III – Le pòleis: dalla tirannide alla democrazia

STORIA
III
LE PÒLEIS: DALLA TIRANNIDE ALLA DEMOCRAZIA
Data la conformazione geografica (estesamente collinosa e piuttosto rocciosa, franta e sparsa)
dell’Ellade, le comunicazioni per terra fra penisola greca e coste anatoliche e del Ponto (il Mar Nero) erano difficili, mentre fra le isole dell’Egeo e dello Ionio, la Sicilia e la Megàle Ellàs (la Magna
Grecia), e le altre coste del Mediterraneo non erano possibili, e non erano di grande facilità nemmeno nella stessa penisola greca. Ma vi erano (e vi sono) tanti golfi, baie, cale, ripari sul mare, e infatti
era il mare la prima via di comunicazione: quella piú “immediata”, piú comune, piú agibile.
I greci se ne servono ampiamente, anzi la navigazione si fa per loro cosí abituale che diventano il
massimo “popolo del mare” del Mondo antico, anche se il loro atteggiamento verso la talàssa, il
mare − «infecondo», come lo chiamano –, resta sempre ambivalente: popolato nel mito da belle ninfe, le Nereidi, che ne rappresentano la bellezza e le promesse, è però, anche e innanzitutto, il regno
di Poseidon, il dio che, dalle profondità marine, scatena la sua ira, imprevedibile e inarrestabile, nelle tempeste. E i greci l’onorano, ma non lo amano. Comunque i greci, che già durante la cosiddetta
«età buia» (XII-VIII sec. a. C.) hanno formato la loro prima Ellade attraverso il mare, attraverso il
mare continuano la loro espansione.
L’espansione dell’Ellade
L’espansione greca continua dall’«età buia», e diventa databile − pur con non poche approssimazioni e costanti incertezze − dagli inizi dell’«età arcaica» (VIII-VI sec. a. C.): i greci si vengono insediando lungo le coste del Mediterraneo e del Mar Nero, dove fondano nuove città e portano il loro
modo di vita. Si deve intendere questo processo come, appunto, espansione, e non come colonizzazione 1 : va ricordato come con il termine «colonia» si intenda, storicamente, un nuovo insediamento
fondato in quanto dipendente dalla città o paese di origine, quale una sua “estensione”, mentre non è
cosí per le nuove pòleis greche.
Il termine usato dai greci è apoikía, che significa «da casa», «fuori casa», quindi «emigrazione».
Le “città-madri” organizzano l’emigrazione di parte della propria popolazione, però ogni “centro”
urbano di nuova fondazione è una nuova pòlis, che è tale a tutti gli effetti: la forma della pòlis si
impone, per cui ogni nuova città è una pòlis indipendente e autonoma, che mantiene, in genere, solo
o rapporti privilegiati, o relazioni tradizionali, o legami affettivi, con quella di origine – e a volte
nemmeno −, oppure con varie città, perché molte nuove pòleis sono fondate da greci provenienti da
diverse “città-madri”.
L’espansione verso Occidente va dal 750 al 650 a. C. circa, ed è seguita da un ulteriore flusso
migratorio, che dura fino a intorno il 550 a. C. L’insediamento piú antico di cui sappiamo, opera di
Calcide e di Eretria (città dell’Eubea), è quello di Pithecusa (isola d’Ischia), che, a sua volta, fonda
Cuma (presso Napoli), poco prima del 760 a. C. Verso il 730 a. C. sono sempre i calcidesi a fondare
Zankle (Messina), Reghion (Reggio Calabria), Naxos, Leontini e Catana (Catania), insieme a greci
che vengono da altre città. Verso il 733 a. C. i corinzi e altri greci (dori) fondano Siracusa; verso il
720 a. C. un “misto” di greci provenienti dal Peloponneso (ancora dori) fondano Sibari; nel 638 a.
