Settembre
Musica
Torino Milano
Festival Internazionale
della Musica
04 _ 21 settembre 2013
Settima edizione
Torino
Auditorium
Giovanni Agnelli
Lingotto
Orchestra da Camera di Mantova
Maria João Pires pianoforte
Giovedì 12.IX.2013
ore 21
Mozart
MITO SettembreMusica Settima edizione
Un progetto di
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Wolfgang Amadeus Mozart
(1756-1791)
Ouverture da Le nozze di Figaro KV 492
Concerto n. 20 in re minore per pianoforte e orchestra KV 466
Allegro
Romance
Rondò (Allegro assai)
Ouverture da Così fan tutte KV 588
Concerto n. 23 in la maggiore per pianoforte e orchestra KV 488
Allegro
Adagio
Allegro assai
Orchestra da Camera di Mantova
Maria João Pires, pianoforte
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Videoimpaginazione e stampa: ITALGRAFICA Novara
P
agina di inarrivabile charme, ricolma di esuberanza ritmica e
alimentata a una sorgiva freschezza, l’Ouverture delle Nozze
di Figaro è forse la migliore delle tre predisposte per la trilogia
italiana che Mozart concepì su libretti del geniale Da Ponte. Quando
le Nozze andarono in scena, a Vienna, la sera del 1 maggio 1786, fu
subito trionfo; in una manciata di battute la smagliante ouverture
ne racchiude l’eccezionale esprit, come un condensato dell’opera
intera, ispirata a Beaumarchais, prefigurandone la vivacità, il
vitalismo, la joie de vivre, l’insinuante erotismo, senza peraltro
contenere nemmeno una citazione. Anche in questo sta la genialità
di Mozart. L’attacco è con un tema ascendente degli archi intriso di
frenesia motoria; vi fa seguito una frase dolcemente cantabile dei
fiati, con gli amati clarinetti a far da guida. Poi la prima sfavillante
esplosione a piena orchestra, quindi la pantomima si ripete:
subito l’idea iniziale evolve e l’intreccio delle parti si dipana,
come mimando il gioco degli equivoci e degli intrighi amorosi.
Scale svettanti e cadenze assertive si alternano nel tourbillon di
un “moto perpetuo” dove ogni nota è perfettamente funzionale
all’effetto drammaturgico. Un trascolorante moto modulante dagli
spiritosi “sforzati” conduce a una frase ascendente dei violoncelli,
più volte ripetuta, e pare un serioso monito, ma è per scherzo e
lo si comprende facilmente; poi un delizioso cantabile che ti si
stampa nella mente all’istante: una di quelle melodie da serenata
en plein air che subito i viennesi presero a canterellare. Uno
sviluppo brevissimo, il tempo di accorgersi che ormai volge al
termine, e già rimpiangi sia terminata così presto questa pagina
aforistica dal singolare appeal, ritratto sonoro di Figaro stesso:
della sua giovanile baldanza, folgorante sintesi di quella sua “folle
giornata” dagli imprevedibili colpi di scena.
Opera della piena maturità – forse il più popolare tra i concerti
mozartiani, nonché uno tra i più celebri dell’intero repertorio
pianistico – il Concerto KV 466 fu eseguito con enorme successo
a Vienna dall’autore stesso l’11 febbraio 1785, appena un giorno
dopo averne condotto a termine la stesura. Con il suo carattere
cupo, accigliato, l’allure tempestosa e le turbolente atmosfere – fin
dall’esordio orchestrale, affannoso e incalzante – questo Concerto
dal pre-romantico pathos sfoggia una straordinaria pregnanza e una
non comune efficacia di natura sinfonica; la scelta del re minore,
poi, tonalità quanto mai plumbea, tenebrosa se non addirittura
demoniaca, non è certo casuale e contribuisce vieppiù a conferire
un colore particolarissimo al concerto. È la medesima prescelta
per il Requiem nonché la principale tonalità d’impianto del Don
Giovanni (si pensi alla scena in cui si aprono gli abissi infernali)
come pure la tonalità della fantomatica Fantasia per pianoforte KV
397, la tonalità del «terrore metafisico» per dirla con Greither. Con
il suo incedere perturbato e striato di trasalimenti pare l’antitesi del
luminoso e coevo KV 467 in do maggiore. Secondo il Rosen il KV
466 starebbe al KV 467 «come la Sinfonia KV 550 sta alla “Jupiter”»:
raffronto audace e forse improbabile, ma invero suggestivo. Così
pure appare indicativo il fatto che Beethoven abbia mostrato una
