Nadia Moro ARMONIA E CONTRAPPUNTO NEL PENSIERO DI J.F. HERBART EDIZIONI UNICOPLI APPENDICE Traduzione di Psychologische Bemerkungen zur Tonlehre Avvertenza La traduzione è stata condotta sul testo di J. F. Herbart, Psychologische Bemerkungen zur Tonlehre, secondo l’edizione dei Sämtliche Werke. In chronologischer Reihenfolge, a cura di K. Kehrbach e O. Flügel, ristampa dell’edizione Beyer, Lagensalza 1888, Scientia, Aalen 1964² (alla quale si farà riferimento con la sigla SW, seguita dal numero romano indicante il volume e dal numero di pagina), vol. III, pp. 96-118. Le note sono di Herbart, ad eccezione di quelle racchiuse tra parentesi quadre, che sono della Curatrice. 234 N. MORO Osservazioni psicologiche sulla teoria musicale La teoria musicale figura senza dubbio tra quegli oggetti psicologici che si offrono ad un’indagine meno difficile rispetto ad altri. Tutta la musica può essere completamente risolta in suoni semplici, ai quali sono attribuite in modo determinato sia le loro distanze sia la loro durata. Allo stesso modo, la loro forza e debolezza, come la buona esecuzione le esige, sono sottoposte almeno alla valutazione delle grandezze, se non anche alla misurazione. In tal modo tutti gli elementi del rappresentare, dai quali dipendono gli stati d’animo dell’ascoltatore, consentono una precisa indicazione. Se, per prima cosa, si confrontano con ciò anche solo le concezioni del bello spaziale o di quello poetico, si trovano, in quello, lo sbiadirsi l’una nell’altra di innumerevoli sfumature di colore, la tridimensionalità e l’infinita divisibilità dello spazio, in questo, la quantità immensa di rapporti nascosti che già grava su tutti gli oggetti della poesia, e inoltre la pienezza (non ancora racchiusa in alcuna legge di armonia poetica, dunque se non incalcolabile, tuttavia non misurata) degli elementi estetici di quest’arte: un ostacolo tanto ammonitore per la ricerca mirante alla precisione, che, per gli oggetti menzionati, in primo luogo si vorranno ben più volentieri attendere chiarimenti utili provenienti da altri ambiti. Tuttavia la teoria musicale non sembra finora essere stata mai presa in considerazione molto precisamente dagli psicologi. Al pensiero musicale non si possono certo applicare categorie. E difficilmente ci si perdonerebbe di parlare di un intelletto musicale, se non fosse che la distinzione tra ciò che in musica ha un senso oppure nessuno è molto più originaria di qualunque eccitamento di piacere o dispiacere, e, ancora, di qualunque collegamento possibile con un testo poetico o con qualche cosa che non sia musica. Ora, con i concetti che ci si era fatti dell’intelletto, anzi, di tutte le facoltà dell’anima in generale, in musica non si poteva evidentemente erigere proprio nulla. Armonia, melodia, misura del tempo, esecuzione: tutto ciò si fa beffe di qualsiasi tentativo di avanzare una qualche spiegazione, sostenibile anche solo all’apparenza, delle dottrine accettate del tempo come forma del senso interno, della fantasia e della facoltà del sentimento, tanto che ci si contenterebbe più volentieri dei principi matematici del suono e dei rapporti di vibrazione dei corpi sonori. Essi almeno, rispetto a tutta la psicologia precedente, hanno il grande vantaggio di indagare con precisione il loro oggetto e richiamano l’attenzione sui veri elementi dati nell’esperienza determinata, vale a dire sulle relazioni armoniche fondamentali. Appendice 235 Quantunque questa parte matematica della fisica abbia indiscutibilmente grande valore, la fisica non certo è psicologia. I corpi vibranti non sono rappresentazioni di suoni. L’esistenza di corpi vibranti viene perfino negata dall’idealismo, ma non si può negare il fatto psicologico che noi abbiamo rappresentazioni di suoni e che riceviamo impressioni di vario tipo dalle loro connessioni. Ai nostri giorni si ripete tanto spesso che, secondo Leibniz, le monadi non hanno finestre, che non ci si impegolerà certo nel vano tentativo di frapporre un’ipotesi fisiologica tra fisica e psicologia, al fine di far giungere intatti nell’anima, attraverso i nervi, i rapporti di vibrazione. Cosa che, per quanti servigi eccellenti i nervi possano pure rendere, non può tuttavia condurre a nulla, perché l’anima non è un corpo né la rappresentazione movimento, e proprio per questo sarebbe un’idea del tutto insostenibile quella di voler ritrovare le relazioni del movimento invariate nelle rappresentazioni. Se, nondimeno, l’esperienza conferma che, proprio laddove mutano i rapporti di vibrazione, vengono uditi altri suoni, e che a certi rapporti di vibrazione razionali sembrano corrispondere anche i rapporti tonali udibili, non si debbono voler utilizzare le esperienze a conferma di un pensiero in sé insensato, ma si debbono ripetere le prove stesse con maggiore precisione, per separare in esse anzitutto quel che è esatto da quanto è stato ottenuto con l’inganno. A questo riguardo è rilevante che l’orecchio musicale è di gran lunga meno preciso del calcolo e che, anche laddove l’esperto artista dei suoni percepisce suoni già assai sbagliati, chi è meno pratico avverte tuttavia ancora chiaramente l’impressione della musica. Se le impressioni musicali fossero legate in maniera del tutto determinata a certi rapporti razionali, esse dovrebbero divenire completamente incomprensibili al minimo scarto dalla più netta purezza, proprio come la razionalità dei rapporti di vibrazione viene in tal modo completamente distrutta e gettata nell’opposto territorio dell’irrazionale. D’altra parte, si potranno in seguito provare casi in cui l’orecchio sembra addirittura esigere un certo scarto dai rapporti di vibrazione razionali. Infatti il culmine di certe impressioni musicali diverge significativamente dai punti indicati dalle relazioni di vibrazione, ai quali certi musicisti si sono abituati sicuramente perché essi credevano erroneamente che si dovesse istruire l’orecchio con il calcolo. Se noi, al contrario, affidiamo all’orecchio la decisione su come il calcolo (fisico) corrisponda alla musica, occorre ancora osservare, a rettifica, che non si intende propriamente l’orecchio corporeo, e nemmeno l’udire suoni effettivamente risonanti, ma, piuttosto, 236 N. MORO la fantasia musicale, che nelle sue produzioni si trova legata a regole universali e necessarie, dunque assolutamente non empiriche. Posto che sorga un conflitto sulla giusta altezza di una terza maggiore o di una sensibile, sarebbe sbagliato andare allo strumento e stare a sentire i suoni delle corde. Ci si deve piuttosto immergere in un contesto di pensieri musicali e si deve decidere così, senza alcun aiuto dell’udito corporeo, quali suoni debbano risuonare per produrre appieno il giusto effetto. Quella sarebbe la via dell’empirista, il quale vorrebbe certo rispondere con la misurazione di linee tracciate persino ad una questione