Donne sulle sponde del Mediterraneo Samta

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9
novembre2000
EUROFORUMFIRENZE
vitamine recensioniletterarie,cinematograficheemusicali acuradiPaoloBoschi
t Libri
ROBERTO BOLAÑO,
Stella distante (Sellerio)
Cileno, classe 1953, Roberto Bolaño
è uno scrittore completo, oltre ad
aver pubblicato cinque volumi di
poesie, è autore di quattro romanzi,
di una raccolta di racconti e de La
letteratura nazista in America,
l’unica sua opera tradotta in Italia
prima di Stella distante, il suo
quarto romanzo, edito in patria nel
1996. Questo libro racconta la storia di Carlos Wieder vista
dall’obiettivo del narratore: tutto
comincia nel 1971 o nel 1972,
all’epoca in cui Salvador Allende era
presidente del Cile, e il cronachista
in prima persona del romanzo era
un diciottenne studente della facoltà di Lettere di Concepción, la cosiddetta capitale del Sud cileno, e sia
lui che Carlos Wieder, che allora si
faceva chiamare Alberto Ruiz-Tagle,
frequentavano il seminario di poesia
di Juan Stein. Quel che segue è il
golpe, si sa, e la metamorfosi di Ruiz-Tagle in Carlos Wieder, un poeta
aviatore uso a vergare versi fumosi
nel cielo, ma allo stesso tempo un
assassino e torturatore di poeti (in
particolare poetesse), come pure sadico (e surrealista) fotografo dei
propri efferati crimini: col ritorno
della democrazia, poi, Wieder diventa un fuggiasco in Europa, forse
ancora un poeta avanguardista o
magari un operatore cinematografico di pellicole a mezzo tra l’hardcore
e lo snuff movie. Stella distante racconta da prospettiva ravvicinata ma
non troppo le gesta di Wieder e,
dopo la caduta del regime di Pinochet, il resoconto della caccia diretta
all’ex poeta volante da un poliziotto
cileno espatriato e dallo stesso narratore. Il romanzo di Bolaño pare
uno stringente ed allucinante mosaico di un essere fuori dalla norma e
dotato in apparenza d’identità molteplici, una storia che richiama apertamente la narrativa borgesiana, un
incubo sospeso a mezzo tra il reale e
l’immaginario.
t Film
LA TEMPESTA PERFETTA,
regia di Wolfgang Petersen,
con George Clooney,
Mark Wahlberg, Diane Lane,
Mary Elizabeth Mastrantonio;
avventuroso; Usa; C.
Non capita spesso che in un film
d’avventura tutti gli elementi eterogenei della trama si coagulino in
una miscela realistica e drammatica
al tempo stesso, ma è quel che accade ne La tempesta perfetta di
Wolfgang Petersen, ispirato ad una
storia vera avvenuta a fine ottobre
del 1991 al largo di Gloucester, nella Massachusetts, e raccontata
nell’omonimo best seller di Sebastian Junger.
I protagonisti del film sono pescatori
dell’”Andrea Gail”, un peschereccio
da spada ai comandi di Billy Tyne,
capitano ombroso e dal leggendario
fiuto, ma recentemente perseguitato dalla sfortuna. Per invertire la tendenza Tyne convince il suo
equipaggio all’ultima battuta di pesca della stagione in direzione delle
pescose acque del Flemish Cup: capita però che l’uragano “Grace” si
fonda insieme ad altre due turbolenze formando una tempesta perfetta, un fenomeno rarissimo al
quale ogni meteorologo vorrebbe
assistere una volta nella vita e nel
quale il peschereccio di Tyne si trova
giusto in mezzo, tra venti che soffiano a 190 chilometri orari ed onde
alte trenta metri. La seconda parte
del film è azione allo stato puro, con
un grande aiuto da parte degli straordinari effetti speciali della Industrial Light & Magic di Mr. George
Lucas: assolutamente in primo piano la furia degli elementi, ritratta da
Petersen con rara intensità drammatica e grande scaltrezza narrativa,
senza facili vie d’uscita Hollywood
style. Il regista di Air force one, già
esperto di insidie marine in U-boot
96 (1980), sceglie infatti di seguire
l’odissea della ”Andrea Gail” alternandosi con la brutta avventura di
tre velisti incappati nella tempesta,
nei tentativi di salvataggio della
guardia costiera, negli aggiornamenti televisivi sulla tempesta del
secolo ed infine nei momenti di tensione vissuti a Gloucester da chi spera che l’equipaggio riesca a
sopravvivere. La tempesta perfetta è solo un film d’azione, ma dove
tutto va per il verso giusto.