singolare predilezione per questo Concerto, eseguendolo egli stesso
a Vienna nel 1795 e componendo per l’occasione un paio di cadenze
ad hoc. È innegabile inoltre come, assai più dei precedenti, esso
riveli – per l’ampio respiro e la grandiosità di impianto – quella
medesima maestria nel trattamento di vaste masse sonore destinata
a sfociare negli estremi capolavori sinfonici. L’esordio perentorio
e icastico è nel segno di una «fosca drammaticità» (Rattalino); poi
l’ingresso del solista su un tema nuovo, quasi desolato appello, un
tema delicato e rarefatto, pieno di sconforto e di spleen, di quelli
che ti si imprimono nella mente al primo ascolto. L’Allegro iniziale
si segnala per le sue tragiche accensioni, di matrice segnatamente
Sturm und Drang, i robusti passi in ottava del solista, i dialoghi
serrati tra pianoforte e orchestra, ma anche per le non poche zone
di cristallina purezza, le radure alquanto più distese e molto altro
ancora. In seconda posizione interviene una Romanza in si bemolle
maggiore di siderale bellezza in cui il solista si abbandona a
cantabili di purezza ialina. E pare lo sguardo nostalgico e lievemente
malinconico verso un passato irrimediabilmente perduto, destinato
a venire spazzato via di lì a poco; una più burrascosa zona centrale
squarcia il velo della serenità esplorando panorami incogniti e
illuminati da violenti barbagli di luce radente, ma la ricomparsa
del tenero refrain ristabilisce gli equilibri. Da ultimo gli spasmi
febbrili di un ipercinetico Finale, che entrando subito crudamente
in medias res, con quel tema svettante che pare anticipare certi
passi della KV 550, ci riporta alla temperie espressiva del primo
tempo. Inaspettatamente il Concerto si conclude in modo maggiore.
Dramma giocoso in due atti dalla frizzante verve già dilagante
nella saporosa Ouverture, Così fan tutte rappresentò il felice
ritorno al teatro dopo un’intensa stagione punteggiata di capolavori
strumentali tra cui il diamante purissimo delle ultime tre Sinfonie, il
primo dei Quartetti “Prussiani” KV 575 e il Quintetto con clarinetto
KV 581. Mozart era certo ben conscio del valore della sua nuova
partitura teatrale, andata in scena al Burgtheater il 26 gennaio
1790, se già il 29 dicembre convocò presso la propria dimora i
fidati fratelli massoni Puchberg e Haydn per una prima lettura,
quindi rinnovò l’invito per la prova in teatro; non l’avrebbe fatto
se lo avesse sfiorato il minimo dubbio, data la stima e il sodalizio
che lo legava ai fratelli appartenenti alla sua stessa Loggia. Il gusto
per la burla e lo spirito del divertissement costituiscono il substrato
di Così fan tutte al cui interno accenti introspettivi si alternano
a più realistiche inflessioni. Una partitura «iridescente come una
bolla di sapone», nella quale Mozart profuse tesori preziosi fin
dalla spumeggiante Ouverture idealmente contrapposta ai bagliori
luciferini del Don Giovanni. Coniata in un limpido do maggiore,
esordisce con un Andante dai fastosi accordi seguiti da una più
flebile frase degli oboi; archi e fagotti “citano” la parte del cinico
Don Alfonso e per un attimo s’insinua una punta impercettibile
di malinconia subito spazzata via da un moto cadenzante che
immette nel Presto dall’ammiccante frase degli archi. La pagina
decolla con brillante scorrevolezza; legni e archi intrecciano serrati
dialoghi rigenerando ad ogni passo il tessuto sonoro e rimbalzando
frammenti melodici con smagata souplesse. Trasfigurata, ma ben
riconoscibile, la frase degli oboi ricompare in chiusura, innescando
il suggestivo epilogo: vera apoteosi, il cui irrefrenabile crescendo
rivela la lezione dei cameristi di Mannheim.
È al marzo del 1786 che risale la stesura del pianistico Concerto KV
488, sicché non è difficile vedervi riflesso il benefico influsso delle
Nozze di Figaro in fase di gestazione. Scritto nella serena tonalità
di la maggiore il KV 488 si apre con un tema dal soave lirismo
in un clima di equilibrata pacatezza destinata a spandere la sua
luce ambrata sull’intero primo tempo, non privo di passi brillanti.