geometrica. Qui come là il mezzo sensibile è inadeguato a decidere la questione in modo puro, perché esso stesso si intromette in maniera superflua, ed in tal modo muta la concezione. Le corde vibranti che divergono percettibilmente dai rapporti di vibrazione razionali non possono lasciar sentire l’intervallo che compongono senza un fastidioso tremolio e ronzio; taluni si lasciano confondere da questo tremolio del suono, che si trova soltanto nelle condizioni esteriori della sensazione sensibile, e ritengono impreciso l’intervallo che è stato dato e percepito in maniera sgradevole. Invece, il pensiero musicale è già stato condotto proprio ad esso e subisce un danno non appena gli si vogliano imputare suoni che provengono dai corpi risonanti senza disturbarsi reciprocamente. Osservazioni di questo genere mi avevano colpito molti anni prima che io pensassi di compiere indagini psicologiche in proposito. Non ho mai potuto comprendere che il fa diesis dovesse trovarsi più in basso del sol bemolle, poiché quello tende sensibilmente verso l’alto, come sensibile del sol e già come terza nell’accordo maggiore di re. Il sol bemolle, al contrario, aumenta in espressione se lo si fa scivolare considerevolmente verso il basso, come terza minore del mi bemolle o anche come quinta diminuita del do, e, ancora, nell’accordo di settima di la bemolle. Questo oggetto è divenuto per me più interessante quando ho appreso ad estendervi i miei principi psicologici ed ho ottenuto chiarimenti che, se non erro, recano a questi stessi principi la conferma desiderata1. Per cinque volte ho visto i miei calcoli, del tutto indipendenti da ogni fisica matematica, corrispondere da vicino ai rapporti di vibrazione ammessi. Seconda, quarta e quinta corrispondevano tanto da vicino che la differenza stessa può essere appena percettibile all’orecchio più esperto; le due terze corrispondevano 1 Si vedano i miei Hauptpunkte der Metaphysik, pp. 92 e s. [Cfr. SW, II, pp. 210 e ss.; trad. it. Punti principali della metafisica, a cura di R. Pettoello, Thélème, Torino 2001, pp. 37 e ss.] Appendice 237 con un piccolo scarto, verso l’alto per quella maggiore, verso il basso per quella minore, proprio come, da molto tempo, la fantasia musicale mi era parsa esigere. Indi ho fatto prove al monocordo in presenza di un fisico e di un musicista esperto; per l’ultimo, così come per me, le terze del monocordo non erano assolutamente soddisfacenti secondo la determinazione abituale. Si possono compiere prove simili a qualunque buon fortepiano, accordando le terze in modo tale che siano liberate da ogni tremolio dei suoni che compongono l’intervallo. Esse sono dunque conformi alla determinazione abituale data sul monocordo, però non corrispondono affatto al carattere pieno degli accordi, a meno che parecchi fini conoscitori della musica, che ho interrogato in proposito in tempi diversi e perfino in diversi luoghi, non si siano illusi collettivamente. Al contrario, si ottengono le terze conformemente alla mia determinazione psicologica suddividendo l’ottava esattamente in tre parti uguali e continuando poi ad accordare secondo il temperamento equabile. Considero una significativa conferma dei miei principi il fatto che proprio il temperamento equabile conti così tanti amici tra i musicisti. Poiché, se questa accordatura degli strumenti a tastiera, considerata abitualmente solo come ripiego, non corrispondesse meglio alla fantasia musicale che non all’imperfezione dei nostri strumenti, allora i veri artisti sarebbero troppo urtati dall’imprecisione per compiacersi dell’uso di strumenti che suonano male. Il presente saggio non può costituire la trattazione completa di un oggetto che si potrebbe esaurire soltanto al centro della psicologia, quindi in immediata connessione con la metafisica generale e con il ricorso a molteplici calcoli. Quanto ai principi, mi sia intanto concesso di rimandare ai miei Punti principali della metafisica già citati. E poiché io, dacché quel libro è stato scritto, credo di aver ottenuto vari nuovi chiarimenti, spero di poter poi richiamare nuovamente l’attenzione su un’indagine che coinvolge il tutto della filosofia molto più profondamente di quanto qualcuno crederà a prima vista; in conclusione troveranno spazio ancora alcuni richiami in merito. 1. Tutte le nostre rappresentazioni possibili di suoni costituiscono un continuum che ha solamente una dimensione e che può essere paragonato ad una linea retta, perché tra due suoni qualsiasi è possibile soltanto un unico passaggio attraverso tutti quelli intermedi. Il continuum, che noi chiameremo linea tonale, è infinitamente divisibile (come tutti i continua psicologicamente presi); 238 N. MORO inoltre, esso prosegue indeterminatamente in entrambe le direzioni, così che ad esso, come alla linea temporale, si deve ascrivere una duplice infinità in entrambe le direzioni, quantunque tutti i suoni che ricorrono nell’esperienza sensibile si trovino insieme in un certo tratto non esattamente delimitato. 2. Si sarebbe indotti ad assumere una serie di leggi a priori per i rapporti armonici di certi intervalli (o distanze da un punto a piacere sulla linea tonale) conosciuti nella matematica. In tal modo si sarebbe indotti a spiegare la musica con l’intuizione pura della linea tonale e con le forme della sintesi ad essa appartenenti, proprio come la geometria e la dottrina pura della natura fanno con l’intuizione pura dello spazio. Tuttavia l’uno è inammissibile quanto l’altro, già per la semplice ragione che non si può ammettere alcuna molteplicità di forme originarie nell’anima umana, in quanto la molteplicità originaria nell’uno è ovunque ed in generale la fine e la rovina di ogni sana metafisica. L’unità dell’anima stessa è l’unica forma originaria. Qui si deve però presupporre come conosciuto dalla metafisica generale (o almeno non si deve per ora pretendere alcuna discussione in merito) il modo in cui l’anima produce da sé sola la varietà delle sue rappresentazioni nelle sue varie autoconservazioni, benché in stretta dipendenza da altri enti. Tutte le rappresentazioni, e così pure tutti i suoni, sono nell’anima Una. In essa le rappresentazioni, e così pure i suoni, si impediscono nella misura in cui sono opposti. Due rappresentazioni completamente uguali non soltanto non possono impedirsi, esse debbono anche divenire Uno, Un rappresentare indiviso di forza determinata; perché nell’anima Una nulla può giacere separato accanto ad altro, tanto poco l’uguale, senza divenire Uno, quanto l’opposto, senza opporsi reciprocamente. 