IL DOTTOR T E LE DONNE,
regia di Robert Altman,
con Richard Gere, Helen Hunt,
Laura Dern, Farrah Fawcett,
Liv Tyler; commedia; Usa; C.
Altman torna alla regia con una
commedia elegante e, al solito, molto sui generis: il suo obiettivo stavolta è il mondo femminile e, per di
più, dell’high class di Dallas. Il suo
grimaldello per scardinare vizi, per-
versioni e segreti delle donne è il
Dottor Travis, professione ginecologo, nel suo studio letteralmente
straripante di gentil sesso meglio
noto come Dottor T. Altman arriva
al protagonista previo passaggio
nell’insopportabile brusio della sua
anticamera, affollata da signore più
o meno giovani che si contendono
l’onore di una visita alle parti intime:
non perché Travis sia un imperterrito donnaiolo: anzi, lui è uno che le
donne le rispetta, le incensa e le
adora (fin troppo) nelle loro rispettive diversità.
Ne Il Dottor T e le donne il mondo
femminile – attraverso un profluvio
di chiacchiere, sessioni di shopping,
segreti e vizietti vari – domina
sull’universo maschile, ridotto a
mero oggetto e deviato a inoffensive (quanto infruttuose) battute di
caccia, futili partite di golf e lavoro
(siamo negli States). Molta parte
delle donne al centro della storia
convergono intorno al povero Travis: la bella moglie regredita allo stato infantile per le troppe attenzioni,
la cognata separata (e dedita
all’alcool) che gli ha invaso la casa
con le tre bambine, la figlia maggiore lanciata verso fastose nozze
all’aperto, una psicologa dalla diagnosi facile, un insegnante di golf
(troppo) intrigante, l’ex girl friend
della figlia maggiore (da lei richiamata come damigella d’onore), la
classica infermiera innamorata di
lui, il nugolo di pazienti, tra le quali
una sostiene un impegno fondamentale per la causa femminista –
dare ad almeno una strada di Dallas
un nome di donna –. Con simili presupposti la trama non può che dirigersi verso il punto di fuga del
tempestoso matrimonio annunciato, dove le eterogenee spinte femminili finiranno per far collassare in
rapida successione la vita del Dottor
T, risucchiato in un turbinante e surreale finale a sorpresa, dove si comprende perché gli uragani (quelli sì)
abbiano sempre nomi femminili.
da Reed e John Cale, passata alla
storia con soli due album sulla fine
degli anni Sessanta. In un certo senso la musica di Lou Reed da allora
non è mai cambiata, ad ogni nuovo
album il cantautore di New York (il
suo capolavoro) ha continuato ad
andare avanti per la propria strada
di onesto, coerente e discontinuo
cantore metropolitano, rigorosamente rock.
Non a caso anche ai fans più assidui
dell’artista americano, ubicati in
gran maggioranza proprio nella vecchia Europa, è più volte balzato in
mente che Lou Reed stia proponendo loro la stessa musica da sempre.
Il che è vero in parte: il cantante
newyorchese sa esprimersi così,
tout court, e nemmeno riesce a far
sempre centro, ma è quel che gli
succede nei quattordici brani per
quasi ottanta minuti di musica di
Ecstasy, che nulla aggiunge alla
carriera di Lou Reed, ma molto conferma in positivo.
L’apertura dell’album è affidata a
Paranoia key of E, probabilmente
il brano più convincente e contagioso dell’intero disco sotto il versante
ritmico. Seguono a ruota altre piccole gemme di Ecstasy: la deliziosa
ed umbratile Mad, la malinconica
title track, l’elegante Tatters. Poi
arriva la dirompente Future farmers of America, dinamica sotto il
profilo compositivo e genuinamente rock, una canzone che il Bowie di
venticinque anni fa avrebbe
senz’altro gradito: e, tanto per dimostrare che in Ecstasy, gli riescono pure i cambi di registro, dopo
questo riuscito (e convinto rock) segue il notevole country urbano di
Turning time around.
