L'abuso d'ufficio: analisi normativa e giurisprudenziale Articolo 14.10.2014 (Alessandro Amaolo) Il delitto di abuso d’ufficio non giunge fino ai nostri giorni immutato nel tempo. Infatti, tale norma penale è stata novellata e sostituita prima dall’art. 13, Legge 26 aprile 1990, n. 86 e poi dall’art. 1, Legge 16 luglio 1997, n. 234. Infine, l’art. 1, comma 75, lett. p), della Legge 6 novembre 2012, n. 190 ha sostituito le parole : “da sei mesi a tre anni” con le attuali : “da uno a quattro anni”. L’autore ritiene che le modifiche di cui alla legge 26 aprile 1990 n. 86 non hanno implicato l’abolizione generalizzata delle anteriori fattispecie criminose di interesse privato ed abuso innominato d’ufficio, ma la successione ad esse di una norma incriminatrice che ha escluso la rilevanza penale di alcune ipotesi già punite come reato e conservato tale rilevanza rispetto ad altre. Inoltre, le predette modifiche hanno anche ampliato sotto qualche aspetto, le previgenti previsioni incriminatrici. Orbene, il testo attualmente vigente del reato di abuso d’ufficio è proprio il seguente : “Salvo che il fatto costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”. In via del tutto preliminare a questa trattazione, osservo che l’articolo 323 codice penale contiene una disposizione generale e complementare diretta a reprimere tutti quegli abusi commessi dai pubblici ufficiali o dagli incaricati di pubblico servizio contro l’altrui diritto. Il secondo comma dell’articolo 323 codice penale prevede come circostanza aggravante la produzione di un vantaggio o di un danno di rilevante gravità. L’autore ritiene che si tratta di una circostanza oggettiva e ad effetto comune in quanto comporta, cioè, l’aumento della pena fino ad un terzo. Inoltre, è un reato proprio in quanto i soggetti attivi del reato possono essere solo il pubblico ufficiale oppure l’incaricato di un pubblico servizio. Si tratta, altresì, di un reato di evento dove il tentativo è certamente configurabile, allorquando ricorrano tutti i presupposti e le condizioni previste dall’articolo 56 del vigente codice penale. Su quest’ultimo aspetto, profilo ovvero in tema di tentativo l’autore riporta, per una migliore comprensione completezza, la sentenza della Cassazione penale, sezione VI, 4 giugno 2010, n. 21357 che ha stabilito quanto segue : “E’ ravvisabile un tentativo di abuso d’ufficio (reato di cui agli artt. 56, 323 c.p.) nella condotta di un medico specialista di una struttura sanitaria pubblica (dunque un pubblico ufficiale) che nel corso o all’esito di visita ambulatoriale inviti il paziente a recarsi nel suo laboratorio privato per un approfondimento diagnostico, rappresentandogli che i tempi di attesa sarebbero così azzerati, senza peraltro conseguire il risultato propostosi per il rifiuto del paziente. In tale condotta si ravvisa, infatti, un ingiusto vantaggio patrimoniale rappresentato dall’essersi il medico procurato in modo illegittimo – l’occasione – della prestazione professionale”. L’elemento soggettivo è da ricercarsi e da riscontrarsi nel dolo intenzionale allorché si appuri che il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio abbiano agito con la finalità immediata e finale di non perseguire, mediante la condotta posta in essere, una finalità pubblica di interesse generale. Pertanto, secondo il modesto parere dello scrivente, il dolo intenzionale esige che la rappresentazione e la volizione dell’evento di danno (altrui) o di vantaggio patrimoniale (proprio o altrui) siano una conseguenza diretta ed immediata della condotta dell’agente e che costituiscano l’obiettivo primario da questi perseguito. In sintesi, la particolarità e la peculiarità del dolo intenzionale è proprio quella di agire allo scopo di generare l’effetto previsto, essendo la direzione della volontà rivolta nei confronti di un evento assunto quale scopo finale della condotta. Su quest’ultimo punto la Cassazione penale, sezione V, sentenza 27 gennaio 2011, n. 3039 ha affermato quanto segue: “In tema di abuso d’ufficio, per la configurabilità dell’elemento soggettivo è richiesto il dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la volizione dell’evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario da costui perseguito”. L’errore del pubblico ufficiale non può ritenersi giustificabile e scusabile allorchè esso cada su norme giuridiche intese a fissare ed a regolare i poteri inerenti alle funzioni dello stesso p.u. L’elemento materiale – oggettivo consiste proprio in una condotta che esplica e si manifesta all’esterno nel : Violare norme di legge (e, secondo lo scrivente, anche le norme del diritto comunitario). Su questo punto segnalo la giurisprudenza della Cassazione penale, sezione VI, sentenza 13 luglio 2011, n. 27453 che ha affermato e stabilito