3. In un continuum di rappresentazioni debbono esservene di infinitamente vicine, che quindi si impediscono infinitamente poco. Poiché, progredendo gradualmente lungo un continuum, da nessuna parte può aver luogo un salto, debbono darsi tutti i passaggi intermedi, dall’impedimento infinitamente piccolo a quello pieno. Impedimento pieno significa che, delle due rappresentazioni reciprocamente opposte, l’una dovrebbe essere interamente repressa se l’altra dovesse rimanere interamente non impedita. Ha luogo minore impedimento se l’intensione del rappresentare deve cedere Appendice 239 non interamente, ma soltanto di una sua frazione determinata, affinché l’altro rappresentare possa rimanere non impedito. Se in qualche luogo l’impedimento infinitamente piccolo delle rappresentazioni infinitamente vicine passa ad un grado di impedimento finito, allora deve esservi anche un punto determinato dell’impedimento pieno. Infatti si presuppone un continuum lungo il quale si possa proseguire all’infinito in ogni direzione. Quel 1 grado di impedimento finito sia dunque dell’impedimento pien no: l’intervallo che corrisponde a questo grado di impedimento, preso n volte, darà l’impedimento pieno. Progredendo lungo la linea infinita dal punto dell’impedimento pieno, si troverà, alla stessa distanza, un nuovo punto dell’impedimento pieno. Percorrendo così la linea infinita in entrambe le direzioni, la si scomporrà in un numero indeterminabile di distanze definite, alle quali corrisponde l’impedimento pieno. Per la spiegazione, si pensi qui subito alle ottave nella musica. La linea tonale si può scomporre in una quantità indeterminata di ottave a partire da qualunque punto assunto a piacere. Come si chiarirà in seguito, i punti finali dell’ottava sono i punti dell’impedimento pieno. 4. Le rappresentazioni che non si impediscono completamente debbono in parte divenire Uno, in parte opporsi reciprocamente. Due note di un determinato intervallo permettono quindi un punto di vista contingente (Metafisica § 2, 5)2: sebbene ciascuna in sé sia affatto semplice, esse si possono scomporre nel pensiero in uguale ed opposto, così che ciascuno costituisca una determinata frazione del tutto. Al quantum di uguaglianza corrisponde un quantum altrettanto grande di tendenza necessaria al divenire Uno, al quantum di opposizione corrisponde un quantum altrettanto grande di opposizione al divenire Uno. Si noti bene, però, che la tendenza necessaria al divenire Uno è solamente Una per entrambe le rappresentazioni, al contrario delle opposizioni, che sono ogni volta due. Quindi in due note sono presenti tre forze: il divenire Uno e le due opposizioni. Le opposizioni sono puramente e completamente opposte l’una all’altra ed al divenire Uno; perciò vi è qui un calcolo 2 [Cfr. SW, II, pp. 190-191 e 194-196; trad. it. cit., pp. 20-21 e 24-25.] 240 N. MORO simile a quello che ha luogo per le rappresentazioni che si impediscono reciprocamente. Dal § 13 della Metafisica3 si deve qui aggiungere succintamente quanto segue. 5. Si prendano tre forze che si oppongono reciprocamente in maniera tale che si spartiscano tra loro una certa somma di impedimento in proporzione inversa alla loro forza. La somma di impedimento sia grande quanto le due più deboli tra le forze, prese insieme (perché, se esse fossero entrambe interamente impedite, la più forte resterebbe non impedita; con tale assunzione la somma di impedimento diviene minima, come essa deve essere quando tutte le forze si oppongono all’impedimento). Le forze, dalla più forte alla più debole, sono a , b e c , la somma di impedimento è b c ; il rapporto di impedimento è determinato dai numeri proporzionali bc , ac , ab : di conseguenza va impedito ab(b c ) della più debole. Si ponga questo c , e, per le tre bc ac ab forze, si trova un rapporto tale per cui la più debole viene interamente impedita; noi diciamo che la più debole è sulla soglia della a coscienza. L’equazione per questo caso è c b . Quasi tutto ab quel che segue si fonda su questa equazione. Ponendo c 1 e b a , segue che a b 2 1,414 . Se si hanno quattro forze nelle stesse condizioni, tali, cioè, che le due più forti e le due più deboli siano uguali tra loro, se le più deboli sono ciascuna uguale a 1, allora per la soglia risulta, allo stesso modo, a b 2. 6. Per ciascun intervallo di due note che non si impediscono interamente l’una l’altra, dalla tendenza necessaria al divenire Uno e dal duplice opporsi deve sorgere necessariamente nell’animo un evento che viene del tutto determinato dal grado di impedimento delle note, peraltro egualmente forti4. Le due opposizioni sono ogni volta uguali. Se esse si rapportano alla tendenza necessaria [Cfr. SW, II, pp. 210-215; trad. it. cit., pp. 37-41.] Una forza diseguale non cambia nulla. Uguaglianza ed opposizione si basano soltanto sulla qualità, e, per questo rapporto, non è presente una forza che prevale da una parte. 3 4 Appendice 241 derivante dall’equazione come 2 : 1 , questa tendenza necessaria cede completamente; a ciò occorre però anche tutta la violenza delle opposizioni. Battaglia e vittoria sono complete; tuttavia le rappresentazioni delle due note rimangono anche del tutto disunite. Per trovare il grado di impedimento o l’intervallo corrispondente a questo caso, si osservi che uguaglianza opposizione la singola nota. Per le prime due si hanno i numeri proporzionali 1 e 2 come unità, quindi: ­ 1 ° ­ 1 °1 2 1 2 :® 1 :® ¯ 2 ° 2 °1 2 ¯ , la singola nota si considera 1 2,4... . 1,4... 2,4... Dunque l’opposizione di ciascuna nota alle altre è approssima7 5 , l’uguaglianza , da cui, se per ipotesi si contivamente 12 12 sidera provvisoriamente l’ottava come unità dell’impedimento o come intervallo dell’impedimento pieno, si riconosce immediatamente la 7 dell’ottava secondo una valuquinta, la cui distanza costituisce 12 tazione superficiale. Non è qui necessario un calcolo precisissimo; in proposito si può, del resto, andare a vedere il § 13 della metafisica, al quale ritornerò in seguito. Si è sempre riconosciuta la quinta come la consonanza più perfetta dopo l’ottava. Vediamo qui la medesima ragione per entrambe. L’ottava, come opposizione piena e pura, non conosce alcuna tendenza necessaria al divenire Uno; la quinta supera completamente questa tendenza necessaria e così si avvicina al massimo all’ottava. Contro questo si può per il momento obiettare che anche le seste e le settime superano la stessa tendenza necessaria: presto esamineremo questi intervalli più da vicino, come rivolti delle terze e delle seconde. Per avere un riscontro del caso appena sviluppato, si ponga la tendenza necessaria al divenire Uno proprio uguale a ciascuna opposizione. Allora si ha proprio il centro dell’ottava, il mezzo impedimento, la quinta diminuita. Vi è qui un conflitto senza vittoria, anzi, senza sopravvento, perché le forze sono uguali. Tra due note la dissonanza più completa. 