BRESCIA_Lontananza e oblio. Lo spazio e il tempo del sospetto e

GRAZIANA BRESCIA
LONTANANZA E OBLIO
LO SPAZIO E IL TEMPO DEL SOSPETTO E DEL TRADIMENTO
IN PROPERZIO
Iste quod est, ego saepe fui: nella struttura intenzionalmente polare
dell’incipit dell’elegia 2,9, costruita su un’opposizione di pronomi (iste
con la consueta accezione dispregiativa 1 riferito al rivale, contrapposto
all’ego del poeta) e di tempi verbali (est che assegna al rivale la felicità
in amore nel presente, fui che relega nel passato la relazione di Properzio con la donna amata), si consuma il dramma del tradimento. Il poeta-amante è costretto a prendere atto della definitiva e irrevocabile perdita dell’orizzonte spazio-temporale del presente, irrimediabilmente ‘invaso’ dalla presenza mortificante del rivalis. Il tradimento della domina
ha drasticamente ridotto e confinato la relazione amorosa nel passato,
privandola non solo del presente, occupato dall’antagonista, ma anche
della possibilità di un futuro. Sul futuro si proietta, infatti, la minacciosa
presenza di altri rivali, destinati ad avvicendarsi nel mutevole orizzonte
della volubile puella secondo un motivo topico della poesia erotica
(vv. 1-2 sed fors et in hora / hoc ipso eiecto carior alter erit). In questo
distico si misurano efficacemente l’alterità e la dialettica tra la centralità
dello spazio riservato all’amore dal poeta e la precarietà in cui esso si
manifesta nell’universo volubile e capriccioso della domina. Vano il tentativo di neutralizzare l’instabilità della liaison proiettandola nella dimensione atemporale del mito per cercare nella valenza paradigmatica dell’exemplum di Penelope un modello di comportamento da proporre al-
1
Utile per cogliere l’accezione dispregiativa del pronome iste il commento di Donato ad Ter. Andr. 15 “isti” ad reprehensionem sumitur personae; interdum reprehensionem rei
significat; ad Ter. Eunuch. 192 “isto”...quasi “odioso”, ut alibi;...haec enim pronomina spernentis
sunt odiumque monstrantis; cfr., anche, Agroec., Gramm. VII 119,5 K. “ipse” pronomen dignitatis est, “iste” abiectionis. Si confronti Norden 1916, 120 e Axelson 1945, 72.
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l’inaffidabile puella (vv. 3-8): la fedeltà della sposa di Odisseo si traduce
nella capacità di conferire un aspetto durativo e stabile alla relazione,
affidato sul piano stilistico-formale alla scelta reiterata dell’imperfetto
(poterat v. 3; v. 5) e alla posposizione della preposizione per (v. 3 bis
denos [...] per annos) che “isola il dato numerico e mette in rilievo il
gran numero di anni in cui Penelope si mantenne fedele” 2. Ma il sogno
di un amore che riesce a vivere di un eterno presente dominato da
un’esclusiva dimensione dualistica pur nella prolungata assenza di uno
dei membri della coppia, è destinato ad infrangersi nella forte valenza
oppositiva dell’at tu (v. 19) che impone al poeta un brusco risveglio e
l’inevitabile presa d’atto della distanza da una dimensione ideale irrimediabilmente e irrevocabilmente lontana, nello spazio (Grecia) ma, soprattutto, nel tempo (vv. 17-18 Tunc igitur veris gaudebat Graecia natis, /
tunc etiam felix inter et arma pudor), oggetto esclusivo di un nostalgico
vagheggiamento segnalato dall’anafora del tunc. Nell’hic et nunc del poeta a campeggiare è la figura di Cinzia, incapace di rimanere priva di
un partner, sia pure occasionale, neppure per una sola notte e per un
solo giorno (vv. 19-20 At tu non una potuisti nocte vacare, / impia, non unum
sola manere diem!). Properzio è rimasto il solo ad abitare le stanze del
mito, come si evince dall’orgogliosa e amara dichiarazione di esclusività
del suo sentimento amoroso che chiude l’elegia (vv. 43-46 te nihil in vita
nobis acceptius umquam: / nunc quoque eris, quamvis sis inimica mihi. / Nec
domina ulla meo ponet vestigia lecto: / solus ero, quoniam non licet esse tuum) 3,
l’unico capace di rivendicare nei confronti del partner una fedeltà e una
costanza che gli consentono di dilatare la dimensione spazio-temporale
della relazione d’amore oltre lo spazio effimero e riduttivo di un breve
e precario presente.
La necessità, inerente alla condizione stessa dell’innamoramento, di
poter fruire di tutta la temporalità dell’esistere comprendendo passato,
presente e futuro nella suggestione di un amore che si vuole eterno (è
il “ti amo e ti amerò per sempre” in cui si consuma l’illusione degli
amanti), si è frantumata, a causa della volubilità di Cinzia, in una polarità dialettica che vede avvicendarsi più attori in una relazione vissuta
solo dal poeta-amante nel segno dell’esclusività. Conseguenza immediata e ineludibile della segmentazione della linearità nell’asse temporale
passato-presente-futuro è, infatti, la frantumazione dell’integrità dell’io-
2
Fedeli 2005, ad loc.
La scelta di solitudine individuata dal poeta come esclusiva prospettiva per il suo
futuro (v. 46 solus ero), lo pone sullo stesso piano di Penelope (cfr. Fedeli 2005, ad loc.).
3
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amante. Se al poeta tocca in sorte di essere sostituito nella dimensione
temporale del presente dall’odioso rivale (iste), anche quest’ultimo è destinato a subire analoga sorte e ad essere, a sua volta, soppiantato da
un generico e indeterminato alter, privo di un volto e di un’identità, nel
breve e fugace spazio di un’hora, reso ancora più instabile dal “valore
intensivo di et (addirittura nello spazio di un’ora) che dà l’idea della
rapidità con cui Cinzia cambia idea (e amante)” 4; ulteriore enfasi viene
conferita dall’essenzialità dell’ablativo assoluto hoc ipso eiecto di cui il
poeta si avvale per preannunciare all’attuale rivale un destino di esclusione e di rimozione. L’intercambiabilità dei partners e la loro funzione
degradata di ‘doppi’ privi di un’ identità specifica e definita, sono rese
da alter (v. 2), che sta ad indicare non genericamente “un altro”, ma in
modo preciso “quell’altro”, cioè il rivale, eterno antagonista del poeta
d’amore che assume quella che potremmo definire ‘un’alterità al quadrato’, sia nei confronti dell’attuale amante di Cinzia, sia nei confronti
dello stesso Properzio. Il poeta tradito che, in virtù della scissione verificatasi tra l’io amante e l’io poeta, può improvvisarsi profeta, è in grado di vaticinare, non senza una punta di soddisfazione, la prevedibile e
inarrestabile débâcle dell’attuale amante di Cinzia, calendarizzata secondo una ben definita sequenza cronologica: all’effimero trionfo nel presente (iste quod est) viene contrapposta la ineludibile degradazione nel
futuro (sed fors et in hora / hoc ipso eiecto carior alter erit). La rivalsa dell’amante tradito e abbandonato sembra, invece, giocarsi nell’orizzonte di
una continuità orgogliosamente rivendicata quale tratto connotativo della propria identità nella relazione: a segnalarlo l’avverbio saepe, enfaticamente connesso al pronome personale soggetto ego (v. 1 ego saepe fui),
che, oltre a colorare di una nuance di rimpianto la perduta felicità, le
conferisce il tratto della continuità, contrapposto com’è all’avvicendarsi
in hora dell’hic ipse e dell’alter, destinati, in quanto tali, a ricoprire il
ruolo di anonime e sbiadite controfigure.