C. cretesi e rodii fondano Gela. In seguito, giungono nuovi emigranti, mentre, da parte loro, le nuove pòleis diventano “città-madri”: Massalia (Marsiglia) – fondata verso il 600 a. C. dai focesi (abitanti di Focea, città situata sulle coste anatoliche) – fonda Nicea (Nizza) e, sulla costa spagnola, Rode (Rosas), Emporion (Ampurias), Menache (presso l’odierna Malaga). Già intorno al 650 a. C. sono state fondate Imera – da Zankle e da Siracusa – e Selinunte. Akragas (Agrigento) è fondata nel
580 a. C. da Gela e da Rodi. Se Cuma fonda la vicina Neapolis (Napoli), verso il 530 a. C. esuli di
1
Benché venga abitualmente denominata in tal modo in tanti testi.
1
Samo fondano Dikearchia (Pozzuoli). E Taras (Taranto) parrebbe fondata da emigranti provenienti
da Sparta.
I greci sono cosí arrivati a insediarsi su larga parte delle coste della Trinakíe, la Trinachia (ossia
la «triangolata», la “terra con tre angoli”), come chiamano la Sicilia; hanno dato vita alla Megàle
Hellàs, la Magna Grecia (come diranno i romani − e tale denominazione è rimasta), la Grande Ellade, che si estende nell’Italia meridionale; sono giunti sulle coste della Provenza e della Spagna.
L’espansione a Oriente, verso la Tracia e la Troade (in Anatolia) comincia intorno al 700 a. C. e
prosegue dal 670 a. C. circa nell’Ellesponto, dove Mileto − grande città della Ionia, sulle coste anatoliche − fonda Abido, Cizico e altri centri minori. Dopo il 650 a. C. l’espansione continua sulle coste del Mar Nero: sempre Mileto fonda Trapezunte, Tomi e altre città costiere, fino a Tanais, alla
foce del fiume Don. Si sviluppano intanto, per durare fino al 500 a. C. circa, le iniziative verso la
zona degli stretti da parte di Calcide e degli eoli dell’Anatolia – con la fondazione di Alopeconesso
e Sesto –, e quelle da parte di Megara – con la fondazione di Calcedone, Bisanzio e Chersoneso.
L’espansione a Meridione, sulla costa libico-egizia è aperta da Thera (oggi Santorino), che dà vita a Cirene, la quale fonda, a sua volta, altre città sulla costa e sull’altopiano. Dello stesso periodo
(VI sec. a. C.) è Naucrati, nel delta del Nilo, sviluppatasi da un’antica base di Mileto (VII sec. a. C.)
e promossa dai faraoni al rango di città panellenica, perché vi vengono concentrati tutti i greci presenti in Egitto.
Si badi bene: l’elenco indicato è del tutto incompleto, e nessuna delle date riportate è certa 2 .
Comunque, verso il termine dell’«età arcaica», l’Ellade si estende dalle coste del Mar Nero e della
Tracia attraverso l’Anatolia occidentale all’Egeo e alla penisola greca, per giungere fino alla Cirenaica in Libia, alla Sicilia e all’Italia meridionale, e arrivare a Marsiglia e alla fascia costiera
dell’attuale Provenza, fino ad alcuni centri sulla costa mediterranea spagnola.
Le cause dell’espansione
L’emigrazione greca non è legata al commercio e ai traffici marittimi in genere, né alla loro estensione – non dipende da questo e non vi è finalizzata. Certo, vi sono città chiamate Emporèion,
che letteralmente significa «merce», «mercanzia», quindi «scalo commerciale», come quella fondata in Spagna, o c’è la città di Naucrati, che ha il monopolio del commercio greco-egizio, ma queste
città sorgono andando verso il termine della grande espansione greca. E se i greci soppiantano i fenici nell’Egeo e li contrastano nel Mediterraneo, questo è un aspetto collaterale della loro espansione e successivo alla fondazione di queste − tante − nuove città.
Le nuove pòleis si basano sull’agricoltura e sull’allevamento, e vi viene attivamente praticato
l’artigianato: perciò si sviluppa anche il commercio. E sono tutte sul mare o vicine al mare, perché
è questa la grande via di comunicazione. In effetti, la spinta all’emigrazione è dovuta a tutt’altre ragioni, che si riassumono nell’accresciuta tensione interna alle pòleis di origine degli emigranti a
causa degli intensificati conflitti intestini – politici, sociali, economici. È dovuta, cioè, a una situazione di crisi (nel senso attuale del termine) interna a gran parte delle pòleis – crisi che non trova
soluzioni nel “quadro” delle città.