242 N. MORO Ma consideriamo ora la tendenza necessaria al divenire Uno ancor più da vicino! Se essa dovesse essere assecondata, dovrebbe cessare la duplicità delle rappresentazioni; poiché essa non cessa, si può e si deve considerare questo fatto come se ciascuna delle due note fosse spinta a trapassare nell’altra. Quindi, come se la tendenza necessaria al divenire Uno si dividesse in due parti uguali, per spingere ciascuna nota separatamente. Così presa, essa potrebbe attuare da sola un grado di unione effettiva. Ma così è più debole della metà. Si ponga che queste sue metà siano sulla soglia della coscienza, allora si rapportano alle opposizioni come 1 : 2 . Quindi l’intera uguaglianza di ciascuna nota con l’altra si rapporta alla sua opposizione come 2 : 2 . Tuttavia 2 ­ 2 ° ­ 2 ° 2 2 3,414... a 2 :® . 1 :® 2 1,4 ¯ 2 ° ° 2 2 3,414... ¯ Invece di queste frazioni, per brevità si prendano 21 36 7 e 12 15 5 : si mostra la quarta, che può essere costruita con ugua36 12 glianza ed opposizione approssimativamente in queste proporzioni. Più in basso seguono le terze, nello stesso ambito in cui agisce la tendenza necessaria al divenire Uno. Se essa, nelle sue due metà, è forte quanto le opposizioni, compare la terza maggiore; se essa è così forte che le opposizioni si trovano sulla soglia della coscienza, compare la terza minore. Non mi soffermo su questo, il calcolo è come in precedenza. Quanto è necessario si trova anche nella metafisica, ibidem5. Osservo soltanto che, in realtà, il carattere armonico delle terze si spiega esaurientemente solo con la teoria degli accordi, alla quale mi affretto, perché nella metafisica non era ancora stato detto nulla in merito. Ma è ancora necessario parlare della seconda. Infatti, ogni intervallo che sia inferiore alla terza minore sembra dover mancare di chiarezza, perché già in questa terza le opposizioni si rapportano alle metà della tendenza necessaria unifican- te come 1 : 2 , e proprio per questo sono sulla soglia della coscienza. Opposizioni ancora più piccole non possono quindi man5 [Cfr. ibid.] Appendice 243 tenersi nella coscienza; ogni suono viene udito più o meno uguale all’altro. Eppure i suoni sono dati puramente e separatamente; per ciascun suono vi è dunque una duplice rappresentazione, quella originaria in ogni momento dell’udire e quella modificata, sorta da quanto è stato udito. Finché quella originaria può ancora mantenersi, finché essa non viene spinta sulla soglia della coscienza da quella modificata, anche la differenza resta chiara. Anche qui il rapporto 2 : 1 indica il punto di separazione. I suoni spinti dalla mezza tendenza necessaria al divenire Uno siano considerati come da essa pervasi e rafforzati, così che un suono modificato sia Se stesso la mezza uguaglianza: esso deve allora rapportarsi a se stesso solo come 2 : 1 . 0,414... è dunque il numero proporzionale per la mezza uguaglianza, 0,828... per 1 l’uguaglianza intera. All’opposizione rimane quindi 0,1666... ; 6 inoltre, è noto che 6 seconde non trovano interamente spazio nell’ottava. Gli intervalli che siano ancora inferiori a questa seconda (cioè quella maggiore) sono privi anche di questo ausilio alla distinzione ed i loro suoni fluiscono l’uno nell’altro. La musica, poi, si concede di ascrivere ad una stessa nota un’alterazione di seconda minore ascendente ed una discendente. In tal modo la nota viene considerata, in un certo senso, sempre come la stessa all’interno di questa sfera che, riunita, ammonta ad una seconda maggiore. Nondimeno, ogni orecchio anche solo discretamente esperto distingue, all’interno della seconda stessa, intervalli più piccoli, o quando i suoni si susseguono l’un l’altro o, per quelli che risuonano contemporaneamente, attraverso un orientamento successivo dell’attenzione ora all’uno ora all’altro. Ciò si spiega assai facilmente nel contesto della psicologia. Se, infatti, uno dei due suoni nella coscienza viene portato a sprofondare, allora sprofonda anche la modificazione che esso ha apportato all’altro; ed in questo modo la chiarezza della distinzione viene raggiunta ancora anche laddove essa sarebbe stata altrimenti impossibile. Tutto dipende ora dalla verifica dell’ipotesi che l’ottava segni il punto dell’impedimento pieno. Ciò diviene estremamente probabile già perché l’ottava, fra tutti gli intervalli, fa un effetto minimo, in realtà proprio nessuno, se non quello per cui essa fa udire due suoni molto facili da distinguere. Appunto come deve accadere nell’impedimento pieno, perché non vi ha luogo alcun conflitto tra le opposizioni ed il divenire Uno. Inoltre le none (in quanto inter- 244 N. MORO valli, non sotto l’aspetto armonico), le decime e così via vengono udite proprio come gli intervalli inferiori di un’ottava, cosa che si può spiegare soltanto con l’abitudine dell’orecchio a prendere ottava ed unisono come identici, ed a sostituirli l’uno all’altra nel pensiero, dunque ad alzare di un’ottava la fondamentale di none, decime, undicesime e così via. Ma l’identità di ottava ed unisono può aver luogo solo a condizione che questo intervallo sia privo di effetto, dunque a condizione che sia assente il conflitto tra uguaglianza ed opposizione. Proprio così si spiegano ora le seste e le settime come terze e seconde rivoltate, perché ottava ed unisono vengono posti l’uno uguale all’altra nel pensiero. In particolare la dissonanza stridente della settima maggiore ha origine evidentemente nel conflitto tra l’identità vera con l’ottava sostituita e la forte opposizione alla fondamentale. Ciò ha luogo anche quando alla settima, in quanto sensibile, non viene aggiunto con il pensiero l’accordo della sopradominante, fatto per cui due interi accordi entrerebbero in conflitto. Ma la migliore conferma all’ipotesi dell’ottava come rapporto di impedimento pieno si ottiene constatando che i punti individuati attraverso il nostro calcolo corrispondono effettivamente a quelli distinti dall’orecchio. Se l’incertezza dell’orecchio dovesse esser risolta interamente attraverso il calcolo, conviene fidarsi dello stesso calcolo anche riguardo alle terze, una volta che quinta, quarta e seconda siano già state trovate conformi ad esso, nei limiti in cui l’orecchio sa distinguere con precisione. Ciò, però, come ho osservato prima, non rivela alcuna fede servile, ma, piuttosto, una nuova conferma positiva del calcolo stesso, conforme non solo al mio orecchio, ma all’esame di più musicisti. Ora, tutto questo sussiste di per sé e del tutto indipendentemente dai calcoli dei rapporti di vibrazione dei corpi sonori. Tuttavia è interessante operare il confronto, poiché i rapporti di vibrazione sono riconosciuti da lungo tempo anche dall’orecchio. Ho fornito il confronto nella metafisica6. Almeno per la seconda, la quarta e le due quinte la corrispondenza è stretta quanto si possa auspicare. La possibilità del confronto si basa però sulla sostituzione dei rapporti di vibrazione geometrici con quelli aritmetici corrispondenti, quindi sul fatto che si calcoli non con i numeri dei rapporti di vibrazione, ma con i loro logaritmi. La giustezza di questo scambio è fuor di dubbio. Per l’orecchio musicale tutte le ottave sono ugualmente grandi, perché in tutte vanno distinti gli stessi elementi. Ma sussistono differenze delle rappresentazioni solo nella misura in 6 [Cfr. ivi, p. 215; trad. it. cit., p. 41.] Appendice 245 cui vengono percepite differenze nelle rappresentazioni, poiché le rappresentazioni non sono nulla al di fuori della percezione; non sono cose in sé né loro modificazioni che potrebbero tener nascoste certe differenze a noi sconosciute. I rapporti di vibrazione 1,2,4,8,...,2 n valgono dunque, nell’ambito delle rappresentazioni, per distanze uguali o per i numeri 0,1,2,3,..., n ; e così è per tutti gli altri intervalli. Il resto si può andare a vedere nel luogo indicato7. 