La vicenda d’amore tra Properzio e Cinzia scorre lungo un binario
che, a causa della volubilità della donna, incrocia periodicamente quello
lungo il quale si avvicendano i rivales, maschere predefinite e prive di
una individualità, fratelli gemelli unificati dalla loro funzione di antagonisti occasionali del poeta, la cui unica prospettiva è occupare il segmento di un breve e precario presente. Al poeta-amante, privato del
presente e del futuro dalla dimensione dolorosa del tradimento, non
resta altro che il ‘passato’: ego saepe fui (cfr. 1, 12, 7-9 Olim gratus eram:
4
Fedeli 2005, ad loc.
100
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non illo tempore cuiquam / contigit ut simili posset amare fide: invidiae fuimus;
1, 12, 11 Non sum ego qui fueram), ma si tratta di quel passato che
Ricoeur 5 definisce “un passato che non vuole passare”. Se, come è noto,
il congedo dal passato è il presupposto necessario di una situazione
trasformativa capace di aprire una pagina nuova nella propria esistenza
e di configurare nuovi orizzonti, è altrettanto comprensibile che per il
poeta-amante, tradito e abbandonato, il passato che lo ha visto protagonista di una stagione felice costituisca una risorsa preziosa e insostituibile, l’unica arma che possa permettere ad un presente minaccioso di
modularsi in modo positivo esorcizzando i timori per un futuro incerto
e incontrollabile.
L’amante abbandonato manifesta la volontà o, addirittura, l’ossessione di legare al presente un passato lontano e perduto, il desiderio di
“restaurare” il passato cancellando il tempo che lo separa dal presente.
Properzio, come ogni innamorato, avverte la necessità di poter fruire
di tutta la temporalità dell’esistere e, nonostante le ombre gettate sul
presente da una realtà di esclusione e di abbandono, nei versi conclusivi
dell’elegia (2, 9, 43-46 te nihil in vita nobis acceptius umquam: / nunc quoque eris, quamvis sis inimica mihi. / nec domina ulla meo ponet vestigia lecto: /
solus ero, quoniam non licet esse tuum) rivendica l’esclusività dell’oggetto
del suo sentimento d’amore enfatizzato dal te iniziale (v. 43) e dalla
totale esclusione di qualsiasi possibile alternativa nella sfera degli affetti
(nihil in vita nobis acceptius), in una dimensione temporale rafforzata dal
pleonastico in vita e affrancata da soluzioni di continuità tra passato 6
(v. 43 umquam), presente (v. 44 nunc) e futuro (v. 44 eris); assoluta si
configura l’univocità e insostituibilità della domina (vv. 45-46), sia pure
in un orizzonte spazio-temporale dominato dal tradimento e dall’abbandono. A garantirla la sofferta ma irrinunciabile illusione dell’amore eterno.
Con la stessa rivendicazione di un amore che potremmo definire
‘diacronico’ si conclude l’elegia 1, 12 in cui Properzio cerca di esorcizzare la fugacità del tempo concesso all’amore dalla volubilità delle puellae
(1, 12, 11-12 Non sum ego qui fueram: mutat via longa puellas. / Quantus in
exiguo tempore fugit amor!), che lo costringe (cogor) a sperimentare (cognoscere) la solitudine di notti interminabili (vv. 13-14 nunc primum longas
solus cognoscere noctes / cogor), con una dilatazione della prospettiva cronologica connotata dall’unicità e dall’esclusività di Cinzia: la scansione
perfettamente speculare dei due emistichi del verso conclusivo (1, 12, 20
5
6
Cfr. Ricoeur 2004, 92.
Ad acceptius va sottinteso fuisse (cfr. Fedeli 2005, ad loc.).
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Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit) suggella la mancanza di soluzione di
continuità tra passato e futuro.
Alla capacità di Properzio di contrapporre la sua scelta estrema di
solitudine – fondata su un rapporto d’amore che trova le sue radici
nel passato – ad un presente segnato da precarietà e incertezza e ad
un futuro altrettanto instabile, si contrappone la fragilità di Cinzia,
incapace, come si diceva, di vivere scissa da una realtà di coppia. Ai
tempi lunghi della dimensione mitica – scanditi dalla calendarizzazione decennale degli eventi (2, 9, 3-8), che finisce per costituire una
vera e propria unità di misura (v. 3 denos), il cui raddoppiamento (bis
denos) contribuisce a ‘misurare’ la lentezza segnalata dall’iterazione dell’aspetto durativo dell’imperfetto poterat (vv. 3-5) – si contrappone, con
il perfetto non potuisti (v. 19) 7, la rapidità quasi nevrotica di un orizzonte ‘dell’usa e getta’ in cui tutto si consuma nel breve spazio di un
giorno. L’antitesi fra gli indicatori cronologici relativi alle due dimensioni (2, 9, 3 bis denos [...] per annos in riferimento a Penelope e, ancora in negativo, 2, 9, 19-20 non una nocte [...] non unum diem, a Cinzia),
rivela l’assoluta e incolmabile distanza dal mito che, lungi dal costituire un antidoto, segna l’irriducibile alterità tra i due modelli di comportamento. I vent’anni di Penelope contrapposti all’hora di Cinzia. La
capacità di “attendere” della sposa di Odisseo viene efficacemente fotografata dal verbo exspectare (v. 9): la valenza frequentativa di specto 8
implica proprio la reiterazione dello sguardo puntato su qualcosa e/o
qualcuno e, dunque, la fissità di un atteggiamento che si traduce in
un vero e proprio habitus 9, nonostante la prospettiva ‘distanziata’ conferita alla notio verbale dal preverbio ex- 10. La distanza spaziale e temporale non distoglie lo sguardo di Penelope: l’affidabilità dei suoi sentimenti si traduce naturalmente nella staticità segnalata dal verbo remanere (v. 9 illum exspectando facta remansit anus). È evidente la distanza
dallo stile di vita di Cinzia che, calata nel tempo della modernità della storia, vive con intensità l’hora e sembra impegnata a neutralizzare,
con il dinamismo, la stasi, l’attesa, il vuoto.
7
Sulla scelta di determinate forme temporali del verbo che consentono di regolare
la situazione comunicativa, si confronti Weinrich 1978, 44; 128.
8
Cfr. Guiraud 1964, 66-81.
9
Ernout-Meillet 1985, s.v. *specio: « un frequentatif specto –as, qui est la forme employée sans préverbe : regarder habituellement, être tourné ou orienté vers; tenir compte de, avoir les yeux fixés sur, observer, considérer (sens physique et moral) ».
10
Ernout-Meillet 1985, s.v. * specio: « exspectare ‘regarder de loin’ s’est spécialisé dans
le sens de ‘attendre’ ».
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La dimensione spazio-temporale del tradimento è, infatti, quella del
vacuum, dell’assenza, che nel lessico erotico equivale alla mancanza di
amore 11; alla stessa condizione di privazione rinvia anche solus ero (2, 9,
46) riferito a coloro che neminem habent qui eos amet 12.