Gli àristoi – «i migliori», gli «ottimi», come costoro si definiscono (ma come tali sono, e a lungo, anche riconosciuti) –, ossia i nobili delle diverse pòleis greche, sono padroni di gran parte delle
terre delle città. Si possono permettere il costoso armamento 3 di maggiore efficacia militare: sia i
cavalli addestrati a stare in battaglia e le armi da cavaliere (scudo non ingombrante, corazza, elmo,
lancia e spada), sia l’equipaggiamento completo – ta òpla, «le armi» – da oplítoi, opliti, combattenti
2
Da notare, inoltre: se Mileto, che nel VI sec. a. C. è la maggiore città greca, partecipa all’emigrazione-espansione, ma
piú tardi rispetto ad altre pòleis, e se appare una qualche partecipazione di Sparta, che avrà in seguito un ruolo rilevante,
invece Atene, che nel V sec. a. C. diventerà la piú importante città dell’Ellade, non dà alcuna partecipazione alla grande
espansione.
3
È da ricordare che nel Mondo antico (greco, etrusco, romano) l’armamento è a spese personali – e sarà cosí per molto
tempo, fino alle «guerre di egemonia» che squasseranno la Grecia, poi alla costituzione delle proprie forze armate da
parte del Regno di Macedonia e in seguito da parte dei diversi regni ellenistici, e, successivamente, fino all’istituzione
da parte di Roma dei suoi eserciti «di mestiere».
2
della fanteria pesante (ampio scudo rotondo, corazza, elmo, schinieri, asta da urto e spada corta).
Contano sui gruppi parentali – phylài 4 , ghène 5 − e su ampi seguiti di non-nobili, loro legati da rapporti di patronato (protezione in cambio di servizi e dipendenza). I nobili detengono, quindi, il potere nelle pòleis, nelle quali è in vigore, dunque, il regime dell’aristocratìa: l’aristocrazia, appunto il
potere dei nobili, basato su “sangue” (il privilegio di stirpe) e “terra” (la proprietà terriera).
Al di sotto dei nobili si trovano gli strati di non-nobili benestanti, già attestati (nelle fonti) verso
il 650 a. C.: agricoltori, ma anche proprietari di laboratori artigiani e mercanti navigatori, che, favoriti dall’estensione dei traffici commerciali e dalla connessa introduzione e diffusione della moneta
nell’Ellade − ossia dallo sviluppo dell’economia mercantile e monetaria −, hanno accumulato beni e
possono permettersi, anche loro, l’armamento da opliti.
Seguono poi gli strati dei poveri, che sono in aumento con la crescita della popolazione e che
tendono a venire a trovarsi in povertà crescente: sia perché la terre migliori sono in mano degli aristocratici, ai quali sono legati da condizioni di dipendenza (per favori, veri o presunti, per avere protezione, per debiti contratti, etc.), sia perché le terre della piú antica Ellade (Grecia, isole egee, coste
anatoliche) in gran parte non possono fornire rese agricole tali da sostenere una popolazione molto
numerosa. Il gradino piú basso di questa “scala sociale” è rappresentato dagli schiavi, i quali sono
però in numero scarso.
I conflitti politici, sociali, economici coinvolgono tutti, fino a diventare paralizzanti: è quella che
in greco si chiama stàsis: «condizione», «posizione», «contrasto», cioè “conflitto posto”, “condizione di conflitto” – tradotto secondo il senso: scontro paralizzante.
• Nell’aristocrazia vi sono contrasti per onori e potenza, e le diverse famiglie, se sono unite per
perpetuare l’esclusiva detenzione del potere, lottano però fra loro, a volte anche in modo accanito e
violento, per ottenere e/o mantenere il primato, e/o per impedire, le une alle altre, di conseguirlo.
• I benestanti vogliono che i privilegi siano condivisi e intendono partecipare alla gestione della
città – e le loro rivendicazioni si fanno sempre piú forti, via via che cresce il ruolo degli opliti nelle
guerre: infatti, diviene principale in tutti gli eserciti greci l’importanza della phàlanx, la «schiera di
combattimento», la falange oplitica (formata da file successive e compatte di fanti pesanti, affiancati scudo a scudo, con le aste tese), formazione militare dalle forti capacità sia di urto che di resistenza, e dotata di elevata protezione difensiva.