Da segnalare anche Like a possum
e la tiratissima Big sky, l’ultima canzone della track list. Soltanto rock,
ma di quello che va a segno e migliora di ascolto in ascolto.
t Musica
I libri sono cortesemente offerti
dalla libreria SEEBER,
Via Tornabuoni 70/r, Firenze
Tel. 055.215697
LOU REED,
Ecstasy [Reprise]
Una carriera solista ormai trentennale quella di Lou Reed, dall’esordio
con l’omonimo LP giusto nel 1970
fino ad Ecstasy, il suo ultimo disco:
una carriera iniziata con l’esperienza
d’avanguardia dei Velvet Underground, band newyorchese capeggiata
I dischi sono gentilmente offerti
da GHOST,
Piazza delle Cure 16/r, Firenze
sTel. 055.57004
LIBRI
Toscana in giallo
n Paolo Boschi
pagina precedente
smo per l’amato genere giallo,
indipendentemente dal fatto
che il racconto di volta in volta
sia opera di habitués storici della scrittura di marca mysteriosa
o di lettori per scelta di vita divenuti scrittori per diletto (nonostante nessuno dei quindici
autori sia un esordiente assoluto). Dentro questa raccolta c’è
un po’ tutto l’immaginario socio-culturale della Toscana, con
le relative storie, stranezze, tipologie e miti di riferimento. Si
parte da Firenze, ovvero la città
dell’arte per definizione, con un
ICARO
Al Sodo un Centro
polivalente
Il Centro Polivalente Icaro è nato all’interno della Parrocchia di San Pio X al Sodo. Inaugurato il 26 febbraio 1999 ha
già dato possibilità a varie realtà del quartiere e della città
di svolgere le proprie attività. Il suo interesse è promuovere iniziative in campo culturale, sociale e ricreativo per
bambini, giovani e anziani. Completamente ristrutturato e
adeguato alle norme vigenti si caratterizza, nel panorama
fiorentino, come una delle poche strutture polivalenti.
Situato nel Quartiere 5 (zona “il Sodo”), è facilmente raggiungibile sia dalla stazione di Rifredi, sia dall’autostrada,
sia dall’aeroporto ed è adeguatamente servito dal trasporto pubblico (Bus nr. 2-20-28).
L’impianto è munito di ampio parcheggio privato.
Salone: con una superficie di 500 mq, ha una capacità massima complessiva di 210 posti a sedere inclusi tre per disabili, ed una capienza totale di 350 posti. È munito di una
pedana rialzata ed impianto con schermo gigante.
Il salone offre la possibilità di un utilizzo polivalente e,
quindi, si presta ad ogni tipo di manifestazione come: cineforum; concerti; conferenze; convegni; mostre; proiezioni video satellitari; ricevimenti; saggi; spettacoli di arte
varia.
Salette: sono sei. Ciascuna con riscaldamento autonomo.
Quattro salette hanno una capienza massima di 20 persone e due hanno la possibilità di accoglierne fino a 80.
Sono salette particolarmente adatte alla realizzazione di
corsi di formazione, riunioni, assemblee condominiali, ricorrenze private ecc.
Servizi: la cucina, completamente ristrutturata e attrezzata, ha la possibilità di fornire fino a 180 coperti a turno per
la somministrazione di pasti in concomitanza di pubblico
spettacolo.
Tutti i locali sono forniti di impianto antincendio, areazione e riscaldamento. I servizi igienici (provvisti di docce)
sono realizzati anche per i disabili.
La cantante marocchina Najat Aatabou, stella di prima grandezza
della musica etnica, si esibisce in concerto al Teatro Verdi di Firenze,
domenica 19 novembre, in una delle sue rare apparizioni in Italia, la
prima assoluta in Toscana. Lo spettacolo apre il ciclo di eventi
dedicato alle Donne sulle sponde del Mediterraneo organizzato
dall’associazione culturale EuroForum Firenze.
Regina dello Zenith di Parigi, Najat Aatabou richiama folle
entusiaste di giovani maghrebini oltre a un pubblico crescente di
appassionati occidentali. Artista di straordinario vigore e
temperamento, si esibisce con un complesso di otto musicisti
(percussioni, basso, chitarra, batteria, tastiera e violino), tre coristi e
altrettanti ballerini. La sua musica affonda a piene mani nella
tradizione culturale del suo Paese, ma riflette anche il desiderio
prorompente di emancipazione delle donne berbere rispetto alla
tradizionale egemonia maschile.
