L`ampliamento della responsabilità sociale dell`impresa

L’ampliamento della responsabilità
sociale dell’impresa
SERGIO SCIARELLI*
Abstract
L’impresa ha una responsabilità globale, al cui interno si combinano aspetti economici,
sociali e comunitari. Questa responsabilità globale dev’essere assolta, in ogni caso,
garantendo la sua sopravvivenza e, quindi, bilanciando accortamente le istanze a cui è
chiamata a rispondere. Il “trade-off” da rispettare è rappresentato dall’equilibrio economico
nel tempo breve e dall’aumento del consenso sociale nel tempo lungo. A presidio di questo
doppio obiettivo vanno posti i principî dell’efficienza e dell’eticità della gestione. All’etica, in
definitiva, dev’essere assegnato lo scopo di distribuire incentivi e costi tra tutti gli
stakeholder secondo principî di correttezza, equità e giustizia.
Key words:responsabilità sociale, business ethics, stakeholder
The firm has a global responsibility, which includes economic, social and communitarian
aspects.
This kind of responsibility, however, must be accomplished by a right balance between
social and economic goals, but protecting the continuity of the firm. A convenient trade-off
may be obtained combining the principles of efficiency and ethics: firm efficiency gives an
essential contribution in the creation of economic value while business ethics gives an
essential contribution in the maximization of social value. Business ethics, indeed, has the
purpose to distribute costs and incentives between the stakeholders according to the
principles of honesty, equity and justice.
Key words: social responsibility, business ethics, stakeholder, social accountability.
Una delle teorie classiche più accreditate sul riconoscimento della responsabilità
sociale dell’impresa è quella nota appunto come teoria del “contratto sociale”1.
Secondo tale teoria, tra impresa e società si viene ad instaurare un rapporto
contrattuale. La prima, difatti, utilizza risorse della collettività (infrastrutture,
sistema formativo, attrezzature sanitarie, ecc.), per le quali sostiene, di regola,
un’imposizione inferiore al costo delle risorse utilizzate; e, per questa ragione, è
*
1
Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese – Università degli Studi di Napoli
Federico II.
e-mail: [email protected]
Questa teoria è stata costruita soprattutto con i contributi di STEINER G., “Social policies
for business”, California Management Review, winter 1972, e DONALDSON T.,
Corporation and morality, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1982.
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chiamata a fornire alla collettività un contributo per il miglioramento della qualità
della vita. Da ciò l’idea di una sorta di contratto virtuale, fondato su un vero e
proprio “status di cittadinanza”. In altri termini, la corporate citizenship equipara
l’impresa a qualsiasi cittadino e si traduce nell’obbligo all’assolvimento della
responsabilità sociale.
Per chiarire meglio i confini del ragionamento da approfondire in questa sede, è
tuttavia opportuno partire da una più chiara definizione di questo concetto. Secondo
il World Business Council for Sustainable Development, “la responsabilità sociale
dell’impresa è il continuo impegno dell’azienda a comportarsi in maniera etica e a
contribuire allo sviluppo economico, migliorando la qualità della vita dei dipendenti
e delle loro famiglie, della comunità locale e più in generale della società”.
Va osservato che questo ampio inquadramento del concetto non solo è condiviso
sul piano teorico, ma è diffusamente riconosciuto e apprezzato a livello
imprenditoriale. D’altra parte, com’è stato di recente opportunamente osservato da
uno dei principali banchieri italiani, il concetto non è nuovo, ma è nuova la
consapevolezza della sua centralità nel governo aziendale2.
Convinzione abbastanza comune, dunque, è che il rispetto della responsabilità
sociale è un fine da perseguire e non una scelta di tipo opzionale, che qualche
impresa può assumere e qualche altra no3. Ciò non solo ragionando sulla base del
contratto sociale, a cui si è fatto riferimento in precedenza, ma anche, e forse
soprattutto, tenendo conto della relazione strumentale esistente tra socialità ed
economicità, ovvero tra finalità sociali ed economiche.