• I poveri rivendicano la ridistribuzione delle terre, la cancellazione dei debiti, la messa a conoscenza di tutti del diritto – finora patrimonio orale, riservato all’aristocrazia – e l’equità delle leggi.
Quando il conflitto − che si intreccia e si combina, come si è detto, sul piano politico, sociale,
economico − diventa tale da minacciare il vero e proprio “scoppio” di una pòlis, ossia di portarla
letteralmente alla disintegrazione, allora si ricorre all’emigrazione − all’apoikía − in quanto “valvola di sicurezza”.
L’“impresa” (navi, attrezzature, provviste, armi, etc.) è organizzata dalla “città-madre”, e partono
coloro che cercano nuove prospettive e/o coloro che sono stati sconfitti nei conflitti interni − a volte, i cittadini che devono emigrare vengono addirittura scelti d’autorità. All’emigrazione si unisce
un’altra “via di sfogo” (dal VII sec. a. C.): il mercenariato, tramite cui trovano una collocazione gli
uomini degli strati sociali piú poveri (magari in formazioni militari organizzate e guidate da qualche
nobile o benestante particolarmente intraprendente). In tal modo, i greci mettono le loro falangi oplitiche (ossia il massimo di efficacia militare dell’epoca) a disposizione del “miglior offerente” –
sia fuori dell’Ellade, per guerre nel mondo non-greco, sia nella stessa Ellade, per guerre fra le città,
e perfino per gli scontri interni alle città.
Tuttavia, se per tali vie la stàsis trova “allentamenti” provvisori e “sgonfiamenti” momentanei, il
conflitto politico, sociale, economico non viene, però, risolto: né l’emigrazione, né il mercenariato
ne possono superare le radici, costituendone, in fondo, soltanto delle conseguenze.
4
5
Termine che significa «tribú», e poi anche «seguito politico».
Termine che significa «razza», ma anche «stirpe» e «casata».
3
Moderazioni e legislazioni – e tirannidi
Dalla seconda metà del VII sec. a. C. comincia a diventare sempre piú difficoltosa anche la “valvola di sicurezza” dell’emigrazione e fondazione di nuove città – e il mercenariato, da sé, è insufficiente. Di piú: durante il VI sec. a. C. l’emigrazione viene via via meno, fino a esaurirsi (benché
non del tutto): non solo perché l’espansione incontra via via ostacoli crescenti 6 , ma anche, e soprattutto, perché i conflitti delle “città-madri” si riproducono e si riaccendono nelle stesse nuove pòleis.
Si impongono nuove soluzioni, che tendono a muoversi − anche se non necessariamente, né per forza conseguentemente (come vedremo) − sulla linea del dispiegamento della pòlis «secondo il suo
concetto» (ossia secondo la suo sostanza costitutiva e la sua essenza fondante).
Moderatori, legislatori, riformatori. È, infatti, allora che si fanno avanti le “figure” – proposte, accettate, o comunque accolte, da tutte le parti in conflitto, e provenienti in genere dagli strati sociali
superiori – degli aisymnètoi, esimneti, «presidenti» e/o «giudici» (di una lotta, gara, contesa), quindi
«moderatori» e – perciò e di conseguenza – nomothètoi, «coloro che danno le leggi», legislatori.
Costoro sottraggono le leggi al monopolio orale dell’aristocrazia, fissandole per iscritto. Sono,
nell’Ellade, i primi codificatori delle leggi e sono, inevitabilmente, anche dei riformatori, perché
scrivono le leggi sotto le pressanti richieste di maggiore giustizia. Vengono tramandati i nomi di alcuni di questi moderatori-legislatori-riformatori: Zaleuco a Locri, Diocle a Siracusa, Caronda a Catania, Filolao a Tebe, Licurgo a Sparta, Dracone e di Solone ad Atene, Fidone ad Argo, Pittaco a
Mitilene; i nomi di altri, invece, sono andati perduti. Non tutti questi personaggi possono essere detti storici: Zaleuco, Diocle, Licurgo, forse Dracone, sembra siano stati, addirittura, antichi dèi – o solari, o ctonii (sotterranei) –, la cui funzione di divinità si è poi dissolta nella memoria. Ma parte di
costoro – come Caronda, Solone, Filolao, Pittaco – hanno “consistenza” storica: sono uomini reali.
