Mistica e Metafisica

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Mistica e Metafisica
(Dalla distanza infinita delle sostanze alla familiarità della esperienza mistica cristiana)
Juan Manuel Morilla Delgado
Proemio
Il nostro congresso viene incontro alla problematica fondamentale, espressa da Giovanni
Paolo II nell'enciclica Fides et ratio, che riguarda essenzialmente la questione della verità. La
conoscenza della verità è stata, nel corso dei secoli, il traguardo più ambito del pensiero di
ogni cultura e lo stupore segreto del cuore di ogni uomo: chi sono? da dove vengo? dove
vado? perché soffro? ecc. Ma la questione della conoscenza della verità dell’uomo non
riguarda soltanto il suo modo di pensare né solo le sue facoltà, ma l’essere vivo, l'essere
persona che invoca un Amore eterno e che quindi non può trovare soddisfazione nell'idea di
"essere per la morte".
Nella filosofia occidentale, vari sono stati i modi di concepire l'uomo: come quello che è,
con una propria natura ben definita; come quello che può farsi da sé; come "imago Dei " (Gn
1,26) 1.
Con Aristotele il pensiero metafisico greco, nella questione del "Principio senza principio",
raggiunse forse la sua piena maturità portando a compimento la struttura parmenidea ad essa
sottesa. Con la definizione dell’uomo come "animale razionale" verrà segnata la mentalità del
pensiero occidentale e la considerazione dell’uomo alla stregua della sostanza; proprio tale
definizione, con i presupposti dello pseudoprincipio d'identità e di quello di contraddizione,
chiuderà la possibilità di definire la persona in base ad una relazione trascendente, escludendo
così il soprannaturale e portando all'inevitabile conseguenza secondo cui l'uomo, anche se
ragionevole, non è lo Spirito divino che vi inabita. L’ombra dell’identità, della distanza
infinita delle sostanze, martellerà con il suo pungolo mortale la metafisica, per giungere nei
tempi moderni, con l'oblio dell’essere e della ricerca della Verità come passione inutile, alla
formulazione definitiva del manifesto nichilista secondo il quale l’uomo è "quello che può
farsi da sé"2.
Dopo la costruzione ciclopica della metafisica hegeliana, lo smarrimento dell’uomo "senza
più casa" dove abitare completerà in maniera fallimentare la grande cattedrale innalzata
unicamente per un "uomo-dio", senza più Dio. La conoscenza di Dio e la conoscenza
dell’uomo diventeranno impossibili a causa dell'identità monistica di stampo greco e di
un’alterità generica, cioè un'alterità senza relazione reale. La dialettica del "pensiero nel
pensiero" si esaurirà nella morta metafisica senza più essere, che lascia come eredità quello
che M. Buber ha definito come la più grande crisi dell’uomo mai conosciuta3 fino ad ora,
nella quale "due cose sono messe in dubbio: la persona e la verità".
E il problema non si risolve né con il "credere di non credere" (filosofia del nulla e
negazione di ogni verità oggettiva) né col "credere di credere", perché "la fede se non è
pensata è nulla" (FR 95) dirà Giovanni Paolo II nella Fides et ratio, aggiungendo che "Una
teologia priva dell’orizzonte metafisico non riuscirebbe ad approdare oltre l’analisi
dell’esperienza religiosa e non permetterebbe all’intellectus fidei di esprimere con coerenza il
valore universale e trascendente della verità rivelata" (FR 83). Allo stesso modo, rivolgendosi
ai filosofi, insiste sulla necessità di "una filosofia di portata autenticamente metafisica, capace
cioè di trascendere i dati empirici per giungere, nella sua ricerca della verità, a qualcosa di
1
Cf. F. Liverziani, Il Problema Filosofico dell'Antropologia, in Atti del XXXI Convegno del Centro di Studi
Filosofici tra Professori Universitari, Gallarate l976, Brescia, 1977, l88.
2
3
Cf. Ibidem.
M. Buber, Il Principio dialogico e altri saggi, a cura di A. Poma, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1993,
273.
assoluto, di ultimo, di fondante" (FR 83), "una filosofia dell’essere anche se non inserita
dentro una specifica scuola di pensiero, che sia capace di ritrovare la dimensione sapienziale
di ricerca del senso ultimo e globale della vita" (FR 81) e della "religiosità costitutiva di ogni
persona". Perché "è proprio la metafisica che consente di dare fondamento al concetto di
dignità della persona in forza della sua condizione spirituale" (FR 83).