Questo è un punto molto dibattuto, da sempre al centro dell’attenzione degli
economisti aziendali. Da posizioni inizialmente contrastanti verso il riconoscimento,
per l’impresa, di qualsiasi altra responsabilità che non fosse quella economica di
creazione della ricchezza, si è difatti passati ad opinioni molto più avanzate. Oggi, ci
si trova di fronte, quindi, a due interrogativi di fondo: il primo concerne
l’alternatività o la complementarità tra scopo sociale ed economico dell’attività
d’impresa; il secondo, legato ovviamente al concetto di complementarità, riguarda la
preminenza o non di un certo tipo di responsabilità rispetto all’altro.
I quesiti, a cui la teoria ha già fornito risposte soddisfacenti, nascono
dall’assunto, certo non opinabile, che l’assolvimento della responsabilità sociale
comporta il sostenimento di costi che, in certe circostanze, potrebbe compromettere
l’equilibrio economico dell’impresa. Da ciò deriverebbe una presunta alternatività o,
comunque, un rapporto non sempre facile da rispettare tra i due ordini di finalità.
Proprio prendendo le mosse dalla constatazione che il comportamento sociale si
2
3
Cfr. PROFUMO A., “Governance e responsabilità sociale dell’impresa”, Politeia, n.
74/2004, p. 27.
“La responsabilità dell’impresa discende dall’interconnessione consapevole che si
stabilisce tra comportamenti aziendali e contesto. L’impresa è chiamata a rendere conto di
ciò che le sue scelte producono nell’organizzazione sociale complessa. La responsabilità
sociale (fondativa del consenso) risulta pertanto parte essenziale dell’orientamento
strategico dell’impresa”. CASELLI L., “Finalità generali dell’impresa”, in CASELLI L.
(a cura di), Le parole dell’impresa, Franco Angeli, Milano, 1995, vol. I, p. 443.
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traduce nel sostenimento di maggiori costi o in una compressione dei ricavi, si è
portati a concludere ch’esso, incidendo sul risultato economico della gestione,
sarebbe in sostanza consentito soltanto alle imprese in grado di sacrificare, a tal fine,
una quota del profitto aziendale. In altri termini, questo comportamento si potrebbe
in realtà conciliare esclusivamente con gestioni economicamente redditizie, in grado
di destinare parte del valore prodotto all’assolvimento di responsabilità di tipo non
economico. Con tale affermazione, peraltro, non s’intenderebbe porre in dubbio il
benefico effetto prodotto nel lungo temine da una giusta conciliazione delle funzioni
assegnate all’impresa, quanto piuttosto si tenderebbe a porre in evidenza la maggiore
difficoltà presentata dal rispetto di questo equilibrio nel tempo breve. Su questo
punto, quindi, la discussione è più vivace, perché – in virtù dell’evoluzione delle
teorie sulle finalità imprenditoriali – non sussiste più alcun dubbio sul dovere e sulla
convenienza, per l’impresa, di svolgere congiuntamente il suo ruolo economico e
sociale.
La più avanzata dottrina economico-aziendale ritiene, difatti, che la finalità
propria di questa istituzione sia quella di creare e diffondere il valore prodotto e non
già quella più tradizionale di massimizzare il profitto per l’imprenditore, al centro
della teoria economica classica.
La creazione e diffusione del valore si concreta, difatti, nel produrre ricchezza da
suddividere tra tutti gli stakeholder, con la conseguenza implicita di attribuire
all’impresa uno scopo sociale strettamente legato a quello economico. L’aspetto
dominante, una volta creato il presupposto (creazione del valore), diviene quello
della sua distribuzione non solo tra gli stakeholder primari, ma anche tra quelli
cosiddetti secondari. Partendo da questa costruzione concettuale, si potrebbero
vedere del tutto unificati i due tipi di responsabilità, che manterrebbero la loro
distinzione unicamente nella ricerca del corretto equilibrio da instaurare tra la
produzione del valore e la sua successiva diffusione fra i vari partecipanti, diretti e
indiretti, alla vita dell’impresa. Con ciò si porrebbe nella giusta evidenza il rapporto
tra i due momenti: la creazione del valore sarebbe ovviamente propedeutica alla sua
distribuzione; ma questa non potrebbe certo essere attuata senza considerare le
esigenze prioritarie di sopravvivenza e di sviluppo dell’azienda, vale a dire senza
valutare attentamente l’esigenza di trattenere all’interno dell’organizzazione la parte
del valore da reinvestire nella gestione.
