelizzare, ma, attraverso le relazioni già
esistenti, convertirsi ai propri fratelli lontani da Dio.8
7
8
Cfr. Comunità e comunione nella chiesa domestica, 5 e Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 47.
Per la coppia di sposi responsabile di una comunità familiare riportiamo qui il n. 10 del documento Comunione e
comunità nella Chiesa domestica che descrive la “carità coniugale” che la coppia cristiana è chiamata a diffondere:
La fede scopre e contempla, con umile e gioiosa gratitudine, il mistero stesso della comunione di Dio con l'umanità
e con la Chiesa «dentro» il tessuto quotidiano dell'esperienza di comunione propria della coppia e della famiglia
cristiana.
L'unione degli sposi fatta nel Signore, come disse Paolo VI rivolgendosi a 2000 coppie dell'Equipes Notre-Dame, «è
un "grande mistero" (Ef 5,32), un segno che non soltanto rappresenta il mistero dell'unione del Cristo con la Chiesa,
ma in più lo contiene e lo irraggia per mezzo della grazia dello Spirito Santo che ne è l'anima vivificante. Perché, è
veramente lo stesso amore, che è proprio di Dio, che egli ci comunica, perché noi lo amiamo e perché anche noi ci
amiamo di questo amore divino: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati" (Gv 13,34). Le manifestazioni stesse
del loro affetto, per gli sposi cristiani, sono penetrate di questo amore che essi attingono nel cuore di Dio. E se la
fonte umana rischia di disseccarsi, la sua fonte divina è altrettanto inesauribile quanto le profondità insondabili
dell'affetto di Dio. Di qui possiamo capire verso quale comunione intima, forte e ricca, tenda la carità coniugale.
Realtà interiore e spirituale, essa trasforma la comunità di vita degli sposi "in quella che si potrebbe chiamare secondo l'insegnamento autorevole del Concilio - la Chiesa domestica", (Lumen gentium, 11), una vera "cellula di
192
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
La comunità familiare, dunque, vive per moltiplicarsi; se una comunità familiare non si
moltiplica, vuol dire che sta ristagnando. La comunità familiare non ha solo lo scopo di essere un
gruppo ‘dove si sta tanto bene’, ma di essere una “piccola chiesa” che evangelizza, facendo entrare
nuovi membri. L’entrata di nuove persone porta certamente ‘scompiglio’, ma in realtà porta
soprattutto vita che rinnova. Dove non entrano nuove persone perché ‘stiamo così bene tra noi’
succederà dopo un po’ che, come in una famiglia dove non c’è fecondità spirituale, la vita tende a
ripetersi e infiacchirsi e a ripiegarsi su se stessa. Far entrare una nuova persona è certamente un po’
morire a se stessi e ai propri affetti consolidati per allargare il nostro cuore ai fratelli. Ma lasciarsi
disturbare è in realtà allargare il cuore anche agli altri che hanno estremo bisogno di Gesù, della sua
salvezza e di sperimentare una vita fraterna di comunità. È come in una coppia di sposi quando
arriva un nuovo figlio: come neo genitori essi sono costretti a reinventarsi, a ripensarsi nella loro
relazione perché un figlio “sconvolge” e porta nella casa pensieri e preoccupazioni, ma insieme
anche tanta gioia e ricchezza fino a dire “se non ci fosse questo figlio certamente non saremmo
cresciuti così tanto nella capacità di amare”.
Attraverso la comunità familiare questi fratelli riscoprono la fraternità del popolo di Dio:
“Quanto è bello e soave che i fratelli vivano insieme” (Sal 132).
Un cristiano che non evangelizza, è un cristiano in pensione! Ci sono tanti uomini che hanno
zelo per far soldi, per il loro hobby o fanno di tutto e di più per la propria squadra di calcio: e noi
non dovremmo avere zelo per annunciare il vangelo e invitare i fratelli alla comunità familiare?
Il Signore desidera che la Chiesa porti frutto e si moltiplichi, che cresca così tanto da
influenzare tutto il quartiere, la nostra città, il mondo intero. Questo noi lo vogliamo ottenere con le
comunità familiari.
Storicamente ciò è già avvenuto una volta.
“Il desiderio di Dio per la moltiplicazione è presente nel 1º capitolo della Genesi. Dio
benedisse l’umanità e disse: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e
dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
terra” (Gen 1,28).
In modo simile, Dio benedisse Abramo all’età di 99 anni dicendo: “Porrò la mia alleanza
tra me e te e ti renderò molto, molto numeroso” (Gen 17,2).
Gesù ordina lo stesso tipo di fecondità: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate
molto frutto e diventiate miei discepoli”(Gv 15,8 ).
Chiesa", come già diceva il nostro amatissimo predecessore Giovanni XXIII al vostro pellegrinaggio del 3 maggio
1959, cellula di base, cellula germinale. la più piccola certo, ma anche la più fondamentale dell'organismo
ecclesiale».
Riportiamo, inoltre, alcuni brani dei nn. 53 e 54 della Familiaris consortio:
“Il ministero di evangelizzazione dei genitori cristiani è originale e insostituibile: assume le connotazioni tipiche
della vita familiare, intessuta come dovrebbe essere d'amore, di semplicità, di concretezza e di testimonianza
quotidiana”. “Anche la fede e la missione evangelizzatrice della famiglia cristiana posseggono questo respiro
missionario cattolico. Il sacramento del matrimonio, che riprende e ripropone il compito, radicato nel battesimo e
nella cresima, di difendere e diffondere la fede (cfr. Lumen Gentium 11), costituisce i coniugi e i genitori cristiani
testimoni di Cristo «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8), veri e propri «missionari» dell'amore e della vita.
[...] Animata dallo spirito missionario già al proprio interno, la Chiesa domestica è chiamata ad essere un segno
luminoso della presenza di Cristo e del suo amore anche per i «lontani», per le famiglie che non credono ancora e
per le stesse famiglie cristiane che non vivono più in coerenza con la fede ricevuta: è chiamata «col suo esempio e
con la sua testimonianza» a illuminare «quelli che cercano la verità» (cfr. Lumen Gentium 35; Apostolicam
Actuositatem 11).Come già agli albori del cristianesimo Aquila e Priscilla si presentavano come coppia missionaria
(cfr. At 18; Rm 16,3s), così oggi la Chiesa testimonia la sua incessante novità e fioritura con la presenza di coniugi e
di famiglie cristiane che (…) annunciano il Vangelo, servendo l'uomo con l'amore di Gesù Cristo”.
Parrocchia di Bovolone
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
d. Parroco e comunità familiare
È il parroco che, come maestro e guida della comunità cristiana, forma le coppie
responsabili delle comunità familiare e le segue nella loro attività. Attraverso collegamenti vari ha il
dovere di tenere costantemente monitorato l’andamento della vita delle singole comunità familiari.
Il sacerdote esercita il suo ministero di pastore offrendo per l’incontro settimanale della
comunità familiare un testo e un messaggio registrato a tutte le singole comunità familiari. In questi
testi egli propone brani della parola di Dio e li commenta in ordine all’apostolato e
all’evangelizzazione realizzando così una formazione armonica e unitaria in tutte le comunità
familiari e raggiungendo persone (gli ultimi arrivati) alle quali non ha occasione (per la loro
lontananza dalla Chiesa) di rivolgere l’omelia domenicale.
È al sacerdote che vengono condotte o mandate le persone che sono in ricerca o desiderano
tornare al Signore. Il sacerdote poi sarà guida spirituale di tutti quelli che vogliono crescere nella
fede e mettersi a servizio dei fratelli in vari ministeri per il bene della parrocchia.
Attraverso le comunità familiare e le coppie di sposi responsabili, il pastore della comunità
potrà così seguire spiritualmente molto di più i fedeli affidatigli, nutrirli con il solido nutrimento
della Parola di Dio e, abilitandoli all’evangelizzazione, formarli nella fede perché siano veri
discepoli del Signore.
e. comunità familiare: a tempo pieno
La maggior parte del ministero svolto dai membri della comunità familiare e, in particolare,
dalla coppia responsabile è al di fuori dell’incontro settimanale. Ciò va ribadito: quando, infatti,
sentiamo la parola “comunità” noi pensiamo immediatamente ad una riunione, in un tempo
determinato, che la esprime. Ma quando invece parliamo di comunità familiare dobbiamo assumere
la modalità della famiglia per la quale si è, appunto, famiglia 24 ore al giorno anche quando, per
esempio, non si vive materialmente insieme: in una famiglia si ha, a partire reciprocamente dai due
coniugi, una stabile coscienza di compresenza nel cuore di tutte le persone che compongono e, a
seconda delle situazioni, tutti insieme provano gioia, attesa, speranza ecc9.
Così nella comunità familiare ogni membro che la compone è parte del mio corpo; ciascuno
è amato da Dio immensamente e io sono in comunità familiare per poterglielo documentare e
manifestare. Perciò la comunità familiare non è soltanto il tempo destinato all’incontro settimanale,
ma è tutto il tempo del vivere quotidiano nel quale facendo memoria, e cioè rendendo presente al
cuore, ri-amo, penso ad una persona della mia comunità familiare, prego per essa, invoco lo Spirito
e mi lascio da Lui suggerire cosa dire e fare, attendo silenzioso e orante, faccio una telefonata,
preparo il momento della giornata nel quale certamente la incontrerò, faccio spazio nel mio cuore
perché ci possa stare anche con i suoi difetti. È un allargare la compresenza vissuta nella mia
9
La “compresenza” è quella “sensibilità” per la quale, indipendentemente dalla presenza fisica, la moglie è presente
nel marito, il marito nella moglie, il figlio nei genitori come parte di “se stessi”. Non posso pensarmi “marito” senza
“mia” moglie. È un essere presenti l’uno all’altro interiormente al punto che, anche senza la presenza fisica, l’altro c’è
“comunque”. La persona amata è talmente parte di me che se ne desidererebbe una “permanente” presenza fisica,
quasi a soddisfazione dell’anima ad essere totalmente “se stessa”.