quanto segue : “In tema di abuso d’ufficio, il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato anche solo dall’inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A., per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi che impone al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione”. Violare norme di regolamento (o di altro atto equipollente nella scala gerarchica delle fonti del diritto). Omettere il rispetto dell’obbligo giuridico di astensione in presenza di un interesse proprio, di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti. Inoltre, la condotta illecita deve essere eseguita allo scopo di: Procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale; Arrecare ad altri un danno. Tanto il vantaggio economico quanto il danno devono essere ingiusti. Di conseguenza, l’ingiustizia sussiste in presenza di due condizioni; la prima è quella che il danno o il vantaggio devono essere la diretta conseguenza di un atto illegittimo mentre, invece, la seconda è quella che l’abuso si deve necessariamente presentare come contrario nei confronti dell’ordinamento giuridico. Vi è una distinzione fra tipi di condotta, diversamente punite, in relazione alle finalità cui può essere rivolto il comportamento abusivo. Infatti, la condotta favoritrice persegue un fine di vantaggio non patrimoniale o di danno di altri mentre, invece, la condotta affaristica tende al conseguimento di un vantaggio patrimoniale per sé o per altri. Lo scrivente ritiene opportuno soffermare l’attenzione sul termine “in violazione di norme di legge”. Il legislatore con il predetto termine si riferisce alla violazione della legge formale (leggi costituzionali, leggi ordinarie, leggi regionali) ovvero di un atto normativo avente forza di legge (decreti leggi ed i decreti legislativi). Orbene, tale locuzione impone di riscontrare il reato di abuso di ufficio nella condotta del pubblico ufficiale che riveli il titolo delle tracce delle prove scritte di un concorso pubblico, atteso che il dovere del segreto di ufficio per i dipendenti della pubblica amministrazione viene sancito dall’art. 28, Legge 7 agosto 1990, n. 241. Altro esempio di abuso d’ufficio si riscontra nel rilascio, da parte del Dirigente, di un permesso di costruire , consapevolmente, in violazione delle norme che disciplinano le costruzioni edilizie. Pertanto, la predetta condotta del Dirigente è idonea a deviare l’attività amministrativa verso un fine diverso da quello della norma, attesa la correttezza ed i doveri di buona amministrazione nonché di imparzialità ai quali deve essere ispirata e basata l’attività del pubblico amministratore. Tuttavia, nonostante tutte le precedenti riflessioni, l’autore ritiene che l’illegittimità amministrativa non finalizzata, sul piano oggettivo prima che su quello soggettivo, a fare conseguire al privato un ingiusto vantaggio patrimoniale non può rilevare agli effetti della sussistenza del reato di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 comma secondo del codice penale. Nel reato di abuso d’ufficio la parte offesa è la Pubblica Amministrazione poiché è titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice che è costituito dal buon andamento, dalla imparzialità e dalla trasparenza dell’azione dei pubblici ufficiali. Invece, il privato il quale abbia subito un danno ingiusto è soggetto danneggiato, legittimato a costituirsi parte civile nel processo penale. Il reato di abuso d’ufficio ha natura necessariamente plurioffensiva quando è commesso arrecando ad altri un danno ingiusto, nel senso, cioè, che devono essere lesi sia gli interessi costituzionalmente tutelati del buon andamento e dell’imparzialità della PA (art. 97 cost.), sia quelli di un “extraneus” , o anche di un dipendente dell’amministrazione stessa (cd. intraneus), purché sia toccato nella sua personale condizione giuridica derivante dal rapporto di impiego. L’autore, a sostegno della predetta tesi, ritiene che si possa, sicuramente, riscontrare un vero e proprio reato di abuso d’ufficio nella condotta di un Dirigente comunale che impedisca al suo subalterno di poter ricorrere all’Organismo Indipendente di Valutazione, sotto la specifica minaccia di ridurre le valutazioni riportate dal dipendente stesso nella sua scheda di valutazione. Infatti, secondo il modesto parere dello scrivente, la condotta del Dirigente comunale, nel caso de quo, è sicuramente antigiuridica ed in condizione di ledere un diritto fondamentale della persona che è quello della difesa, costituzionalmente garantito e tutelato proprio dall’art. 24 della vigente Costituzione Repubblicana. In breve, la condotta incriminata del Dirigente nuoce il diritto del dipendente comunale (istruttore amministrativo) a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti ed a