Insieme alla stesura delle leggi, vengono definite magistrature regolari − le cariche di governo e le
cariche nei tribunali − e assemblee popolari − stabilendone funzionamento, prerogative e poteri.
I moderatori-legislatori-riformatori, se convengono che la giustizia viene dagli dèi, non pretendono di avere una “missione divina”. E hanno fiducia in se stessi: consultano l’oracolo di Delfi, ma
dopo aver varato i loro provvedimenti – peraltro, questo è un atteggiamento caratteristico dei greci.
Costoro non sostengono l’uguaglianza dei diritti, né tantomeno la democratìa, la democrazia,
cioè il potere del dèmos, il popolo 7 . E, riguardo all’equità delle leggi e alla creazione, o definizione,
delle cariche politiche e giudiziarie, non vanno oltre la delimitazione del ruolo dei diversi “gradi”
sociali, a seconda della potenza e della ricchezza, fissandone i corrispondenti livelli di potere.
A ogni modo, la stesura delle leggi e la formazione di organismi di governo legali costituiscono
una conquista per le pòleis – ossia un passo avanti nella realizzazione della pòlis secondo la sua
“essenza”, come comunità-città dei cittadini –, e tuttavia neanche ciò basta a risolvere i conflitti interni, perché non ne affronta le cause di fondo. Anzi, nelle città in cui si ha un maggiore sviluppo
politico, economico e urbano – a volte favorito dalla stessa riduzione dell’arbitrio, tramite la determinazione delle leggi e delle magistrature – il conflitto addirittura aumenta. E raggiunge un livello
tale da sboccare nella tyrannìs: «sovranità», «potere assoluto», «signoria» – la tirannide.
I tiranni. Non c’è una distinzione effettivamente netta fra moderatori-legislatori-riformatori − designati in base a un compromesso fra le parti in lotta − e tiranni. Infatti, chi sono i tiranni? Provengono dagli strati superiori, dominanti, e si impadroniscono del potere, certo con la forza, ma, nello
stesso tempo, anche con il consenso di grossa parte della popolazione. Il termine týrannos indica chi
ha assunto il potere o lo detiene senza autorità legittima (a differenza di un antico re o di quello che
in seguito sarà un piú “moderno” magistrato); e i tiranni stabiliscono e impongono le leggi, tuttavia
non vi sono personalmente vincolati: si pongono al di sopra di esse. Comunque, il termine non ha,
6
Gli etruschi e i cartaginesi in Occidente; prima il Regno di Lidia, poi l’Impero persiano, in Oriente.
Ma dèmos significa anche «contrada», «regione», «territorio», quindi, nel suo significato di «popolo», vuol dire
l’“insieme degli abitanti del territorio” (della pòlis).
7
4
in origine, un significato negativo, né riguardo alla persona del tiranno stesso, né riguardo al governo che egli esercita 8 .
La tirannide si diffonde dal 625 a. C circa in molte pòleis dell’Ellade. Ed è significativo che il
primo tiranno di cui si abbia notizia sia un legislatore e, anzi, forse un re legittimo: Fidone, ad Argo.
Nel corso di una generazione le tirannidi si impongono a Corinto, Sicione, Megara e in altre città
greche. Nel VI sec. a. C. si affermano a Efeso, a Mileto, a Metimna e a Mitilene (nell’isola di Lesbo), a Samo (dove il tiranno Policrate rende l’isola ricca e potente). Ad Atene, dopo che Cilone
(verso il 630 a. C.) aveva tentato, fallendo, di diventare tiranno, e dopo che allo stesso Solone – eletto moderatore e legislatore – era stato chiesto di farsi tiranno, si impone la tirannide di Pisistrato.
