3 Elasticità e aggiustamento dei mercati Che cosa vedremo in questo capitolo? La definizione, la misura e le determinanti delle diverse elasticità: elasticità della domanda rispetto al prezzo, elasticità dell’offerta rispetto al prezzo, elasticità della domanda rispetto al reddito ed elasticità incrociata della domanda. Il legame tra elasticità della domanda e variazione della spesa totale del consumatore in seguito a una variazione dei prezzi. L’aggiustamento dell’equilibrio in seguito a variazioni della domanda e dell’offerta. L’effetto della speculazione. Cosa succede se lo stato fissa i prezzi. In questo capitolo guardiamo più da vicino il funzionamento dei mercati nella realtà empirica. Iniziamo dapprima a studiare uno dei concetti economici più importanti e più utilizzati, quello di elasticità (parr. 1-4). Un raccolto abbondante potrebbe sembrare un evento provvidenziale agli agricoltori: ne saranno contenti perché potranno vendere di più. Ma è davvero così? Nonostante essi possano vendere una maggior quantità di prodotto, l’effetto di un aumento dell’offerta sarà una riduzione del prezzo — circostanza che sicuramente non sarà gradita agli agricoltori! Le maggiori vendite saranno sufficienti a compensare il calo del prezzo? Alla fine gli agricoltori guadagneranno di più o dimeno? Tutto dipende semplicemente dall’ampiezza della riduzione del prezzo rispetto all’aumento della domanda che a sua volta dipende dall’elasticità della domanda di mercato per quel prodotto rispetto al suo prezzo. Quest’ultima misura quanto varia la domanda in termini percentuali in seguito a una variazione percentuale unitaria del prezzo. Non è solo la sensibilità della domanda al prezzo ad essere importante nello studio del funzionamento dei mercati. Lo è anche la sensibilità dell’offerta. Perché alcune imprese reagiscono a un aumento di prezzo producendo molto di più, mentre altre aumentano la produzione di poche unità? Dipende soltanto dalle diverse tecnologie adottate? Scopriremo cosa influenza l’elasticità dell’offerta al prezzo nel paragrafo 3. Alla fine del capitolo vedremo cosa succede quando lo stato decide di controllare i prezzi. Perché prezzi fissati a un livello troppo basso generano scarsità e prezzi troppo alti incentivano sovrapproduzione? Cosa fa pensare allo stato che il controllo dei prezzi sia una buona idea? 60 1. ELASTICITÀ DELLA DOMANDA RISPETTO AL PREZZO Di quanto varia la domanda in seguito a una variazione del prezzo? Quando il prezzo di un bene aumenta, la quantità domandata diminuisce. Fin qui nulla di sorprendente. In molti casi, tuttavia, vorremmo saperne di più: di quanto diminuirà la domanda? In altre parole, vorremmo conoscere la sensibilità della domanda a un aumento del prezzo. Prendiamo come esempio due beni: benzina e cavolfiori. Nel caso della benzina, un aumento del prezzo probabilmente causerà un lieve calo della domanda: se si vuole continuare a usare l’automobile, bisogna rassegnarsi a pagare un prezzo più alto per il carburante. Qualcuno potrà decidere di prendere la bicicletta, altri di ridurre gli spostamenti in auto, ma, per la maggior parte delle persone, un aumento del prezzo del carburante non avrà un impatto decisivo sull’uso dell’automobile. Nel caso dei cavolfiori, invece, un aumento del prezzo provoca una drastica riduzione della quantità domandata poiché ci sono verdure alternative tra le quali scegliere. La variazione della domanda in termini percentuali dovuta a una variazione percentuale unitaria del prezzo è chiamata e1asticit della domanda rispetto al prezzo, o semplicemente elasticità della domanda. Questo concetto può essere applicato a qualsiasi funzione di domanda, quindi sia alla domanda individuale che a quella di mercato. Se conosciamo il valore numerico dell’elasticità, possiamo prevedere l’effetto sul prezzo e sulla quantità di una variazione della curva di offerta di un bene. Ad esempio, possiamo prevedere l’effetto del raccolto eccezionale che abbiamo considerato all’inizio del capitolo. La figura 3.1 mostra l’effetto di uno spostamento dell’offerta con due diverse curve di domanda (D e D’). La curva D’ è più elastica della curva D: la variazione percentuale della quantità domandata dovuta a una variazione percentuale unitaria del prezzo sarà maggiore in valore assoluto sulla D’ che non sulla D. Assumiamo che inizialmente la curva di offerta sia S1, e che intersechi la curva di domanda in a, a un prezzo p1 e una quantità pari a Q1. Ora la curva di offerta si sposta in S2. Cosa succede al prezzo e alla quantità di equilibrio? Nel caso della curva meno elastica D, si verifica un aumento relativamente elevato del prezzo (p2) e un calo modesto della quantità domandata (Q2): il nuovo equilibrio è h. Nel caso della curva più elastica D’, invece, si verifica solo un moderato incremento del prezzo (p3), ma un calo drastico della domanda (Q3): l’equilibrio si sposta in c. 1.1. Come misurare l’elasticità della domanda 61 Da quanto visto quindi (fig. 3.1), se disegniamo due curve di domanda sullo stesso grafico, la curva più piatta risulta più elastica rispetto a quella più ripida. Tuttavia, la pendenza della curva ci dà un’indicazione molto sommaria dell’elasticità. E importante averne una misura più precisa. Ciò che vogliamo confrontare è l’ampiezza di una variazione della quantità domandata con l’ampiezza di una variazione di prezzo. Poiché prezzo e quantità sono misurati in unità diverse, l’unico modo sensato per farlo è usare variazioni percentuali. In questo modo otteniamo la formula per l’elasticità della domanda al suo prezzo (e): il rapporto tra la variazione percentuale della quantità domandata e la variazione percentuale del prezzo. In simboli: ∆QD QD ε= ∆p p dove e è il simbolo usato per l’elasticità e ∆ rappresenta una variazione finita. Ad esempio, se un aumento del 40% nel prezzo della benzina provocasse un calo della quantità domandata pari al 10%, l’elasticità della benzina sarebbe: -10%140% = -0,25 Invece, se una riduzione del 5% nel prezzo dei cavolfiori provocasse un aumento della quantità domandata pari al 15%, l’elasticità della domanda di cavolfiori rispetto al prezzo sarebbe: 15%/-5% =-3 Secondo i valori numerici presentati, i cavolfiori hanno una domanda più elastica della benzina, ma cosa significano esattamente-0,25 e -3? 