194
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
famiglia con il coniuge e i figli alla mia comunità familiare che diventa così una vera “famiglia
allargata”.
La densità di questo amore attualizzerà per noi ciò che Gesù ha promesso: ricevere “già al
presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli” (Mc 10,30, Mt 19,29)
La riunione settimanale, allora, è il punto di incontro della comunità familiare, ma la
maggior parte del ministero si svolge durante la settimana, mentre viviamo con gli altri membri e li
serviamo. L’incontro è un momento, simile a quello che si vive in famiglia quando si è tutti riuniti,
in cui possiamo fermarci per “rifornirci spiritualmente”, rendere conto di ciò che abbiamo fatto e
trovare la conferma della validità del nostro operato.
Nel nostro tempo,
così duro per molti – diceva Paolo VI –
quale grazia essere accolti
in questa piccola chiesa,
secondo la parola di San Giovanni Crisostomo,
entrare nella sua tenerezza,
scoprire la sua maternità,
sperimentare la sua misericordia,
tant’è vero che un focolare cristiano
è il volto ridente e dolce della Chiesa!
(Paolo VI, Allocuzione ai membri
dell’Equipes Notre-Dame,
in Insegnamenti, VIII, 1970, 431).
Parrocchia di Bovolone
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
5. I 7 MOMENTI DI UN INCONTRO DI COMUNITÀ FAMILIARE
L’incontro settimanale della comunità familiare si propone come valido aiuto educativo per
accompagnare il cammino di discepolato e di evangelizzazione:
vieni, impara a seguire Gesù, poi
vai ad annunciare il suo Vangelo!
La metodologia stessa dell’incontro è stata ideata in maniera tale da presentarsi semplice e
completa per ciò che riguarda gli aspetti essenziali della formazione umana e cristiana. Essa
favorisce:
-
l’approfondimento dei rapporti di amicizia,
l’esperienza diretta della fraternità che scaturisce dal vivere il Vangelo,
una visione realistica della storia perché è guidata da Dio,
una passione sempre più grande per la Chiesa di Cristo che si concretizza nell’impegno
personale di evangelizzazione,
l’assiduità nell’ascoltare gli insegnamenti del parroco,
la partecipazione alle varie proposte della parrocchia
ed infine una particolare sensibilizzazione per i problemi del mondo, della propria comunità
parrocchiale e dei fratelli che partecipano alla comunità familiare.
La maggior parte del ministero dei membri della comunità familiare, in particolare della coppia
responsabile, è svolto fuori dall’incontro. Come è stato detto precedentemente, esso più
propriamente si svolge durante la settimana, quando cioè si è impegnati ad evangelizzare il proprio
ambiente di vita.
L’incontro è invece il momento per fermarsi e verificare insieme il proprio compito di discepoli
e di evangelizzatori.
L’incontro è settimanale ed avviene in sette momenti, ognuno dei quali ha una durata tale da
consentire che l’intero incontro si svolga in un’ora e mezzo10.
10
Al massimo si possono raggiungere le due ore, ma solo occasionalmente, e in ogni caso e non lo si deve mai superare.
Il protrarsi del tempo diminuisce l’interesse e la concentrazione, dà più facilmente la possibilità di lasciarsi tentare
alla divagazione e dei commenti fuori luogo, genera una stanchezza inutile anche nei confronti della partecipazione,
toglie il desiderio di riprendere l’incontro la settimana successiva e lo trasforma facilmente in un salotto.
(cf. G. MACCHIONI, Evangelizzare in parrocchia, Ed. Àncora, Milano 1994, 83).
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
196
1) Preghiera di lode e ringraziamento
15 minuti
2) Condivisione
20 minuti
3) Insegnamento
15 minuti
4) Approfondimento
15 minuti
5) Notizie utili e problemi pratici
5 minuti
6) Preghiera di intercessione
10 minuti
7) Preghiera sui fratelli presenti
10 minuti
È importante fare tutti e sette i momenti e non privilegiarne uno solo.
Non si può fare un’ora di preghiera di lode o intercessione, perché non è un gruppo di
preghiera. Non si fa un lunghissimo approfondimento, perché non è un incontro di catechesi.
Non si può fare condivisioni lunghissime, perché il centro della comunità familiare è il
Signore e non le nostre vicende.
I tempi “cronometrati” dei sette momenti dell’incontro della comunità familiare sono
necessari. Sarà compito della coppia responsabile farli osservare, senza però trasmettere “ansia da
stazione ferroviaria” agli altri membri della comunità familiare.
Ricorda che, oltre all’incontro di comunità familiare, ci sono tante altre possibilità per
approfondire ciò che non è stato possibile fare nell’incontro di comunità familiare.
Con altre iniziative (incontri personali, catechesi, conferenze, incontri in parrocchia, letture,
ecc...) possiamo completare ciò che manca.
Possiamo aiutare chi ha bisogno, possiamo approfondire un problema o risolvere un dubbio
di fede. Nell’incontro di comunità familiare non possiamo trovare le risposte a tutte le nostre
necessità.
Tuttavia possiamo sempre usufruire degli altri strumenti, che la parrocchia e la diocesi ci
mettono a disposizione per crescere nella fede, nel servizio e nell’evangelizzazione.
a. Canto con la preghiera di lode e di ringraziamento (circa 15 minuti)
Il primo momento, dopo l’accoglienza e l’eventuale presentazione dei nuovi membri, è quello
della Preghiera di lode e di ringraziamento, che dura circa un quarto d’ora. Essa è particolarmente
preziosa, perché apre il cuore alla gioia, alla confidenza, alla gratitudine verso Dio, che viene
glorificato spontaneamente secondo quanto dice l’apostolo Paolo:
Intrattenetevi a vicenda con salmi, inni e cantici spirituali, cantando ed inneggiando al Signore con
tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del
Signore nostro Gesù Cristo (Ef 5,19-20).
Parrocchia di Bovolone
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni
sapienza,cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali (Col 3,16).
Si inizia lodando e benedicendo il Signore, con canti e preghiere libere. È un modo per
sperimentare l'importanza della lode e del ringraziamento, ma è anche un modo pedagogico per
imparare, per i nuovi arrivati, questo aspetto essenziale della preghiera.
La preghiera di lode e di ringraziamento, che spesso è sconosciuta al credente (tante volte si
prega solo per chiedere), pone l'accento sui numerosi doni che il Signore concede, risulta
coinvolgente e diventa motivo di riflessione e di arricchimento per i nuovi membri. La lode infatti
apre il nostro cuore all’amore di Dio. Spesso arriviamo in comunità familiare affaticati per i
problemi e gli impegni ed è proprio la lode che ci permette di sollevare lo sguardo da noi verso Dio
nostro Padre.
Se è possibile, è ottimo iniziare a lodare con canti semplici, orecchiabili e gioiosi, perché il
canto festoso aiuta a smuovere il cuore e a lodare Dio. Se lodiamo in modo allegro anche quando
siamo “un po’ giù”, la gioia pian piano entrerà nel nostro cuore.
Non è importante avere ‘una bella voce’, ma cantare con il cuore.
Se sai suonare, porta lo strumento. Se nessun membro della comunità familiaresa suonare,
procuratevi le basi musicali registrate.
Dopo i canti, ciascuno potrà innalzare a Dio la sua lode e il suo ringraziamento.
Ogni nostra lode e ringraziamento (come poi anche l’intercessione) deve essere breve, per
lasciare ai fratelli il tempo e la possibilità di lodare Dio. Non aspettare di sentirti a tuo agio per
esprimerti nella lode. Potresti sentirti in imbarazzo inutilmente e privi gli altri della tua voce. Vinci
la tua timidezza. Sarebbe bene, se possibile, nominare un responsabile dei canti e della musica della
comunità familiare. Questo momento si può infatti prepararlo in parte, ad esempio:
con canti (meglio se accompagnati da uno strumento musicale o servendosi di CD).
o la recita di alcuni versetti tratti dai salmi di lode o dai cantici biblici,
o la recita di un salmo o di un cantico e la risonanza di alcuni versetti,
o un’acclamazione spontanea a Gesù Signore, al Padre e allo Spirito Santo.
Tutto può servire per educare i fratelli a “sbloccarsi” in una preghiera libera, ma è
indispensabile cercare di aiutare tutti i membri a pregare liberamente con la preghiera di lode.
Essa educa a riconoscere la presenza di Dio nella vita dei credenti: il condividerla poi, dopo
un primo imbarazzo per non esservi abituati, riempie il cuore di gioia, lo libera dai pesi della
giornata, rafforza la volontà di seguirLo mettendo in pratica la sua Parola.
Un modo molto semplice per coinvolgere tutti e aiutare, nei momenti iniziali, ad esprimere
anche una brevissima preghiera di lode, è quello di far passare un’icona o la Bibbia o un cero
acceso o un altro segno appropriato, di mano in mano, mentre si esprime la propria lode a Dio.
Che cosa è la preghiera di lode
La preghiera di lode è una proclamazione gioiosa del valore assoluto di Dio, dei suoi attributi,
delle opere da Lui compiute lungo la storia della creazione e della salvezza umana.
Si può lodare Dio per ciò che è: perché è Lui; perché è insignito di tutti i pregi e di tutte
le virtù.