E a questo punto entra in causa la tematica della nostra riflessione, che riguarda l’alterità
ontologica o mistica, espressa dall’esperienza familiare del "vivo sin vivir en mí" di Teresa
d’Avila4, di Giovanni della Croce, e di tutta la tradizione spirituale cristiana, che trae le sue
radici dal testo paolino: "Non sono già più io che vivo, ma Cristo che vive in me" (Gal 2,20).
L’esperienza mistica è esperienza ontologica5, costituita da una relazione familiare, il cui
culmine mistico viene espresso da Elisabetta della Trinità come comunicazione celebrativa
dell’amore divino del Padre che, per mezzo di Cristo e in Cristo, non ha altra occupazione che
quella "di colmare l'anima di carezze e di segni d'affetto, come una mamma che solleva il suo
bambino e lo nutre del suo latte". Questa è la "scienza esperienziale" e lo stupore della
conoscenza di "quell'abisso di gloria" che è la persona "creata ad immagine e somiglianza di
Dio". E inabitata da un Padre "che è nei cieli" e che "in questo piccolo cielo che si è fatto nel
centro della nostra anima" svela lo splendore della sua bellezza ineffabile mediante il lume
della fede "ai veri adoratori in spirito e verità" che amano con la forza di quell'amore di Cristo
riversato nei nostri cuori, "facendo ciò che piace al Padre"6. La semplicità e la tenerezza di
questa descrizione non può che sorprendere il filosofo sul segreto di tale esperienza, il cui
fulcro sono le parole di Cristo che invita ad adorare Dio in "spirito e verità" per poter
diventare, come dirà Paolo, "concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ef 2,19).
Ecco l’importanza dell'esperienza mistica cristiana e la sua relazione con la metafisica,
riguardo a quella conoscenza infusa che, come dice Giovanni della Croce, supera ogni
conoscenza speculativa, e mediante la quale "l’intelletto ha la più alta notizia di Dio" e, allo
stesso tempo, "le verità divine" "non soltanto si conoscono, ma insieme si gustano"7. La
conoscenza mistica non separa la conoscenza dall’amore, e dunque dalla vita, né la riduce a
una gnosi impersonale e astratta, poiché la vita mistica cristiana è essenzialmente
interpersonale e familiare, superando in questo modo l’Alterità nel medesimo e la distanza
infinita dell’eterogeneità radicale dell’Altro.
Il problema fondamentale però della Teologia mistica come modalità della esperienza
cristiana, quale scienza d’unione dell’amore soprannaturale con le Persone divine, è quello di
dover superare l’aspetto fenomenologico dell'esperienza interiore o dello spirito, mostrando il
fondamento ontologico e metafisico che la sorregge, per poter così definire la persona e
spiegare la struttura della sua antropologia soprannaturale.
La questione mistica
Da quando Dionigi l'Areopagita consacrò il termine "mistica" nella sua De mystica
theologia, esso è stato, ed è tuttora, motivo di discussione fra gli specialisti8, avendo dato
4
Si può vedere su questa tematica il nostro studio: 'Yo-Tú' en Teresa de Avila, en lectura cristogenética, in
Studies in Spirituality, n° 3, Titus Brandsma Istitute, Nijmegen 1993, 149-171.
5
M. Buber, op. cit, 15; Cf. Dominum et vivificantem, 54.
6
Cf. Elisabetta della Trinità, Come si può trovare il cielo sulla terra, (Luglio 1906) (Nono giorno, Prima
orazione).
7
Cf. (Canzone A), Prologo 3.
8
2
Cfr. Ch. A. Bernard, Teologia Spirituale, Ed. Paoline,
Roma 19823, 26-30;
luogo ai significati più svariati e contraddittori. Ad esempio, è stato usato come sinonimo di
irrazionale, oscuro, prelogico, affettivo; come sinonimo di epifenomeni di tipo somatico, ecc.