1.2. Come interpretare il valore dell’elasticità 1.2.1. L’uso di una misura percentuale L’elasticità è misurata in termini percentuali per le seguenti ragioni: Consente confronti tra grandezze qualitativamente diverse, cioè misurate in differenti unità di misura: ad esempio, consente il confronto tra variazioni di quantità e variazioni di prezzo. Rappresenta l’unico modo sensato per decidere quanto grande è una variazione del prezzo o della quantità. Prendiamo un esempio semplice. Se il prezzo di un bene aumenta di i euro, per valutare se tale aumento è grande o piccolo, dobbiamo conoscere il prezzo iniziale. Se il prezzo dei fagioli aumenta di i euro, si tratta di un aumento considerevole. Se invece il prezzo di una casa aumenta di 1 euro, si tratta di un aumento trascurabile. In altre parole, è l’aumento percentuale che conta quando si deve valutare l’importanza di una variazione del prezzo. 1.2.2. Il segno (positivo o negativo) Come visto in precedenza, le curve di domanda di solito sono inclinate negativamente. Questo significa che le variazioni del prezzo e della quantità vanno in direzioni opposte. Un aumento del prezzo (segno positivo) causerà un calo della quantità domandata (segno negativo). Analogamente, un calo del prezzo provocherà un aumento della quantità domandata. Quindi, nel calcolo 62 dell’elasticità, dividiamo sempre un valore positivo per uno negativo o viceversa: in entrambi i casi otteniamo un valore negativo. 1.2.3. Il valore (maggiore o minore di 1) Nell’esempio fatto in precedenza abbiamo visto che l’elasticità della domanda della benzina è pari a -0,25, mentre quella del cavolfiore è pari a - 3. Abbiamo anche detto che la domanda della benzina ha un’elasticità minore rispetto a quella del cavolfiore. Potrebbero sembrarci due affermazioni contraddittorie: -3 è infatti minore di -0,25. Dobbiamo però ricordare che l’elasticità è una grandezza che misura la reazione dei consumatori: nel caso dei cavolfiori un aumento percentuale unitario del prezzo, ad esempio, provoca una riduzione della quantità domandata del 3%; nel caso della benzina tale riduzione ammonta allo 0,25%, una reazione senza dubbio minore. Per questo dobbiamo ignorare il segno negativo e considerare il valore assoluto dell’elasticità; tale valore ci dice se la domanda è elastica oppure anelastica. Elastica ( ε > 1). È il caso in cui una variazione percentuale del prezzo causa una variazione percentuale più che proporzionale della quantità domandata. L’elasticità sarà maggiore di 1, in quanto dividiamo un numero per un numero più piccolo. Anelastica (0 < ε < 1). E il caso in cui una variazione percentuale del prezzo causa una variazione percentuale meno che proporzionale della quantità domandata. L’elasticità sarà minore di i, in quanto dividiamo un numero per un numero più grande. Elasticità unitaria ( ε =1). E il caso in cui prezzo e quantità domandata variano nella stessa proporzione. L’elasticità sarà pari a 1, in quanto dividiamo un numero per se stesso. 1.3. Determinanti dell’elasticità della domanda L’elasticità della domanda rispetto al prezzo varia enormemente da un bene all’altro (la tab. 3.1 riporta alcuni esempi). Ma perché alcuni beni hanno una domanda con elasticità elevata, mentre altri hanno una domanda altamente anelastica? Cosa determina l’elasticità della domanda al prezzo? Il numero dei beni sostituti e il loro grado di sostituibilità. È la determinante più importante. Quanto maggiore è il numero di sostituti di un bene, e quanto maggiore è il loro grado di sostituibilità, tanto più questi verranno scelti dai consumatori in caso di un aumento del prezzo del bene che stiamo considerando e, quindi, tanto maggiore sarà la sua elasticità della domanda al prezzo. TAB.3.1. Stime dell’elasticità della domanda al prezzo e al reddito negli Stati Uniti Fonte:W. Nicholson, Intermediate Microeconomics, Mason, Oh., South Western, 2004 Prodotti Elasticità della domanda al prezzo Elasticità della domanda al reddito Alimentari Servizi sanitari Abitazioni In affitto Di proprietà Elettricità Automobili Birra Vino Sigarette Viaggi aerei transoceanici Importazioni —0,21 —0,22 +0,28 +0,22 —0,18 —1,20 —1,14 —1,20 —0,26 —0,88 —0,35 —1,30 —0,58 +1,00 +1,20 +0,61 +3,00 +0,38 +0,97 +0,50 +1,40 +2,73 63 Tornando al nostro esempio di benzina e cavolfiori, il primo avrà una domanda altamente anelastica, in quanto non ci sono sostituti perfetti della benzina, mentre i cavolfiori avranno una domanda relativamente elastica, in quanto essi possono essere facilmente sostituiti da molti altri tipi di verdura. Naturalmente il grado di sostituibilità non è oggettivo, ma è legato alle preferenze soggettive del consumatore. Alcune persone potrebbero essere particolarmente ghiotte di cavolfiori, e avranno quindi una domanda meno elastica di coloro che sono indifferenti tra cavolfiori, cavoli e broccoli. Lo stesso ragionamento si applica a un prodotto di marca. L’elasticità della domanda di una data marca al prezzo sarà più o meno elevata a seconda del grado di fedeltà alla marca da parte dei consumatori. Se il grado di fedeltà alla marca è alto e il prezzo aumenta, le persone non decideranno di consumare beni di una marca differente. Anche la domanda di un prodotto di cui non si può fare a meno sarà normalmente piuttosto anelastica. Se il prezzo dei generi alimentari aumenta, la domanda di cibo diminuirà di poco. Le persone ne acquisteranno una quantità inferiore, in quanto non possono permettersi di