Si può lodare Dio per ciò che Egli ha fatto nell’opera creatrice, redentrice e santificatrice.
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
198
Si può lodare Dio per le meraviglie che ogni giorno opera nella storia del mondo, della
Chiesa e di ciascuno di noi.
Si può lodare Dio per ciò che farà quando si manifesteranno, in pienezza, la sua sapienza,
il suo amore, la sua potenza, la sua fantasia: quando Egli farà i cieli nuovi e la terra
nuova!
Le cose più belle Dio deve ancora farle: noi, sicuri che le compirà, lo lodiamo già, pieni di gioia,
sapendo che il Padre ci darà infinitamente di più di quanto possiamo immaginare o desiderare. La
preghiera di lode più bella, ma meno praticata, è la preghiera con cui lodiamo Dio per ciò che è.
Un esempio di preghiera di lode
* Signore,
ho contemplato le meraviglie del tuo volto.
Non riesco più a trattenere la mia lode.
Ti lodo Signore,
perché tu sei un Dio Trinità;
perché tu sei un Dio Amore;
perché tu sei il più sapiente, il più grande,
il più potente, il più amante, il più bello…
* Signore,
ho contemplato le meraviglie operate in me.
Ti lodo Signore,
perché mi hai donato il tuo Figlio;
perché tuo Figlio ha preso degli occhi umani
per guardare con immensa simpatia, gli uomini;
perché tuo Figlio ha preso le nostre mani
per lavorare e per fare del bene a tutti;
perché tuo Figlio ha versato il suo Sangue per noi.
Ti lodo Signore,
perché mi hai mandato il tuo Spirito;
perché il tuo Spirito vuol cambiarmi il cuore;
perché il tuo Spirito vuol farmi nuovo.
Ti lodo Signore,
perché ogni giorno mi dai ciò che è bene per me;
perché ogni giorno mi mandi quella porzione di dolore
che è necessaria per farmi migliore.
Ti lodo Signore,
perché, nel silenzio dell’eternità, mi stai preparando cose
che occhio mai vide,
che orecchio mai udì;
che cuore di uomo mai sperimentò!
Parrocchia di Bovolone
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
La preghiera di lode nella vita
Vivere la preghiera di lode significa:
- non fare nulla per la nostra gloria;
- agire solo e sempre per la gloria di Dio;
- diventare dei capolavori di gloria: cioè dei capolavori umani e cristiani così
perfetti da “essere” lode di gloria. Non basta lodare. Bisogna essere lode di
gloria.
Il sacrificio di lode
Il sacrificio di lode consiste nel lodare Dio anche quando le cose non vanno bene, ossia
anche nel momento della prova. Esso esprime la nostra massima fiducia in Dio. È la
preghiera più gradita al Padre, perché manifesta la nostra sottomissione alla Sua Volontà.
Dio vuole che noi Lo lodiamo sempre: nella gioia e nel dolore.
Siate sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie: Questa è infatti la volontà
di Dio in Cristo Gesù verso di voi (1Ts 5,16-18).
Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode (Sal 34,1).
Lo Spirito Santo ci guida ed intercede per noi:
lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza… Egli con insistenza e con gemiti inesprimibili
intercede per i credenti secondo i disegni di Dio (cfr. Rm 8,26-27).
Nella Bibbia ci sono molti esempi di “sacrificio di lode”, ne scegliamo quattro tratti
dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Essi sono sufficienti per indicarci come si fa il
sacrificio di lode. Anche nei momenti più cruciali della prova, si ha il coraggio di lodare, di
benedire e di ringraziare Dio perché l’ha permessa e perché tutto concorre al bene per
coloro che Lo amano (Rom 8,28).
La lode sincera provoca, per così dire, un’incarnazione di Dio stesso dentro alle
difficoltà e, quando arriva Dio, nulla è più come prima, perché c’è sempre salvezza e
vittoria!
•
Nel pericolo e di fronte alla morte: Cantico di Azaria: Dan 3,25-45.
e cantico dei tre fanciulli (Anania, Azaria e
Misaele) nella fornace ardente: Dan 3,51-90.
• Nella miseria e nella malattia:
Gb 1,20-22; 2,10; 42,1-6.
• Di fronte alla Volontà del Padre,
quando è misteriosa e dolorosa:
I racconti della passione.
• In tutte le tribolazioni della vita:
Rm 8,35-39.
Quali sono i frutti del sacrificio di lode?
-
Preserva dall’abbattimento, dall’angoscia, dalla disperazione, dalla solitudine,
dalla tristezza…
O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i
suoi giudizi e inacessibili le sue vie! (…) Poiché da Lui, grazie a Lui e per Lui sono tutte le cose. A
Lui la gloria nei secoli. Amen (Rm 11,33-36).
-
Alimenta la totale fiducia ed il più grande abbandono in Dio e ci rende a Lui
eternamente cari:
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
200
-
-
Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili
alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18).
Plasma in noi “l’uomo delle beatitudini”.
Mantiene nella “vera e perfetta letizia” francescana e nella calma interiore descritta
da S. Teresa d’Avila: “Nada te turbe… Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. A chi ha
Dio, nulla manca. Dio solo basta!”.
Ci rende disponibili ad accogliere con gioia la volontà di Dio: la “santa
indifferenza” di S. Ignazio di Loyola e di Antonio Rosmini.
“Tutte le opere del Signore sono buone,
egli provvederà tutto a suo tempo.
Non c’è da dire: questo è peggiore di quello,
a suo tempo ogni cosa sarà riconosciuta buona.
Ora cantate inni con tutto il cuore
e con la bocca e benedite il nome del Signore”.
(Sir 39,33-35)
b. Condivisione (circa 20 minuti)
Il secondo momento dell’incontro della comunità familiare è la condivisione. In esso, per
circa venti minuti, si raccontano soprattutto le meraviglie operate da Dio nella vita di ciascuno
durante la settimana e quanto è stato fatto per Lui in termini di evangelizzazione, compresi i
tentativi andati a vuoto. È molto edificante per i fratelli ascoltare la testimonianza degli altri, come
dice Giovanni: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche
voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo”
(1Gv 1,3).
Il momento della condivisione è anche quello in cui i membri della comunità
familiare(soprattutto i nuovi arrivati) possono svuotare il loro cuore, permettendo alla comunità
familiare di diventare realmente una famiglia premurosa che condivide gioie e dispiaceri reciproci.
Sostanzialmente la condivisione deve seguire due piste:
Cosa Gesù ha fatto per me
È importante abituare i fratelli ad accorgersi dell’opera di Dio nella vita di ciascuno. L’opera
di Dio si manifesta in mille modi, per esempio: nella preghiera, nella meditazione, nell’ascolto della
sua Parola, nei Sacramenti specie nella partecipazione alla santa Messa, nell’incontro con i fratelli,
nel servire i poveri, i sofferenti, gli emarginati, nelle circostanze lieti o tristi della vita di tutti i
giorni.
Cosa io ho fatto per Gesù
Si tratta di mettere al corrente i fratelli di ciò che si sta facendo per servire le persone del
proprio ambiente di vita. Questo diventa un forte stimolo ad uscire dai limiti del proprio io,
Parrocchia di Bovolone
201
Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
soprattutto per coloro che sono nuovi. Il salto di qualità è raggiunto quando, facendosi carico del
peso degli altri, non si è più ripiegati su se stessi.
In altri termini questo significa che i fratelli sono chiamati a rispondere a queste domande:
Dove ho riconosciuto l’Amore di Dio per me?
Come l’ho incontrato? Quando ho percepito la sua presenza nella mia vita? In che modo ho
sentito il suo passaggio, il suo aiuto, la sua grazia?
Cosa ho fatto per manifestarGli il mio amore?
Come ho evangelizzato i fratelli del mio ambiente di vita? Quali difficoltà sto incontrando
nella comunicazione della mia fede in Dio? Quali gioie ho ottenuto? Come mi sto impegnando nella
preghiera e nel servizio verso questi fratelli che voglio condurre a Gesù? Come cerco di
testimoniarlo prima di tutto con la mia stessa vita? Quali tentativi sono andati a vuoto perché possa
ricevere il sostegno della preghiera dai fratelli della mia comunità familiare? Ecc…
Ecco ancora alcuni suggerimenti pratici su come deve essere la condivisione:
A. a voce alta o chiara,
in modo che tutti i fratelli possano sentire.
B. breve,
per consentire a tutti i membri della comunità familiare di intervenire. La nostra
condivisione deve arrivare al nocciolo. In qualche caso sporadico, è amore fraterno lasciare il tempo
per la condivisione per un fratello che ha una situazione particolare (es. un grande cambiamento di
vita, un grave lutto, ecc…). Fa’ attenzione: anche sei hai un grave problema, non è giusto affliggere
la comunità familiare per un quarto d’ora in ogni incontro! Quando hai già condiviso il problema, le
volte successive puoi essere breve e conciso.
C. Cristocentrica,
ossia mettere al centro della propria condivisione Gesù Cristo.
Anziché dire: “Io in questa settimana sono riuscito a parlare di Gesù al mio collega di
lavoro…”, è molto più bello abituarsi a dire: “Il Signore, in questa settimana, mi ha dato la spinta a
parlare di Lui al mio collega di lavoro…” oppure: “In questa settimana, il Signore mi ha dato la
forza si sopportare questa difficoltà nell’evangelizzazione della mia vicina di casa”… Senza di Lui
infatti, leggiamo nel vangelo di Giovanni, non possiamo fare nulla: “Chi rimane in me e io in lui, fa
molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5). Vivi la condivisone con amore e
intensità, perché attraverso questo momento i membri della comunità familiare si educano
vicendevolmente a riconoscere la presenza di Dio nella loro vita, si stimolano l’un l’altro a essere
evangelizzatori, partecipano l’un l’altro le gioie e le speranze, portano insieme le stesse difficoltà.