E la causa di tanta confusione è la mancanza d’una definizione che tenga conto del punto
di partenza ontologico dell’antropologia mistica e che, allo stesso tempo, sappia giustificare il
suo fondamento metafisico. In questo senso, la prospettiva mistica dei Padri greci era
propriamente ontologica. Loro si muovevano da una ricerca di Dio in quanto trascendente,
sottomettendo però la loro ricerca soggettiva d’unione con Dio alle nozioni oggettive del
senso di Dio quale si è rivelato. Ma al loro punto di partenza ontologico, fondato sulla
definizione biblica dell’uomo come imago Dei, subentravano le categorie neoplatoniche che
non riuscivano a separare radicalmente l’identità dalla differenza del soggetto e dell’oggetto
dell’esperienza mistica9. Più tardi, con l’entrata nella scena cristiana del pensiero corretto di
Aristotele, si cercherà di spiegare la mistica da un punto di vista più oggettivo e reale,
combinato anche con certe categorie neoplatoniche. Il risultato sarà sempre quello dell'identità
e dell’incomunicabilità assoluta delle sostanze e di una razionalità che non può giustificare il
soprannaturale e che darà luogo, in un secondo momento, alla separazione tra fede e ragione,
tra natura e soprannaturale.
L’ultimo colpo di grazia alla pretesa di una fondazione ontologica della mistica verrà
inflitto da Kant che, con la sua Critica della ragion pura, evidenzierà l'assurdità della pretesa
della metafisica di voler soddisfare l'esigenza dell'assoluto, e dimostrerà la possibilità per essa
di raggiungere soltanto una conoscenza di carattere pratico-morale.
Ma lasciamo per il momento la questione della difficoltà storica di una fondazione
ontologico-metafisica della mistica e torniamo all'antropologia rivelata cristiana e alla
definizione dell'uomo come imago Dei ribadita dal Vaticano II che evidenzia la dimensione
ontologica della vocazione dell’uomo chiamato alla unione con Dio: "L'aspetto più sublime
della dignità umana consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio".10.
Questa antropologia mistica, come afferma la Gaudium et spes, trova la sua pienezza e il
suo modello in Cristo, chiave che illumina la filosofia per mezzo del dato rivelato e che
l'antropologia fa suo: "In realtà, solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il
mistero dell'uomo. [...] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e
del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima
vocazione [...]. Egli è 'l'immagine del Dio invisibile' (Col l,l5; cf. 2Cor 4,4), è l'uomo perfetto,
che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio resa deforme dal primo peccato" 11.
Dal Gesù storico al Cristo mistico
L'esistenza storica di Gesù è oramai un dato accettato, ma la sua figura storica continua ad
essere al centro del dibattito teologico, attirando anche l'attenzione dei filosofi non credenti.
Tutti guardano l"Ecce homo", ma ognuno dal proprio punto di vista: con benevolenza e
simpatia, con ostilità o indifferenza, oppure con la delusione della ragione che non riesce a
trovare altro che la tomba vuota di un Gesù che è stato crocifisso e seppellito e che alcuni, per
fede, credono essere vivo.
L'importanza della questione di fondo sta nella domanda che Cristo rivolse ai suoi
discepoli: "Voi chi dite che io sia?" (Mc 8,29; Mt 16,15; Lc 9,20). Il passaggio dal Gesù
storico al Cristo vivo della cognitio Dei experimentalis della mistica non può essere operato
dalla sola ragione perché non c’è passo alcuno dal fenomeno al noumeno, come aveva
ripetuto Kant. La conoscenza mistica rimanda alla fede teologale che soltanto Dio può
9
10
11
Cf. Ch. A. Bernard, Introduzione alla lettura di San Giovanni della Croce, Ed. P.U.G, Roma, 1993, 7.
Gaudium et spes, l9.
Ibidem, 22.
2
rivelare: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato,
ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,13-17).
Questa fu la intuizione e l’onestà intellettuale di E. Stein, fenomenologa, discepola di
Husserl, quando, nel 1921, lesse per caso e tutto d'un fiato il volume Vita di Santa Teresa di
Avila scritto dalla stessa, e si sentì obbligata a confessare a se stessa: "Questa è la verità!"12.
Il Cristo metafisico
Fu proprio sulla questione della verità che a Cristo, dopo che egli ebbe affermato: "Chi è
dalla verità ascolta la mia voce", fu rivolta dal romano Ponzio Pilato -sotto l'influenza della
cultura greca (quid, aletheia)- la domanda: "Che cosa è la verità?". Il governatore Pilato non
ebbe altra risposta che il "silenzio…". Silenzio d’un Cristo-umiltà che rimanda ad un’altra
verità, che non è quella del pensiero come adaequatio intellectus et rei, ma che coinvolge la
persona come soggetto ontologico e il suo fondamento metafisico.