consumarne quanto prima; tuttavia, non c’è alternativa al cibo per soddisfare la nostra fame. La quota di reddito spesa nel bene. Quanto maggiore è la quota di reddito spesa in un dato bene, tanto maggiore dovrà essere la riduzione del suo consumo all’aumentare del prezzo: l’effetto di reddito sarà infatti maggiore e la domanda sarà più elastica. Secondo quanto appena detto, il sale avrà un’elasticità della domanda molto bassa. Infatti, poiché spendiamo una frazione trascurabile del reddito nell’acquisto di sale, potremo permetterci di non ridurre particolarmente il consumo di sale in seguito a un aumento relativamente alto del prezzo. Al contrario, l’effetto di reddito sarà grande nel caso di aumento del prezzo di un’importante voce di spesa. Ad esempio, se aumentano i tassi di interesse sui mutui (il «prezzo» dei prestiti per l’acquisto di immobili), le persone dovranno rivedere in misura sostanziale la loro domanda, a favore di abitazioni più piccole ed economiche, oppure di case in affitto. L’orizzonte temporale. Quando il prezzo aumenta, l’aggiustamento delle scelte di consumo richiede tempo. Quanto maggiore è il lasso di tempo a cui la domanda si riferisce, tanto più essa sarà elastica. Per illustrare questo effetto del tempo sull’elasticità della domanda al prezzo, torniamo all’esempio del petrolio. Tra il dicembre 1973 e il giugno 1974 il prezzo del greggio quadruplicò, causando aumenti dei prodotti derivati di proporzioni simili. Nei mesi successivi, ci fu solo una modesta riduzione del consumo di prodotti derivati dal petrolio: la domanda era altamente anelastica perché le persone volevano continuare a usare l’automobile e a riscaldare le proprie case. Tuttavia, in un orizzonte temporale più lungo, al persistere di prezzi del petrolio elevati, vennero inventate automobili dai consumi ridotti e molte persone optarono per auto di minori dimensioni. Analogamente molti scelsero sistemi di riscaldamento a gas o a carbone e fecero isolare le loro abitazioni per ridurre la dispersione di calore: la domanda relativa a un periodo più lungo, quindi, è molto più elastica. 2. ELASTICITÀ DELLA DOMANDA E SPESATOTALE Quanto spendiamo per un bene a un dato prezzo? Una delle applicazioni più importanti dell’elasticità riguarda la sua relazione con l’ammontare della spesa per l’acquisto di un bene. La spesa totale per l’acquisto di un bene è semplicemente data dal prezzo per la quantità acquistata: S=pQ=RT Ad esempio, se i consumatori acquistano 3 milioni di unità (Q) a un prezzo unitario pari a 2 euro (p), spenderanno un totale di 6 milioni di euro. Nella figura 3.2 la spesa totale è rappresentata graficamente dall’area del rettangolo ombreggiato. 64 Si noti che la spesa totale dei consumatori (S) coinciderà con il ricavo totale (RT) delle imprese (al lordo di tasse o altre deduzioni). Cosa succederà alla spesa dei consumatori (e quindi al ricavo delle imprese) in seguito a una variazione del prezzo? La risposta dipende dall’elasticità della domanda. 2.1. Domanda elastica All’aumentare del prezzo, la quantità domandata diminuisce, e viceversa. Quando la domanda è elastica, la quantità domandata varia più che proporzionalmente rispetto al prezzo. Quindi la riduzione della quantità prevale rispetto all’incremento del prezzo sulla spesa totale. In tal caso avremo: p aumenta; Q diminuisce più che proporzionalmente rispetto a p; quindi S diminuisce; p diminuisce; Q aumenta più che proporzionalmente rispetto a p; quindi S aumenta. In altre parole, la spesa totale varia nella stessa direzione della quantità. E illustrato nella figura 3.3a. La domanda è elastica tra i punti a e b. Un aumento del prezzo da 4 a 5 euro provoca un calo più che proporzionale della quantità domandata: da 20 a 10 milioni. La spesa totale diminuisce da 80 milioni a 50 milioni (si vedano i rispettivi rettangoli che indicano la spesa totale nella fig. 3.3a). Quando la domanda è elastica un aumento del prezzo comporterà un calo della spesa totale per consumi e quindi una riduzione del ricavo totale delle imprese. Al contrario, in seguito al calo del prezzo, i consumatori spenderanno di più e le imprese vedranno aumentare i loro ricavi. 2.2. Domanda anelastica fig.3.3. Elasticità della domanda rispetto al prezzo e spesa totale. Quando la domanda è anelastica, succede il contrario, Il prezzo varia relativamente più della quantità, per cui ha un effetto maggiore sulla spesa totale per consumi. Per riassumere gli effetti: p aumenta; Q diminuisce meno che proporzionalmente rispetto a p; quindi S aumenta; p diminuisce; Q aumenta meno che proporzionalmente rispetto a p; quindi S diminuisce. In altre parole, la spesa totale del consumatore varia nella stessa direzione del prezzo. E illustrato nella figura 3.3b. La domanda è anelastica tra i punti a e c. Un aumento del prezzo da 4 a 8 euro 65 provoca un calo relativamente inferiore della quantità domandata: da 20 a 15 milioni. La spesa totale aumenta da 80 milioni a 120 milioni, come mostra la figura. In questo caso, il ricavo delle imprese aumenterà se il prezzo aumenta, oppure diminuirà se il prezzo diminuisce. 