7. Possiamo ora osare avvicinarci al problema più interessante di questa intera ricerca, alla spiegazione degli accordi perfetti. Si deve qui mostrare perché ve ne possono essere proprio due e non di più; inoltre, si deve mostrare in quale relazione stia, rispetto a loro, la cosiddetta triade diminuita (con la terza minore e la quinta diminuita), una bizzarra via di mezzo, che non è consonante e pure è incapace di una risoluzione vera e propria come le dissonanze autentiche. Poiché qui si trovano tre suoni contemporanei, è necessaria una considerazione preliminare sull’idea che ci si dovrebbe fare di un suono al quale ne siano opposti altri due in rapporti qualsiasi. Questo suono sia intermedio tra uno più alto ed uno più basso. Esso può avere in comune con entrambi lo stesso quantum di uguaglianza; eppure non è la medesima uguaglianza. Poiché, nella misura in cui il suono è uguale a quello più alto, esso è certo ancor più opposto a quello più basso. Se lo si spostasse qua e là tra gli altri due, l’uguaglianza con l’uno crescerebbe quanto quella con l’altro diminuirebbe. È dunque necessario distinguere le varie uguaglianze, e precisamente secondo le due direzioni opposte verso cui le uguaglianze sono dirette. Ma il concetto di direzione opposta richiede il simbolo di una linea retta, con esso indicheremo quindi il suono e su di esso tracceremo le varie uguaglianze da entrambe le parti. Per es. il simbolo della nota mi sarà il seguente8, se insieme risuonano do e sol: 7 Ivi, p. 96, r. 7, si deve porre log 2 : log 9/8 invece dell’errore di stampa log 9/8. Si può eseguire il calcolo con comuni logaritmi, poiché qui sono in questione semplicemente rapporti di logaritmi. [Cfr. ibid., dove peraltro l’errore segnalato da Herbart è già stato corretto. Herbart fa riferimento alla seconda edizione, per il commercio, degli Hauptpuncte der Metaphysik, Danckwerts, Göttingen 1808.] 8 [La figura è stata corretta dalla Curatrice (spostando di una tacca verso sinistra l’indicazione del sol), sulla scorta della versione dello stesso schema che compare sia nell’edizione originale del testo, in «Königsberger Archiv für 246 N. MORO Con le perpendicolari tracciate verso l’alto è indicata l’uguaglianza con il sol, con quelle tracciate verso il basso quella con il do. Lo spazio intermedio di circa cinque dodicesimi, è sì comune alle uguaglianze, ma è opposto agli altri due spazi, perché, quando esso appartiene all’uguaglianza con il sol, sorge l’opposizione al sol, quando, invece, esso appartiene all’uguaglianza con il do, sorge l’opposizione al do. Una volta afferrata quest’idea, la spiegazione degli accordi perfetti si offre quasi da sé. Infatti si vede già nell’esempio dato che, attraverso la doppia frazione, la terza maggiore dell’accordo perfetto viene scomposta in tre forze che si oppongono completamente l’una all’altra; si dovrà dunque andare a vedere se la più debole di esse non venga spinta sulla soglia della coscienza. Per un’indagine provvisoria, la dodicesima parte funga da unità, da a 5 (5.) si ha la formula c b . e resta da vedere se 3 4 ab 45 4 5 2,89... , dunque 3 assai da vicino; si è così scoperto un 3 segno caratteristico che contraddistingue la terza maggiore dell’accordo perfetto, quando essa si trova tra la quinta e la fondamentale. Ma lo stesso segno caratteristico contraddistingue ciascuna nota dell’accordo perfetto, non solo in questa, ma in ogni posizione, anzi, contraddistingue le note non soltanto nell’accordo maggiore, ma anche nell’accordo minore, infine anche negli accordi di sesta e quarta-sesta. Di ciò si può convincere chiunque voglia eseguire i E Philosophie, Theologie, Sprachkunde und Geschichte», I (1812), p. 176, sia in Johann Friedrich Herbart’s sämmtliche Werke, a cura di G. Hartenstein, vol. VII, Voss, Leipzig 1851, p. 16. Un disegno analogo (e corretto) si trova anche in Psychologische Untersuchungen (SW, XI, tav. I, fig. 10), esso rappresenta la medesima situazione tonale e corrisponde alla descrizione che Herbart fornisce anche nel presente testo.] Appendice 247 disegni necessari. Questo è dunque il carattere generalissimo della triade perfetta e delle sue trasformazioni. Da ciò sorge ora l’importante questione se questa frazione in tre forze, delle quali una è sulla soglia, sia anche un carattere esclusivo o se frazioni simili siano possibili anche in altri rapporti, oltre che per i numeri 3 , 4 e 5 . In tal caso va subito osservato che indubbiamente si può trovare un’infinità di altri numeri con la stessa qualità, la cui somma sia uguale a 12 , se ci si vuol concedere di introdurre tutte le frazioni possibili. Tuttavia, ad un accordo si addicono soltanto quei suoni che, con la precedente determinazione degli intervalli, sono stati riconosciuti come tali da suscitare un certo effetto. Perché, in una connessione a tre, tutti i binioni che vi si trovano debbono essere senza errore. È però errato ogni intervallo che, di per sé privo di un effetto determinato, ne richiama un altro, del cui effetto ora ci si ricorda e ci si accorge della sua assenza. Nel calcolo che deve rispondere alla domanda posta, si assuma di nuovo ad unità la singola nota stessa; le tre forze in cui la frazione la scompone sono così frazioni dell’unità. Dunque a a b c 1 e, affinché c sia sulla soglia, b c 1 a b ab vb 1 v , da cui v 3 2v 2 v 1 b 2 b 3 0 . v v a b diventa 2b , se b ottiene il valore massimo a , perché la determinazione della formula della soglia presuppone che b non sia maggiore di a . Ma v 2b dà 7b 2 8b 2 0 e la oppure b 4 2 1 0,369... ! , cioè questa radice è 7 3 maggiore dell’opposizione della terza maggiore, comunque è più vicina ad essa che all’opposizione della quarta. Ciò che ne segue si chiarirà con l’aiuto del seguente disegno: formula utilizzabile è b 248 N. MORO Risuoni il do, e contemporaneamente ad esso mi e sol, affinché esso venga fratto come mostra la figura. Il calcolo appena eseguito presupporrebbe ora che le due più forti tra le forze che sorgono con la frazione siano uguali. Ed esso ha dato come risultato che ciascuna di esse debba poi essere 0,369 , affinché la terza