L’attacco già sembra anticipare l’esordio del sublime Concerto per
clarinetto KV 622 nella medesima tonalità. E proprio la coppia
dei clarinetti gioca un ruolo di assoluta preminenza. Il pianoforte
entra con quella colloquiale naturalezza che connota l’intero
Allegro e subito inizia ad istoriare i temi con graziose broderies,
né disdegna di addentrarsi in passi virtuosistici, pur scevri di fatuo
esibizionismo. Nella zona dello sviluppo avviato da un tema nuovo,
di natura polifonica, tutto si svolge all’insegna di amabili conversari
tra solista e orchestra. Un tema più velato, in mi minore, viene
proposto dai legni; ad essi il pianoforte si oppone tre volte con un
inciso caricaturale. Poi un gesto di stizza e la situazione evolve, con
effetto magnetico, verso la ripresa; infine una cadenza disseminata
di ampie escursioni. Il vero clou emotivo del concerto è però lo
stupefacente Adagio dai tormentati cromatismi, in 6/8, nella remota
tonalità di fa diesis minore. Il tono generale è di inconsolabile
sconforto. La curva melodica si ripiega mestamente su se stessa,
sostenuta da armonie cangianti, giù giù sino all’emergere di un
afflitto accordo di sesta napoletana. L’orchestra s’insinua, opaca,
addensando ulteriori nembi, poi una modulazione al maggiore e il
clima sembra schiarirsi, ma inesorabile riappare lo spunto iniziale
con la sua immane carica dolente. In chiusura, solo più frasi
smozzicate sul pizzicato degli archi. La desolazione è al culmine.
A ristabilire l’equilibrio, fugando ogni ombra di spleen, interviene
il radioso Allegro conclusivo dall’argentino refrain, in forma di
rondò-sonata. Prevale un clima popolaresco quasi da Singspiel: un
tema del solista in particolare (una semplice scala che si srotola
e si riavvolge come un giocattolo a molla) pare già prossima alle
canzoncine di Papageno. È un continuo fiorire di idee. Poi un
inatteso ritorno di fiamma, con una sezione più accigliata; ma
subito gli immancabili clarinetti lanciano un tema nuovo che pare
uscito di soppiatto dalle Nozze di Figaro. E proprio al dinamismo
delle Nozze questo finale si riconnette, per il suo tono umoristico
e quella scoppiettante animazione che ne fanno un concentrato di
briosa ilarità: alla quale è ben difficile restare insensibili.
Attilio Piovano
Nata nel 1944 a Lisbona, Maria João Pires fece la sua prima
apparizione in pubblico tenendo un concerto all’età di quattro
anni. Tre anni più tardi, eseguì alcuni Concerti per pianoforte di
Mozart a Oporto e nel 1953 ottenne il più alto riconoscimento per
giovani musicisti del Portogallo.
Tra il 1953 e il 1960 ha studiato con Campos Coelho e Francine
Benoit, perfezionandosi in seguito in Germania all’Accademia di
Monaco di Baviera con Rosl Schmid e ad Hannover con Karl Engel.
Dopo aver vinto il Primo premio al Beethoven International
Competition di Bruxelles nel 1970, Maria João Pires ha tenuto
concerti in tutto il mondo con le più prestigiose orchestre, inclusi i
Berliner Philharmoniker, la Boston Symphony Orchestra, la Royal
Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, la London Philharmonic,
l’Orchestre de Paris e i Wiener Philharmoniker.
Interprete entusiasta del repertorio cameristico, negli ultimi
anni ha preso parte allo Schleswig-Holstein Musikfestival e alla
Schubertiade in Austria, oltre ai festival di Tanglewood, Ravinia,
Montpellier, Lucerna, Edimburgo e ai BBC Proms. Ha inoltre
collaborato con direttori quali Abbado, Gardiner, Pinnock, Dutoit,
Previn, Haitink, Krivine e Mackerras.
Maria João Pires ha realizzato numerose incisioni discografiche,
inizialmente per l’etichetta Erato, per un sodalizio durato quindici
anni; da ventidue anni è legata alla Deutsche Grammophon, di
cui segnaliamo l’ultima pubblicazione (2009) che consiste in un
album interamente dedicato a Chopin. Tra i tanti riconoscimenti
ottenuti ricordiamo i Grand Prix du Disque del 1990 e 1995, con
un repertorio solistico e orchestrale che include composizioni di
Mozart, Schubert e Chopin, e del 1997 con l’integrale dei Notturni
di Chopin.
Nel 2002 è stata insignita del prestigioso IMC-Unesco International
Music Prize.
Da circa 40 anni si dedica agli aspetti educativi dell’arte,
principalmente allo sviluppo di nuovi percorsi pedagogici all’interno
del contesto sociale. Predilige nuove forme di comunicazione che
possano rispettare lo sviluppo individuale, in contrapposizione
alla logica materialistica e distruttiva della globalizzazione: questa
filosofia è alla base dei workshop da lei stessa tenuti in Giappone,
Brasile ed Europa.