La figura di Cristo come Fondatore del cristianesimo non riguarda soltanto l’insegnamento
di un'etica morale come hanno fatto altri fondatori. Il cristianesimo ha qualcosa del tutto
originale: l’insegnamento di Cristo è sovraetico o meglio è "au delà de l'ethique", in quanto
presuppone nel soggetto recettivo quella "deità" ("siete dei" Salmo 82,6) propria dell'essere
umano creato "ad immagine di Dio", e capace quindi di quella "somiglianza" che è proprietà
metafisica di Dio-Padre ("siate perfetti come il Padre vostro è perfetto" Mt 5,48). Ma Cristo
Fondatore supera tale insegnamento, autodefinendosi il fondamento stesso di quell'amore
divino di cui Dio-Padre è la sorgente fontale: è lui, il Cristo, la "Verità", la "Via" e la "Vita".
Inoltre Cristo, dopo aver rivelato lo specifico della sua persona (cioè l'essere il Figlio
unigenito divino del Padre), manifesta anche che l'"Io-Sono" di Dio è costituito, in un primo
momento, dalle relazioni sussistenti di due Persone divine (quella del Padre con il Figlio e
quella del Figlio con il Padre), per poi, in un secondo momento, rivelare che nell'"Io-Sono" c'è
una terza relazione sussistente: quella dello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio,
chiudendo la complementarietà circumlogica delle loro processioni nell'unica sostanza
dell'"Io-Sono". Dunque, con la rivelazione dello Spirito Santo, viene resa esplicita la
rivelazione della Verità tutta intera dell'"Io Sono" assoluto di Dio13.
Cristo è il metafisico per eccellenza -dirà F. Rielo-, in quanto rompe con la concezione
d'identità di un "Dio in quanto Dio", intriso nella cultura ebrea e con essa in tutta la cultura
precedente. Cristo si presenta come l’artefice storico di un modello realista costituito da due
Persone divine, nelle quali la loro differenza reale è così forte come la loro unità assoluta.
Cristo rivela di se stesso che è Persona divina, Figlio del Padre, costituendo le due Persone
divine una concezione genetica dell'"unum" di fronte all'"unum simpliciter" della filosofia
precedente: "Ego et Pater unum sumus " (Gv. 10,30). Questo "unum geneticum" è il
fondamento per il quale le Persone divine si costituiscono in unico soggetto assoluto, sebbene
nel campo razionale siano "Binidad". Il testo di Cristo: "Se credete in Dio credete anche in
me" (Gv. 14,1) apporta l'implicito puro di una sintesi genetica per "congenesi replicativa"
della quale Lui si dichiara incarnazione del Padre: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel
mondo" (Gv. 16,28)14.
E riguardo alla definizione deitatica che Cristo dà dell’essere umano: "siete dei" –continua
F. Rielo-, essa rappresenta la più trascendente e sublime che ci sia data nella storia umana che
12
Cf. E. Stein, Il Castello dell'anima, Ed. O.C.D., Firenze, 1981, 17-18.
13
Cf. F. Rielo, Hacia una nuova concepción metafisica del ser, in ¿Existe una Filosofía Española?, Fundación
Fernando Rielo, Constantina (Sevilla), 1988, 115-142.
14
Cf. Experiencia mística y lenguaje, in Atti del Congresso Internazionale, Semiotica del Testo Mistico,
(L’Aquila-Forte-Spagnolo - 24/23 Giugno), 1991, 126-155; Cf. Definición mística del hombre y sentido del
dolor humano, (Istituto della Assunzione), Roma,21996.
corrobora l’enunciato ontologico: la persona umana, supposto il suo elemento creato, è deità
ontologica della divinità metafisica. La realtà ontologica o positiva dell'essere umano è la sua
deità o presenza costitutiva, inabitazione, dell'atto assoluto e del suo soggetto assoluto
nell'elemento creato della persona umana: non siamo il soggetto assoluto, però il soggetto
assoluto inabita con il suo atto in noi. La teologia mistica studia, sub ratione divinitatis,
l'ontologia del modello genetico; sub ratione deitatis, l'ontologia delle incrementazioni, cioè
della crescita dinamica della presenza costitutiva dell'atto assoluto e del suo soggetto assoluto
nell'elemento creato della persona umana15.