Le coordinate spaziali lungo cui si consuma il rischio del tradimento
sono, quindi, quelle della lontananza dal luogo che si configura come
scenario ideale dell’amore tra il poeta e la puella: l’Urbs, Roma. La fedeltà di Cinzia vacilla quando si allontana dall’Urbs per recarsi in campagna o in un luogo di villeggiatura o, ipotesi ancora più terrificante,
quando si prepara a seguire il nuovo spasimante sin nella gelida Illiria,
spazio per antonomasia della natura selvaggia e, in quanto tale, estraneo e inaccessibile al poeta, dominio esclusivo dell’antagonista.
Accade, così, che in un’elegia come la 1, 11, chiaramente incentrata
sul motivo dell’infedeltà, Baia, luogo di villeggiatura, si configuri quale
scenario privilegiato per il sospetto – cui rinvia, sul piano semantico, la
ricorrenza di timor (v. 18) e timetur (v. 20) riferito agli amanti timorosi
di essere ingannati e traditi 13 – prima e più ancora che per le distrazioni legate ai divertimenti, proprio per la sua natura di luogo ‘altro’
rispetto a quello in cui si consuma l’amore, luogo del vacuum, dell’assenza del poeta e della solitudine di Cinzia rapportata alla dimensione
di coppia. Cinzia non è Penelope: la solitudine non le si addice,
vent’anni possono consumarsi nel breve spazio di un’hora. L’evocazione
del mito come exemplum e contrario 14 segnala la distanza della perfida
puella da quella dimensione ideale e non consente al poeta elegiaco di
proiettare e nobilitare in quell’orizzonte atemporale la sua esperienza
intima.
Se Properzio può rivendicare una solidità mitica del suo sentimento,
che si traduce nella capacità e, anzi, nella volontà di preferire la solitudine qualora non sia possibile godere dell’oggetto esclusivo e privilegiato del suo amore (2, 9, 46 solus ero, quoniam non licet esse tuum), la
fragilità della puella viene messa a dura prova dalla lontananza dell’amato (1, 12, 11 mutat via longa puellas).
11
Cfr. Pichon 1902, s.v. vacuus: « Translative vacui dicuntur qui sine amore vivunt »;
cfr. Fedeli 1980, 1,13,2.
12
Cfr. Pichon 1902, s.v. soli.
13
Cfr. Pichon 1902, s.v. timere: « timere dicuntur amantes [...] in primis ne fallantur et
decipiantur ».
14
Sulla particolare valenza paradigmatica e probatoria conferita all’exemplum attinto
dalla storia o dal mito, cfr. Rhet. Her. I,3; Quint. inst. V,11,7. Per una teorizzazione
sull’argomento si rinvia a Lausberg 1990, §§ 411-412.
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Il vacuum determinato dall’assenza (vacet) pone Cinzia nella condizione di piena disponibilità (1, 11, 13 quam vacet alterius blandos audire
susurros) ad ascoltare i blandi susurri (che, come è noto, nel linguaggio
erotico, designano le conversazioni intime fra innamorati 15), di un ipotetico e indefinito rivale (ritorna il motivo dell’alter). La dimensione spaziale della distanza, del viaggio che implica l’allontanamento dall’amato,
determina un repentino cambiamento nel cuore volubile delle puellae e
il consumarsi e dissiparsi dell’amore in un breve lasso di tempo (cfr. 1,
12, 11-12 mutat via longa puellas./ Quantus in exiguo tempore fugit amor!) 16.
A rendere più precaria ed esposta ai pericoli del tradimento la dimensione spaziale del vacuum contribuisce in maniera determinante, insieme all’assenza della presenza fisica e concreta del poeta, anche la sua
‘assenza’ nella memoria dell’amata. Il tempo del sospetto e del tradimento presuppone, infatti, anche la dimenticanza, l’oblio che rende ancora più drastico e totalizzante il vacuum.
La scissione della memoria ‘condivisa’ da entrambi i partners decreta la fine di una storia d’amore e il procedere dei due amanti lungo le
direzioni divergenti peculiari del discidium o, nell’ipotesi più ultimativa,
del divortium 17. Il dramma della separazione, presupposto e preludio
della fine di una storia d’amore, si consuma già nell’intima dialettica tra
memoria e oblio, tra la capacità di “ritornare all’indietro” suggerita dal
preverbio re- nel verbo denominativo latino recordor così come nel suo
derivato italiano “ricordare” 18, di “stabilire un contatto” con eventi e
incontri che appartengono al passato, e la rinuncia a ristabilire quella
relazione, connaturata alla dimensione dell’oblio. Lo scacco della memoria presuppone, infatti, l’interruzione del legame con il passato, con
quello spazio carico di eventi, emozioni, desideri, inevitabilmente inghiottiti e sepolti dall’oblio che è la forza capace di ‘cancellare’ 19, di
15
Cfr. Pichon 1902, s.v. susurri blandi: “susurri blandi sunt amatoria verba”.
Cfr. 2,9,1 in hora.
17
A segnalare la ‘divergenza’ mediante la trascrizione a livello sentimentale di quanto avviene a livello spaziale è, in entrambi, i termini, il prefisso dis – (cfr. Ernout-Meillet
1985, s.v. dis). Alla notio di violenza dello ‘strappo’ nella relazione amorosa, suggerita in
discidium dal verbo di base scindo (cfr. Leumann 1977, 294; Ernout-Meillet 1985, s.v.
scindo), fa riscontro in divortium l’idea del “procedere in direzioni opposte”, “girarsi di
spalle” (cfr. Ernout-Meillet 1985, s. v. verto) che sembra segnalare una definitiva diversificazione del proprio tracciato esistenziale rispetto a quello del partner. Sulla topica del
discidium cfr. Cairns 1972, 70-97; Gross 1985, 69-123.
18
Cfr. Bettini 2009, 4-5.
19
Per un’approfondita teorizzazione su questa dimensione dell’oblio, si confronti
Ricoeur 2000, 596-608. Per la metafora della “cancellazione” presupposta nel vocabolario latino dell’oblio, si rinvia a Bettini 2009, 15-17.
16
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azzerare il dialogo interiore con il passato, destinato a smarrirsi tra le
nebbie della dimenticanza. È proprio contro questo “oblio definitivo,
assegnabile a una cancellazione delle tracce” e vissuto, in quanto tale,
come minaccia, che è necessario fare “opera di memoria, allo scopo di
rallentarne il corso, o meglio di tenerlo in scacco” 20. È ovvio – teorizza
Ricoeur 21 – che nel processo dialettico tra memoria e oblio “l’oblio è
sentito come un attentato all’affidabilità della memoria. Un attentato,
una debolezza, una lacuna. La memoria si definisce essa stessa, per lo
meno in prima istanza, come una lotta contro l’oblio”. Ricordarsi significa, in gran parte, non dimenticare, tentare di neutralizzare l’oblio, percepito e “deplorato allo stesso titolo dell’invecchiamento e della morte
[...] figure, tutte, dell’ineluttabile, dell’irrimediabile” 22.