Si aiutano a fare scelte coraggiose di vita cristiana e a credere nell’opera di Dio che agisce
attraverso gli uomini11. “Va’ nella tua casa, dai tuoi, (possiamo includere anche il nostro ambiente
di vita e i membri della nostra comunità familiare!) annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la
misericordia che ti ha usato” (Mc 5,19).
11
G. MACCHIONI, Evangelizzare..., op.cit., 84.
202
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
c. Insegnamento (circa 15 minuti)
Il terzo momento è l’ascolto dell’insegnamento del parroco, registrato su CD della durata di
quindici minuti. È il momento della catechesi, dell’approfondimento della propria fede, della presa
di coscienza della propria identità di discepoli di Gesù, di ascolto della Parola di Dio con riferimenti
precisi alla vita quotidiana. La strategia di registrare gli insegnamenti ha molti vantaggi.
Consente prima di tutto al parroco di farsi presente contemporaneamente in tutte le comunità
familiare, che evidentemente non può frequentare sia perché sempre più numerose (spesso
coincidenti), sia perché egli riconosce nel Sacramento del Matrimonio l’autorità di guidare una
comunità familiare.
È importante che sia il parroco a tenere gli insegnamenti, perché lui solo sa come “nutrire il
suo gregge” (cioè il popolo di Dio che è affidato alla sua cura) e come trasmettere a tutti ciò che Dio
gli mette nel cuore. La registrazione gli permette pure di raggiungere ciascuna persona (in numero
sempre più grande grazie alla moltiplicazione delle comunità familiare) e di farsi conoscere agli
ultimi arrivati, che forse da tanto tempo non frequentavano più la comunità parrocchiale.
È inoltre assai vantaggioso che tutte le comunità familiari ascoltino il medesimo
insegnamento, perché vivono una più profonda unità spirituale, una maggiore organicità nella scelta
dei contenuti, con fondamenti biblici e teologici sicuri, ed una migliore sintonia con gli orientamenti
pastorali della diocesi, della conferenza episcopale italiana e del magistero del Santo Padre per la
Chiesa universale.
Praticamente un’ottima metodologia potrebbe essere questa: il parroco registra
l’insegnamento su un CD che viene duplicata tante volte quante sono le comunità familiare. Le
coppie del consiglio direttivo ascoltano l’insegnamento e preparano, in accordo col parroco, una
traccia di questo insegnamento per favorire un ascolto più attento da parte dei membri della
comunità familiare. Possono essere aggiunte anche poche domande che favoriscano
l’approfondimento successivo. Viene preparata infine, per ogni comunità familiare, una busta
contenente il CD dell’insegnamento, i fogli con la traccia che accompagna l’insegnamento (tanti
quanti sono i membri della comunità familiare) e un foglio contenente gli avvisi per la coppia
responsabile, affinché possa ricordarsi di comunicare tutte le iniziative e le date delle attività
parrocchiali.
Tutte le buste vengono preparate entro il sabato mattina, affinché alla domenica tutte le
coppie responsabili delle comunità familiare possano andare a ritirarle. La coppia responsabile
ascolterà l’insegnamento prima dell’incontro di comunità familiare almeno due o tre volte, per poter
poi guidare con frutto l’approfondimento successivo all’ascolto.
L’insegnamento, dopo un periodo iniziale di diversi mesi, non viene più proposto a tutti gli
incontri, ma ogni due settimane. Nella settimana senza insegnamento la coppia responsabile
organizzerà il tempo ad esso dedicato nel modo che riterrà più opportuno per la sua comunità
familiare: o con un insegnamento già fatto in precedenza, in particolare con quelli iniziali sul
metodo di evangelizzazione, in modo da poterli ascoltare con i nuovi fratelli entrati nella comunità
familiare; oppure riprendendo l’insegnamento precedente per prolungare l’approfondimento; oppure
prolungando i momenti di preghiera e di condivisione in base al cammino della comunità familiare.
L’esperienza conferma che alcuni punti sono fondamentali: l’incontro deve essere
settimanale; l’insegnamento non si deve protrarre oltre i venti minuti; ogni comunità familiaredeve
ascoltare l’insegnamento proposto e approfondirlo, solo eccezionalmente può rimandarlo alla
settimana successiva per motivi plausibili; ogni quindici giorni, in alternativa all’insegnamento, la
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
comunità familiaredispone di un tempo prezioso che le offre la libertà di scegliere il proprio
cammino e le consente di affrontare sue problematiche specifiche.
d. L’approfondimento (circa 15 minuti)
Il quarto momento è l’approfondimento, che dura circa un quarto d’ora. A tutti viene data
una traccia dell’insegnamento con gli eventuali riferimenti biblici ed alcune domande per la
riflessione. Non si tratta di fare una discussione intellettuale, che ai fini della comunità familiare
sarebbe comunque sterile, ma di sottolineare quei punti che toccano la propria vita e le scelte
spirituali personali. Deve essere un momento di crescita, di buoni propositi, di decisioni importanti
per seguire Gesù e vivere sempre meglio il suo Vangelo, servendo e amando i fratelli.
Questo momento è totalmente guidato dalla coppia responsabile, che si è debitamente
preparata. Il suo compito è quello di aiutare a riflettere sul tema proposto per metterlo in pratica,
evitando quindi discussioni inutili. Se ci si dovesse spostare ad un altro argomento sarà cura della
coppia responsabile discernere se assecondare questa divagazione o riportare al tema centrale. Il
servizio della coppia responsabile non è quello di monopolizzare la riflessione o i commenti, bensì
quello di coinvolgere il più possibile tutti, contenendo con la dovuta gentilezza i più loquaci e
stimolando i più silenziosi. Forse non sempre la coppia responsabile può avere queste capacità;
allora è bello aiutarla con la maturità di ciascun membro della comunità familiare a vivere
responsabilmente anche questo tempo, come tutti i tempi della comunità familiare, che va sempre
costruita e vissuta insieme.
Anche questo momento dell’approfondimento ha la sua grande importanza, perché ci si può
illuminare e sostenere gli uni gli altri, approfondendo pure la conoscenza e “le conoscenze” di
ciascuno. Può essere vissuto anche come un momento di edificazione vicendevole e potrebbe
accadere che si ricevano speciali grazie dal Signore, proprio dalla testimonianza del fratello. Vale
sempre la promessa del Signore: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a
loro” (Mt 18,20).
“Lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16,13).
Il Padre vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo
Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati
nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza,
l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate
ricolmi di tutta la pienezza di Dio (Ef 3,16-19).
e. Notizie utili dalla parrocchia e problemi pratici (circa 5 minuti)
In questo momento dell’incontro, la comunità familiare allarga il suo cuore ad accogliere le
notizie utili che vengono dalla comunità parrocchiale e diocesana. La comunità familiare infatti non
vive di vita propria, ma è inserita in una comunità parrocchiale e in una diocesi. Ascoltiamo con
interesse, sia per l’utilità nostra, sia per condividere qualche notizia con altre persone che
potrebbero essere interessate. Anche se non siamo tutti coinvolti in tutte le attività menzionate, è
bello venirne a conoscenza per sapere cosa si fa in comunità, gioire delle tante iniziative e
accompagnarle con la nostra preghiera.
204
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
Si fanno presenti anche le necessità economiche e si cercano soluzioni per aiutare le persone
bisognose. In conclusione sarebbe auspicabile che ogni comunità familiare si confrontasse spesso
con questa pagina degli Atti degli Apostoli:
Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del
pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli
apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune;
chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con
letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore
ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati (At 2,42-48).
f. Preghiera di intercessione (circa 10 minuti)
Il sesto momento dell’incontro di comunità familiare è la preghiera di intercessione, che
dura dieci minuti. Attraverso interventi liberi, s’intercede per il mondo, per la Chiesa, per la
comunità parrocchiale, per le necessità emerse durante la condivisione, per coloro che entreranno in
comunità familiare. Ognuno esprime liberamente le intenzioni che gli stanno nel cuore, ricorda
persone e situazioni che vuole presentare al Signore perché manifesti la sua misericordia, ricorda i
fratelli del proprio ambiente di vita che sta evangelizzando.
Tutti così condividono la stessa preghiera, ci si sente fratelli, responsabili di manifestare
amore gli uni verso gli altri, si partecipano nella fede e nella preghiera le ansie e le speranze della
vita e dell’impegno di evangelizzazione.
Pertanto si vive con particolare fede la promessa di Gesù:
In verità vi dico: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque
cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio
nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18,19-20).
La preghiera di intercessione, ci spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica, è una preghiera
di domanda che ci conforma da vicino alla preghiera di Gesù. È Lui l’unico Intercessore presso il
Padre in favore di tutti gli uomini, particolarmente dei peccatori. Egli “può salvare perfettamente
quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro
favore” (Eb 7,25). Lo Spirito Santo stesso “intercede per noi” e la sua intercessione “per i credenti”
è “secondo i disegni di Dio” (Rm 8,26-27).