forza, il resto dell’unità, venga spinta sulla soglia della coscienza. Se una tale frazione deve sorgere attraverso un mutamento della frazione dell’accordo perfetto, allora il tratto verso il basso, che rappresenta l’opposizione del do al mi, deve avanzare fino al più vicino tratto verso l’alto; e, allo stesso modo, invece del tratto che indica l’opposizione di do e sol, si deve prendere quello verso l’alto a lui più vicino. Allora i due segmenti maggiori ed estremi della linea 4,4... sono 0,369... . Dunque, con il do dovrebbe risuonare una 12 coppia di suoni dei quali uno sarebbe un po’ più alto del mi, l’altro un po’ più basso del sol diesis. Questo darebbe un accordo perfetto, se un accordo perfetto potesse consistere di intervalli imperfetti. Poiché l’equazione v 3 2v 2 v 1 b 2 b 3 0 non deve ammettere alcun valore di b maggiore di b 0,369... , il valore mas1 , appunto lo stesso simo utilizzabile che si può assumere è b 3 che esso ha nell’accordo perfetto. Con questo valore per l’opposizione della terza, l’equazione determina ora il valore preciso che la quinta deve avere nell’accordo perfetto e che differisce di poco da quello trovato precedentemente, che spetta alla quinta 1 semplicemente come quinta. Si ponga infatti nell’equazione b 3 3 u : da qui risulta più precisamente v 0,751364... , e da e v 4 ciò a v b 0,4180... . Questo è il maggiore dei tre segmenti sulla 5 linea, che prima è stato posto superficialmente e che indica 12 l’uguaglianza della quinta. In (6.) si è trovata la stessa uguaglianza 1 2 1 della quinta 0,414... . L’uguaglianza della quin1 1 2 ta nell’accordo perfetto deve dunque essere presa un po’ più grande (poiché 0,418... ! 0,414... ), ossia la quinta deve scivolare un po’ Appendice 249 verso il basso. Con ciò si conferma di nuovo la bontà del temperamento equabile. Perché, se si volesse prendere la quinta assoluta1 mente esatta, la terza dovrebbe essere innalzata ancora oltre 3 dell’ottava, come il calcolo precedente lascia facilmente riconoscere; così essa differirebbe ulteriormente dalla determinazione del rapporto di vibrazione 4 : 5 . Del resto, il rapporto di vibrazione della quinta dà l’uguaglianza di essa 0,4150... , come si trova facilmente dai numeri calcolati nella metafisica9. La quinta abitualmente ammessa cade dunque tra le due determinazioni trovate qui e risulta tanto più facilmente comprensibile che la prassi, sulla quale tutte queste sottili differenze possono influire ben poco, si accontenti di quanto ammesso. Qui è ancora rilevante la determinazione della terza minore, la cui opposizione è indicata, su quella linea, dalla più piccola fra le tre distanze. Questa opposizione è 1 v 0,2486... , dunque la terza minore, per l’utilizzo negli accordi, diviene ancora inferiore a 1 dell’ottava ed inferiore alla seconda eccedente, poiché il suono 4 che deve formare questo intervallo rispetto alla terza minore della fondamentale deve stare, come quinta diminuita, nel mezzo dell’ottava calcolata dalla fondamentale; e, proprio come terza maggiore della seconda maggiore, esso viene fatto salire ancora più in alto. Con questo si spiega poi perfettamente la violenza del salto di seconda eccedente. Il successivo valore utilizzabile di b che si può porre nell’equazione precedente è l’opposizione della terza minore; per 1 verso sinistra il tratcui, nel pensiero, è opportuno spostare di 12 to del disegno che indica l’opposizione della terza maggiore. Così la forza intermedia fra le tre diminuisce e quella più grande dovrà quindi aumentare, per spingere la più debole sulla soglia. Si sposti allora verso sinistra anche il tratto che, in basso, è contrassegnato 1 con “sol”, e precisamente molto più di , perché dal calcolo risul12 ta che ora lo spazio più piccolo che rimane nel mezzo può ammontare solo a circa 0,207... , affinché la soglia venga raggiunta. Qui non è dunque possibile alcun accordo perfetto; si può però ben 9 [Cfr. SW, II, pp. 210-215; trad. it. cit., pp. 37-41.] 250 N. MORO comprendere che la triade diminuita dal suono cupo, la cui quinta diminuita volge malinconicamente verso il basso, si avvicini a quel rapporto, e perciò contenga almeno una traccia del carattere armonico che la rende utilizzabile per i passaggi. Non vale la pena cercare altri valori di b , poiché si vede già chiaro a sufficienza che l’equazione che esprime in generale la qualità dell’accordo perfetto si può applicare solamente agli accordi perfetti conosciuti. Quindi il carattere per essi trovato non è solo generale ma anche esclusivo e non vi possono essere accordi perfetti altri dal maggiore o minore. Se però si domandasse come una frazione di ciascun suono in tre forze, delle quali una cede alle altre, possa avere un carattere armonico, è più semplice chiarire dapprima il contrario, vale a dire che una frazione in forze uguali produrrebbe una mera contrapposizione, un conflitto senza fine. Questo vale per tutte le frazioni in parti uguali. Se le parti sono due, si ha la quinta diminuita; se sono tre, si ottengono tre terze maggiori, come do, mi, sol diesis, do; se sono quattro, sorgono quattro terze minori, come do, mi bemolle, fa diesis, la, do, dove il suono mediano deve oscillare tra fa diesis e sol bemolle. Soltanto dissonanze della specie più dura, che sono per giunta del tutto incomprensibili, perché la quinta diminuita diviene comprensibile solo attraverso una determinazione più precisa, come quando mi bemolle e fa diesis si allontanano in quanto seconda eccedente, oppure nella connessione do, re, fa diesis e simili. Il contrario della frazione in forze uguali è quella in cui una forza deve cedere completamente alle altre due. Se quella che cede fosse ancor più debole, resterebbe il conflitto delle altre due, dopo che essa fosse già stata oscurata. Questo può esser meglio illustrato con la teoria psicologica del progressivo sprofondare della somma di impedimento, ma non è questo il luogo adatto. Anche il principio stesso dell’armonia è stato già osservato nelle connessioni di due note. Presenta più difficoltà la questione sulla differenza tra maggiore e minore. Infatti il carattere indicato in precedenza è assolutamente comune ad entrambi. Non so se risponderò sufficientemente alla domanda osservando che, nel risalire le note dell’accordo maggiore, le opposizioni crescono pressoché in proporzione geometrica: una proprietà che manca al minore. Le opposizioni di terza, quinta ed ottava alla fondamentale sono infatti 0,333... , Appendice 251 0,582... , 1 ; ed il terzo numero proporzionale ai primi due è 0,338... , approssimativamente uguale a 1 . 