Come chi perde memoria di sé smarrisce la percezione della propria
identità e si condanna a perdere se stesso, a divenire un altro 23, chi
perde memoria del partner nella relazione amorosa decreta inevitabilmente l’impossibilità di riannodare le fila di due diverse esistenze.
Al poeta amante, costretto alla lontananza e, dunque, deprivato della sua presenza fisica accanto alla donna amata, non resta, pertanto, che
affidarsi all’esile speranza di un locus in cui sia rimasto per lui uno
spazio, sia pure esiguo (1, 11, 6 ecquis in extremo restat amore locus?) 24,
nella dimensione del ricordo, della memoria. A questa esigenza risponde l’interrogativa enfatica e patetica (v. 5 nostri cura subit memores a!
ducere noctes?) in cui si concretizza l’Anrede a Cinzia, presente già dall’incipit: Properzio affida alla memoria la possibilità di avere uno ‘spazio’
nel cuore della donna amata e, soprattutto, un ‘antidoto’ rispetto alla
presenza invasiva di un rivale, quel nescio quis presentato con i convenzionali accenti di sdegno e disprezzo 25 (1, 11, 7 an te nescio quis simulatis
ignibus hostis), che è responsabile della sottrazione di Cinzia alla sua
dimensione ideale: la poesia (1, 11, 8 sustulit e nostris, Cynthia, carmini-
20
La citazione è tratta da Ricoeur 2000, 607.
Ricoeur 2000, 590.
22
Ricoeur 2000, 607.
23
Alla relazione tra la memoria di sé e ciò che viene definito “percezione della
propria identità” dedica approfondita riflessione Bettini 2009, 5-7.
24
Cfr. Fedeli 1980, ad loc.: in extremo tuo amore che equivale a in extremo angulo
amoris tui prevede un ampliamento della sfera di applicazione di locus alla disponibilità
sentimentale.
25
Sull’utilizzazione di questa formula per esprimere il disprezzo misto al senso di
superiorità peculiare di chi ostenta indifferenza nei confronti dell’ipotetico antagonista in
amore, cfr. Fedeli 1990, 141.
21
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bus?). Il ricordo dell’amato lontano durante gli ozi balneari potrebbe
‘riempire’ il vuoto creato dalla sua assenza e impedire che Cinzia, incapace di fronteggiare la solitudine anche per lo spazio esiguo di un solo
giorno e di una sola notte (2, 9, 19-20 At tu non una potuisti nocte vacare,
/ impia, non unum sola manere diem!), ceda alla tentazione di colmare tale
mancanza con altre presenze. La capacità di ricordare, di attualizzare il
passato è l’unica possibilità per garantire il “per sempre” degli amanti.
D’altronde, il motivo del ricordo dell’amato come antidoto e garanzia nei confronti del sospetto di infedeltà della donna, compare già in
un epigramma di Meleagro 26, in cui l’innamorato lontano e timoroso
della presenza del rivale nel letto dell’amata confida alla notte i suoi
dubbi circa la sua fedeltà e si chiede angosciato se ella serbi ancora
traccia dell’amore che li ha legati, se si ricordi dei baci passati, se trascorra le notti sola o in compagnia di un nuovo amante 27.
La sostituibilità del partner presuppone, dunque, l’oblio che crea
inevitabilmente una soluzione di continuità con il presente e, confinando drasticamente la storia d’amore nel passato, ne segna la fine determinata dalla violazione del foedus amoris. Perfida è, infatti, la puella che
ha perso memoria del poeta-amante e, insieme, anche degli dèi comuni, chiamati a garantire il patto fra i due innamorati (1, 11, 15-16 ut
solet amota labi custode puella, / perfida communis nec meminisse deos). È il
vuoto di memoria a rendere, se possibile, ancora più vuoto lo spazio
dell’assenza del poeta-amante e ad esporlo ulteriormente ai rischi e agli
attentati delle trappole tese da anonimi e generici rivali alla fedeltà
della donna amata, particolarmente temibili in un luogo celebre per la
sua corruzione come Baia. È la memoria l’unica possibilità di continuare a garantire all’innamorato assente una dimensione di attualità, di
guadagnare all’amore uno spazio che, nel momento del tradimento, rischia di venire drasticamente confinato nella dimensione del passato (1,
11, 6 ecquis in extremo restat amore locus?) 28. È la memoria il filo rosso
utile a non creare soluzioni di continuità tra passato e presente e a
26
Antologia Palatina 5, 166 “Notte, d’Eliodora vegliante brama, tortura / di crepuscoli obliqui, ebbra di pianto!/ Qualche reliquia di me che l’amavo le resta? Si scalda/
memore (mnhmovsunon) un bacio in un giaciglio diaccio?/ Cova nel letto il pianto? La cinge
sul petto, la bacia/ la larva mia che l’anima le smaga?/ Altro amore? Trastulli novelli?
Che tu non li veda,/ lume! Te l’affidai: falle la guardia!”. La traduzione è a cura di F. M.
Pontani, Antologia Palatina, volume I, Einaudi, Torino 19782.
27
Sull’epigramma di Meleagro cfr. Gow-Page, 1965, 635; sull’analogia con la situazione properziana Schulz-Vanheyden 1969, 129; Fedeli 1980, 267.
28
Cfr. 1,12,12 in exiguo tempore.
106
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colmare il vuoto dell’assenza neutralizzando i rischi connessi alla lontananza e, soprattutto, alle minacce di insidiosi rivali.
Il vero amore non perde memoria dei foedera a dispetto della lontananza nello spazio e nel tempo. Ancora una volta, nell’elegia 1, 15, la
perfidia di Cinzia evoca kat’antíphrasin (v. 9 At non sic) il comportamento
delle eroine del mito (vv. 9-14 At non sic Ithaci digressu mota Calypso /
desertis olim fleverat aequoribus: / multos illa dies incomptis maesta capillis /
sederat, iniusto multa locuta salo, / et quamvis numquam post haec visura,
dolebat / illa tamen, longae conscia laetitiae): “con un’insistenza sul motivo
tanto più sorprendente in quanto la poesia omerica ignora una tale
scena” 29, Properzio indugia nella rappresentazione della disperazione e
della desolazione di Calipso dopo la partenza di Odisseo, del doloroso
contrasto tra la consapevolezza della sparizione definitiva dell’amato dal
suo orizzonte e il sentimento d’amore che, malgrado tutto, ella continua
a nutrire nei suoi confronti. Al tradimento e all’abbandono che hanno
privato la relazione amorosa di una prospettiva futura, Calipso oppone
la capacità di ricordare (v. 14 conscia equivale a quae meminit) 30, di salvaguardare il legame con un passato di felicità (v. 14 longa laetitia) 31, destinato, dopo il discidium, a rimanere patrimonio esclusivo di uno solo
dei due partners. Non sempre, dunque, il vacuum lasciato dalla lontananza dell’amato determina la necessità di rimpiazzare l’assente, come
accade, invece, alla donna volubile e leggera (1, 15, 1 Saepe ego multa
tuae levitatis dura timebam), incapace, come si diceva, di fronteggiare la
solitudine anche per il breve spazio di un’hora: non fu così per Ipsipile
che, abbandonata da Giasone, consumò i suoi giorni nel vacuus thalamus
(v. 18) rifiutando la prospettiva di nuovi amori (vv. 17-20 Nec sic Aesoniden rapientibus anxia ventis / Hypsipyle vacuo constitit in thalamo: / Hypsipyle
nullos post illos sensit amores, / ut semel Haemonio tabuit hospitio) 32; non fu
così per Evadne, che il vuoto lasciato dalla morte del coniuge colmò con
la sua stessa morte, incapace di sopravvivere priva dello sposo (vv. 21-22
Coniugis Evadne miseros elata per ignis / occidit, Argivae fama pudicitiae). Ma,
ancora una volta, nulla possono insegnare queste eroine del mito a Cinzia
(vv. 23-24 Quarum nulla tuos potuit convertere mores, / tu quoque uti fieres
29
Fedeli 1980, ad loc.