Sempre nel VI sec. a. C. la tirannide si afferma a Leontini e ad Agrigento, e, nel V sec. a. C. sarà il
regime “usuale” delle pòleis in Sicilia. La tirannide è piú rara nelle regioni maggiormente arretrate –
cioè con minore presenza di città e con loro minore sviluppo, quindi con minore intensità o maggiore controllabilità dei contrasti civili in quelle esistenti –, quali la Tessaglia, l’Etolia, l’Acarnania.
Perché si determinano e si affermano le tirannidi? A causa del “vuoto politico” (ossia vuoto di
potere e di decisionalità) che si determina nelle varie pòleis, in base all’incapacità, da parte delle aristocrazie, di risolvere i conflitti nelle città 9 e, da parte degli altri strati sociali, di imporsi sulle aristocrazie 10 . E tale “vuoto”, con la paralisi interna di cui è frutto e che nel contempo esprime, è tanto
piú pericoloso, quanto piú la pressione di nemici esterni 11 obbliga, invece, un numero crescente di
pòleis a concentrare le proprie forze. Va tenuto presente, dunque, che, sebbene i tiranni dominino
con la forza e mantengano al proprio servizio un corpo di mercenari, tuttavia sono sostenuti e approvati da ampi strati del popolo, perché costoro realizzano quegli obiettivi politici, sociali ed economici interni che, nelle condizioni date, risultavano altrimenti irraggiungibili, e quella difesa esterna che si evidenziava come altrimenti mancante.
I tiranni mettono fine, per un secolo e oltre, alla stàsis nelle città – pongono termine ai conflitti
interni paralizzanti: stringono alleanze tra le pòleis e svolgono, dove possibile, la funzione di mantenere la propria città in pace e la pace fra le città; difendono l’indipendenza dei contadini, ne salvaguardano la proprietà della terra e limitano il peso dei debiti; favoriscono l’artigianato e il commercio; promuovono grandi lavori pubblici, che sviluppano le pòleis, e istituiscono magnifiche feste, che rafforzano nei cittadini il senso dell’appartenenza comune alla città. E, in primo luogo, distruggono il monopolio del potere da parte dell’aristocrazia – monopolio che non si ripresenterà
mai piú, anche una volta cadute le tirannidi e, anche laddove si affermerà l’oligarchìa, il «governo
dei pochi», ossia il regime oligarchico, questi “pochi”, però, non saranno piú i soli nobili.
Il ruolo storico dei tiranni è positivo per lo sviluppo delle pòleis dell’Ellade in quanto pòlis. Insomma, i tiranni sercitano un dominio personale, ma consolidano le pòleis e il dèmos, cioè le città e
il popolo dei cittadini nel loro complesso; gestiscono il potere al posto di organismi istituiti legalmente, ma quasi sempre lasciano operare quelli esistenti o, addirittura, sono proprio loro a istituirli e
farli funzionare – pur esercitando su di essi il pieno controllo.
Certo − e questo è il limite, e l’ulteriore contraddizione che si pone −, i tiranni operano al posto
della, e sulla, comunità-città. Però, proprio abbattendo gli ostacoli alla partecipazione popolare e
abituando la città al funzionamento di cariche e organismi (politici e giudiziari) non legati
all’arbitrio nobiliare, ottengono, infine, un risultato imprevisto: la crescita della possibilità, e quindi
della volontà, di partecipare e di decidere in prima persona da parte del popolo cittadino.
Per tali ragioni, le tirannidi restano sempre instabili e dipendono dalle qualità personali dei tiranni – i quali, comunque, impediscono ad altri di emergere autonomamente. Poiché le tirannidi tengono le pòleis “sotto tutela” permanente e perciò gli spazi politici sono ridotti e controllati, le lotte po8
Il termine assumerà un’accezione negativa in seguito, con l’esaurimento e la caduta delle tirannidi.
Le diverse aristocrazie cittadine appaiono arroccarsi sul mantenimento della loro gestione esclusiva del potere, nella
perpetuazione dei loro possessi e privilegi, senza trovare nessun compromesso con gli altri strati sociali, a partire da
quelli piú agiati, che intendono avere una posizione politica adeguata al loro conseguito status.
10
Imporsi, abbattendo il potere delle aristocrazie o costringendole a venire, in qualche modo, “a patti”.