Si può così pervenire ad una prima conclusione, sostenendo che l’assolvimento
della responsabilità economica costituisce il presupposto di quello della
responsabilità sociale, che si traduce nella più equilibrata e corretta ripartizione del
valore creato tra l’impresa stessa (esigenze di reinvestimento), gli stakeholder
primari e quelli secondari.
Per procedere nel ragionamento è però opportuno approfondire meglio il
concetto di responsabilità sociale dell’impresa, osservando ch’esso si può articolare
in quattro aspetti o obiettivi distinti da raggiungere.
Com’è stato difatti osservato, soprattutto nella corrente di studio dedicata
all’etica aziendale, l’impresa dovrebbe tendere a soddisfare contemporaneamente le
seguenti finalità:
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1)
2)
3)
4)
creare valore;
distribuire equamente il valore creato;
rispondere alle esigenze della società in base al diritto-dovere di cittadinanza;
intervenire su problemi sociali a carico dei poteri pubblici4.
Per meglio chiarire la distinzione fra gli ultimi due punti, viene poi osservato che
nell’obiettivo indicato al punto 3 rientrerebbero, ad esempio, gli obblighi di
concorrere a salvaguardare l’ambiente fisico, di rendere meglio fruibili i servizi per
la popolazione, ecc., mentre nel punto 4 sarebbero da ricomprendere gli interventi di
sostegno per la costruzione di strutture pubbliche essenziali (presìdi ospedalieri,
asili-nido, ecc.), per promuovere la ricerca in campo medico, per attuare campagne
promozionali di progresso sociale, ecc.
Proprio partendo da questa stringata esemplificazione, si può però riflettere
sull’utilità di spingere ancor di più la segmentazione del concetto di responsabilità
sociale, pervenendo ad un’articolazione su cinque anziché quattro livelli:
1)
2)
3)
4)
5)
creare valore economico;
distribuire equamente il valore creato;
risolvere i problemi indotti dalla presenza aziendale;
partecipare alla soluzione dei problemi del territorio;
realizzare opere filantropiche5.
4
L’impresa, secondo SETHI, dev’essere in grado di:
- rispettare i vincoli istituzionali e le regole della concorrenza (primo stadio);
- vivere dentro il contesto in cui è inserita, ossia dev’essere coerente con i valori
dell’ambiente (secondo stadio);
- contribuire all’evoluzione del sistema socio-economico, non solo al dinamismo
proprio.
Cfr. “Defining a new relationship between business and society in the context of
increasing globalization”, Politeia, n. 74/2004.
Questa più ampia articolazione del concetto globale di responsabilità aziendale può
ricevere conferma sul piano dottrinale in rapporto sia alla piramide delle responsabilità
dovuta al CARROLL sia alla staticità o dinamicità dei contenuti della responsabilità
stessa. Il Carroll, difatti, individua quattro livelli di responsabilità dell’impresa ordinati in
sequenza, ponendo alla base la responsabilità economica, seguita da quella giuridica, etica
e filantropica, e precisa che le prime tre (rispetto dell’equilibrio economico, osservanza
delle leggi, adozione di comportamenti etici) sono obbligatorie, mentre l’ultima può
considerarsi discrezionale. Egli ritiene, quindi, che l’azione delle aziende possa
differenziarsi anche in rapporto alla sostenibilità economica degli interventi filantropici
Cfr. CARROLL A., “The pyramid of corporate social responsibility”, Business Horizons,
July 1991. Per un commento più diffuso su questo argomento si rinvia a SCIARELLI S.,
“Il governo dell’impresa in una società complessa: la ricerca di un equilibrio tra economia
ed etica”, Sinergie, n. 45/98, pp. 56-57.