Cfr. Pichon 1902, s.v. conscius.
31
Cfr. Pichon 1902, s.v. laetitia « laetus est plerumque is qui gaudet quia ei feliciter
res in amore eveniunt ».
32
L’immagine del letto definito “vuoto” per l’assenza della persona amata rinvia al
topos alessandrino della solitudine dell’amante (cfr. Fedeli 1980, ad loc.).
30
LONTANANZA E OBLIO
107
nobilis historia), che, dimentica dell’amante lontano e indifferente alla sua
sorte (v. 4 lenta) 33, indugia nella cura della sua persona (vv. 3-8 Aspice me
quanto rapiat fortuna periclo! / Tu tamen in nostro lenta timore venis; / et potes
hesternos manibus componere crinis / et longa faciem quaerere desidia, / nec
minus Eois pectus variare lapillis, / ut formosa novo quae parat ire viro) lasciandosi alle spalle i giuramenti d’amore (vv. 2 e 34 perfidia; v. 25
periuria) 34, pronta a ‘voltare pagina’ e a replicare la fabula d’amore con
un nuovo amante (v. 8 ut formosa novo quae parat ire viro).
È la nebbia dell’oblio 35, calata sulla fabula d’amore, a cancellare la
memoria dei foedera amoris. Il presente perde memoria del passato. La
perfida puella si rivela esperta nella declinazione della “forma intransitiva”
dell’oblio che connota “chi è dimentico e oblioso” ma non “chi produce
la dimenticanza” 36. Risultano vani e destinati al fallimento i reiterati
tentativi del poeta-amante – rimasto, nel suo tenace attaccamento al
passato, l’unico custode della “memoria intransitiva”, ovvero della “capacità di ricordare” – di attivare un analogo flusso di “memoria intransitiva” nella fanciulla obliosa. Si direbbe, dunque, che nella crisi di un
rapporto d’amore non ci sia spazio per la declinazione delle “forme
transitive” sia della memoria che dell’oblio. Fallisce il tentativo di Properzio di attivare la capacità di ricordare in una Cinzia persa nella nebbia dell’oblio. La distanza tra i due partners si misura e si consuma
proprio nell’impossibilità di trovare un punto di incontro negli “ampi
palazzi della memoria” 37: Cinzia, ‘distratta’ dal suo presente, non ricorda; Properzio, dal canto suo, tenacemente legato al passato, non dimentica. Impegnati con analoga intensità, ma su due versanti opposti, nella
“declinazione intransitiva” della memoria e dell’oblio, Cinzia e Properzio, come tutti gli amanti in crisi, sono, dunque, destinati a perdersi. Il
tenace attaccamento di uno solo dei due partner al ricordo del ‘passato
condiviso’, non riesce, infatti, a tradursi in una comunicazione del flusso
33
Cfr. Pichon 1902, s.v. lentus “dicitur saepe qui amantem non redamat, sed frigidus
remanet”; cfr. Prop. 3, 8, 20 hostibus eveniat lenta puella meis.
34
Sul motivo dello spergiuro cfr. anche i vv. 35-38: Hos tu iurabas, si quid mentita
fuisses, / ut tibi suppositis exciderent manibus: / et contra magnum potes hos attollere Solem, / nec
tremis admissae conscia nequitiae?
35
Per la metafora della nebbia in riferimento all’oblio, si confronti Agostino, Confessiones 10,8,12 Et abigo ea manu cordis a facie recordationis meae, donec enubiletur quod volo
atque in conspectum prodeat ex abditis.
36
Per la concettualizzazione di una forma transitiva e intransitiva della memoria e
dell’oblio, sono debitrice a Bettini 2009, 18-20.
37
Agostino, Confessiones 10,8,12.
108
GRAZIANA BRESCIA
di memoria. Lo scacco della “memoria felice” 38 e del suo piccolo miracolo che consente di neutralizzare la minaccia dell’oblio riconoscendo
attualità al ricordo passato, decreta il fallimento di qualsiasi tentativo di
attivare un canale di comunicazione.
Il tradimento, la violazione del foedus presuppone, pertanto, la capacità di rompere con il passato negandogli una continuità nel presente e,
più ancora, una speranza di futuro. La linearità e la continuità dell’asse
temporale passato-presente-futuro, presupposto da una storia d’amore,
si infrangono sulla levitas della domina (1, 15, 1 Saepe ego multa tuae
levitatis dura timebam) che vive in un eterno presente, connotato da quello che potremmo definire un vero e proprio horror vacui. Cinzia è incapace di restare sola anche un unico giorno e un’unica notte. Il poetaamante ne è tragicamente consapevole: per questo trema al sospetto (1,
15, 1 timebam) sapendola sola ed esposta alle tentazioni. A garantire la
fedeltà è, dunque, l’incapacità di ‘dimenticare’ di Calipso, di Ipsipile di
Evadne e, più di tutte, di Penelope: è la memoria dell’assente, l’unica
forza in grado di annullare le distanze spaziali e temporali.
E così, nel momento in cui Cinzia parte da Roma per una villeggiatura in campagna (2, 19), il poeta, oltre a dichiarare che questo ‘viaggio’ non incontra la sua approvazione (v. 1 me invito) per le ragioni che
abbiamo esposto, si affretta ad aggiungere di trovare motivo di rassicurazione nella connotazione di questa lontananza, che, pur presupponendo necessariamente la sua assenza (v. 2 sine me) e, dunque, una pericolosa situazione di vacuum, non implica, data la natura appartata e solitaria dei rura, il rischio della presenza di un corruptor, pronto, come a
Baia, ad utilizzare le sue blanditiae per ‘colmare’ tali vuoti (vv. 3-4 Nullus
erit castis iuvenis corruptor in agris, / qui te blanditiis non sinat esse probam).
In quell’orizzonte agreste Cinzia sarà costretta a vivere una dimensione
di solitudine (enfatizzata al v. 7 dal poliptoto sola eris et solos spectabis,
Cynthia, montis) e di contemplazione statica del paesaggio (cui rinvia
spectabis v. 7; v. 11) che neutralizzerà i rischi della lontananza.
Ma il vero e proprio antidoto al tradimento è individuato, ancora
una volta, dal poeta nella dimensione della ‘memoria’: la quotidianità
di Cinzia (vv. 27-28 Tu quotiens aliquid conabere, vita, memento / venturum
paucis me tibi Luciferis), scandita dall’avverbio quotiens, recupererà la presenza dell’amato assente nell’orizzonte del ricordo (memento) che consentirà di ridurre le distanze e di avvertirne la presenza nello spazio dell’attesa. La continuità, garantita dal ricordo, permette di neutralizzare i
38
Cfr. Ricoeur 2000, 136-144.