Intercedere, chiedere in favore di un altro, dopo Abramo, è la prerogativa di un cuore in
sintonia con la misericordia di Dio. Nel tempo della Chiesa, l’intercessione cristiana partecipa a
quella di Cristo: è espressione della comunione dei santi. Nell’intercessione, colui che prega non
cerca solo “il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fil 2,4), fino a pregare per coloro che
gli fanno del male. Le prime comunità cristiane hanno intensamente vissuto questa forma di
condivisione. L’Apostolo Paolo le rende così partecipi del suo ministero del Vangelo, ma intercede
anche per esse. L’intercessione dei cristiani non conosce frontiere: “per tutti gli uomini… per tutti
quelli che stanno al potere” (1Tm 2,1), per coloro che perseguitano, per la salvezza di coloro che
rifiutano il Vangelo (Catechismo della Chiesa Cattolica 2634-2636).
La preghiera d’intercessione è pertanto la preghiera con la quale noi chiediamo per gli altri.
Il tema dell’intercessione solca tutta la Bibbia. Essa ci presenta come intercessori i patriarchi: Mosè,
i profeti, Gesù, lo Spirito Santo… Anche noi, in qualità di amici di Dio, possiamo e dobbiamo
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
intercedere per i nostri fratelli della terra o del purgatorio. Le preghiere d’intercessione (soprattutto
quelle fatte comunitariamente) sono efficacissime, se sono fatte secondo le seguenti condizioni, che
Gesù stesso ci ha suggerito nel Vangelo: devono essere fatte con fede (senza dubitare), nel suo
Nome e con costanza.
- Una mamma ha pregato per quarant’anni per la conversione del figlio. Molti la
prendevano in giro e le dicevano: “Perché continui a pregare? Non vedi che non
cambierà nulla?”. Lei, però, donna di fede semplice, ma forte, perseverava nella
preghiera. Era simile a quei personaggi biblici che pregano con fede, sperando contro
ogni speranza. Dopo quarant’anni di perseveranza, un giorno suo figlio, in occasione del
cinquantesimo anno di matrimonio dei genitori, chiese di confessarsi e da quel giorno
frequentò regolarmente i sacramenti!12
- Nella preghiera del Padre nostro, Gesù ci insegna a dire: “Dacci oggi il nostro pane
quotidiano”. Ciò significa che Lui ci vuole attenti ai problemi degli altri. Non è cristiano
chi si concentra tutto sui suoi problemi. Mi devono stare a cuore i problemi di chi mi
vive vicino prima di tutto, di chi mi è affidato, di chi ha qualche legame con me. E anche
di chi mi è estraneo, ma è nella sofferenza e nella lotta. Il cristiano che vede il problema
di un fratello deve aprirsi al problema del fratello. 13.
Concludiamo con questo brano di un noto maestro di preghiera:
Dove non puoi esserci tu là agisce la tua preghiera. Anche da lontano puoi far maturare una
conversione, far sbocciare una vocazione, alleviare una sofferenza, assistere un moribondo,
illuminare un responsabile, pacificare una famiglia, santificare un sacerdote. Puoi far pensare a
Gesù, far nascere un atto d’amore, far crescere in un cuore la carità, respingere una tentazione,
placare le collere, addolcire le parole amare14.
g. Preghiera sui fratelli presenti (10 minuti circa)
La preghiera di intercessione per le varie necessità termina con la preghiera sui fratelli
presenti, per obbedire al comando della Sacra Scrittura:
“Pregate gli uni per gli altri per essere guariti” (Gc 5,16).
La preghiera sui presenti è un momento molto importante dell'incontro. Nella condivisione,
spesso, emergono dei problemi che hanno i singoli membri della comunità familiare. Ora è il
momento in cui tutti i membri della comunità familiare pregano per questo fratello o sorella. Il
clima di amore, di compassione e di fiducia nel Signore, è l'ambito in cui si svolge questa preghiera.
Attraverso questo momento si chiede al Signore di intervenire per realizzare una guarigione
(spirituale, psicologica, fisica). La semplicità e la fiducia devono caratterizzare questo momento,
che fa riscoprire che il Signore è presente in mezzo al suo popolo non solo per guidarlo, ma anche
per consolarlo e per guarirlo.
Così viene scalzata l'idea di un Dio lontano; si vive e si sperimenta la salvezza di colui che
ha detto: “... Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) e, se Gesù è presente
ed è lo stesso, ieri, oggi e sempre (cfr. Eb 13,8), è naturale pensare che come guariva ieri quando
fisicamente era nella terra, può e lo continua a fare oggi attraverso lo Spirito Santo. La pace è uno
dei frutti più ricorrenti di questo momento.
12
S. TUMINO, La preghiera fonte di vita, ed. Ancora, Milano 1995, 48.
A. GASPARINO, Padre nostro. Conversazioni con i giovani, Elle Di Ci, Leumann (TO), 39.
14
G. COURTOIS, Quando il Maestro parla al cuore, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988, 103.
13
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
206
È un momento molto bello, perché la comunità familiare si piega con amore e intercede con
tenerezza e forza per un suo membro, chiedendo per lui luce, grazia, amore, forza, benedizione.
Il Signore ci vuole salvi, pienamente integri, salvati nel corpo e nello spirito: allora noi
preghiamo sia per le necessità fisiche che per quelle interiori.
In casi particolari si suggerisce anche questo procedimento. La coppia responsabile può
chiedere: “Chi desidera ricevere la preghiera di guarigione?”. Se venendo in comunità familiare,
senti che ne hai particolare bisogno, chiedila alla coppia responsabile prima dell’inizio dell’incontro
di comunità familiare.
Il membro della comunità familiare si può mettere al centro, sia seduto, che in piedi o in
ginocchio. La comunità familiare inizia a invocare con il canto lo Spirito Santo perché scenda su di
lui; poi ciascuno invoca lo Spirito Santo e i suoi doni sul fratello. Se può essere utile e non urta la
sensibilità del fratello che chiede la preghiera, si può mettere le mani delicatamente su di lui, come
segno della Chiesa che gli è vicino con amore. Questo gesto non è indispensabile: può essere
sostituito dalle mani tese verso la persona senza che questa venga toccata.
È un atto di umiltà chiedere la preghiera di guarigione, perché manifesta la nostra realtà, che
cioè siamo deboli e abbiamo bisogno della carità dei fratelli che preghino per noi e su di noi.
Questo è pertanto un momento specialissimo di sostegno per coloro che, nella comunità
familiare, stanno sperimentando particolari sofferenze della vita. Dovrebbero tornare a casa con la
certezza di essere amati ed aiutati da Dio e dai fratelli.
Il ministero della guarigione oggi
É importante riflettere bene sull’argomento della guarigione15. Nella Chiesa infatti si sta
rendendo sempre più viva e ampia questa realtà: Gesù continua a guarire. Occorre però evitare due
estremismi.
Il primo è teorizzato da quei teologi che affermano: Gesù è venuto a portare la salvezza e
non la sanità dell’uomo. Questa posizione teologica separa, invece di distinguere, questa vita
dall’altra vita, come se l’altra vita fosse tutt’altra cosa che questa vita. Invece l’al di là comincia già
di qua e l’uomo terreno deve già portare, germinalmente, la fisionomia dell’uomo celeste.
È giusto invece credere che Gesù sia venuto a salvare, già di qua, tutto l’uomo e che la
salvezza dello spirito ha riflessi necessariamente benefici sulla psiche e sul corpo, pur dovendo dire
chiaramente che la vittoria definitiva avverrà solo alla fine.
Gesù inoltre si è dedicato così tanto al ministero delle guarigioni che esso sembra
inscindibile dal ministero della predicazione. C’è un tale intreccio, nel Vangelo, tra guarigione e
predicazione che si deve dire: le guarigioni confermavano continuamente l’annuncio della venuta
del Regno. Come avrebbe creduto la gente alla venuta del Regno, se questa venuta non fosse stata
constatabile attraverso le guarigioni? Le guarigioni erano il segnale dell’inizio del Regno di Dio.
Occorre ancora dire che il ministero delle guarigioni, pur avendo avuto, nella storia della Chiesa,
varie vicissitudini per cause storiche e posizioni teologiche estremiste, è saldamente ancorato alla
tradizione.
Il secondo estremismo è quello di ridurre il ministero della guarigione alla “preghiera di
guarigione”. Gesù guarisce non soltanto attraverso la preghiera di guarigione della Chiesa o di una
piccola comunità di credenti o di una persona carismatica; ma guarisce, soprattutto, attraverso la
15
Ci facciamo aiutare da questo testo: NICOLA DE MARTINI, Gesù mi guarisce. Teologia della guarigione interiore,
Elle Di Ci, Leumann (TO) 1991, 5-6; 169-209.
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
vita teologale, che Dio dona all’uomo e che l’uomo è chiamato a vivere. Gesù ci guarisce infatti
attraverso: la grazia santificante, la fede, la speranza, la carità, i sacramenti, i doni dello Spirito
Santo, la Parola di Dio, la preghiera e specialmente attraverso la preghiera di lode, che lo Spirito
Santo stesso, con gemiti inesprimibili, innalza a Dio dai nostri cuori. Vediamo ora brevemente
come Gesù esercitò il ministero delle guarigioni e come diede alla Chiesa stessa il potere di
esercitarlo; vediamo poi alcuni preziosi suggerimenti per pregare sulle persone.
Gesù guariva ogni specie d’infermità
Che il ministero delle guarigioni avesse un’importanza eccezionale per Gesù lo dice questo
testo di Matteo:
Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona
novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si sparse
per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori,
indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. E grandi folle cominciarono a seguirlo dalla
Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano (Matteo 4,23-25).
Luca aggiunge: “Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava
tutti” (Lc 6,19). Ma Gesù, secondo il progetto del Padre, avrebbe dovuto lasciare presto questo
mondo.
Gesù diede alla Chiesa il potere di guarire
Ebbene: perché il ministero delle guarigioni continuasse lungo i secoli e confermasse
(dandogli efficacia) il ministero della predicazione, Gesù diede alla Chiesa il potere di guarire,
partecipandole il suo programma messianico di liberazione e di guarigione.
