IL TRANSFER PRICING E LA NORMATIVA ANTI

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IL TRANSFER PRICING
E LA NORMATIVA ANTI-ELUSIONE IN ITALIA
Approfondimento a cura del Dott. Piero Giovannini - Dottore Commercialista
Studio Bonacchi & Giovannini & Associati – Pistoia
Savino & Partners s.r.o. – Praga
Il transfer pricing, ormai inserito a pieno titolo nella terminologia fiscale internazionale, identifica
quella pratica per cui, attraverso cessioni di beni e/o prestazioni di servizi tra imprese associate ed
appartenenti in genere ad uno stesso gruppo, operate sulla base di corrispettivi inferiori a quelli di
mercato, si realizza di fatto un trasferimento di redditi da una società del gruppo ad un'altra.
Nell’ambito del processo di profonda modifica delle relazioni commerciali transnazionali, passato
ormai nella opinione pubblica come “globalizzazione” dell’economia mondiale, le politiche di
transfer pricing vengono ad assumere sempre maggiore importanza, con una dinamica che
potremmo definire inversamente proporzionale alla diminuzione delle differenziazioni tra mercato e
mercato, tra consumatore e consumatore.
Originariamente e tradizionalmente, tra le molteplici motivazioni che potevano indurre le imprese a
deviare dalle ordinarie pratiche commerciali nella determinazione del prezzo di scambio con le
consociate, si potevano sintetizzare le più comuni:




eludere disposizioni valutarie o eventuali oneri anti dumping;
incidere sulle richieste di aumenti salariali mostrando profitti meno elevati;
indurre le autorità governative ad elevare il prezzo imposto di alcuni prodotti in relazione
all'aumento dei costi;
ridurre i profitti delle controllate al fine di evitare reazioni negative negli Stati esteri
Sempre in termini generali, appare tuttavia evidente e palese la volontà di molti complessi
aziendali, se non talvolta l'esigenza, di pianificare le diverse attività del gruppo in vista del maggior
risparmio di imposta possibile, computato ovviamente su base consolidata ed in capo al soggetto
economico titolare delle leve di controllo del Gruppo. Si può considerare infatti metabolizzato
dall’imprenditoria il concetto per cui un'impresa che ne controlla altra, fiscalmente residente in uno
Stato estero a bassa fiscalità, ha interesse a dirottare la maggior parte dell’utile fiscalmente
imponibile verso quest'ultima, per eludere la più elevata tassazione, così come ordinariamente
applicabile nel proprio Stato di residenza.
Proponiamo un semplice esempio:
A è un'impresa residente in Italia.
B è un'impresa controllata da A e residente a Cipro, in regime di tassazione agevolata = 0.
A rivende a B, per 90, un bene che le è costato 100.
B vende detto bene nel suo mercato interno a 130.
Il transfer price è pari a 90. Il risparmio fiscale è pari a 14.4, ipotizzando una tassazione al 36% in
Italia.
Nello schema si realizza, di fatto, un trasferimento di reddito imponibile da A a B. L'utile che A
avrebbe conseguito se avesse venduto il bene ad un'impresa indipendente in condizioni di libero
mercato, viene infatti alla fine tassato in capo a B, che risiede in uno Stato a bassa imposizione
fiscale.
La possibilità di introdurre politiche di condizionamento dei prezzi di trasferimento fra imprese
controllate o collegate, con lo scopo – esplicito o implicito - di sottrarre reddito materia imponibile
agli Stati a fiscalità più elevata, spinge questi ultimi e le organizzazioni internazionali a focalizzare
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la propria attenzione sul fenomeno in esame, adottando in sede legislativa ed interpretativa le
cosiddette “linee guida”, ovvero metodi induttivi di determinazione del valore contabile e
imponibile dei transfer prices. Gli approfondimenti e le pubblicazioni sono basati sui rapporti redatti
dal Comitato Affari fiscali dell'Ocse, dal 1979 in poi, ed imperniati sul principio detto “at arm's
lenght” o prezzo di libera concorrenza e cioè sul prezzo che sarebbe stato concordato tra imprese
indipendenti per operazioni identiche o similari a condizioni similari o identiche nel libero mercato.