Il Cristo mistico
Cristo non ha avuto esperienza mistica. La sua persona è divina, e la sua esperienza è
divina e non mistica. Il Cristo mistico riguarda l'esperienza della nuova realtà filiale dei
credenti, nel suo Corpo mistico, cioè nella Chiesa nata, dopo la sua Ascensione, con
l'effusione dello Spirito Santo.
La genesi dell'esperienza mistica cristiana16 ha come oggetto la fede personale in Cristo e
pertanto il credere nella Trinità divina. Il suo presupposto ontologico è l’unione che opera lo
Spirito Santo: Chi si unisce al Signore forma un unico spirito con lui (1Cor 6,17). La
cristologia che ne segue è pneumatologica o mistica, che per Paolo è il Mistero di Dio che è in
Cristo: "nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3).
Per Paolo l'"in" dell'"essere in Cristo" non ha alcun riferimento ad un "in" di luogo
intramondano, e nemmeno ad un ontologismo generico né ad alcun panteismo. L'"essere in
Cristo" è l'in ontologico dell’"essere una nuova creazione", (2 Cor 5,17-19); (Ef, 2,16).
Ecco perché Paolo insiste sull'"essere in Cristo", "vivere in Cristo", "imitare Cristo",
avendo "lo stesso sentire che fu in Cristo Gesù" (Fil 2,5-8), perché l'intero essere, il "vecchio
Adamo", sia trasformato nel "nuovo Adamo", cioè in una deificazione per mezzo dell'unione
con Cristo.
L’operatore di questa unione ontologica o santità è lo Spirito Santo, Persona-dono (DV 10),
riversato nei cuori del credente che eleva, per mezzo del battesimo, la filiatio constitutiva sub
ratione Divinitatis, cioè dell'uomo figlio di Dio,17 a filiatio transformativa, o della grazia
santificante, che è quella a cui si riferisce il Prologo del Vangelo di San Giovanni quando ci
rivela: "A quanti però l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio" (Gv 1,12).
Dalla unione trasformativa alla unione di somiglianza
Lo Spirito Santo è l'artefice di questa antropologia soprannaturale, dynamis d'amore e di
grazia che agisce all'interno dell'uomo nuovo, per configurarlo nel suo io come alter Christus,
nell'unità dell'amore del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. Perché lo Spirito Santo come
Amore-dono del Padre e del Figlio comporta la novità di una nuova relazione dell'essere
15
"Nella persona umana -secondo F. Rielo- ci sono due elementi: creato, lo spirito per cui l'uomo è aperta natura
creata; increato, la divina presenza costitutiva per cui l'uomo è aperta deità increata. Questa genetica apertura è il
fondamento di una mistica relazione, comunicazione estatica, dell'essere umano col Soggetto Assoluto che, a sua
volta, è la forma genetica di comunicazione con gli altri esseri umani e, in generale, con tutta la creazione". Cf.
Definición mística del hombre y sentido del dolor humano, (Istituto della Assunzione), Roma, 1996.
16
Cf. Experiencia mística y lenguaje, in Atti del Congresso Internazionale, Semiotica del Testo Mistico,
(L’Aquila-Forte-Spagnolo - 24/23 Giugno), 1991, 126-155.
17
Questa unione ontologica o mistica dell'essere umano, in cui Dio è per presenza, essenza e potenza, San
Giovanni della Croce la chiama unione sostanziale o essenziale perché: "Il Signore sostanzialmente dimora ed è
presente in qualsiasi anima, anche in quella dei più grandi peccatori della terra. E’ sempre in atto un tale genere
di unione fra le creature e il Creatore il quale, in forza di essa, conserva loro l’essere di cui sono in possesso. Se
2 esistere tornando al niente". II Salita, 5,3.
questa si scindesse, gli esseri creati cesserebbero di
umano creato ad immagine e somiglianza di Cristo, divenendo capace di partecipare alla vita
della Ss. Trinità.
L'"essere in Cristo" costituisce il principio formale della santità o unione ontologica che
definisce la filiazione trasformativa che lo Spirito Santo opera nell'amore di Cristo,
collocando il credente non di fronte al Padre, ma rivolto al Padre, che è la sorgente fontale e il
destino dell'essere figlio adottivo. L'azione dello Spirito Santo, che è la Persona-dono in cui
l'agape della Trinità si apre ad extra come vinculum amoris infuso, comunica-con e conpenetra l'io del credente, facendolo partecipe del "mistero di Dio" che è nell'"essere in Cristo":
"In quel giorno" fa comprendere e sperimentare "che Io (Cristo) sono nel Padre e voi (siete) in
me e Io in voi" (Cf. Gv 14,20), "affinché siano perfetti nell'unità" e "l'amore, con cui tu
(Padre) mi hai amato, sia (amore paterno) in essi e io (amore filiale) in loro" (cf. Gv
17,23.26).