Gesù diede il potere di guarire ai Dodici:
Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le
malattie. E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi… Allora essi partirono e
giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni
(Lc 9,1-2.6).
E in Matteo (10,7-8) leggiamo:
E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti,
sanate i lebbrosi, cacciate i demòni.
In un altro testo, Luca afferma che Gesù estende il potere di guarire gli ammalati ai
settantadue discepoli:
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate
i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio” (Lc 10,8-9).
Che Gesù abbia delegato alla Chiesa il suo potere originario di guarire gl’infermi risulta
anche da questa promessa: “In verità, in verità vi dico: chi crede in me compirà, anche lui, le opere
che io compio; anzi, ne farà di maggiori” (Gv 14,12)”.
La Chiesa esercitò il ministero delle guarigioni
L’autorità che Gesù comunicò alla Chiesa di guarire gli ammalati fu immediatamente
esercitata dagli Apostoli (12,16-19).
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Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli Apostoli… Intanto andava
aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che
portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava,
anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme
accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti.
La Chiesa continuò ad attendere al ministero delle guarigioni anche dopo l’era apostolica
(per esempio Paolo, tra i carismi, enumera anche quello di guarigione: 1Cor 12,9), anche se ci
furono periodi di offuscamento; inoltre tale ministero fu esercitato prevalentemente dai santi. Dopo
il Concilio c’è stata una meravigliosa riscoperta dello Spirito Santo e dei suoi doni e carismi; è
dunque opportuno seguire alcune indicazioni sulle disposizioni di chi umilmente vuole pregarLo per
la guarigione dei fratelli.
Suggerimenti per la preghiera di guarigione
1. Credere nella potenza di Gesù. “Credete voi che io possa fare questo?” chiese Gesù ai
due ciechi. Dio risponde alla preghiera fatta con fede, anche se non ci dona sempre ciò
che noi desideriamo: spesso ci dona molto di più.
2. Pregare nel nome di Gesù. Pietro l’aveva capito bene; infatti disse allo storpio: “Non
possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il
Nazareno, cammina!” (At 3,6). Ciò significa pregare come membra del suo Corpo, con
la sua mente, il suo cuore, le sue labbra; pregare come lui pregava e come vuole
continuare a pregare in noi; lasciare che sia lui stesso a pregare in noi.
3. Immedesimarsi in Gesù. Essere lui; svuotarsi completamente di sé; essere dei semplici
canali che lasciano passare la potenza guaritrice di Gesù.
4. Chiedere la guarigione per la gloria del Padre. Gesù disse che avrebbe esaudito una
preghiera fatta in suo nome perché il Padre sia glorificato (Gv 14,13).
5. Chiedere la guarigione per gli eventi della salvezza. Gesù si è incarnato, è stato
crocifisso, è morto ed è risorto per la salvezza dell’uomo. Questa salvezza non è solo
spirituale, ma (almeno inizialmente) anche psicologica e, secondo le disposizioni della
sua volontà, talvolta anche fisica.
6. Essere mediatori della misericordia, della compassione e della tenerezza di Dio.
L’Amore di Dio è appassionato, premuroso; chi prega deve farsi mediatore di questo
Amore, come un “buon samaritano”.
7. Chiedere a Dio di guidare la nostra preghiera. Noi non sappiamo neppure che cosa sia
bene chiedere per noi. Tanto meno sappiamo che cosa sia meglio chiedere per gli altri,
per questo occorre chiedere a Dio che sia lui stesso a guidare la preghiera, perché sia
secondo la sua volontà.
8. Aiutare la persona ad aprire la mente e il cuore alla persona di Gesù. È bene aiutare la
persona a decentrarsi da se stessa, per incentrarsi in Gesù. Soltanto se la persona si
decide per Gesù, lo sceglie, si abbandona a lui fino in fondo, riceve quella guarigione
interiore che è fondamentale e che è l’inizio di tante guarigioni di tipo psicologico.
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
h. Conclusione dell’incontro della comunità familiare
L’incontro della comunità familiare si conclude con la preghiera del Padre nostro, che si può
recitare prendendosi per mano, come una comunità unità dal Signore. È opportuno recitarla sì in
cerchio prendendosi per mano, ma rivolti verso l’esterno, verso i quattro punti cardinali,
abbracciando il mondo intero, perché “Cristo sia tutto in tutti”.
Il nostro compito si svolge
dal Vieni, impara a seguire Gesù
e poi vai ad annunciarlo a tutti coloro che incontri nel tuo ambiente di vita.
Il tuo annuncio, radicato nella preghiera e nel servizio gratuito e
disinteressato,
sia anche attuato con cuore universale,
perché Dio ti chiama
a pensare in grande,
a vivere in grande
e a evangelizzare in grande!
210
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
* Suggerimenti per preparare l’ambiente
Quando la comunità familiare si incontra è importante preparare un ambiente accogliente,
affinché il momento di incontro sia positivo.
Gli accorgimenti di carattere pratico possono essere molto importanti. I seguenti suggerimenti
potranno esservi di non poco aiuto.
1. Assicuratevi che il luogo sia accogliente e confortevole.
L’apprendimento delle persone sarà reso più difficile se queste avranno troppo caldo o
troppo freddo.
2. Abbiate cura che vi sia illuminazione sufficiente.
3. Mettetevi in circolo, così che tutti possano partecipare e vedersi.
4. Cercate di evitare distrazioni e rumori molesti: telefono, animali, campanelli, ecc.
5. Evitate:
- ostacoli alti che impediscono la vista;
- che qualcuno sia seduto vicino all’entrata;
- rumori di televisione o di radio;
- di programmare l’incontro ad un’ora scomoda per i familiari che non partecipano
alla comunità familiare;
- di far sedere gli uomini da un lato e le donne dall’altro;
- di far sedere le persone talmente vicino da darsi fastidio;
- di assegnare i posti a sedere;
- di fumare;
- di fare rinfreschi al termine dell’incontro (se non in casi eccezionali), perché non
tutti potrebbero avere la possibilità di offrirlo e per evitare di prolungare troppo
l’incontro.
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6. DAL FINE GENERALE DELL’EVANGELIZZAZIONE AI SETTE
FINI PARTICOLARI DELLA COMUNITÀ FAMILIARE
Si comprende meglio l’identità della comunità familiare se si evidenziano i suoi fini. Essi
sono sette, devono essere ben conosciuti da tutti i membri e costituiscono per ciascuno una crescita
umana e cristiana. Eccoli spiegati in maniera schematica.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Crescere in intimità con il Signore
Crescere nell’amore reciproco
Condividere Gesù con gli altri
Svolgere un ministero nel Corpo Mistico della Chiesa
Dare e ricevere sostegno
Formare le nuove coppie responsabili
Respirare a pieni polmoni la cattolicità
a. Crescere in intimità con il Signore
“Io sono il Signore, il Dio vostro.Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo” (Lv 11,44)
Crescere in intimità con il Signore significa:
- dedicare tempo alla preghiera;
- leggere e meditare la Parola di Dio;
- creare un legame tra preghiera e vita, tra Parola e vita;
- vivere con lo Spirito Santo in intimità, in associazione e in dipendenza;
- imparare a vivere la morale di Gesù, espressa attraverso il Magistero della Chiesa.
L’intensità del rapporto unitivo uomo-donna va a suggerire verso quale intimità ciascun
membro del comunità familiare e ciascuna coppia è chiamata ad orientarsi. Il raporto uomo-donna
è l’unità di misura da moltiplicare per crescere in intimità con il Signore:
«Non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei Santi e familiari di Dio... In lui
(Cristo) anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello
Spirito” (Ef 3,19-22). Pertanto la prima crescita che la comunità familiare favorisce è di crescere
nell’intimità col Signore, ossia diventare Santi. Il Concilio Vaticano II dice con molta chiarezza:
“Tutti coloro che credono nel Cristo, di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della
vita cristiana e alla perfezione della carità” (LG 40).
Il Santo Padre Giovanni Paolo II, dando le direttive per questo nuovo millennio ha scritto:
Questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria,
praticabile solo da alcuni “geni” della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla
vocazione di ciascuno... È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita
cristiana ordinaria (NMI 31).
Nella comunità familiare, la crescita in intimità col Signore è favorita dalla preghiera che
avvolge tutto l’incontro (preghiera di lode, di intercessione, di invocazione allo Spirito Santo, di
guarigione), dall’ascolto attento e pieno di amore della Parola di Dio, dagli insegnamenti del pastore
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212
e dalle condivisioni dei fratelli. Così rispondiamo all’Amore di Dio che ci ha chiamato e santificato
nello Spirito Santo, crescendo verso una più profonda conversione, verso un’esperienza sempre più
viva della vita nello Spirito Santo, verso un amore crescente per il Signore. Suggerimenti:
- Impegnati personalmente e seriamente nel cammino spirituale.
- Cerca la volontà di Dio insieme alla guida spirituale.
- Accogli con fede sia i momenti gioiosi che le inevitabili crisi del cammino.
- Vivi la crescita verso la santità nella comunità, perché porta un frutto molto più grande
che voler crescere da soli, nella solitudine.
b. Crescere nell’amore reciproco
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato” (Gv 13,34).