Ma l’ampiezza del “senso” sociale di un’azienda, secondo una teoria ormai consolidata,
deriva anche dal dinamismo con il quale ci si proietta verso l’ambiente esterno. In tal
senso, si tende a distinguere un concetto statico di responsabilità sociale (accettazione
degli obblighi che derivano dall’attività svolta dall’impresa) e un concetto dinamico,
5
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In tal modo, si riesce, a nostro avviso, a inquadrare con maggiore chiarezza
quello che potrebbe essere il ruolo esterno esercitabile da ogni impresa.
Sia nella prima sia nella seconda impostazione, gli elementi da rimarcare sono: il
concetto di una responsabilità generale o globale dell’impresa, all’interno della
quale si combinano aspetti economici e sociali; l’inserimento di una graduazione
negli interventi a favore della comunità in rapporto al diverso tipo di problematiche
che possono collegarsi alla presenza dell’azienda nel territorio; e, infine, la
distinzione tra interventi più o meno obbligati e interventi del tutto discrezionali o
filantropici.
Si può quindi ribadire che: 1) responsabilità economica e sociale sono parti
integranti di una responsabilità globale; 2) quest’ultima, però, deve essere assolta
garantendo comunque la sopravvivenza dell’impresa nel tempo breve e lungo. Si
parte, difatti, dalla convinzione che il raggiungimento di fini sociali è insito nella
stessa natura dell’impresa e che si riflette positivamente nella sua sopravvivenza, ma
anche dall’altra convinzione che il mancato rispetto dell’equilibrio economico può
mettere in pericolo questa sopravvivenza nel tempo breve. I costi sociali debbono in
ogni caso essere tollerabili nel bilancio complessivo dell’impresa ed essere
considerati, oltre al corrispettivo per l’uso delle risorse della collettività, quali veri
e proprî investimenti per la crescita durevole dell’azienda.
E’ difatti intuibile che rispondere a più ampie esigenze sociali comporta degli
oneri spesso rilevanti per l’impresa e che non tutte le imprese, e nemmeno la stessa
impresa in tempi e condizioni economiche differenti, possono essere in grado di
sopportarli senza porre in pregiudizio la propria solvibilità e liquidità finanziaria.
La ripartizione del valore creato tra tutti gli stakeholder presenta, dunque, una
serie di problemi: alcuni di carattere imprenditoriale (quanto distribuire e quanto
reinvestire), altri di carattere etico. E’ difatti comprensibile la differente forza
esercitata in realtà dai vari stakeholder e l’esigenza, quindi, di perseguire criteri di
equità, giustizia e trasparenza nell’allocazione del valore prodotto dall’attività
aziendale.
A questo punto ci sembra utile richiamare due principî, che – se applicati
correttamente – possono contribuire a far realizzare in modo compiuto la
responsabilità globale dell’impresa. Il richiamo è ai concetti di efficienza e di eticità
dei comportamenti aziendali.
L’efficienza concorre, difatti, a massimizzare il valore creato dalla gestione e
l’etica rappresenta la via per diffondere questo nel modo più equo, giusto e
trasparente. I due principî, tuttavia, debbono essere armonizzati soprattutto nel senso
che l’efficienza deve condurre alla massimizzazione del valore economico e sociale
e non solo a quella del primo. Vi è, invero, da sottolineare che in dottrina e nella
pratica l’efficienza si misura solitamente in termini strettamene economici e si
rappresentato dalla disponibilità dell’impresa a farsi carico dei problemi sociali che
dovessero sorgere nel contesto di riferimento. Cfr. SCIARELLI S., “Responsabilità
sociale ed etica d’impresa: una relazione finalizzata allo sviluppo aziendale”, Finanza
Marketing e Produzione, marzo 1999, p. 206.