La dialettica di questa unione d’amore poggia nella croce,18 perché l'amore oblativo di
Cristo è quello del Dio-Uomo ma anche dell'Uomo-Dio; e il parametro di questa unione
d’amore è dato dalla partecipazione alla morte e alla risurrezione gloriosa di Cristo,
partecipazione che non opera soltanto come causa efficiente e meritoria che si perpetua nei
suoi effetti, ma come realtà ontologica, mistica, che immerge spiritualmente il credente nella
morte e nella risurrezione della vita di Cristo.
La croce abolisce la distanza metafisica, altrimenti insuperabile, fra il peccato dell'uomo e
l’amore del Padre, capovolgendo la dialettica vita-morte in morte-vita, che viene definita dalla
risurrezione: è questo amore crocifisso e glorioso di Cristo il fondamento e il luogo-metafisico
dell'incontro fra il mistero dell'amore familiare del Padre e la distanza infinita del peccato
(non-amore, non-relazione) dell’uomo decaduto. Per questa ragione "la dimensione divina
della redenzione non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all'amore
quella forza creativa nell'uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza di
vita e di santità che proviene da Dio"19..
La verità di questa conoscenza sapienziale della vita mistica ha il suo più alto grado
d’unione nel "matrimonio spirituale", nel quale, come dice Teresa d’Avila, le verità di "ciò
che crediamo per fede, l'anima lo conosce quasi per vista, benché non con gli occhi del corpo
né con quelli dell'anima, [...] Qui le tre Persone si comunicano con la creatura, le parlano e le
fanno intendere le parole con cui il Signore disse nel Vangelo che Egli col Padre e con lo
Spirito Santo scende ad abitare nell'anima che lo ama ed osserva i suoi comandamenti"20..
La ontologia mistica, questione aperta
Nel breve spazio di questa relazione non è possibile evidenziare tutte le questioni che, allo
stato attuale e per la mancanza o l'ambiguità insita nelle categorie del pensiero occidentale,
impediscono una fondazione metafisica della mistica e la sua definizione ontologica come
antropologia soprannaturale. Facciamo un breve riferimento sintetico su alcune di queste.
Una difficoltà -scriveva Karl Ranher nel suo saggio: Teologia della esperienza dello
Spirito- nasce dal rapporto tra le grazie e la fede, in quanto i mistici chiamano "grazie" le loro
esperienze, per il fatto che dietro di esse c'è un intervento particolare di Dio. Ed allora la
domanda che ci si pone riguarda la relazione tra le grazie mistiche e la grazia offerta a tutti i
cristiani.
A questo riguardo possiamo dire che i mistici in generale non fanno altro che descrivere le
loro esperienze dell'orazione con lo scopo di insegnare ad altri il cammino affinché
esperimentino le "grazie" che comportano l'unione d'amore con Dio. Il loro modo di parlare è
un linguaggio comune e la loro terminologia non ha come scopo una precisazione ontologica
18
Si può vedere il nostro studio: La Dialettica Cristogenetico della Croce nella Esperienza Mistica in Atti del
Terzo congresso staurologico internazionale, (Roma, 9-13 gennaio) 1995, 211-221.
19
20
Giovanni Paolo II, Lett. encicl. Dives in misericordia, 7.
VII Mansioni,1, 7.
2
né un trattato sistematico di teologia sulla grazia. Però questo modo di esprimersi ha portato a
confondere le "grazie" straordinarie, concesse da Dio a pochi, con la "grazia" o inabitazione
soprannaturale delle Persone divine nel battezzato come stato permanente. Anche la
descrizione psicologica di queste grazie mistiche ha portato a confondere la vita mistica con
una sorta di vita epifenomenica quando, in realtà, in fenomeni mistici non sono altro che
risonanze psico-somatiche della realtà soprannaturale e trasformativa dell'unione con Cristo.
Tuttavia l'ostacolo più grande si incontra nella distinzione fra "grazia increata" e "grazia
creata". Secondo noi è questa distinzione che non permette di definire la mistica come
ontologia.