2.3. Casi particolari La figura 3.4 mostra tre casi particolari: a) una domanda perfettamente anelastica (lei = 0); b) una domanda perfettamente elastica (lei -4 +00); c) una domanda ad elasticità unitaria (lei = 1). Domanda perfettamente anelastica. È rappresentata da una retta verticale. Indipendentemente dal prezzo, la quantità domandata rimane la stessa. E quindi evidente che quanto maggiore è il prezzo, tanto più elevata sarà la spesa. Nella figura 3.4a la spesa per consumi sarà maggiore per p2 che per p1. Domanda perfettamente elastica. È rappresentata da una retta orizzontale. Ad ogni prezzo superiore a p1 in figura 3 .4b la domanda è nulla. In corrispondenza di p1 (o di ogni altro prezzo inferiore a p1, la domanda è infinitamente grande. Questa curva di domanda, che sembra a prima vista irrealistica, è viceversa quella tipica di una singola impresa in un mercato perfettamente concorrenziale. In tale contesto, come abbiamo visto (cap. 1, par. 1.2.5), le imprese sono piccole rispetto all’intero mercato. Esse devono accettare il prezzo di mercato, che si ottiene dall’uguaglianza tra domanda e offerta aggregata, ma a quel prezzo possono vendere quanto desiderano (la domanda non è infinita, ma dal punto di vista della singola impresa lo è). In questo caso, quanto maggiore è la quantità offerta dalla singola impresa, tanto maggiore è il suo ricavo. Nella figura 3.4b il ricavo è maggiore per Q2 che non per Q1. Domanda ad elasticità unitaria. È il caso in cui il prezzo e la quantità variano esattamente nella stessa proporzione. Ogni aumento del prezzo è perfettamente compensato da una riduzione della quantità, per cui la spesa (il ricavo totale) rimane invariata. Nella figura 3.4c le due aree tratteggiate sono esattamente uguali a 800 euro. Forse avete pensato che una curva di domanda ad elasticità unitaria debba essere una linea retta a 45 gradi rispetto agli assi. Invece è una curva nota come iperbole equilatera. Questa forma deriva dal fatto che un aumento della quantità deve essere proporzionalmente uguale al calo del prezzo (e viceversa). Muovendosi lungo la curva di domanda, affinché le variazioni del prezzo e della quantità siano proporzionalmente uguali, ci deve essere un aumento della quantità (in valore assoluto) sempre più grande e un calo del prezzo (in valore 66 assoluto) sempre più piccolo. Ad esempio, un aumento della quantità da 200 a 400 equivale in termini percentuali a una variazione da 100 a 200, ma il suo valore assoluto è doppio. Un calo del prezzo da 5 a 2,5 euro equivale in percentuale a una riduzione da 10 a 5 euro, ma il suo valore assoluto è la metà. 67 3. ELASTICITÀ DELL’OFFERTA RISPETTO AL PREZZO Di quanto varia l’offerta in seguito a una variazione del prezzo? Quando il prezzo cambia, non ci sarà soltanto una variazione della quantità domandata, ma anche una variazione della quantità offerta. E interessante sapere quanto sia sensibile la quantità offerta a variazioni del prezzo. La misura che usiamo è l’elasticità dell’offerta rispetto al prezzo. La figura 3.5 mostra due curve di offerta. La curva 2 più elastica della curva S per ogni valore del prezzo. Quindi, all’aumentare del prezzo da Pi a P2, si ha un aumento maggiore della quantità offerta con S2 (da Q1 a Q3) che non con S1 (da Q1 a Q2). Per ogni spostamento della curva di domanda ci sarà un aumento maggiore della quantità domandata e un aumento minore del prezzo con S2 che non con S. Quindi l’effetto su prezzo e quantità di uno spostamento della curva di domanda dipenderà dall’elasticità della funzione di offerta rispetto al prezzo. L’elasticità dell’offerta al prezzo (t1) è definita come il rapporto tra la variazione percentuale della quantità offerta e la variazione percentuale del prezzo. Vale a dire: ∆Qs η= ∆p Qs p Come si può vedere, la formula è identica a quella dell’elasticità della domanda, ma in questo caso al numeratore c’è la quantità offerta. Quindi se un aumento del prezzo del 10% facesse aumentare la quantità offerta del 25%, l’elasticità dell’offerta al prezzo sarebbe: 25%/10% =2,5 Se invece un aumento del prezzo del 10% facesse aumentare l’offerta solo del 5%, l’elasticità dell’offerta sarebbe: 5%/10% = 0,5 Nel primo caso, l’offerta è elastica η > 1); nel secondo è anelastica (η < 1). Si noti che, a differenza dell’elasticità della domanda, qui il valore è positivo, essendo la curva di offerta funzione crescente del prezzo. 3.1. determinati dell’elasticità dell’offerta 3.1.1. Ampiezza dell’aumento dei costi in seguito all’incremento della produzione Quanto minore è il costo marginale (per una definizione si veda il cap. 4, par. 1.5), tanto più le imprese saranno incentivate a produrre in seguito a un aumento del prezzo: l’offerta sarà più elastica. L’offerta è elastica se le imprese hanno capacità produttiva inutilizzata, se possono reperire quantità aggiuntive di materie prime, se possono convertire facilmente la produzione di beni sostituti e se possono evitare il ricorso al lavoro straordinario. Se tutte queste condizioni sono soddisfatte, i costi subiscono solo un leggero aumento a seguito di un aumento della produzione e l’offerta è relativamente elastica. 68 3.1.2. Orizzonte temporale Brevissimo periodo. Difficilmente le imprese riusciranno ad aumentare subito l’offerta. Quest’ultima è quasi fissa nel brevissimo periodo e può variare solo in virtù delle scorte disponibili. L’offerta in questo caso è altamente anelastica. Breve periodo. Dopo un dato periodo di tempo, alcuni input possono essere aumentati (ad esempio, le materie prime) mentre altri rimarranno fissi (ad esempio, i macchinari). L’offerta può aumentare in una certa misura. Lungo periodo. Nel lungo periodo, ci sarà abbastanza tempo perché tutti gli input possano essere aumentati e nuove imprese possano entrare nell’industria. L’offerta è quindi più elastica. In alcune circostanze, la curva di offerta di lungo periodo può anche essere inclinata negativamente (cap. 4, par. 2.6). 