non essere danneggiato nel modo di agire illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale. Pertanto, il danno ingiusto si collega all’impossibilità oggettiva per il dipendente , nel caso de quo , in conseguenza della scheda di valutazione inferiore alla sufficienza, di poter usufruire del salario accessorio legato alla produttività, così come alle progressioni orizzontali all’interno dello stesso livello professionale. Lo scrivente ritiene di considerare il delitto di abuso d’ufficio come un “reato casualmente orientato”, nel senso che deve sussistere un nesso di derivazione causale o concausale tra la violazione di legge o di regolamento, posta in essere dall’agente, e l’evento. In sintesi, l’evento giuridico del reato, sulla base di tutte le precedenti riflessioni e considerazioni, può essere costituito, alternativamente, da un ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, o da un danno ingiusto per altri. Il reato di abuso d’ufficio, secondo l’opinione dell’autore, si perfeziona con l’assunzione dell’atto e non con le circostanze estrinseche alla sua efficacia ed esecutività, che, viceversa, otterrebbero il ruolo, non previsto dalla norma incriminatrice, di condizioni obiettive di punibilità. L’autore ritiene la fattispecie penale incriminatrice in commento come un reato di moderato – medio allarme sociale. Il reato in commento , nel corso degli anni, ha avuto molte applicazioni pratiche anche per la professione del Notaio. Infatti, egli si veda attribuita la qualifica soggettiva di pubblico ufficiale proprio dall’art. 1 della legge notarile n. 89/1913. Molto interessante e singolare si presenta la risoluzione giuridica di un caso pratico relativo ad un Notaio che è stato giustamente assolto in Cassazione. In questa specifica circostanza, con una chiarezza davvero lineare, il giudice di legittimità ha correttamente stabilito in diritto che : “Non integra il reato di abuso d’ufficio la condotta del notaio il quale abbia rogato atti di compravendita relativi a porzioni immobiliari gravate da uso civico, qualora sia già intervenuta una declassificazione per fatti concludenti, consistente nella perdita irreversibile delle caratteristiche fisiche e funzionali dei terreni agrari, rispetto alla quale il decreto di declassificazione successivo alla stipula degli atti ha natura meramente dichiarativa e non costitutiva” . (Cassazione penale , sezione VI, sentenza 17 gennaio 2003, n. 2281) Invece, in tema di pubblico impiego privatizzato negli enti locali, la Cassazione penale, sezione VI, sentenza 23 gennaio 2003, n. 3392 ha affermato che : “Sussiste il reato di abuso d’ufficio nei casi non specificamente previsti dalla legge nel comportamento di amministratori comunali che dopo l’intervento di un provvedimento cautelare di sospensione dell’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 68 TULPS, per lo svolgimento dell’attività ricreativa e di intrattenimento con automobiline, per eludere intenzionalmente l’ordinanza cautelare del giudice amministrativo rilasciavano un certificato di iscrizione nel registro mestieri ambulanti ai sensi dell’art. 121 TULPS”. Per ciò che concerne le condizioni di configurabilità del concorso di persone nel reato merita uno specifico approfondimento la posizione del cd. extraneus. Orbene, l’autore ritiene che per poter raffigurare il concorso dell’extraneus nel reato deve necessariamente essere provata l’intesa intercorsa col pubblico funzionario oppure la sussistenza di pressioni o sollecitazioni dirette a influenzarlo. Pertanto, la collusione dell’extraneus non si può dedurre e desumere dalla semplice presentazione dell’istanza, ancorché infondata, e dal suo accoglimento. In riferimento ai rapporti con altri reati osservo come l’articolo 323 codice penale esordisce con la clausola di riserva salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Il legislatore, dunque, ha attribuito all’abuso di ufficio un ruolo sussidiario che ne subordina l’operatività alla circostanza che nello stesso fatto non siano ravvisabili i presupposti di un più grave reato contro la P.A. (ad esempio la concussione). Ancora, sempre in relazione ai rapporti con altri reati, qualora la condotta addebitata al pubblico ufficiale si esaurisca in un falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.) l’agente deve rispondere solo di tale reato e non anche in quello di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) che, atteso il suo carattere sussidiario e residuale, deve considerarsi assorbito nel primo. Ancora, per ciò che concerne i rapporti fra il peculato e l’abuso d’ufficio l’autore segnala una interessante sentenza della Suprema Corte di Cassazione penale, sezione VI, 9 febbraio 2012, n. 5010 che ha stabilito un nuovo ed importante principio di diritto