La domanda che i teologi si pongono sta in questi termini: se la vita mistica cristiana o
santità consiste nell'unione con Cristo, e dunque in una partecipazione alla vita della Ss.
Trinità, può qualcosa, anche se creata da Dio, raggiungere Dio in se stesso? "Nessuna realtà
creata, e la grazia 'creata' per definizione lo è, per quanto 'soprannaturale' la si immagini [...] è
capace di fondare o di offrire un titolo per la comunione con Dio. La distanza tra il Creatore e
la creatura è sempre incolmabile. Anche se pensiamo che Dio ci trasforma mediante un dono
che non sia Egli stesso, la distanza non si è in nessun modo colmata, ma continua ad essere
infinita"21. E ci troviamo, come abbiamo già detto, con il problema della fondamentazione
ontologica, non solo della mistica, ma anche della teologia morale ecc.
Certo, è vero che la teologia della grazia non sempre viene espressa solo con la
terminologia "grazia creata" e "grazia increata". "Esiste naturalmente una dottrina cattolica
sull'inabitazione dello Spirito, sulla sua infusione e sulla sua dimora nell'uomo, una dottrina
sulla grazia giustificante e sulla presenza del Dio trino, ma con questo, purtroppo, per la
teologia cattolica rimane ancora aperta la questione se questo Spirito compaia in quanto tale
nel campo della coscienza umana, oppure sia solo una realtà che noi conosciamo sì come
esistente attraverso una specie d'indottrinazione esteriore formataci dalla Scrittura e
dall'insegnamento della chiesa, ma come collocantesi semplicemente al di là della nostra
esperienza spirituale"22.
La problematica dell'accettazione di una esperienza della grazia e una conoscenza
soprannaturale di Dio trae la sua origine nel Concilio di Trento, quando si negò che si potesse
conoscere con "certezza di fede" il proprio stato di grazia; il che dette l'avvio a diverse
deviazioni di movimenti spirituali che rafforzarono la posizione contraria all'esperienza. Con
la distinzione tra la "natura pura" e il "soprannaturale" si cercò si spazzar via dal campo della
coscienza tutto ciò che facesse riferimento alla grazia, riconoscendo, al massimo, nella
esperienza mistica, i fenomeni straordinari, e favorendo in tal modo l'associare la esperienza
mistica con la epifenomenologia.
Tutto ciò porterà anche ad una posizione di diffidenza riguardo al campo della conoscenza
di Dio -dato che la vita è un mistero: "la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3)-, e
alla posizione radicale d'una conoscenza soltanto alla luce della rivelazione divina.
L'applicazione della dottrina dell'analogia farà il resto ogni volta che ci si trovi con il
problema ontologico, giacché essa salvaguarda una seppur minima conoscenza di Dio, e da
un'altra parte salva la distanza infinita, la distanza qualitativa, che separa il Creatore dalla
creatura. Salvo restando il fatto che l'analogia non spiega né definisce niente ontologicamente.
La questione centrale del problema viene focalizzato, dalla Dominum et vivificantem, nel
riferimento alle parole di Paolo VI quando disse che alla cristologia e specialmente
all’ecclesiologia del Concilio doveva succedere uno studio nuovo e un culto nuovo sullo
Spirito Santo, proprio come complemento immancabile all’insegnamento conciliare (Cf DV
8). La vita mistica e la vita spirituale in generale a livello ontologico hanno bisogno d'una
spiegazione sulla azione ad extra dello Spirito Santo nel credente, nel Corpo mistico della
21
22
A. Ladaria, L'uomo nella Grazia di Dio, a cura di M. Delmirani, P.U.G. Roma, 1991, 305.
2 Nuovi saggi VI, Ed. Paoline, Roma, 1978, 67-68.
. K. Rahner, Teologia dall’esperienza dello Spirito,
Chiesa e del suo fondamento metafisico che deve essere Cristo che, come dice la Mystici
Corporis, "è in noi per il suo Spirito che ci comunica e per mezzo del quale egli talmente
agisce in noi da doversi dire che qualsiasi cosa divina si operi dallo Spirito Santo in noi, viene
operata anche da Cristo" (n. 77).
Se Cristo non è il fondamento reale della metafisica, chi mai lo può essere? Ed allora
dovremmo porre a Cristo la stessa domanda, ma in chiave metafisica, dei discepoli di
Giovanni Battista: "Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?"; e fare nostre le parole di Simon
Pietro che, in un altro contesto, affermò: "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita
eterna".