69 4. ALTRE ELASTICITÀ Di quanto varia la domanda di un bene in seguito a variazioni del reddito e del prezzo di altri beni? 4.1. Elasticità della domanda rispetto al reddito Finora abbiamo considerato la sensibilità della domanda e dell’offerta rispetto al prezzo dello stesso bene. Ma il prezzo costituisce solo una delle determinanti della domanda e dell’offerta (cap. 1, parr. 2.3 e 3.3 rispettivamente). In teoria, potremmo considerare la sensibilità della domanda e dell’offerta a variazioni di una qualsiasi delle loro determinanti e quindi calcolare diverse elasticità della domanda e dell’offerta. In pratica però solo altre due elasticità sono particolarmente utili, entrambe riferite alla domanda. La prima è l’elasticità della domanda rispetto al reddito (e,,). Essa misura la sensibilità della domanda rispetto al reddito dei consumatori ed è definita come il rapporto tra la variazione percentuale della domanda e la variazione percentuale del reddito. Vale a dire: ∆QD εm = ∆m QD m È facile notare che la formula è identica a quella dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo, tranne che in questo caso la variazione percentuale della domanda è divisa per la variazione percentuale del reddito e non del prezzo. Quindi se un aumento del reddito del 2% provoca un aumento della domanda dell’8%, l’elasticità della domanda al reddito è: 8%/2%=4 L’elasticità misura la reazione di una variabile (ad esempio la domanda) alla variazione di un’altra (ad esempio il prezzo) in termini percentuali. Si tratta di un concetto fondamentale per comprendere il funzionamento dei mercati. Quanto più elastiche sono le variabili, tanto più reattivi sono gli individui in risposta alle mutate circostanze. La principale determinante dell’elasticità della domanda al reddito è il grado di «necessità» del bene. In un paese industrializzato, la domanda di beni di lusso aumenta rapidamente al crescere del reddito dei consumatori, mentre la domanda di beni di prima necessità, come il pane, cresce solo in misura scarsa. In altre parole, beni come le automobili e le vacanze all’estero hanno un’elevata elasticità della domanda rispetto al reddito, mentre beni come le patate hanno una bassa elasticità della domanda al reddito (tab. 3.1). In entrambi i casi tuttavia, tale elasticità assume valore positivo, come è per tutti i beni normali. La domanda di alcuni beni invece diminuisce all’aumentare del reddito. Si tratta dei cosiddetti beni inferiori, già studiati nel capitolo 2 (par. 5): la margarina ad esempio è un bene inferiore; quando le persone guadagnano di più, acquistano burro. A differenza dei beni normali, l’elasticità della domanda rispetto al reddito dei beni inferiori è negativa. L’elasticità della domanda rispetto al reddito è un concetto importante per le imprese che devono considerare la dimensione futura del mercato dei loro prodotti. Se il prodotto ha un’elevata elasticità della domanda rispetto al reddito, le vendite cresceranno rapidamente all’aumentare del reddito nazionale, ma, allo stesso modo, diminuiranno in modo notevole se l’economia entra in recessione. 4.2. Elasticità incrociata della domanda L’elasticità incrociata della domanda è una misura della sensibilità della domanda di un bene al prezzo di un altro bene (sostituto o complemento). Ci permette di prevedere la variazione nella domanda del primo bene all’aumentare del prezzo del secondo bene. Ad esempio, se la Coca-Cola 70 fosse a conoscenza dell’elasticità incrociata della domanda della Coca-Cola al prezzo della Pepsi potrebbe prevedere l’effetto sulle sue vendite di variazioni del prezzo di quest’ultima. L’elasticità della domanda di un bene (il bene 1) rispetto al prezzo di un altro bene (il bene 2) è data dal rapporto tra la variazione percentuale della domanda del bene 1 e la variazione percentuale del prezzo del bene 2. In simboli: ∆QD1 ε 1, 2 = ∆p2 QD1 p2 Se il bene 2 è un sostituto del bene 1, la domanda del bene 2 aumenta all’aumentare del prezzo del bene 1. Ad esempio, la domanda di carne di maiale aumenta al crescere del prezzo del manzo. In questo caso, l’elasticità incrociata è positiva. Ad esempio, se la domanda di burro aumenta del 2% quando il prezzo della margarina (un bene sostituto) aumenta dell’8%, allora l’elasticità incrociata della domanda di burro rispetto alla margarina è pari a: 2%/8% = 0,25 Se il bene 2 è complementare al bene 1, invece, la domanda dell’uno diminuisce all’aumentare del prezzo dell’altro. L’elasticità incrociata della domanda in questo caso è negativa. Ad esempio, se un aumento del 4% del prezzo del pane causa un calo del 3% della domanda di burro, l’elasticità incrociata della domanda di burro rispetto al pane è: -3%/4% =-0,75 La determinante principale dell’elasticità incrociata della domanda è il grado di sostituibilità o di complementarità tra i due beni. Quanto maggiore è tale grado, tanto maggiore sarà l’effetto sulla domanda del primo bene di una variazione del prezzo del bene sostituto o complemento, quindi tanto maggiore sarà l’elasticità incrociata — sia essa positiva o negativa. Alle imprese sarà utile conoscere l’elasticità incrociata della domanda del proprio prodotto, anche per valutare l’effetto sulla propria domanda di una variazione del prezzo di un bene concorrente o di un bene complementare. Queste informazioni sono vitali quando le imprese devono decidere i loro piani di produzione. Al governo sarà utile sapere di quanto una variazione dei prezzi interni influenzerà la domanda di importazioni (in quanto stretti sostituti dei beni nazionali) in modo da valutarne gli effetti sulla bilancia commerciale. 71 5. I MERCATI E L’AGGIUSTAMENTO NEL TEMPO Come rispondono i mercati a variazioni della domanda o dell’offerta? L’aggiustamento completo di prezzo, domanda e offerta a una situazione di disequiibrio non è istantaneo. E quindi necessario analizzare il sentiero di aggiustamento dell’offerta in seguito a variazioni della domanda e il sentiero di aggiustamento della domanda in seguito a variazioni dell’offerta. 5.1. Aggiustamento di breve e di lungo periodo Come abbiamo visto, le elasticità rispetto al prezzo della domanda e dell’offerta sono diverse a seconda dell’unità di tempo considerata. La ragione è che ai produttori e ai consumatori serve tempo per rispondere a variazioni del prezzo. Quanto più esteso è il periodo considerato, tanto maggiore è la reazione in termini di quantità, e quindi tanto maggiore è l’elasticità della domanda e dell’offerta. Questo fenomeno è illustrato nelle figure 3.6 e 3.7. In entrambi i casi, quando l’equilibrio si sposta dal punto a al punto lì e poi al punto c, c’è una notevole variazione del prezzo di breve periodo (da p1 a p2), una variazione della quantità nel breve periodo (da Q1 a Q2). Nel lungo periodo la variazione del prezzo si riduce(da p1 a p3), mentre si ha una variazione ulteriore della quantità (da Q1 a Q3). 