LONTANANZA E OBLIO
109
pericoli connessi all’assenza, individuata come una condizione di oggettiva debolezza e precarietà (vv. 31-32 quin ego in assidua mutem tua nomina lingua: / absenti nemo non nocuisse velit!).
La memoria consente di attualizzare il passato e permette al presente di modularsi in modo creativo sulla base di una dialettica tra passato,
presente e futuro che ha come polarità lo spazio di esperienza del passato e l’orizzonte di attesa del futuro. Quando questa possibilità è negata, quando il presente perde le sue radici nel passato, il futuro si fa
incerto e incontrollabile. Il congedo dal passato, si sa, si configura come
il presupposto di una situazione trasformativa necessaria per poter aprire una pagina nuova nella propria vita e nel proprio tempo, per poter
spalancare nuovi orizzonti. Un’esperienza significativamente emblematica in tal senso è quella raccontata da Virgilio nell’Eneide (6, 713-715) a
proposito delle anime destinate a reincarnarsi (Tum pater Anchises: animae, quibus altera fato / corpora debentur, Lethaei ad fluminis undam / securos
latices et longa oblivia potant) che bevono alla fontana di Lete per dimenticare tutto quello che hanno già vissuto e poter affrontare la nuova vita
che le attende. L’oblio si configura, dunque, come presupposto necessario perché possano essere assegnati dal fato altera corpora.
Siamo, così, entrati in contatto con l’Ade, con il regno dell’oltretomba, ovvero con quella dimensione dove l’oblio di tutto quello che è
avvenuto si configura come condizione necessaria e imprescindibile per
creare una separazione netta tra i due regni, quello dei vivi e quello
dei morti, destinati a restare distinti e, soprattutto, a non comunicare
tra di loro. I morti sono gli autentici depositari dell’arte dell’oblio:
“non hanno né mente, né senno né memoria e, quindi, non ricordano
nulla della loro vita mortale” 39. Si deve a Maurizio Bettini aver intuito
la possibilità di estendere “il segreto legame che sussiste fra amnesia
da un lato e morte dall’altro” 40 anche alla dimensione dell’oblio che
connota la mens, “lo stato d’animo” con cui il traditore per antonomasia, Teseo, abbandona Arianna sull’isola deserta (Catullo 64, 121-123
Aut ut vecta rati spumosa ad litora Diae / venerit, aut ut eam devictam
lumina somno / liquerit inmemori discedens pectore coniunx?; 132-135 “Sicine
me patriis avectam, perfide, ab aris, / perfide, deserto liquisti in litore, Theseu? / Sicine discedens neglecto numine divum / immemor a! devota domum
periuria portas?”).
39
Cfr. Bettini (2000, 4) il quale cita, a tal proposito, la definizione data da Seneca
(Herculens furens 292) dei morti proprio come i “dimentichi di sé (oblitos sui)”.
40
Bettini 2000, 35.
110
GRAZIANA BRESCIA
La propensione del perfidus alla dimenticanza finirà, infatti, per configurarsi come un vero e proprio habitus che troverà ulteriore e tragica
esplicitazione nel lapsus di memoria responsabile della morte del padre
Egeo (64, 246-248 Sic funesta domus ingressus tecta paterna / morte ferox
Theseus qualem Minoidi luctum / obtulerat mente immemori talem ipse recepit).
Questi, come è noto, aveva raccomandato al figlio di issare, al suo ritorno, una vela bianca sulla nave quale segnale dell’esito fausto della pericolosa spedizione intrapresa. Ma ecco che all’improvviso la mens di Teseo, giunto in prossimità del porto, viene “avvolta da cieca caligine” ed
egli dimentica di issare la vela bianca (64, vv. 207-211 Ipse autem caeca
mentem caligine Theseus / consitus oblito dimisit pectore cuncta / quae mandata
prius constanti mente tenebat, / dulcia nec maesto substollens signa parenti /
sospitem Erechtheum se ostendit visere portum) provocando la morte dell’anziano padre: Egeo, per la disperazione, si precipita dalla rupe da cui
ogni giorno scrutava il mare nell’ansiosa attesa del ritorno del figlio 41.
L’oblio è, dunque, causa di exitus. Anche l’oblio dell’amato si configura come il tragico presupposto per la fine di una storia d’amore che
ne segna inevitabilmente l’exitus. Se, come ammonisce Plinio 42, “nell’uomo non c’è nulla di così precario” come la memoria, al punto che la
capacità di ricordare appare costantemente in pericolo mentre l’oblio
risulta connesso alla nostra condizione ontologica, è altrettanto comprensibile la pretesa o, meglio, la speranza di una presunta inobliabilità
dell’oggetto del nostro amore. Forse allora non è casuale che Properzio
scelga di localizzare l’elegia del sospetto del tradimento che – come si
diceva – presuppone l’oblio, proprio nel mezzo di Baia (v. 1 mediis [...]
Baiis), affidando “all’uso intensivo di medius” la funzione di esprimere
un senso di biasimo e di sdegno 43 non esclusivamente imputabile alla
fama di perdizione e corruzione connessa agli svaghi di questa nota
località di villeggiatura. L’ampia e dotta digressione dedicata all’ékphrasis
tópou porta a individuare il luogo in cui Cinzia trascorre la sua ‘vacanza’
dalla relazione d’amore con il poeta proprio con la zona tra Cuma e
Miseno in cui si trova il lago Averno, favoleggiato come uno degli accessi al mondo infero 44. A questa identificazione geografica allude sia la
dotta allusione mitologica del v. 2 ad una delle due strade che collegavano Cuma a Miseno lungo il lago Averno e il lago Lucrino, tracciata,
41
42
43
44
Cfr. Catullo 64, 241-245.
Plin., nat. hist. 7,90 nec aliud est aeque fragile in homine.
Fedeli 1980, ad loc.
Cfr. Prop. 3,18,1-4; 3,22,1-4; Abel 1930, 3 sgg.
LONTANANZA E OBLIO
111
secondo la tradizione, da Ercole, reduce della vittoria su Gerione (qua
iacet Herculeis semita litoribus), sia la menzione del capo Miseno prospiciente il mare che bagna i Campi Flegrei (v. 4 proxima Misenis aequora
nobilibus) sia, soprattutto, l’ardito traslato mitologico utilizzato per definire idealmente la zona flegrea – ritenuta, appunto, in diretta connessione con il mondo infero – quale regno di Tespròto (v. 3 et modo Thesproti mirantem subdita regno), sovrano epirota della regione sua omonima
dove i Greci situavano l’Acheroúsia límne ed i fiumi Acheronte e Cocito e,
dunque, uno degli accessi all’oltretomba 45. Cinzia vive, dunque, la sua
esperienza di vacuum in un luogo che può contribuire ad alimentarne il
rischio della perdita di memoria proprio per la sua contiguità con l’Ade,
la dimensione in cui si consuma l’oblio della vita precedente come condizione necessaria per potersi perdere in quella futura. La corrotta Baia,
con le sue distrazioni, rischia di indurre in una puella perfida, oltre a
quello dell’amato (v. 5 nostri cura subit memores a! ducere noctes?), anche
l’oblio degli dèi garanti del foedus amoris (vv. 15-16 ut solet amota labi
custode puella, / perfida communis nec meminisse deos): non stupisce, pertanto, che i suoi litora, su cui si orienta l’invettiva del poeta (v. 30 a pereant
Baiae, crimen Amoris, aquae!), siano individuati come i responsabili di numerosi episodi di discidium (vv. 27-29 Tu modo quam primum corruptas
desere Baias: / multis ista dabunt litora discidium, / litora quae fuerant castis
inimica puellis).