Concludiamo questa riflessione nella quale abbiamo soltanto sottolineato la difficoltà della
questione della esperienza mistica del "vivo sin vivir en mi" o presenza inabitante delle
Persone divine nel credente per la grazia della redenzione di Cristo. L'itinerario metafisico
della cognitio Dei experimentalis della persona non ha altro fondamento reale che
l'incarnazione storica di Cristo. Cristo è il redentore dell'uomo, in quanto con la sua morte
distrugge l'identità reale del peccato-negazione ontologica della relazione metafisica: l'"io
egolatrico", l'"io per il mondo", l'"io nell'io", l'"io per la morte". Cristo è anche il fondamento
della santità perché è il Santo di Dio (attributo metafisico di Yahvè), e proprio per questo noi,
"ad immagine del santo", siamo chiamati a divenire santi (Cf 1Pt 1,13-16). Dal cuore
squarciato di Cristo si aprì il velo del Sancta Sanctorum metafisico dell'amore del Padre e del
Figlio, comunicando nel dono della Persona-Amore (Spirito Santo) ad extra, ("conoscenza e
amore infuso"), che fa comprendere nella fede l'altissima dignità filiale del credente come
membro della famiglia di Dio. Infatti, quanti siamo figli di Dio, costituiamo in Cristo una sola
famiglia mistica della divina famiglia della Trinità (Cf Eb 3,6).
Molte però sono le difficoltà in cui viene a trovarsi la fondazione ontologica e metafisica
dell’esperienza mistica cristiana, che non è solo esperienza psico-somatica o esperienza
ousiologica, ma esperienza ontologica e metafisica perché essa è essenzialmente unitiva e
pneumatologica di uno spirito-psico-somatico: la persona creata ad "immagine e somiglianza
di Dio".
La questione della metafisica, e la sua relazione con la mistica, ha oggi più che mai
un'urgenza centrale riguardo alla verità antropologia dell'uomo e al senso trascendente del suo
destino. Senza metafisica, ovvero senza Dio, come potrebbe l'uomo conoscere e amare Dio, e
riconoscere negli altri la dignità di figli di Dio? La persona umana, senza il fondamento della
sua alterità mistica, diventa "nascosta", chiusa in se stessa e incapace di riconoscere,
nell'altro, qualcuno inabitato costitutivamente dalla Divinità dal primo istante del suo
concepimento. In fondo, questa è la logica conseguenza di ogni concezione che pone come
proprio presupposto un monismo, sia esso ousiologico oppure meramente egologico: la
riduzione della persona a cosa. Se mancherà il fondamento dell'alterità ontologica o mistica,
chi, ad esempio, difenderà mai la vita dell'essere umano nella sua più indifesa fase
embrionale? Solo se si riconoscerà che l'essere umano è inabitato da Dio ed ha la dignità
mistica di un alter da noi, come noi siamo un alter di Cristo, solo allora la vita potrà essere
garantita nella sua alterità e nel suo mistero.
Lo studio della metafisica genetica e la ontologia mistica di Fernando Rielo, alla quale
abbiamo più volte fatto riferimento durante la nostra riflessione, sembra apportare il
convincimento che il cristianesimo trova in Cristo il metafisico che non solo redime l'essere
umano, ma che lo istruisce sulla costituzione ontologica dell'essere, rivelando in cosa consiste
la essenza di questa religione: la mistica processione che, soprannaturale, situa la persona
umana nella sua vera dimensione metafisica.23.
E per ultimo, dobbiamo dire che la natura unitiva del messaggio mistico di Cristo è
universale ed ecumenico: raduna in esso tutti i popoli e tutte le lingue, perché nella
23
Cf. Hacia una nuova concepción metafisica del ser, in ¿Existe una Filosofía Española?, Fundación Fernando
2
Rielo, Constantina (Sevilla), 1988, 115-142.
definizione dell'uomo come deità mistica è implicita quella verità universale che non difende
delle idee particolari, ma l'uomo nel suo essere "amore più" ed esperienza d'un Tu divino che
è metalinguaggio lirico e bellezza ineffabile di quella essenza "tanto antica e sempre nuova"
che inabita nel cuore dell'uomo.
Prof. Dr. Juan Manuel Morilla Delgado
Pontificia Università Gregoriana
2
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