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concreta, di conseguenza, nel risparmio di costi a fronte di un’invarianza dei ricavi
(oppure all’invarianza dei primi rispetto ad un ampliamento dei secondi). Così
facendo, i costi legati alla socialità sono considerati “esternalità”6 da ridurre o
eliminare del tutto per migliorare il risultato economico finale. L’efficienza,
legandosi solo al calcolo economico, diverrebbe in tal modo principio contrario
all’allargamento della responsabilità sociale, e finirebbe per contrapporsi alla
produzione di un valore “allargato” dal piano economico a quello sociale7.
Per contrastare ciò e per pervenire, quindi, ad un concetto più compiuto di
efficienza aziendale, bisogna introdurre l’etica nel governo dell’impresa. Questa,
infatti, riesce a temperare l’applicazione del concetto di efficienza puramente
economica, fornendo i principî di base per decidere correttamente ovvero per
bilanciare esigenze economiche ed esigenze sociali. Il suo contributo si estende, in
pratica, dal piano interno a quello esterno, migliorando la coesione tra i protagonisti
della vita aziendale ed esaltando, in senso più spiccatamente comunitario, la
responsabilità sociale. In linea generale, il comportamento etico può essere appunto
definito come quello che, nella vita dell’impresa, distribuisce incentivi e costi tra
tutti gli stakeholder secondo principî di correttezza, equità e giustizia8.
La conciliazione tra aspetti economici e sociali è un obiettivo obbligato per le
imprese. Questo almeno per due motivi: il primo, potremmo dire egoistico, è
rappresentato dal ruolo positivo che la responsabilità sociale riveste nell’assicurare
la sopravvivenza e lo sviluppo dell’organismo aziendale; il secondo, che potremmo
più specificamente individuare come “comunitario”, si lega al dovere di cittadinanza
dell’impresa che – al pari di ogni altro cittadino – fa uso di risorse pubbliche e deve
contribuire al miglioramento della qualità della vita.
Non bisogna peraltro dimenticare che un’impresa, anche se persegue finalità
6
7
8
Su questo punto illuminanti sono le considerazioni di MINTZBERG H. Management:
mito e realtà, Garzanti, Milano, 1991, cap. 16.
Rispetto a questa impostazione, propria degli economisti neo-classici, è lecito avanzare
dei dubbi? Come afferma il Salvati “è proprio vero che sono necessari dei margini sopra i
costi «necessari» quei margini che solo un certo grado di monopolio può dare – affinché
l’impresa possa comportarsi eticamente?”. La risposta che dà l’economista italiano, dopo
avere discusso sulla natura e la tipologia dei costi necessari, è abbastanza netta in quanto
giunge alla conclusione che “essere socialmente responsabile conviene se l’impresa già
vive in un contesto che premia questo comportamento e punisce chi da esso devia”. Si
ritorna, così, sul pericolo insito nel principio della non reciprocità, che può tradursi in un
vantaggio a breve per le aziende che “risparmiano i costi sociali” e in una minaccia per la
sopravvivenza di quelle altre che a tali costi destinano un’aliquota più significativa del
profitto potenziale.
Sempre il Salvati riprende poi il concetto, in chiusura di ragionamento, per sostenere
vigorosamente che “partire dal presupposto che conviene sempre essere socialmente
responsabili – nel senso pieno e ricco delle teorie cui mi sono riferito – mi sembra che
sfidi l’evidenza di un capitalismo nel quale persino l’essere onesti può non convenire”
SALVATI M., “Business ethics and corporate social responsibility in a global economy”,
Presentazione, Politeia, n. 74/2004, pp. 5-6.
Cfr. SCIARELLI S., “Responsabilità sociale ed etica”, art. cit., p. 211.
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esclusivamente economiche, concorre sempre ad esercitare un ruolo anche sociale,
che è quello di creare e diffondere valore, soddisfacendo bisogni della collettività.