pienamente ed assolutamente condivisibile, secondo il modesto parere dello scrivente. In particolare, con la predetta sentenza gli ermellini hanno stabilito che: “Deve ritenersi correttamente esclusa la configurabilità tanto del reato di abuso d’ufficio quanto di quello di peculato nel caso di un pubblico funzionario il quale, per lo svolgimento della propria attività economica privata (di per sé costituente soltanto, in difetto di autorizzazione, illecito disciplinare), si avvalga dei locali e delle attrezzature dell’ufficio, costituite in particolare dal telefono e dalla fotocopiatrice, sempre che, con riguardo a queste ultime, si sia trattato di un uso occasionale e saltuario, tale, quindi, da non aver prodotto un danno patrimoniale apprezzabile”. Inoltre, il giudice di legittimità ha ritenuto ammissibile un concorso fra l’abuso d’ufficio, che è finalizzato a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale consistito in erogazione pubbliche ed il reato di truffa aggravata. Nello specifico, la Cassazione penale, sezione II, sentenza 18 giugno 2010, n. 23628 ha affermato quanto segue : “Il reato di abuso di ufficio commesso da pubblico ufficiale al fine di procurare ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale concorre con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, allorché il vantaggio altrui sia consistito nel beneficio di arretrati pensionistici non spettanti e fatti ottenere mediante artifici e raggiri (nel caso de quo mediante interventi su sistemi informatici all'altezza di attribuire a soggetti diversi dagli aventi diritto l’erogazione del trattamento di pensione)”. Restano ancora da analizzare alcuni fra i più importanti aspetti procedurali del delitto in esame. L’autorità giudiziaria competente è il Tribunale collegiale (art. 33 – bis c.p.p.) e la misura pre-cautelare dell’arresto è consentita solo in flagranza di reato (art. 381 c.p.p.) mentre, invece, il fermo non è mai consentito. Si tratta di un reato che, ovviamente, è procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.) e dove è prevista anche la celebrazione dell’udienza preliminare (art. 416, 418 c.p.p.). Fra le misure cautelari personali è consentita quella relativa alla sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p.), mentre fra le misure cautelari reali è legittimo il sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.). Quest’ultimo è sicuramente ammissibile e conforme alla legge, secondo lo scrivente, anche nell’ipotesi di un immobile la cui edificazione è stata consentita con illegittima autorizzazione edilizia integrante il reato di abuso d’ufficio, ancorché l’opera si presenti già ultimata. Appunto per questo, sia nell’ipotesi in cui la costruzione sia avvenuta in assenza del titolo sia nel caso in cui il titolo si presenti viziato in ragione della collusione fra il privato ed il pubblico ufficiale, l’esistenza di una costruzione non conforme alla legge o agli strumenti urbanistici è suscettibile di produrre anche nel futuro un danno ambientale e, quindi, è idonea a protrarre le conseguenze del reato. Sempre sul piano processuale c’è da dire che l’autorità preposta all’accertamento del reato ed all’acquisizione dei mezzi di prova non può avvalersi dell’armamento investigativo disciplinato dal codice di procedura penale. Infatti, risulta preclusa la possibilità di utilizzare lo strumento di ricerca della prova costituito dalle intercettazioni telefoniche, attesi i limiti di pena che sono richiesti dall’art. 266 c.p.p. Inoltre, l’autore ritiene opportuno osservare che la lettura dell’art. 323 c.p. si completa con quella dell’art. 335 bis c.p. (Diposizioni patrimoniali) il cui testo normativo è il seguente: “ Salvo quanto previsto dall’articolo 322 ter, nel caso di condanna per delitti previsti dal presente capo è comunque ordinata la confisca anche nelle ipotesi previste dall’articolo 240, primo comma”. In conclusione, l’autore ritiene che l’art. 323 codice penale contiene, include una disposizione generale e complementare diretta a reprimere, arginare ed a inibire tutti quegli abusi commessi dai pubblici ufficiali contro l’altrui diritto che non sono contemplati da una specifica disposizione di legge. In ultimo esame, l’autore ritiene che per l’integrazione del reato è necessario che sussista la cd. doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, poiché connotata da violazione di legge e/o di regolamento oppure contrassegnata dall’avere omesso il rispetto dell’obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio, di un congiunto ed ingiusti devono essere anche l’evento di danno per la Pubblica Amministrazione ed il privato (o solo per la P.A.). (Altalex, 14 ottobre 2014. Articolo di Alessandro Amaolo) / abuso d'ufficio / Alessandro Amaolo / ( da www.altalex.it )