Nelle canzoni di Najat Aatabou il cliché del Marocco dal magico
passato e degli splendori della colonizzazione araba cede il passo a
una ricerca sofferta sulle origini, nel tentativo di riappropriarsi, in
chiave
etnologica e
sociologica,
di
un’identità
culturale
troppo a
lungo
conculcata.
Casablanca,
la città di
tutte le
modernità
della vita
marocchina,
diventa un
teatro
popolare aperto che accoglie le musiche di commistione
sacro-profana seguendo la tradizione, ma mostra anche l’evidente
esigenza di un miglioramento delle condizioni dell’universo
femminile. Figlia di questo contesto votato all’emancipazione, Najat
Aatabou incanta con la sua forza e il suo carisma, uscendo dalla
canzone lamentosa delle donne berbere per esplodere in un grido
di rabbia e di speranza: “j’en ai marre”, ne ho abbastanza. Ben
oltre la musica d’intrinseca natura religiosa e quella popolare di
struttura poliritmica che sprigiona ora energia fisica, ora psichica, i
testi di Najat Aatabou riescono a imprimersi nelle coscienze di una
realtà spesso stagnante. La cantante si ispira all’immediatezza delle
composizioni semidialettali delle donne berbere che giudicano,
partendo da assai lontano, le diverse civiltà che hanno attraversato
il loro Paese – talvolta calpestandone i diritti femminili – con una
trasgressività assolutamente moderna ed elegante. Il suo apporto
allo stile musicale originale Zayan è in realtà abbastanza anonimo
rispetto a cantanti dai testi più edulcorati che da sempre, anche in
Marocco, seguono la moda, sull’effluvio dei grandi compositori
provenienti dal Cairo (come Abdelwahab, il maestro di Oum
Kelthoum e Warda sempre trasmessi dalla radio ufficiale di Rabat).
Lo stile di Najat Aatabou consiste soprattutto in un approccio
diverso e coraggioso che guarda costantemente all’ineguaglianza
dei sessi e alla conseguente denuncia dell’egemonia esercitata
dall’uomo sulla donna a tutti i livelli.
Teatro Verdi, 19 Novembre 2000, ore 21,30. Spettacolo unico.
Ingresso: Platea L. 30.000; Galleria L. 20.000
Per informazioni: tel. 055.2479951; tel/fax 055.240734
Un’antologia di quindici racconti tra giallo e noir d’ambientazione rigorosamente toscana
La Toscana, Firenze e dintorni,
le tante e caratteristiche province di una delle regioni più ricche di storia, così naturalmente
noir e con frequenti zone
d’ombra, di non detto, e di misteri. Tanto che sorge spontaneo chiedersi perché non ispirarsi alla Toscana come ambientazione fissa nella sua varietà per tante storie rigorosamen te gialle. L ’idea per
l’appunto l’ha avuta sul serio
Graziano Braschi, esperto del
genere, che per l’Editore Zella
ha allestito Toscana delitti e misteri, un’intrigante antologia di
quindici racconti gialli scritti da
altrettanti scrittori, tutti toscani
d’anagrafe o d’adozione. La
squadra all’opera in questa raccolta è quanto mai varia: si va
dai giornalisti (Luigi Carletti,
Riccardo Cardellicchio, Mazio
Spezi), ai medici (Giuseppe Noferi, Enrico Solito), per arrivare
agli insegnanti (Linda Di Martino, Riccardo Parigi & Massimo
Sozzi) ed agli esperti del settore (l’ex consulente mondadoriana Laura Grimaldi, l’editore
Roberto Pirani); chiudono il
gruppo la storica dell’arte Lucia
Bruni, il tappezziere ed ex impiegato Alberto Eva, l’avvocato
penalista Nino Filastò e gli
scrittori tout court (Stefano
Martinelli, Claudio Pellegrini,
Giampaolo Simi). Proprio la varietà è il punto di forza delle storie di Toscana delitti e misteri:
al fil rouge dell’ambientazione
rigorosamente toscana si contrappone una netta diversificazione di contenuti, personaggi
e
si tuazioni.