Ciò significa che, di fronte a comportamenti ispirati ad un elevato senso di
responsabilità sociale e comunitaria9, che per effetto della non reciprocità potessero
arrecare pregiudizio alla continuità aziendale, appare giusta ed eticamente
condivisibile la rinuncia, pro-tempore, all’assolvimento di più ampie responsabilità
di questo tipo. Bisogna tuttavia rendersi conto che una valutazione del genere non è
affatto facile soprattutto perché è inevitabilmente legata a previsioni sul futuro
andamento del mercato e sul successo della strategia aziendale. Si tratta, dunque, di
operare una comparazione di rischiosità tra gli effetti di una più spinta socialità nel
breve termine e quelli proiettati, invece, nel tempo lungo. Spetterà in sostanza
all’imprenditore stimare questo delicato “trade-off” sulla base non solo delle sue
capacità previsionali ma anche dei suoi valori etici di base. Saranno questi, in
definitiva, che dovranno guidare il responsabile aziendale a prescegliere la linea di
mediazione che possa contemperare, al meglio, gli aspetti economici e sociali, proprî
della responsabilità di ogni organizzazione aziendale10.
L’etica nell’impresa e dell’impresa11 è deputata, così, a indirizzare in modo
socialmente più giusto le decisioni e le azioni intraprese per dare corpo alla
gestione aziendale.
Volendo riassumere alcune delle argomentazioni finora svolte, possiamo ribadire
che per l’impresa la responsabilità sociale non può essere considerata un fatto nuovo
perché il raggiungimento di scopi sociali è già implicito nella finalità economica di
creazione e diffusione del valore.
9
10
11
Sulla distinzione tra responsabilità sociale e comunitaria, cfr. SCIARELLI S., “La
produzione del valore allargato quale obiettivo dell’etica nell’impresa”, Finanza
Marketing e Produzione, dicembre 2002, p. 5 e ss..
Viene giustamente sostenuto che “non è più possibile isolare gli elementi economici di
una decisone dalla valutazione delle conseguenze di carattere etico e sociale”, BUORA
C., “L’etica seleziona chi sa creare valore”, Il Sole-24 Ore, 16 ottobre 2004.
E’ opportuno precisare la differenza tra etica nell’impresa ed etica dell’impresa. Con la
prima dizione si vuole, infatti, fare riferimento all’etica di coloro che operano all’interno
dell’organizzazione, ovvero al senso etico che contraddistingue i comportamenti
individuali ai vari livelli della gerarchia; con “etica dell’impresa” si vuole invece fare
riferimento al comportamento dell’organizzazione nel suo insieme, che risulta
caratterizzato da un patrimonio di valori accumulatisi nel tempo, valori che vanno
trasferiti a tutti coloro che s’inseriscono nell’azienda. Cfr. SAPELLI G., Etica, in
CASELLI, Le parole dell’impresa, op. cit., p. 537. Alla luce di questa distinzione, è
intuibile che i valori etici aziendali si riflettono su quelli individuali e, a loro volta, sono
creati nel corso del tempo con il contributo dei valori morali dei singoli partecipanti.
L’etica dell’impresa è sempre un’etica secondaria, che va diffusa e assimilata da parte di
chi opera all’interno dell’organizzazione aziendale. Questo richiede un processo di
acculturazione non semplice né rapido, mediante il quale il trasferimento di valori etici
aziendali possa essere effettivamente compiuto sul piano individuale. Cfr. ROBINREINDENBACH, “Social responsibility, ethics and marketing strategy: closing the gap
between concept and application”, Journal of Marketing, January 1987.
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L’AMPLIAMENTO DELLA RESPONSABILITA’ SOCIALE DELL’IMPRESA
Quello che è nuovo è senz’altro l’allargamento di questa responsabilità sociale
sul piano più propriamente comunitario e, quindi, una diversa proporzione secondo
cui il valore creato tende ad essere distribuito tra gli stakeholder primari e secondari.
Maggiore attenzione ai bisogni della comunità e crescita del senso morale
nell’organizzazione non possono che concorrere ad esaltare il ruolo sociale che
l’impresa ha comunque sempre rivestito.
In complesso, sembra però cambiata, in modo profondo, l’ottica della teoria
dell’impresa e dei mercati perché, ai vecchi paradigmi della logica contrattualistica e
dell’asimmetria informativa, si sono sostituiti quelli della mutua cooperazione
all’interno di un quadro informativo completo e trasparente per i vari stakeholder12.