Nel 2005 ha creato Art Impressions, una compagnia sperimentale
di teatro, danza e musica con la quale elabora progetti performativi
interdisciplinari.
L’Orchestra da Camera di Mantova nasce nel 1981 e subito si
impone all’attenzione generale per brillantezza tecnica, assidua
ricerca della qualità sonora e sensibilità ai problemi stilistici. Nel
1997 le viene assegnato il Premio Abbiati quale miglior complesso
da camera. La sede dell’Orchestra è il Teatro Bibiena di Mantova,
autentico gioiello di architettura e acustica.
Nel corso della sua trentennale vita artistica l’Orchestra ha
collaborato con alcuni tra i più apprezzati direttori e solisti del
panorama internazionale, tra cui Gidon Kremer, Shlomo Mintz,
Joshua Bell, Salvatore Accardo, Umberto Benedetti Michelangeli,
Giuliano Carmignola, Uto Ughi, Mischa Maisky, Enrico Dindo,
Mario Brunello, Miklós Perényi, Sol Gabetta, Alexander Lonquich,
Bruno Canino, Katia e Marielle Labèque, Maria Tipo, Andrea
Lucchesini, Astor Piazzolla e Severino Gazzelloni. Protagonista di
innumerevoli concerti in Italia e all’estero, l’Orchestra da Camera
di Mantova si esibisce nei principali teatri e sale da concerto della
maggior parte di Europa, Stati Uniti, Centro e Sud America e Asia.
Nell’ultimo decennio la sua attività nazionale e internazionale si è
incentrata sull’ideazione e realizzazione di importanti cicli (Progetto
Beethoven, cicli dedicati ai Concerti per pianoforte e alla produzione
sacra di Mozart, Haydn l’europeo che amava l’Italia, l’integrale
delle Sinfonie di Schumann). Nella sua storia artistica, l’Orchestra
da Camera di Mantova ha effettuato registrazioni televisive e
radiofoniche, tra le altre, per Rai, Bayerischer Rundfunk e RSTI.
Nel 2009 ha inciso tre sinfonie di Haydn su commissione della
rivista «Amadeus». In seguito, nell’ambito di un progetto
discografico dedicato ai Concerti per pianoforte e orchestra di
Mozart, ha realizzato due cd con Angela Hewitt.
Dal 1993 l’Orchestra da Camera di Mantova è impegnata nel
rilancio delle attività musicali della sua città attraverso la stagione
concertistica “Tempo d’Orchestra” che, giunta nel 2012 alla
ventesima edizione, ospita regolarmente alcuni fra i principali
solisti, gruppi cameristici e orchestre del panorama internazionale.
Nel maggio 2013 ha dato vita al Mantova Chamber Music Festival
nei principali luoghi d’arte cittadini, manifestazione premiata da
un’attenzione e una partecipazione straordinarie.
Orchestra da Camera di Mantova
Carlo Fabiano, violino concertatore
Violini I
Carlo Fabiano*, Filippo Lama*, Stefano Biguzzi,
Luca Braga, Igor Cantarelli, Cesare Carretta,
Grazia Serradimigni, Stefano Bencivenga
Violini II
Alessandro Conrado*, Aldo Campagnari*, Eugjen Gargjola,
Giacomo Invernizzi, Chiara Spagnolo, Agnese Tasso, Silvia Colli
Viole
Klaus Manfrini*, Armando Barilli*, Maria Antonietta Micheli,
Laura Riccardi, Monica Vatrini
Violoncelli
Paolo Perucchetti*, Michele Ballarini,
Gregorio Buti, Federico Bracalente
Contrabbassi
Lutz Schumacher*, Giorgio Galvan, Luca Bandini
Flauti
Roberto Fabiano*, Maurizio Saletti*
Oboi
Rossana Calvi*, Roberto Grossi
Clarinetti
Aljaz Begus*, Igor Armani*
Fagotti
Aligi Voltan*, Luigi Sabanelli
Corni
Paolo Faggi*, Maurizio Cavallini
Trombe
Marco Braito*, Enrico Demilito
Percussioni
Danilo Grassi*
*prime parti
Bruno Genero e allievi del Cons. Giuseppe Verdi di Torino, MITO per
la città, Torino 2012, Ph. Michele D’Ottavio - MITO SettembreMusica©
VOGLIAMO RENDERE LA MUSICA PIÙ ACCESSIBILE.
INTESA SANPAOLO È PARTNER DELL’EDIZIONE 2013 DI MITO SETTEMBREMUSICA.
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