72 5.2. Aspettative sui prezzi e speculazione In una situazione di domanda e offerta instabili, i prezzi cambiano continuamente. A volte salgono, a volte scendono. La variabilità dei prezzi condiziona il comportamento di acquirenti e venditori. Se, ad esempio, in dicembre pensate di acquistare un cappotto nuovo, potreste decidere di aspettare i saldi di gennaio e sfruttare il vostro vecchio cappotto fino ad allora. Se invece a gennaio trovate un abito estivo in saldo, potreste decidere di acquistarlo subito e non aspettare l’estate nel timore che i prezzi aumenteranno. Quindi, un’aspettativa di aumento dei prezzi indurrà le persone a comprare subito; un’aspettativa di riduzione dei prezzi le indurrà a posticipare i loro acquisti. Il contrario accade ai venditori. Se pensate di vendere la vostra casa in un momento in cui i prezzi stanno scendendo, vorrete concludere la vendita il più presto possibile. Se invece i prezzi stanno salendo, aspetterete il più a lungo possibile per spuntare il prezzo più alto. Quindi, un’aspettativa di riduzione dei prezzi indurrà le persone a vendere subito; un’aspettativa di aumento dei prezzi le indurrà invece ad aspettare. Questo comportamento — guardare al futuro e basare le decisioni di compravendita sulle aspettative di prezzo con l’obiettivo di massimizzare il proprio guadagno — è chiamato speculazione. La speculazione è spesso fondata sull’andamento corrente dei prezzi. Se i prezzi stanno aumentando, gli individui dovranno cercare di capire se sono vicini al massimo, e quindi scenderanno, oppure se continueranno ad aumentare. Dopo aver fatto una previsione, agiranno di conseguenza. La speculazione quindi influenza la domanda e l’offerta, che, a loro volta, influenzano il prezzo. La speculazione è un fenomeno comune in molti mercati: ad esempio, in borsa, nel mercato delle valute estere e in quello immobiliare. La speculazione ha un effetto importante: essa tende ad autoavverarsi. In altre parole, gli speculatori tendono a realizzare proprio l’effetto sui prezzi che essi stessi hanno previsto. Ad esempio, se gli speculatori sono convinti che il prezzo di alcune azioni stia per aumentare, ne compreranno di più e in questo modo ne faranno aumentare il prezzo. La loro «profezia» si è autoavverata. La speculazione può ridurre le fluttuazioni dei prezzi oppure aggravarle: può essere stabilizzante o destabilizzante. 5.2.1. Speculazione stabilizzante La speculazione avrà effetti stabilizzanti sulle fluttuazioni dei prezzi quando i venditori e/o gli acquirenti sono convinti che la variazione di prezzo sia solo temporanea. Riduzione iniziale del prezzo. Nella figura 3 .8a la domanda si è spostata da D1 a D2: l’equilibrio si è spostato dal punto a al punto b, e il prezzo è sceso a P2. Come reagiranno gli individui a questa riduzione del prezzo? Credendo che tale riduzione di prezzo sia solo temporanea, i produttori temporeggiano, poiché si aspettano che i prezzi aumentino di nuovo: l’offerta si sposta da S1 a S2. Dopotutto, perché vendere oggi se, aspettando, si possono ottenere prezzi più elevati? Gli acquirenti aumentano i loro acquisti per trarre vantaggio dalla riduzione temporanea del prezzo. La domanda si sposta da D2 a D3. L’equilibrio si sposta nel punto c, e il prezzo torna al livello p3. Aumento iniziale del prezzo. Nella figura 3.8b la domanda è aumentata da D1 a D2. I prezzi sono aumentati da P1 a P2. Nella convinzione che l’aumento di prezzo sia solo temporaneo le imprese fig.3.8. vorrebbero vendere subito i loro prodotti, prima che il prezzo diminuisca di nuovo. L’offerta si sposta da S1 a S2. Gli acquirenti, tuttavia, aspettano il futuro calo del prezzo. La domanda in tal modo si sposta da D2 a D3. L’equilibrio si sposta nel punto c e il prezzo torna a p3. 73 Un buon esempio di speculazione stabilizzante è rappresentato dai mercati dei prodotti agricoli. Prendiamo il caso del grano. In autunno, dopo la raccolta, se ne ha un’offerta abbondante. Se tutto il grano disponibile venisse messo sul mercato, il prezzo scenderebbe a un livello molto basso, mentre nel corso dell’anno, quando gran parte del grano è già stato venduto e quindi l’offerta è scarsa, il prezzo potrebbe salire a livelli molto alti. Tutto ciò è facilmente prevedibile. Cosa fanno allora gli agricoltori? Speculano. Dopo la raccolta sanno che il prezzo tenderà a scendere, perciò invece di mettere tutto il grano sul mercato, ne conservano gran parte in magazzino. Quanto più il prezzo scende, tanto più grano verrà immagazzinato in attesa di un aumento futuro del prezzo. In questo caso, la decisione di tenere scorte impedisce crolli del prezzo, ovvero stabilizza il prezzo. Nel corso dell’anno, quando il prezzo inizia a salire, i venditori attingeranno grano dalle scorte per metterlo sul mercato. Quanto più il prezzo aumenta, tanto più grano verrà messo sul mercato, poiché ci si aspetta che il prezzo scenderà al tempo del raccolto. Ma questo aumento dell’offerta stabilizzerà il prezzo impedendo che aumenti troppo. Oltre agli agricoltori, possono speculare anche i commercianti di granaglie. In autunno, quando l’offerta di grano è alta e i prezzi relativamente bassi, essi acquistano grano e lo mettono in magazzino. In primavera e in estate, quando c’è scarsità di offerta, vendono le loro scorte di grano. In questo modo contribuiscono a stabilizzare i prezzi proprio come gli agricoltori. 