Inoltre
nell’insieme si avverte una freschezza ed un diffuso entusia-
Donne sulle sponde
del Mediterraneo
delitto intrecciato appunto intorno ad un quadro del Pontormo (vero o falso?) ed indagato
da un’atipica detective in abiti
da suora. Nel capoluogo non
poteva inoltre mancare una storia legata al mostro di Firenze,
personaggio ormai entrato
nell’immaginario collettivo locale, come pure a livello sommerso in un inquietante quadro
familiare visto da una prospettiv a infa ntile , o a nc o r a in
un’intrigante prospettiva che
cita con gusto Arsenico e vecchi merletti, o infine dal punto
di vista di un cinefilo (di genere, chiaramente). Tra assassini
palesi troviamo anche gli omicidi caduti in un personale dimenticatoio, magari occasionali testimoni di un delitto legato
a doppio filo a pratiche sessuali
estreme consumate in pieno
centro storico. Il voyeurismo la
fa da padrone anche in una storia ambientata nella Prato industriale, tutta intessuta intorno
alle fantasie erotiche sadomaso
vissute on line (ma che arrivano talvolta a realizzarsi in modo
dirompente). Tra Case del popolo dei dintorni fiorentini, le
buie notti a base di droga sulla
piana tra Sesto Fiorentino e
Campi, si arriva senza soluzione di continuità ad un Carnevale viareggino con serial killer,
per poi valicare i confini del
tempo in un sanguinoso mistero etrusco e quindi approdare
al classico delitto perfetto che,
come il genere richiede, fallisce
per un banale errore. Un viaggio nel giallo in quindici tappe
toscane, tutte con ottimi numeri narrativi in serbo.
AA.VV., Toscana delitti e misteri,
a c. di G. Braschi, Firenze,
Carlo Zella Editore, 2000; pp. 192
Samta Benyahia:
“Un regard pour
une histoire”
Costretta all’esilio in Francia dalle minacce degli integralisti islamici,
l’algerina Samta Benyahia è un’artista tra le più espressive della sua
generazione, personaggio interprete di due culture, Europa e
Maghreb, scelta per questo dall’associazione culturale EuroForum
per figurare tra i protagonisti della manifestazione dedicata alle
Donne sulle sponde del Mediterraneo in programma a Firenze.
Pittrice, legata alla corrente chiamata “pittura del Segno” nata dal
movimento artistico Awsham (tatuaggi), Samta Benyahia esporrà
una sua complessa installazione alla galleria La Corte Arte
Contemporanea, primo approdo italiano importante dopo una
fugace apparizione a Napoli qualche anno fa. La sua opera
armonizza un fluire di molteplici influssi, rielabora la parte moderna
ante-litteram e sofisticata della tradizione, partecipa alla
sperimentazione delle arti contemporanee. Algerina del suo tempo,
Samta Benyahia ci fa riscoprire i segni raffinati che scaturiscono
dalla memoria iconografica delle arti del nord Africa, segni e motivi
che ispirarono Klee e Kandinskij e che, nella loro geometrica
purezza, hanno impressionato tanti artisti astratti europei. È
importante che a recuperarli e ad esprimerli sia una donna,
un’artista, e che lo faccia con piena validità moderna e con la
consapevolezza di appartenere ad un secolo capace di sollecitare
tutte le culture. La madre è un’icona liturgica che Samta Benyahia
ripropone come memoria struggente del passato e come simulacro
di un Paese in guerra, un volto sofferente, ma votato alla speranza.
Le grate a losanga (mucharabiyah), realizzate in acrilico su carta con
la tecnica del pochoir, alludono a uno degli elementi formali più
belli dell’arte islamica, ad un ornamento tradizionale riproposto
come semantismo polemico di ‘chiusura’ nel discorso repressivo
integralista. I dipinti su tela rappresentano invece un ritorno ai segni
tradizionali e all’arabesco. “Un regard pour une histoire” (uno
sguardo per una storia) è il titolo dell’installazione che Samta
Benyahia presenta a Firenze e che occupa tutto lo spazio della
galleria con una serie di oltre cinquanta pochoir. Collocato al centro
dell’opera, lo spettatore ne diventa un attore. Filtrata dalle losanghe
dei pochoir, troneggia sullo sfondo una gigantografia della madre
dell’artista col suo sguardo severo di donna-coraggio.
“Questi motivi geometrici e astratti”, ricorda Samta Benyahia,
“hanno alimentato il mio vocabolario plastico durante molti anni di
lavoro sulla rinascita delle forme ancestrali. Sono un paesaggio
immaginario, una memoria del sangue che si ripropone
incessante”.
Galleria: La Corte Arte Contemporanea, via de’ Coverelli 27r,
50125 Firenze
Tel/fax 055.284435
Ingresso: mart.-sab. ore 16 – 19
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