Su un punto si può in definitiva essere sicuramente d’accordo: la sensibilità
verso il profilo sociale ed etico della gestione aziendale è aumentata in misura
significativa negli ultimi tempi. Oggi, questo discorso non suscita più perplessità e
scetticismo, ma trova un interesse crescente sia nel mondo teorico che in quello delle
imprese. Ciò è dovuto ad una serie di fattori o concause: alcune di segno positivo,
altre di segno negativo.
Tra le prime, a nostro parere, vi è indubbiamente una maturazione culturale che
si è tradotta, tra l’altro, in una maggiore attenzione verso i problemi sociali in
generale e verso il ruolo positivo dell’impresa in particolare. Questa maturazione si
è accompagnata ad una crescita di senso morale a livello sia individuale sia di
gruppo. Ancora, di segno favorevole è da considerarsi il fenomeno delle alleanze fra
imprese, con la formazione di reti e sistemi interaziendali, all’interno dei quali la
reputazione e la fiducia sono elementi fondanti. Da ciò, uno sviluppo della mutua
cooperazione, che trova prezioso alimento nell’etica dei comportamenti, al posto di
relazioni prevalentemente contrattualistiche.
Tra le cause di segno negativo si debbono annoverare i ripetuti episodi di
scandali aziendali, che si sono verificati in questi ultimi anni e che hanno indotto i
vari stakeholder a guardare con particolare interesse alla moralità dei comportamenti
imprenditoriali e a valutare più approfonditamente il “senso” sociale delle imprese13.
Ciò anche perché l’epoca attuale è caratterizzata da una serie di problemi di
rilevanza planetaria, connessi con l’instabilità politica, la crisi economica
internazionale, il terrorismo. Il clima, che pervade la società, è dominato
12
13
Cfr. SCIARELLI S., “Il governo dell’impresa in una società complessa”, art. cit., p. 61.
Un’osservazione attenta della realtà che ci circonda può portare all’individuazione di
almeno quattro tipi di fattori che hanno contribuito a far crescere il senso etico
nell’impresa:
a) “fattori culturali”, collegati al formarsi di una coscienza collettiva più sensibile ai
bisogni sociali e di relazione tra individui, popoli, razze, minoranze etniche, ecc.;
b) “fattori di contesto”, correlati all’emergere di valori più attenti all’ambiente e alla
qualità della vita;
c) “fattori organizzativi”, correlati al prevalere della destrutturazione e dell’autonomia
nella costruzione e conduzione di strutture sempre più complesse;
d) “fattori soggettivi”, connessi con la spiritualità individuale nella quale l’anelito
all’affermazione e al rispetto di valori morali diviene sempre più forte.
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dall’insicurezza e dall’incertezza: è difficile difendere e tutelare la libertà
individuale dati i vincoli sempre più incidenti sulle scelte da assumere; è arduo
formulare previsioni a causa di quella che potremmo definire paradossalmente quale
“turbolenza cronica” dell’ambiente politico, economico e sociale.
Per tali motivi, il ruolo sociale dell’impresa e il contributo fornito
dall’introduzione di principî etici nella gestione aziendale tendono ad assumere
importanza decisiva nel futuro che ci attende. La responsabilità sociale è un
importante fattore di competitività perché accresce nel tempo le risorse intangibili:
di questo si sono ben rese conto le imprese che, oltre ad impegnarsi in tale campo,
tengono a farlo sapere e ad essere valutate sotto questo specifico profilo.
L’interesse crescente mostrato verso il bilancio sociale, la verifica – ad opera di
società specializzate – della social accountability, la ricerca del “bollino etico”
fanno comprendere la grande importanza che, oggi, le aziende attribuiscono agli
aspetti sociali ed etici della gestione. Possiamo, cioè, concludere affermando che, sul
piano teorico e a livello imprenditoriale, sembra sempre più diffusamente condivisa
la convinzione che il consenso e la coesione sociale, che l’impresa riesce a creare
intorno a sé, possono contribuire significativamente a valorizzarne il ruolo nel
contesto sempre più complesso in cui viviamo.
Bibliografia
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