5.2.2. Speculazione destabilizzante La speculazione tenderà ad avere effetti destabilizzanti sulle fluttuazioni di prezzo quando i venditori e/o gli acquirenti sono convinti che una variazione del prezzo sarà seguita da variazioni dello stesso segno. Riduzione iniziale del prezzo. Nella figura 3.9a la domanda si è spostata da D1 aD2 e il prezzo è sceso da p1 a p2. In questo caso i produttori, credendo che la riduzione del prezzo ne anticipi altre, venderanno subito, prima che il prezzo scenda ulteriormente. L’offerta si sposta da S1 a S2. Gli acquirenti si aspettano un’ulteriore riduzione del prezzo. La domanda si sposta da D2 a D3. Questi comportamenti provocano un’ulteriore diminuzione del prezzo fino a p3. 74 Aumento iniziale del prezzo. Nella figura 3.9b un aumento della domanda da D1 a D2 fa aumentare il prezzo da p1 a p2. I produttori si aspettano ulteriori aumenti di prezzo e quindi rinviano la collocazione del prodotto sul mercato; l’offerta si sposta da S1 a S2. Gli acquirenti comprano subito, prima di ulteriori aumenti del prezzo: la domanda si sposta da D2 a D3. Come risultato, il prezzo continua ad aumentare fino a p3. Nel mercato delle abitazioni, la speculazione è spesso destabilizzante. Supponiamo che, dopo un lungo periodo di prezzi relativamente stabili o decrescenti, i prezzi delle case inizino a salire, ad esempio in seguito a un aumento della domanda dovuto a un calo dei tassi di interesse sui mutui o alla ripresa dell’economia da una recessione. Si potrebbe credere che l’aumento dei prezzi segnali una ripresa del mercato immobiliare e che questi continueranno ad aumentare. I potenziali acquirenti cercheranno di comprare il più presto possibile, prima di un ulteriore aumento dei prezzi. Questo aumento della domanda (come nella fig. 3.9b) causerà aumenti di prezzo ancor più elevati. 5.2.3. Conclusione In alcune circostanze, quindi, l’azione degli speculatori può ridurre al minimo le fluttuazioni di prezzo (speculazione stabilizzante). Ciò è più probabile quando i mercati sono relativamente stabili, con fluttuazioni ridotte della domanda e dell’offerta. In altre circostanze, la speculazione può amplificare le fluttuazioni di prezzo. Ciò è più probabile in periodi di forte incertezza, quando ci sono variazioni significative nelle determinanti della domanda e dell’offerta. Data questa incertezza, le variazioni di prezzo potrebbero essere interpretate come il segnale di una variazione strutturale e gli agenti, con il loro comportamento, potrebbero quindi accentuare l’aumento o la diminuzione del prezzo. 5.3. Convivere con incertezza e rischio Se si aspettano variazioni di prezzo, gli acquirenti e i venditori cercheranno di anticiparle. Purtroppo, in molte occasioni, nessuno può sapere con Certezza quali saranno queste variazioni. Prendiamo il caso delle azioni. Se ci si aspetta che il prezzo di alcune azioni aumenti in modo considerevole nel prossimo futuro, si potrebbe decidere di acquistarne alcune per rivenderle dopo l’aumento del prezzo. Tuttavia, tale aumento non può essere previsto con sicurezza. Il prezzo, 75 infatti, potrebbe anche diminuire. Acquistare azioni, quindi, equivale a fare una scommessa. Le scommesse possono essere di due tipi. Un primo tipo è quello in cui si conoscono le probabilità oggettive del verificarsi degli esiti sperati. Prendiamo l’esempio del gioco a «testa o croce». Vince testa, perde croce. Sappiamo che la probabilità di vincere è del 50%. Se scommettete sul lancio di una moneta, agite in condizioni di rischio. C’è rischio quando la probabilità di un risultato è nota, Il rischio in sé è una misura della variabilità di un risultato. Ad esempio, se scommettete i euro sul lancio di una moneta, allora la variabilità nell’esito monetario della scommessa è tra -1 e +1 euro. Il secondo tipo di scommessa è più comune. E il caso in cui le probabilità non sono note o lo sono solo in modo approssimativo. Il gioco in borsa è una scommessa di questo tipo: potreste avere una buona intuizione circa il rialzo del prezzo di una data azione, ma qual è la probabilità che si avveri: il 90%, l’80% o altro ancora? Non potete esserne sicuri. La scommessa in queste condizioni fornisce un esempio di scelta in condizioni di incertezza. In questa situazione la probabilità di un risultato non è facilmente determinabile. Potreste anche disapprovare le scommesse e volerle disincentivare in quanto gioco sciocco e moralmente inopportuno. Ma le «scommesse» non riguardano soltanto i cavalli, le carte, la roulette, e così via. Rischio e incertezza pervadono l’intera vita economica e vengono continuamente prese decisioni il cui esito non può esser noto con certezza. Anche la persona moralmente più ineccepibile dovrà pur decidere quale carriera intraprendere, se e quando acquistare una casa, o anche, più banalmente, se prendere o non prendere un ombrello uscendo di casa. Ciascuna di queste decisioni e migliaia di altre sono prese in condizioni di incertezza (o talvolta di rischio). 5.3.1. Le scorte come modo di ridurre l’incertezza Un modo semplice di ridurre il problema dell’incertezza è dato da un’accorta politica delle scorte. Prendiamo il caso dei coltivatori di grano del paragrafo 5.2.1. Quando seminano il grano, in primavera, non sono sicuri del prezzo che prevarrà sul mercato al momento del raccolto. Se non tengono scorte, non potranno che accettare il prezzo del grano che prevarrà quando lo metteranno sul mercato. Se invece possono tenere scorte, possono aumentarle quando il prezzo è basso in attesa che aumenti di nuovo. Alternativamente, se al momento del raccolto il prezzo del grano è alto, possono vendere subito. In altre parole, possono aspettare il prezzo che ritengono più giusto per vendere. 5.3.2. Un mercato dell’informazione Un modo per ridurre l’incertezza è acquistare informazioni. Ad esempio, potete chiedere consiglio a un broker di borsa o acquistare una rivista per consumatori. L’acquisto e la vendita di informazioni aiutano a ridurre l’incertezza. Una maggiore informazione, in alcune circostanze, può anche rendere la speculazione più stabilizzante. Con scarsa informazione, invece, è più facile che il comportamento degli agenti economici venga influenzato dalle chiacchiere o dal panico, rendendo destabilizzante la speculazione. Infatti, se acquirenti e venditori sono ben informati, i prezzi si stabilizzeranno più direttamente in corrispondenza del loro valore di equilibrio di lungo periodo. 