La seconda crescita che la comunità familiare favorisce è quella nell’amore reciproco. Gesù
lasciò ai suoi discepoli questo comandamento: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli
uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 13,34). Ciò significa:
- conoscere tutti i membri della comunità familiare;
- essere sensibili ai bisogni degli altri;
- ascoltarli; sostenerli nelle difficoltà;
- aiutarli a crescere…
Anche in questo caso le coppie presenti, e particolarmente quella responsabile, devono
riscoprire come vivono “nel corpo” l’essere uno. Di conseguenza sono richiamati a mettere in moto
quelle varie qualità dell’amore, che consentono a tutti di sperimentare cosa significa essere un sol
corpo in Cristo. Si scoprirà così che l’amore di coppia è diffusivo e irraggiante non solo sui figli, ma
anche su tutto l’ambiente di vita che si frequenta e in particolare sulla comunità familiare.
Infatti l’amore fraterno è la conclusione pratica della scoperta dell’amore di Dio e della sua
presenza in mezzo a noi. La crescita spirituale nell’intimità con il Signore ha una chiara verifica:
l’amore ai fratelli. “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non
vede” (1Gv 4, 20). Si può dunque concludere con Chiara Lubich che “noi andiamo a Dio attraverso
il fratello”: con la misura con cui noi amiamo il fratello (se noi lo amiamo cioè con tutto il cuore, la
mente e le forze), con la stessa misura Dio ama noi, cioè si manifesta pienamente. È bello pertanto
amare sempre, amare tutti e amare per primi!
c. Condividere Gesù con gli altri.
“Vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv
15,15).
Gesù non ha timore di svelare e tentare di farci capire qual è la sua intimità con il Padre
nello Spirito: “Io e il Padre siamo una cosa sola”.
Non c’è fantasia che possa farci entrare in questo squarcio di infinito Amore che compone
unità e distinzione. Così avviene nei rapporti umani più intimi tra sposo e sposa, quando si può dire:
“Nulla di me ti è nascosto”. Si è così certi dell’amore del coniuge da poter svelare il segreto più
profondo. È su questa lunghezza d’onda che si inserisce il condividere Gesù con gli altri. È come
dire: “Ti amo così tanto, ti considero così profondamente mio fratello e sorella che ti confido ciò
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
che Gesù ha fatto con me. Sono così orgoglioso di Lui, Gesù, che voglio che altri conoscano ciò che
Lui è e ha fatto per me”.
Gesù disse: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini” (Mt 5,16). Nella comunità
familiare ognuno deve illuminare gli altri con la luce di Gesù e poi deve portare questa luce ai
lontani. Ciò significa:
- servire gli altri come Gesù serviva;
- raccontare agli altri le meraviglie di Gesù;
- testimoniare ciò che egli ha fatto nella nostra vita e ciò che noi tentiamo di fare perché
egli sia conosciuto e amato;
- presentare una vita credibile;
- raggiungere i vicini, cioè quelli del proprio ambiente di vita;
- raggiungere i non credenti.
Dopo la guarigione dello storpio e la conversione di ben cinquemila persone che avevano
ascoltato il discorso di Pietro (cf. At 3,1-4,4), lo stesso Pietro e Giovanni ricevettero l’ordine dai
capi del popolo e dagli anziani di non parlare assolutamente e di non insegnare nel nome di Gesù.
Tuttavia essi replicarono: “Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi
stessi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,19-20).
La comunità familiare favorisce lo sviluppo della capacità di condividere Gesù, acquistando
sempre meglio la consapevolezza che la fede è un dono e un’esperienza così preziosa che non può
non essere comunicata. Attraverso la condivisione della propria esperienza di fede, impariamo
concretamente i diversi modi per condividere Gesù, per diventare testimoni forti e veri della nostra
fede fuori dell’incontro di comunità familiare.
Poiché “La fede si rafforza donandola” (Giovanni Paolo II, RM 2), condividere Gesù aiuta
anche noi stessi a conservarLo vivo nel cuore, a comprometterci in quello che diciamo, a crescere
nella santità perché il comportamento corrisponda alle parole. Riconoscere la presenza di Gesù nella
vita dei fratelli della comunità familiare, diventa un momento molto forte di educazione reciproca.
d. Svolgere un ministero nel Corpo Mistico della Chiesa
“Ora voi siete Corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (Rm 12,5).
San Paolo scrive: “Ora voi siete Corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte”
(Rm 12,5). Il decreto conciliare sull’apostolato dei laici dice che ogni membro della Chiesa deve
svolgere la sua parte: parte propria, insostituibile e assolutamente necessaria (AA 1). Ognuno,
come tralcio nell’unica vite, deve dare il suo apporto alla vitalità della vite e deve produrre i suoi
frutti. Servire nella Chiesa non è facoltativo, ma è assolutamente richiesto (cf. Gv 12,14). Ognuno,
in preghiera, e dopo essersi debitamente consigliato, è chiamato a dare il suo servizio nella
comunità familiare e nella parrocchia. La comunità familiare deve diventare il vivaio nel quale
fioriscono i vari collaboratori che si metteranno a servizio della parrocchia.
“Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni
amministratori di una multiforme grazia di Dio” (1Pt 4,10).
La Chiesa è il popolo di Dio, il Corpo di Cristo, il Tempio dello Spirito Santo, la Sposa di
Cristo: non è un quindi una pura organizzazione, ma un organismo vivente! In esso, ognuno ha un
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Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
compito e riceve doni specifici per compiere perfettamente la missione datagli dal Signore: “A
ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1Cor 12,7).
La comunità familiare aiuta i suoi membri a mettersi a servizio, con amore e umiltà. Ci
mettiamo a servizio perché il Signore ci chiama a questo e per il bene dei fratelli, cercando la
ricompensa solo dal Signore.
Nella comunità familiare ci possono essere molti servizi: svolgere il compito di coppia
responsabile o di coppia collaboratrice, fare l’accoglienza, preparare la sala, accendere il cero,
animare una parte dell’incontro (Preghiera di Lode, canto, preghiera di intercessione, di guarigione),
moderare la condivisione, pregare lo Spirito Santo durante tutta la settimana per i membri della
comunità familiare, pregare silenziosamente lo Spirito Santo durante tutto l’incontro della comunità
familiare; preparare dei foglietti con una Parola del Signore da distribuire durante l’incontro della
comunità familiare, scrivere le intercessioni, preparare e usare il lettore per il CD
dell’insegnamento, compilare il rapporto dell’incontro, ecc...
Così impariamo a poco a poco a servire i fratelli e ad accogliere con amore anche il loro
servizio, senza critiche, ma avvolgendoli di comprensione e di fiducia, incoraggiandoli a continuare.
Il primo servizio che viene consigliato ad ogni membro della comunità familiare è quello
dell’adorazione eucaristica settimanale: un’ora per pregare per l’evangelizzazione, per il proprio
ambiente di vita, per la propria comunità familiare, per i preti, per la parrocchia.
Quando il fratello evangelizzato, al termine del processo di evangelizzazione, “salirà sulla
barca-Chiesa”, sotto la guida del parroco inizierà a svolgere anche un servizio all’interno della
comunità parrocchiale, utilizzando i doni che lo Spirito Santo distribuisce per l’utilità comune, al
fine di edificare il Corpo di Cristo (1Cor 12,27). Suggerimenti:
- Vedi te stesso non come un albero, che può vivere da solo, ma come un ramo, che non
può vivere senza ricevere la linfa vitale della vite:
- “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di
me non potete fare nulla” (Gv 15,5).
- Il tuo compito di servire i fratelli non è un merito o un hobby, ma un dovere:
- “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i
piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14).
- Ogni tuo servizio deve nascere dalla preghiera e dal discernimento comunitario.
- Sentiti parte del disegno di salvezza e non il protagonista: chi deve essere glorificato è
Gesù e non noi stessi. Sentiti nei confronti dei membri della tua comunità familiare come
un “genitore spirituale”, che sa che ogni vita esprime il suo significato, anche mediante
un compito e un ruolo da svolgere. I genitori infatti incominciano già con il bambino
piccolo ad educarlo a rendersi utile con qualche piccolissimo servizio: “Portami quello,
fai per piacere questo”. E ciò affinché, con la crescita dell’età, i figli abbiano un posto.
Avere un posto nel lavoro, nella società, tra gli amici è per i genitori come aver compiuto
il loro compito di generare, di fecondità: il figlio ha un posto. I genitori cristiani, in
particolare, che vivono questo desiderio profondo per il loro figlio, devono anche aiutare
i fratelli cristiani giovani o adulti a trovare un “posto”, a trovare una vocazione specifica
nella Chiesa, un compito, un servizio piccolo o grande. Come nella vita di famiglia non
ha senso vivere per vivere, ma solo vivere perché si è in relazione con qualcuno, così è
nella vita della Chiesa: “Nessuno vive e muore per se stesso” (cf. Fil 1,21). La passione,
perché ciascuno abbia un posto, è far crescere in ogni adulto cristiano il senso dell’essere
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
padri e madri verso tutti, perché ciascuno possa dare frutto: “Dai loro frutti li
riconoscerete” (Lc 7,44).
Suggerimenti:
- Ama e rispetta la tua coppia responsabile, apprezza il suo impegno e la sua dedizione.
- Collabora con la tua coppia responsabile per rendere la comunità familiarepiù gioiosa e più
evangelizzatrice.
- Sii disponibile verso la tua coppia responsabile, quando ti chiama a servire i fratelli e
quando ti chiede di dare ad altri i compiti che aveva affidato a te.
- Prega per la coppia collaboratrice, incoraggiandola nei servizi che le sono affidati.
- Intercedi, perché il Signore sostenga la coppia collaboratrice nel diventare coppia
responsabile di una nuova comunità familiare.
e. Dare e ricevere sostegno
“Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo” (Gal 6,2).