In pratica, al fine di individuare se ed in quale misura il prezzo di trasferimento pattuito tra
imprese associate è stato condizionato da regole diverse da quelle esistenti in condizioni di libera
concorrenza (in applicazione dell' “at arm's lenght principle”) è possibile ricorrere a tre metodi
principali:
Confronto di prezzo
(Comparable Uncontrolled Price
Method)
La congruità della transazione
viene vagliata confrontando il
prezzo di vendita intragruppo
con quello che sarebbe stato
stabilito per analoghe
transazioni intercorse tra
imprese tra loro indipendenti
(confronto esterno) o tra
un'impresa del gruppo ed una
estranea (confronto interno)
Prezzo di rivendita
(Resale Price Method)
Costo maggiorato
(Cost Plus Method)
Il prezzo di trasferimento è
confrontato con il prezzo a cui
un bene acquistato da
un'impresa associata viene
rivenduto ad una impresa
indipendente, diminuito di un
margine di utile lordo, per
coprire le spese di diretta
imputazione ed una quota di
costi generali
Il prezzo di cessione è
confrontato con i costi sostenuti
dal fornitore di beni o di servizi
nell'ambito di un'operazione
intragruppo, addizionato del
margine lordo del fornitore,
imputato in relazione alle
condizioni oggettive e
soggettive dell'operazione
(Approfondimenti su www.oecd.org, dove si può acquistare, a € 44, la versione friendly users del testo “Transfer Pricing
guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrators”)
La normativa anti-elusiva in Italia: Transfer pricing, CFC e indeducibilità dei costi
Per quanto concerne la normativa cui debbono sottostare le società “capogruppo” con sede in
Italia, la disciplina sui prezzi di trasferimento è contenuta nell'art. 76/5, del D.P.R. n. 917/1986. In
base a detta norma, i componenti di reddito (ricavi, costi, plusvalenze, sopravvenienze ecc.) che
derivano da operazioni con società non residenti in Italia e legate da rapporti di partecipazione o di
altra natura - sia diretti che indiretti -, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti o dei
servizi prestati. Per valore normale si intende (art. 9 del D.P.R. n. 917/1986) il prezzo - o
corrispettivo - mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari in condizioni
di libera concorrenza ed al medesimo stato di commercializzazione.
La legislazione CFC (Controlled Foreign Companies), introdotta nel corpo del Testo unico delle
Imposte sui Redditi all’art. 127-bis, ha stabilito una presunzione di attribuzione al socio dei redditi
prodotti in territori a regime fiscale privilegiato (vedi tabella). In particolare, se una società con
sede in Italia “detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per
interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o
localizzato in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, i redditi conseguiti dal soggetto estero
partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del
soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi
detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti
relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali
privilegiati”.
Assolutà novità nella tradizionale politica dei rapporti fiscali italiani è la previsione del comma 5
dello stesso 127-bis, dove si afferma l’intervento preventivo dell’amministrazione finanziaria
(interpello), come elemento indispensabile per sfuggire alla predetta disciplina antielusiva.
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I redditi imputati sono assoggettati a tassazione separata, da ciascun partecipante, con l'aliquota
media di tassazione del reddito complessivo netto e comunque non inferiore al 27%. Dall'imposta
così determinata sono ammesse in detrazione le imposte sui redditi pagate all'estero a titolo
definitivo dall'impresa, società o ente non residente.
Gli utili distribuiti dalla società non residente non concorrono a formare il reddito complessivo del
soggetto partecipante, per la quota corrispondente all'ammontare dei redditi già assoggettati a
tassazione separata.