Lo stesso binomio della lontananza e dell’oblio come orizzonte spazio-temporale del tradimento viene riproposto da Properzio anche nella
proiezione della propria storia d’amore nella nuova liaison di Cinzia con
un rivale che presuppone una significativa inversione di ruoli. Qui è la
puella ad essere vittima della perfidia del suo nuovo amante che veleggia verso l’Africa, lontano dal suo letto, senza serbare più ‘memoria’
della sua bellezza (3, 20, 1-2 Credis eum iam posse tuae meminisse figurae, /
vidisti a lecto quem dare vela tuo?). Anche in questo caso la dimensione
spazio-temporale del tradimento si gioca su due piani: quello della lontananza e quello dell’oblio (meminisse), che si traducono nella precarietà
del rapporto minato dal sospetto di una immediata sostituzione con
un’indefinita rivale (v. 6 forsitan ille alio pectus amore terat): l’apparente
attenuazione dello spettro del tradimento affidata al consueto uso di
forsitan è destinata – come efficacemente osserva Fedeli 46 – a dissolversi
45
Cfr. Pausan. 1,17,5; Strab. 7,324; Hyg. Fab. 88,3 che pone anche l’Averno in
Tesprozia Thyestes... profugit ad regem Thesprotum, ubi lacus Avernus dicitur esse.
46
Fedeli 1990, 130.
112
GRAZIANA BRESCIA
“nell’immagine fortemente realistica dell’amante di Cinzia che stringe al
petto un’altra donna con una forza tale da consumarla (tero)”. In una
‘compensativa’ inversione di ruoli, qui è Cinzia ad adottare lo stesso
copione iteratamente sperimentato dal poeta amante. È lei stulta a proiettare in un orizzonte immaginifico (fingis) parole vane (inania verba) e
la presenza rassicurante della divinità quale garante della precarietà del
rapporto amoroso (v. 5 At tu, stulta, deos, tu fingis inania verba) minacciato dalla comparsa di una rivale. Anche per Cinzia, così come per Properzio, il sospetto del tradimento si fonda su una situazione di ‘vuoto’,
di assenza dell’amato, determinata, sul piano spaziale, dal motivo del
viaggio, che trova un pendant, sull’asse temporale, nella perdita della
memoria. Se il presente non è garantito dalla continuità con il passato,
il rischio è, dunque, quello della ‘sostituzione’ di uno dei due elementi
della coppia: insieme al passato si smarrisce anche la possibilità di futuro.
Il cerchio si è chiuso, ma Properzio non rinuncia a riproporre se
stesso. Celebrato il makarismós della casa, “subordinato alla presenza in
essa di un fidus amicus (v. 9 Fortunata domus, modo sit tibi fidus amicus)”,
sarà egli stesso a candidarsi come tale e “ad invitare la fanciulla, ora
nuovamente sola, a correre nel suo letto (v. 10 Fidus ero: in nostros curre,
puella, toros!)” 47. Nel gioco delle parti previsto dall’avvicendarsi dei partners, c’è l’illusione di poter azzerare tutto e di poter far ripartire la
storia: si parla, infatti, di prima notte con una intenzionale enfatizzazione
conferita dal poliptoto prima/primae/in primo e nox/noctis (vv. 13-14 Nox
mihi prima venit! Primae data tempora noctis! Longius in primo, Luna, morare
toro). Si avverte l’esigenza di stabilire i foedera per quello che viene definito un novus amor (vv. 15-16 Foedera sunt ponenda prius signandaque iura
/ et scribenda mihi lex in amore novo). In realtà, è un tentativo di iterazione di un rapporto già vissuto e già consumato: ma il poeta, forte della
consapevolezza che gli proviene dall’esperienza, dal déjà vu, può procedere a blindare il nuovo amore dai pericoli e dai rischi del tradimento
e dell’abbandono. Egli sa, per averlo imparato a sue spese, che quando
un lectus non è legato da un certum foedus (v. 21) la libido solvit vincla
(v. 23) e che gli dèi non possono essere garanti di un rapporto non
solido. Lo sa perché ha già tutto vissuto, ha già tutto sperimentato in
prima persona e auspica che i prima omina, questa volta, possano essere
garantiti 48.
47
Fedeli 1990, 134.
3,20,21-24 Namque ubi non certo vincitur foedere lectus,/non habet ultores nox vigilanda
deos,/et quibus imposuit, solvit mox vincla libido:/ contineant nobis omina prima fidem.
48
LONTANANZA E OBLIO
113
Ma il tradimento collocato nella dimensione del presente è l’esito
imprescindibile della legge alla base dell’amore stesso che è quella della
‘mutazione’ (2, 8, 7 Omnia vertuntur; certe vertuntur amores), una legge
che determina la labilità e la precarietà del rapporto e a cui nessuno è
in grado di sfuggire. Il tradimento che si consuma ‘rapidamente’ priva
l’amante tradito della dimensione del presente che si fa passato e si
colora dei toni del rimpianto (2, 9, 1 Iste quod est ego saepe fui). L’oggi
diventa improvvisamente ieri (2, 8, 6 quae modo dicta mea est), ma, soprattutto, perde la possibilità di guadagnare spazio in un futuro (2, 8, 6
nec mea dicetur) ‘occupato’ dalla presenza di una sequenza indefinita di
rivali privi di una identità, replicanti destinati a segnalare la portata del
fallimento di quella dimensione totalizzante in cui solo il poeta si era
identificato contravvenendo alla legge della mutazione. È lo spazio vuoto, lo spazio dell’assenza a tormentare il poeta, l’unico in grado di garantire quella ideale continuità tra passato, presente e futuro che connota un’autentica storia d’amore: sia pure nella tragica consapevolezza della sua inapplicabilità alla sfera amorosa, dominata, come si diceva, dalla
legge della mutazione, egli non rinuncia a rivendicarlo come il proprio,
unico, spazio di identificazione. A suggellare questa sofferta conquista il
distico conclusivo dell’elegia 2, 21, costruito su una enfatica e inequivocabile riduzione delle coordinate temporali e spaziali che orientano
il viaggio del poeta amante nel segno e nel nome della donna amata
(vv. 19-20 Nos quocumque loco, nos omni tempore tecum / sive aegra pariter
sive valente sumus).
La violazione dei foedera lecti imputabile unicamente alla levitas (2,
16, 26) della puella che ormai da sette notti giace con l’odioso rivale
(vv. 23-28), il pretore di ritorno dall’Illiria, il barbarus, il foedus vir, ha
espropriato il poeta amante 49 dei regna (v. 28), lo ha privato della dimensione del presente (v. 28 nunc) che registra ormai unicamente il
dato dell’assenza (v. 5 nunc sine me; v. 6 nunc sine me) 50. Ma Properzio
non rinuncia a guadagnare spazio e collocazione nel futuro, anche se il
prezzo da pagare è la scissione della totalità della dimensione dell’io
poeta e dell’io amante. L’io poeta si trova a riscrivere una fabula per la
49
2,16,23-28 (numquam septenas noctes seiuncta cubares, / candida tam foedo bracchia fusa
viro: / non quia peccarim (testor te), sed quia vulgo/ formosis levitas semper amica fuit. / Barbarus
excussis agitat vestigia lumbis / et subito felix nunc mea regna tenet!). Sulla valenza dispregiativa dell’epiteto foedus riferito ad un uomo poltico, cfr. Opelt 1965, 159. Altrettanto
offensiva si rivela la connotazione del pretore come barbarus (cfr. Dauge 1981, 163; Opelt
1965, 163, 183).