0,333... Si può quanto meno avvertire che si risale l’accordo maggiore con facilità, mentre in quello minore la distanza dalla terza alla quinta ha qualcosa di difficilmente varcabile. La questione sul carattere della fondamentale in opposizione alla voce superiore presenta un’altra difficoltà. La frazione è diversa essenzialmente, cioè nei rapporti; negli accordi di sesta e di quarta essa è come nell’accordo perfetto. Sembra non restare altro che ammettere una differenza originaria delle due direzioni della linea tonale, così che la frazionabilità dei suoni cresca con la loro altezza e diminuisca con la profondità. Da questo presupposto segue evidentemente che le note più alte di ogni accordo cedono più di tutte alla frazione operata da quelle più basse e che, dunque, quelle più alte vengono sentite di preferenza come quelle fratte, quelle più basse, al contrario, come quelle che frangono. Segue allora che la fondamentale si dà a conoscere come quella che frange più di tutte, come determinante, ma di per sé determinata meno di tutte. 8. Il carattere delle dissonanze risolvibili, ed in particolare dell’accordo di settima con le sue specie e trasformazioni, non può essere derivato dai meri rapporti di frazione. Ci si deve qui ricordare che la risoluzione delle dissonanze trapassa già nel successivo, quindi nel melodico; dovremo allora arrischiare almeno un passo in questo ambito, poiché nulla è così ovvio come la considerazione delle scale. Volendo procedere da un suono in modo che avvenga un passo completo, eppure nessun salto, la seconda maggiore è l’intervallo indicato. Secondo (6.), essa contiene proprio tanta opposizione quanta è necessaria per la piena distinzione dei suoni, ma anche nulla di più; quindi essa soddisfa allo stesso tempo entrambe le esigenze della chiarezza e del contesto, i requisiti primi di ogni melodia. Si passi dunque da do a re, e da re a mi, parimenti da mi a fa diesis. Si noti l’effetto che queste rappresentazioni successive debbono avere l’una dopo l’altra. Mentre il re risuona, e mentre esso viene percepito senza impedimento, il do udito prima deve sprofondare nella coscienza conformemente al suo grado di impedimento. Esso sprofonda quindi in maniera tale che l’intensione del 252 N. MORO 2 (per l’esattezza un po’ di 12 più ancora). Segua ora il mi. L’impedimento del do cresce allora a 4 a causa del maggiore grado di impedimento, ed il do già spro12 fondato deve sprofondare ulteriormente della stessa quantità, 6 complessivamente. Ora risuona il fa diesis e porta al quindi di 12 6 do un impedimento di ; in tal modo la rappresentazione del do 12 viene interamente impedita. Il punto d’inizio della serie scompare ed il successivo perde la relazione con il primo. Procedendo a sol diesis, si estingue il re, a la diesis, scompare il mi, e così di seguito. Se si fa seguire il sol anziché il sol diesis, il sol non viene più fratto dal do, bensì dal re, e precisamente con la sensazione che incominci una nuova serie di pensieri, essendo or ora scomparso il punto iniziale di quella precedente. Si prenda però il fa invece del fa diesis e si faccia poi seguire il sol. Allora il sol viene ancora determinato dal do, e così il do scompare non repentinamente (come prima, quando esso, attraverso il fa diesis, è affondato all’improvviso dell’intera sua metà), 1 ma progressivamente, mentre il sol trova ancora soltanto di 12 esso. Qualunque cosa possa ora seguire, non può sorgere la sensazione di una serie di pensieri rimossa e di un’altra incipiente. Segua ora il la: in tutta la scala, questa è la nota che entra meno di tutte in connessione con la fondamentale. Adesso ci si avvicina però ad una nuova decisione. Perché segue il si bemolle, ed allora il fa non si estinguerà, oppure il si, ed il fa affonda quindi all’improvviso e contemporaneamente viene richiamato nella coscienza il do, il punto d’inizio della serie. Quest’ultima cosa vale per un orecchio discretamente esperto, al quale sia già familiare l’identità di unisono ed ottava. In tal modo la rappresentazione dell’ottava diviene desiderio, e, per soddisfarlo, deve risuonare l’ottava. Questo si può spiegare meglio in psicologia. Alla fine della scala, nella coscienza vi sono l’ottava, la fondamentale, la quinta e ciò che sta tra quinta ed ottava; la quinta e la fondamentale, in quanto note più basse, danno la frazione decisiva per l’ottava. La terza, invece, non è nella coscienza, altrimenti le ultime quattro note non sarebbero utilizzabili nel minore come nel maggiore, cosa che è possibile soltanto finché la terza, nell’istante della chiusura, è rappresentare effettivo diminuisca di Appendice 253 indeterminata, e quindi determinabile a piacere. Tuttavia, non appena la terza viene data nella chiusura, riappare nuovamente anche la precedente rappresentazione di essa; per cui una chiusura nel modo opposto a quello che precede sorprende. Rivolgiamoci all’accordo di settima, o piuttosto a quello ad esso affine, l’accordo di seconda, ossia quello che sorge dall’accordo di settima sulla sopradominante. Si scelgano tre note dalla sequenza tonale do, re, mi, fa diesis e si facciano risuonare contemporaneamente. Tutte e quattro allo stesso tempo non verrebbero distinte, perché la seconda, l’intervallo minimo puramente distinguibile, è 1 maggiore di dell’ottava, quindi tre seconde non trovano spazio 6 nella mezza ottava do-fa diesis. Per la stessa ragione non si possono scegliere do, re, mi, e nemmeno re, mi, fa diesis; infatti due seconde non hanno spazio in questa terza parte dell’ottava. Si scelgano dunque do, re, fa diesis oppure do, mi, fa diesis. Ma, in base a quanto precede, non è poi così facile chiarire quel che può essere delle ultime tre, quantunque ciò sia sufficientemente noto ai musicisti. Si rimanga allora a do, re, fa diesis: queste tre note rappresentano, per un orecchio già esperto nelle scale, il caso già considerato prima, poiché si era saliti dal do fino al fa diesis, e la serie di pensieri in corso era in procinto di interrompersi per fare posto ad una nuova che dovesse incominciare con il sol, il quale viene scomposto ancora dal re. Se il re fosse mancato, non sarebbe stata presagita quella frazione che è necessaria all’accordo perfetto di sol. Cogliamo così l’orecchio nel passaggio ad un nuovo pensiero musicale, del quale rimane indeterminato solamente se esso conterrà un accordo maggiore o minore. Con questa spiegazione della tensione dell’accordo di settima di dominante si chiudano le presenti osservazioni. Si è sottoposto materiale sufficiente all’esame di lettori assennati e competenti; si spera inoltre che, per loro, tutto sia stato svolto con la dovuta chiarezza. Quanto esposto è stato raccolto in una serie di indagini rivolte a questo oggetto in tempi diversi lungo una serie considerevole di anni. In maniera altrettanto progressiva questa teoria si svilupperà ulteriormente. Per me si è concluso da lungo tempo il sogno felice nel quale alcuni sono sospesi, credendo che insieme con i principi si possiedano al tempo stesso i chiarimenti che se ne possono ricavare. --- --- --- 254 N. MORO Se, edotto da una serie