In caso di partecipazione agli utili per il tramite di soggetti non residenti, le disposizioni del
precedente periodo si applicano agli utili distribuiti dal soggetto non residente direttamente
partecipato; a questi effetti, detti utili si presumono prioritariamente formati con quelli conseguiti
dall'impresa, società o ente residente o localizzato nello stato o territorio con regime fiscale
privilegiato che risultino precedentemente posti in distribuzione.
Le imposte già pagate all'estero dal soggetto partecipante, calcolate su utili esclusi dalla
formazione del reddito ai sensi dei precedenti periodi, costituiscono credito d'imposta nei limiti
delle imposte complessivamente applicate a titolo di tassazione separata, diminuite delle somme
già ammesse in detrazione.
Relativamente ai criteri di deducibilità fiscale delle spese derivanti da operazioni con società situate
in paradisi fiscali, ossia gli “Stati a regime fiscale agevolato”, individuati con apposito Decreto
(“Black List”: DM 21/11/2001), sempre al citato art. 76 sono state successivamente apportate
integrazioni. Il comma 7-bis, nel ribadire l’impossibilità di portare in diminuzione del reddito
imponibile tali elementi negativi, perde il riferimento ai rapporti intercorrenti tra i due soggetti.
Mentre infatti precedentemente la disposizione antielusiva era subordinata alla presenza di forme
di “controllo” tra l’impresa italiana e quella estera, ora nessun riferimento viene più anteposto: a
tutte le operazioni, con qualunque partners intraprese, purchè residente nei Paesi inclusi nella
Black List, si rende applicabile l’articolo 76, c. 7-bis.
Il comma 7-ter ha invece il fine di coordinare meglio la nuova disciplina, precisando che il regime
di indeducibilità non può essere applicato quando le imprese residenti avessero fornito la prova
che le imprese estere – benchè residenti in uno Stato a regime fiscale favorevole - svolgono
prevalentemente una attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere
rispondono ad un dimostrabile interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta
attuazione.
L’intero nuovo sistema viene poi raccordato al 7-quater, con il quale si esclude l’applicabilità del
regime di indeducibilità delle spese, tutte le volte che risulti applicabile l’articolo 127-bis; cioè a
dire che in caso di partecipazione rilevante nella società estera, non si farà più affidamento alle
spese sostenute, ma direttamente verranno imputati al soggetto italiano i redditi prodotti dalla
partecipata estera; fatte salve le esclusioni già ricordate in caso di effettiva e principale attività
produttiva e commerciale svolta.
Elenco degli stati considerati a regime fiscale agevolato – “Black List”
(art. 1, D.M. 21/11/2001)
Alderney (Channel Islands); Andorra; Anguilla, Antille Olandesi; Aruba; Bahamas; Barbados; Barbuda;
Belize; Bermuda; Brunei; Cipro; Filippine; Gibilterra; Gibuti; Grenada; Guatemala; Guernsey (Channel
Islands); Herm (Channel Islands); Hong Kong; Isola di Man; Isole Cayman; Isole Cook; Isole Marshall; Isole
Turks and Caicos; Isole Vergini Britanniche (BVI); Jersey (Channel Islands), Kiribati; Libano, Liberia,
Liechtestein; Macao; Maldive; Malesia; Montserrat; Nauru; Niue; Nuova Caledonia; Oman; Polinesia
francese; Saint Kitts and Nevis; Salomone; Samoa; Saint Lucia; Saint Vincent e Grenadine; Sant’Elena; Sark
(Channel Islands); Seychelles; Singapore; Tonga; Tuvalu; Vanuatu
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Elenco di stati considerati nella “Black List”, salvo che per alcune fattispecie
tassativamente previste (art. 2, D.M. 21/11/2001)
Bahrein; Emirati Arabi Uniti, Kuwait; Principato di Monaco.
Elenco di stati inclusi nella “Black List”, limitatamente a determinate fattispecie
tassativamente previste (art. 3, D.M. 21/11/2001)
Angola; Antigua; Corea del Sud; Costa Rica; Dominica; Ecuador; Giamaica; Kenya; Lussemburgo; Malta;
Mauritius; Panama; Portorico; Svizzera; Uruguay.
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