È importante dare sostegno. Ma è anche importante, riconoscendo la nostra debolezza,
ricevere sostegno. Se non abbiamo questa umiltà, dobbiamo chiederla al Signore (cf. 1Cor 12,26).
Il sostegno, che si deve dare e ricevere, può essere fisico, psicologico, spirituale e materiale.
Perché si possa dare e ricevere sostegno, occorre far conoscere le proprie necessità agli altri
e mettere i fratelli a proprio agio perché abbiano il coraggio di manifestare le loro necessità.
Questo fa parte dello stile abituale della vita di famiglia, dove costantemente, soprattutto i
genitori versi i figli e avanti nell’età i figli verso i genitori, tutti i membri della famiglia sono rivolti
verso il soggetto debole, che vive una situazione di particolare difficoltà. Potremmo dire che in una
famiglia l’amore funziona come l’acqua che scende costantemente verso il basso: tutti sono
costantemente rivolti nel pensare e nell’agire verso il soggetto debole. Tuttavia altrettanto si deve
dire che proprio per l’intensità dei rapporti, nessun soggetto debole in famiglia si vergogna di
manifestare le sue difficoltà e di accettare l’aiuto, che gli viene dalla moglie, dal marito, dal papà,
dai figli. Così deve accadere nella Chiesa e particolarmente nella comunità familiare. Per essere
concreti nell’amare i membri della tua comunità familiare, è molto utile dunque mettere in pratica
questo atteggiamento fondamentale:
Dai e ricevi sostegno
Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12, 15).
Suggerimenti:
-
Conosci i nomi di tutti i membri della comunità familiare.
Ascolta con bontà e con grande rispetto il fratello che parla.
Sii sensibile agli umori degli altri.
Prega per le necessità degli altri.
Prenditi cura degli altri nonostante le difficoltà.
Accetta le povertà, le pesantezze e i fratelli ‘noiosi’.
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
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- Tieni nel cuore e non divulgare mai le condivisioni personali dei fratelli di comunità
familiare.
- Riconosci e metti in luce i lati migliori degli altri fratelli, della coppia responsabile e del
Pastore.
- Non temere di evidenziare, a tempo opportuno e con amore, i problemi, tuoi e dei
fratelli, per poterli risolvere.
- Fa’ conoscere con umiltà le tue difficoltà.
- Non scusarti delle tue necessità.
- Condividi i tuoi problemi con la tua comunità familiare.
f. Formare le nuove coppie responsabili
“I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento;coloro che avranno indotto molti alla
giustizia risplenderanno come le stelle per sempre” (Dn 3)
La comunità familiare è il luogo in cui si forma la coppia responsabile di una futura
comunità familiare. Ogni coppia responsabile, perciò, deve avere a cuore la formazione di una
coppia collaboratrice, che assumerà la conduzione della “comunità figlia”, non appena la “comunità
madre” si moltiplicherà.
La progressiva formazione delle future coppie responsabili avviene durante l’incontro della
comunità familiare e durante dei corsi specifici per la formazione delle coppie responsabili.
Nella vita di ogni famiglia si respira costantemente il senso del futuro, del dopo,
dell’avvenire. La casa viene curata perché possa essere sempre accogliente, si cerca di risparmiare
per il futuro, si pensa per quando si sarà anziani. Si prospettano soluzioni migliori per i figli fino
alla gioia di poter dire: “Il mio cognome continua nei miei figli”.
Così deve essere per chi evangelizza. Non si tratta solo di compiere un gesto, ma di costruire
il futuro, di preparare il domani, di formare nuovi soggetti evangelizzanti. Il nostro orientamento è
verso il futuro, fino ai confini della terra, sapendo che anche noi dal cielo saremo presenti a questo
appuntamento e potremmo guardare a quel tratto di strada che abbiamo percorso orientati verso il
futuro. Anche il mio cognome potrà essere scritto come un cognome dei battezzati nella fede
cristiana nei prossimi decenni, perché anch’io ho contribuito a far crescere la fede in questa
comunità.
g. Respirare a pieni polmoni la cattolicità
“Io sono la luce del mondo, chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”
(Gv 8,12).
Significa vivere in pienezza la propria identità, gustarne tutti gli aspetti e i contenuti. Come
in una vita di famiglia si conosce ogni angolo della casa e ogni risvolto dei parenti, sapendone
individuare le debolezza, ma soprattutto gustando tutte le bellezze e il positivo, così è per un
cristiano nella Chiesa.
La Chiesa nella sua universalità e nelle sue parti, nella sua istituzione, al di là dei limiti
umani, è tutta da amare, è tutta da accogliere.
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Scuola di Evangelizzazione 2009-2010
Va accolta nella completezza della sua dottrina (vedi Catechismo della Chiesa Cattolica),
senza escludere nessuna parte (come ad esempio ciò che riguarda la giustizia sociale, la sessualità,
l’apertura e il rispetto per la vita di ogni persona).
Va accolta nelle persone che il Signore ha posto a colonna e fondamento nella successione
apostolica, il papa e i vescovi.
Va accolta nelle sue lacerazioni consumate nel tempo che sono le varie confessioni cristiane
(evangelici e ortodossi).
Va accolta, amata e guardata in ciò che costituisce il culmine e la fonte del suo divenire e del
suo essere che è l’Eucaristia. Solo nell’Eucaristia si trova l’interpretazione ultima e definitiva di ciò
che è la Chiesa: corpo di Cristo dato per il mondo. Solo dall’Eucaristia si coglie il valore assoluto e
indispensabile dell’evangelizzazione, perché il corpo di Cristo senza l’aggettivo “donato”
corrisponde al senso dell’Incarnazione-Passione-Morte e Risurrezione di Gesù.
“Strettamente congiunti nell’amore, essi acquistino in tutta la sua ricchezza la piena
intelligenza, e giungano a penetrare nella piena conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, nel
quale sono tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,2-3).
Nella comunità familiare, la lettura della Parola di Dio e gli insegnamenti del pastore aiutano
a conoscere meglio i contenuti della nostra fede. Dopo la conversione, infatti, bisogna conoscere
sempre meglio la dottrina della Chiesa, per essere cristiani all’altezza dei tempi e perché la
conoscenza della fede cattolica divenga più profonda e radicata nel cuore e nella mente.
Suggerimenti:
- Dopo l’incontro della comunità familiare, studia i testi che sono proposti sul foglio
dell’insegnamento. Rileggi le citazioni della Parola di Dio per metterle in pratica.
- Leggi almeno un libro al mese, di quelli proposti alle comunità familiare.
- Non fidarti di quello che i mass-media dicono della dottrina della Chiesa e del Papa, ma vai
sempre a documentarti direttamente sui testi ufficiali (ad esempio: il Catechismo della
Chiesa Cattolica; leggi giornali che riportano integralmente gli interventi del Magistero).
“L’Eucaristia si pone
come fonte e insieme come culmine
di tutta l’evangelizzazione,
perché il suo fine
è la comunione di tutti gli uomini
con Cristo
e in Lui con il Padre”.
(Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucaristia 22)
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Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
Salmo 19: Il Signore sole di giustizia
I cieli narrano la gloria di Dio,
e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
Non è linguaggio e non sono parole,
di cui non si oda il suono.
Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola.
Là pose una tenda per il sole
che esce come sposo dalla stanza nuziale,
esulta come prode che percorre la via.
Egli sorge da un estremo del cielo
e la sua corsa raggiunge l’altro estremo:
nulla si sottrae al suo calore.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è verace,
rende saggio il semplice.
Gli ordini del Signore sono giusti,
fanno gioire il cuore;
i comandi del Signore sono limpidi,
danno luce agli occhi.
Il timore del Signore è puro, dura sempre;
i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti,
più preziosi dell’oro, di molto oro fino,
più dolci del miele e di un favo stillante.
Anche il tuo servo in essi è istruito,
per chi li osserva è grande il profitto.
Le inavvertenze chi le discerne?
Assolvimi dalle colpe che non vedo.
Anche dall’orgoglio salva il tuo servo
perché su di me non abbia potere;
allora sarò irreprensibile,
sarò puro dal grande peccato.
Ti siano gradite le parole della mia bocca,
davanti a te i pensieri del mio cuore.
Signore, mia rupe e mio redentore.
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LABORATORIO PERSONALE E DI COPPIA
a. Studio della Bibbia (1): Koinonia
Il termine “Fratellanza” può tradurre la parola greca “koinonia”, che significa
“mettere in comune”. Esaminate i versetti indicati qui di seguito: determinate
cosa potete condividere con gli altri e un modo pratico di condividerlo:
COSA CONDIVIDERE
1Gv 4,11-21
Gal 6,2
Gal 6,6
Gc 5,16
COME CONDIVIDERE
Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione
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b. Studio della Bibbia (2): L’incontro della Comunità familiare di
evangelizzazione
Leggi i seguenti versetti. Accanto a ciascun versetto una riga di riepilogo:
Atti 4,32-37
Rm 15,25-27
2Cor 9,6-11
Secondo quanto hai letto, scrivi in una frase quale deve essere
l’atteggiamento del cristiano che dona la propria ricchezza alla comunità.
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c. Studio della Bibbia (3): La fratellanza
1. Leggi 1Gv 3,1. Se tu sei figlio di Dio ed Egli è il Padre di tutti, come vedi
la tua relazione nei confronti dei non credenti?
2. Perché pensi che sia importante la fratellanza?
Leggi Proverbi 27,10
3. Leggi Siracide 4,9-10.
4. Leggi Eb 10,24-25 e Eb 3, 13. Qual è lo scopo di incontrarsi insieme
come credenti?
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Capitolo 8 – La comunità familiare di evangelizzazione