76 6. MERCATI CON PREZZI CONTROLLATI Cosa succede se lo stato fissa i prezzi? In corrispondenza del prezzo di equilibrio, non ci sono né eccessi di domanda né eccessi di offerta. Tuttavia, il prezzo di equilibrio potrebbe non rivelarsi un prezzo adeguato; lo stato, quindi, potrebbe decidere di mantenere i prezzi al di sopra o al di sotto del livello di equilibrio. 6.1. Un prezzo minimo (elevato) Se lo stato fissa un prezzo minimo (un pavimento) al di sopra dell’equilibrio, ci sarà un eccesso di offerta: QS > QD (fig. 3.10) e il prezzo non potrà scendere per eliminare tale eccesso. Lo stato fissa un prezzo minimo per varie ragioni: per proteggere i redditi dei produttori. Se il settore è soggetto a fluttuazioni dell’offerta (ad esempio i raccolti, a causa di improvvise variazioni meteorologiche) e se la domanda non è elastica al prezzo, i prezzi tendono a fluttuare considerevolmente. Prezzi minimi impediscono crolli dei redditi dei produttori dovuti a lunghi periodi di prezzi bassi; per creare un surplus (ad esempio di granaglie), specialmente in periodi di abbondanza, che possono essere immagazzinati in vista di possibili scarsità future; nel caso dei salari (il prezzo del lavoro), i minimi salariali possono essere usati per impedire che i redditi dei lavoratori scendano al di sotto di un certo livello di sopravvivenza. Esistono vari modi con cui lo stato può agire sui surplus generati dalla presenza di prezzi minimi più alti del prezzo di equilibrio: potrebbe acquistare il surplus, e immagazzinano, distruggerlo o venderlo su altri mercati; l’offerta potrebbe essere ridotta applicando ai produttori quote massime di produzione. Nella figura 3.10, l’offerta potrebbe essere ridotta a QD. la domanda può essere aumentata ricorrendo alla pubblicità, cercando usi alternativi del bene o limitando i beni sostituti (ad esempio, imponendo tasse o quote sui beni sostituti, come le importazioni). Uno dei problemi dei prezzi minimi è che le imprese con surplus potrebbero eludere il controllo sul prezzo, riducendolo al di sotto del prezzo minimo fissato. Un altro problema è che prezzi elevati possono generare inefficienza. Se i profitti delle imprese sono assicurati da prezzi elevati prefissati, queste potrebbero essere disincentivate a trovare metodi di produzione più efficienti che permettano loro di ridurre i costi. Prezzi elevati possono anche scoraggiare le imprese dal produrre beni sostituti che possono essere ottenuti in modo più efficiente o per cui c’è una maggiore domanda da parte dei consumatori, ma il cui prezzo risulta inferiore. 77 Uno degli esempi più noti di elevati prezzi minimi imposti dagli stati è rappresentato dalla Politica agricola comune (PAC) dell’Unione Europea. 6.2. Un prezzo massimo (basso) Se lo stato fissa un prezzo massimo (un tetto) al di sotto dell’equilibrio, ci sarà un eccesso di domanda: QD> Q5 (fig. 3.11) e il prezzo non potrà aumentare per eliminare tale scarsità di offerta. Lo stato fissa un prezzo massimo, solitamente per ragioni di equità, per evitare che esso aumenti oltre un certo livello. In tempo di guerra o di carestia, ad esempio, lo stato può fissare i prezzi massimi dei beni essenziali per permettere alle persone povere di acquistarli. La scarsità di offerta che ne deriva, tuttavia, può creare alcuni effetti indesiderati. Se lo stato si limita a fissare il prezzo senza intervenire in altro modo, infatti potrebbero verificarsi i seguenti problemi: allocazione in base al principio «chi prima arriva, meglio alloggia» che può generare code, o liste di attesa gestite dalle imprese. Per lungo tempo le code hanno caratterizzato l’esperienza commerciale dei paesi dell’est europeo, i cui governi mantenevano i prezzi al di sotto del livello di equilibrio. In anni recenti, le riforme economiche hanno abolito tali controlli sui prezzi, riducendo o eliminando le code, ma allo stesso tempo rendendo più difficile la vita di chi ha redditi bassi; le imprese possono favorire alcuni clienti rispetto ad altri: ad esempio, quelli abituali, oppure gli amici. Nessuna delle situazioni descritte pare equa. Alcune persone bisognose potrebbero essere costrette a rinunciare al bene razionato. Potrebbe essere lo stesso stato a gestire un sistema di razionamento. In questo modo le persone ricevono un certo numero di buoni per ciascuno dei beni razionati. Uno dei problemi principali dei prezzi massimi bassi è che incoraggiano la formazione del mercato nero: i consumatori che non riescono ad acquistare abbastanza al prezzo prefissato sul mercato legale, sono disposti a pagare prezzi molto più elevati pur di avere maggiori quantità del bene. Un altro problema è che prezzi massimi bassi riducono la quantità offerta di un bene già scarso. Ad esempio, prezzi artificialmente bassi, in una situazione di carestia, ridurranno ulteriormente l’offerta di cibo: se non immediatamente, al raccolto successivo. In molti paesi in via di sviluppo gli stati controllano i prezzi dei beni di prima necessità per proteggere i poveri delle città. L’effetto, tuttavia, di ridurre i redditi degli agricoltori, che in tal modo sono incoraggiati ad abbandonare la terra e a infoltire ulteriormente le città. Per eliminare questi effetti indesiderati, lo stato può incoraggiare l’offerta: attingendo alle scorte, producendo direttamente, o concedendo sussidi o sgravi fiscali alle imprese. Oppure, può cercare di ridurre la domanda: con la produzione di beni alternativi (ad esempio, la coltivazione di un orto in tempo di guerra) o controllando il reddito dei cittadini. 78 79