troppo lunga di esperienze spiacevoli, non dovessi preoccuparmi che tra i lettori di questo saggio si troveranno anche lettori superficiali, e tra i lettori superficiali la maggior parte dei relatori e dei critici, aggiungerei allora che desidero considerare il presente saggio una dimostrazione di ciò che intendo per psicologia migliore e che ho ritenuto la divulgazione di tale dimostrazione un debito, che mi sono accollato molto tempo fa con talune dichiarazioni contro la psicologia valsa finora. Mi risolverei malvolentieri a contestare formalmente tale psicologia valsa fin qui, non solo perché la battaglia contro un tale avversario non può essere proprio onorevole, ma anche perché questo avversario, seppure già vinto, andrà in giro ancor sempre in pubblico e dappertutto, universalmente protetto e curato dagli uomini con una simpatia molto naturale. Come noi tutti pur sempre diciamo che il sole sorge e tramonta, nonostante l’astronomia, così noi tutti parleremo incessantemente anche di fantasia ed intelletto e memoria. Perché queste espressioni sono utili per l’indicazione provvisoria di ciò che ci colpisce inizialmente, quando vogliamo farci un’idea generale delle esternazioni di uomini diversi. Le stesse espressioni sono però inadeguate a lasciar riconoscere anche solo qualcosa della verità nascosta dietro le apparenze. Perciò, se potesse riuscire, si desidera procurare ad alcuni principianti una veduta forse più corretta, un ingresso ed una riflessione ulteriore con cui avvicinarsi alla scienza, senza polemica contro quanto di utile e di abituale vi è nell’opinione e nel discorso non scientifici. Certo però che, se un saggio sulla musica deve essere d’aiuto in questo, quei superficiali difficilmente tralasceranno di obiettare che la musica è qualcosa di specie tutta particolare, che non c’è proprio da meravigliarsi se in essa si procede bene con il calcolo, che sui rapporti tonali si sono da sempre eseguiti calcoli, che però così non si guadagna nulla alla restante psicologia, e che quindi resta un’impresa presuntuosa quella di voler non soltanto edificare la psicologia sulla metafisica, ma realizzarla addirittura in collegamento con matematica ed osservazione. Queste brave persone, infatti, hanno senza dubbio già dimenticato che, nella teoria precedente, le frazioni dei rapporti di vibrazione fin qui conosciute sono affatto superflue e fungono soltanto da conferma e confronto. L’intera teoria, al contrario, è basata su certe formule psicologiche fondamentali dell’uso più generale, che dovevano esistere già prima che si potesse anche solo pensare ad una tale teoria. Effettivamente ho posseduto le formule fondamentali più di sei anni prima e le ho applicate a parecchie indagini prima che mi riuscisse di scoprire almeno i rudimenti della loro applicazione alla musica. Appendice 255 Ma nessun riguardo a superficialità e pregiudizi mi deve ostacolare nel dire il necessario sulla relazione della presente ricerca con la filosofia pratica. Ho mostrato che quest’ultima scienza si basa su una quantità di giudizi estetici esattamente determinati. Purtroppo, per i nostri studiosi di estetica, i giudizi estetici esattamente determinati sono così nuovi ed estranei che essi non vogliono credere alla loro possibilità e non comprendono come la sabbia estetica debba poter sorreggere un solido edificio. Ho ricordato che l’edificio della musica sta saldo da secoli sulle determinazioni estetiche dei rapporti tonali. Tuttavia si conosce la musica solo dalle ore di riposo, e, durante il lungo dominio della filosofia kantiana, a nessuno è neppure venuta in mente l’idea, che essa stessa induce a pensare, di confrontare la linea tonale con spazio e tempo. Le nostre estetiche contengono ogni cosa al mondo, perfino l’origine del mondo stesso, piuttosto che le semplici regole fondamentali dell’unica tra le arti che davvero conosce le proprie regole fondamentali. Le cose rimarranno così probabilmente ancora per lungo tempo, finché un giorno si scopriranno gli elementi semplici del bello spaziale e poetico. Frattanto sta di fatto che dalla filosofia pratica si pretendono non solo salde distinzioni tra lodevole e biasimevole, ma anche una teoria sulla possibilità di tali indagini, e, per giunta, i teoremi della possibilità dell’osservanza di queste distinzioni con una ferma volontà. E, prima di aver compreso queste possibilità, non si vuol credere alle distinzioni tra lodevole e biasimevole – come se davvero la distinzione tra onore e vergogna, diritto ed ingiustizia, virtù e vizio rimanesse dubbia tanto a lungo, finché la filosofia teoretica non abbia dimostrato l’origine delle azioni dell’animo che avvengono in noi mentre giudichiamo e deliberiamo l’etico. Nemmeno a questa sventura si può più porre rimedio finché la psicologia non potrà produrre davvero le dimostrazioni richieste; poi emergerà che così non si sarà ottenuta null’altro che teoria, e che questa stessa teoria sarà incomprensibile a colui che non conosca già prima ciò di cui essa parla, vale a dire gli stessi giudizi pratici originari, la cui validità essa deve presupporre senza poterla dimostrare. Finché non avverrà questa guarigione radicale dal pregiudizio che confonde l’una con l’altra la filosofia teoretica e quella pratica, può essere utile cimentarsi provvisoriamente con il modello della filosofia pratica, la musica, ed andare a vedere qui in che modo, attraverso una teoria psicologica della teoria musicale, venga fondata la verità della stessa teoria musicale. Il ridicolo della questione diverrebbe ancor più evidente se qualcuno che non avesse alcun senso per la musica leggesse la presente od una qualche trattazione psicologica sulla teoria musicale e poi si 256 N. MORO ne psicologica sulla teoria musicale e poi si domandasse se egli a quel punto comprendesse la musica forse più di prima. Certamente almeno i buoni musicisti pratici, i veri conoscitori, non penseranno che lo sguardo più aperto sull’anima, su come essa fa a trovare giuste certe armonie ed altre errate, possa dare la benché minima aggiunta alla loro convinzione di questa giustezza od erroneità. Questa convinzione sta salda come un sapere rigorosamente assoluto, salda come un sapere originariamente molteplice, salda senza principio e senza unità, ma è al tempo stesso una somma di principi suscettibili di unificazione in una sola opera d’arte. E, se le nostre presenti indagini non sono fallite, con esse abbiamo imparato a comprendere che e perché il sapere musicale deve essere siffatto, che e come le diverse frazioni delle note davano in origine un senso diverso degli intervalli. Abbiamo dunque guardato abbastanza profondamente nella nostra anima – e non certo per guadagnare una conoscenza esaustiva dell’oggetto proposto, ma sicuramente per offrire un utile confronto con le dottrine fondamentali della filosofia pratica.