50
2,16, 5-6 Nunc sine me plena fiunt convivia mensa,/nunc sine me tota ianua nocte patet.
114
GRAZIANA BRESCIA
nuova coppia di amanti, una fabula di cui non è più protagonista ma
‘osservatore’, una fabula che gli consente di far ripartire il percorso interrotto e di recuperare quella dimensione di presente-futuro sottrattagli
dai tradimenti della puella. Con un processo di sofferta proiezione e
immedesimazione nel rivalis già adottata da Catullo nei versi conclusivi
del carme 8 51, Properzio, dalla sua condizione di exclusus, ‘immagina’,
tormentandosi, la sua domina che, in compagnia del pretore di ritorno
dall’Illiria, banchetta con mense ricolme (v. 5); ‘immagina’ le illimitate
possibilità di accesso in casa concesse da Cinzia al nuovo amante (v. 6),
‘immagina’ la candida puella stretta da sette notti nell’abbraccio di un
tam foedus vir (vv. 23-24) e giunge sino all’estremo masochismo di ricostruire “con crudo realismo la dinamica degli amplessi” (v. 27) 52. Eppure questa forma estrema di voyeurismo costituisce, per certi aspetti, un
modo per riaffermare la propria partecipazione, per rivendicare un suo
spazio di presenza, sia pure nella dolorosa consapevolezza di una realtà
segnata dal tradimento e dall’abbandono. E così nella 2, 9 immaginare
di essere coinvolto nei dileggi degli amanti (v. 22 forsitan et de me verba
fuere mala) calati in un’atmosfera di allegro convito (v. 21 quin etiam
multo duxistis pocula risu), equivale alla sofferta conquista di uno spazio
di ‘soggettività’, segnalato dal pronome di prima persona (de me):
l’amante tradito, relegato nel passato, non rinuncia a riproporsi come
realtà che non può essere totalmente ignorata nel nuovo presente della
donna amata, anche se l’unica possibilità concessa è ormai quella di
recitare un ruolo comprimario.
Il dramma di chi ‘ricorda’ è, dunque, di non riuscire a ‘far ricordare’, ma ancora più drammatico è che chi ‘dimentica’ non riesce a ‘farsi
dimenticare’. I due ex amanti si collocano, così, sui due versanti contrapposti nella dialettica tra memoria e oblio a stigmatizzare l’ormai
irriducibile divergenza. Alla nostalgia e alla malinconia – passioni della
memoria – si oppongono dialetticamente le passioni dell’oblio: la negligenza o, addirittura, l’indifferenza. Intermittenze della memoria, dunque, come preludio e segnale delle intermittenze del cuore.
È lo scacco della memoria a decretare la rottura definitiva del legame tra due amanti, quello stesso scacco che detta ad Eugenio Montale
il tema di fondo di una delle liriche più suggestive delle sue Occasioni:
51
Catullo 8, 14-19 Scelesta, vae te; quae tibi manet vita!/ Quis nunc te adibit? Cui videberis bella? / Quem nunc amabis?cuius esse diceris? / Quem basiabis?cui labella mordebis? / At tu,
Catulle, destinatus obdura.
52
Fedeli 1990, 126.
LONTANANZA E OBLIO
115
La Casa dei doganieri 53. Nella casa dei doganieri il poeta ha vissuto momenti felici in compagnia di una donna, ma ora nella memoria di lei,
frastornata da altri eventi, da altro tempo che si è sovrapposto al tempo
di quell’incontro perdutosi nelle nebbie del passato, non c’è più posto
per il ricordo. La triplice ripetizione che scandisce la lirica (v. 1 “Tu
non ricordi la casa dei doganieri”; v. 10 “Tu non ricordi; altro tempo
frastorna / la tua memoria; un filo s’addipana;” v. 21 “Tu non ricordi la
casa di questa / mia sera”), suggella l’inesorabile erosione operata dal
tempo sulla nostra memoria: il ricordo non è più un legame tra i due,
solo il poeta adesso vi si aggrappa ma per constatare definitivamente
l’impossibilità di un recupero del passato e la propria solitudine. Due
formulazioni fortemente avversative (v. 12 “ma s’allontana”; v. 15 “ma
tu resti sola”), come già era accaduto al poeta di Cinzia (2, 9, 19 at tu),
segnalano il fallimento di quel disperato tentativo, ulteriormente enfatizzato dalla contrapposizione, altrettanto iterata, in quegli stessi versi
(v. 12 “ne tengo un capo”; v. 15 “ne tengo un capo”), dell’ostinata volontà di una sola delle due parti di mantenere ancora aperto il flusso di
comunicazione della memoria un tempo condivisa.
Vana ogni resistenza opposta al processo di erosione scavato dall’inesorabile fluire del tempo, vana la ricerca di un sempre più improbabile
varco: lo scacco della memoria segna inevitabilmente, per Montale, come
già per Properzio, la fine di ogni storia, anche di quelle d’amore.
53
“Tu non ricordi la casa dei doganieri / sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: /
desolata t’attende dalla sera / in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri / e vi sostò
irrequieto. / Libeccio sferza da anni le vecchie mura / e il suono del tuo riso non è più
lieto: / la bussola va impazzita all’avventura / e il calcolo dei dadi più non torna. / Tu
non ricordi; altro tempo frastorna / la tua memoria; un filo s’addipana. / Ne tengo
ancora un capo; ma s’allontana la casa e in cima al tetto la banderuola / affumicata gira
senza pietà. / Ne tengo ancora un capo; ma tu resti sola / né qui respiri nell’oscurità. /
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende / rara la luce della petroliera! / Il varco è qui?
(Ripullula il frangente / ancora sulla balza che scoscende...). / Tu non ricordi la casa di
questa / mia sera. Ed io non so chi va e chi resta”.
116
GRAZIANA BRESCIA
BIBLIOGRAFIA
Axelson 1945 = B. Axelson, Unpoetische Wörter, Lund.
Bettini 2000 = M. Bettini, Le orecchie di Hermes. Studi di antropologia e letterature
classiche, Torino.
Bettini 2009 = M. Bettini, Orecchie infarcite, ricordi ob-litterati. Su alcune figurazioni
antiche di memoria/oblio, in Racconti della memoria e dell’oblio, a cura di Angela
Mengoni, Siena.
Cairns 1972 = F. Cairns, Generic Composition in Greek and Roman Poetry, Edinburgh.
Dauge 1981 = Y. A. Dauge, Le barbare. Recherches sur la conception romaine de la
barbarie et de la civilisation, Bruxelles.
Ernout-Meillet 1985 = A. Ernout - A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la
langue latine. Histoire des mots, Paris (IV ediz.).
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