11
Come si è accennato, in Oriente, il Regno di Lidia e poi l’Impero persiano; in Occidente, i cartaginesi in Sicilia e gli
etruschi in Italia.
9
5
litiche tendono, di conseguenza, a tradursi in congiure contro le persone dei tiranni. Quando ciò avviene, allora la tirannide accentua il suo aspetto dispotico, creando un “clima” generale di sospetto,
a volte imponendo un vero e proprio terrore. Ma, in genere, alla seconda o terza generazione dei tiranni, questi rinunciano al loro potere, oppure vengono abbattuti (anche se le tirannidi ricompariranno piú tardi, nella storia delle pòleis dell’Ellade, nella fase del loro declino).
In sostanza, questa fase − che va dai legislatori ai tiranni − costituisce una tappa del processo attraverso cui si viene definendo e affermando la pòlis greca, e, con essa, la ricchezza di creatività e
di differenze del policentrismo greco, delle tante diverse città nella comune civiltà della Grecia delle pòleis.
Avvicinandosi al V sec. a. C., «età classica» della Grecia delle pòleis, consideriamo Sparta e Atene, perché queste due città sono, senza dubbio, quelle che meglio esprimono una sorta di “due poli” opposti, o meglio ancora di due estremi del “ventaglio” delle possibilità di realizzarsi o meno secondo il proprio fondamento insite nella dinamica della forma-pòlis nel contesto dell’Ellade. E nella
storia dell’Ellade le due città avranno un ruolo fondamentale; in particolare, Atene raggiungerà una
posizione di primato e manterrà il suo prestigio anche dopo il suo declino, per tutta la restante storia
del Mondo antico − e teniamo inoltre conto che questo mondo di città, andando verso il V sec. a. C.,
si è allargato anche al fuori dell’Ellade (come vedremo) 12 .
Sparta:la pòlis mancata
Non prima del X sec. a. C. genti doriche occupano nella Laconia (Peloponneso) il colle che
chiamano Lakedàimon, Lacedemone (nome del loro mitico antenato), per poi dominare l’alta valle
del fiume Eurota, dove sorge Spàrte, Sparta, la pòlis tòn lakedaimoníon, la «città dei lacedemoni», o
spartiàtai, spartiati – ossia gli spartani. Verso la metà del VIII sec. a. C. il territorio spartano si estende per 1.900 km2 nella Laconia e, con la conquista di parte della Messenia alla fine del secolo,
giunge a 8.300 km2. Queste due regioni sono le piú fertili della Grecia penisulare; inoltre, in Laconia si trovano delle miniere di ferro. Tuttavia, le coste peloponnesiache sono per lo piú impervie e
Sparta resta chiusa nell’entroterra – infatti, il suo porto, Ghýtheion, si trova a circa 40 km piú a sud.
Agli inizi del VII sec. a. C. Sparta è immersa nella grande “corrente” della civiltà greca: cosí i
reperti archeologici, i componimenti poetici 13 e il primo piano che ha nello sviluppo della musica
greca 14 . Ed è travagliata da conflitti per la redistribuzione delle terre e le rivendicazioni politiche
dei non-nobili, che danno il grosso della falange oplitica, e la città è in guerra nel Peloponneso 15 .
Nell’ultimo quarto del VII sec. a. C., gli spartani devono affrontare la rivolta dei messeni da loro
sottomessi, che sono sostenuti dai messeni ancora liberi e dagli arcadi. La guerra è lunga e difficile
per Sparta, anche a causa dei conflitti interni 16 ; ma, la vittoria viene infine raggiunta e la Messenia
interamente conquistata 17 . Gli spartani conquistano anche parte del territorio arcade e costringono le
altre città dell’Arcadia (Tegea, Orcomeno, Mantinea, centri minori) a entrare in un “sistema” di al12
Vi sono, in Italia, le città etrusche ed “etruschizzate”, che si oppongono all’estensione greca nella penisola, e una di
queste, che incomincia nel V sec. a. C. a muoversi per conto proprio, raggiungerà un posizione dominante nella penisola
italiana e svolgerà una funzione decisiva per tutto il Mondo antico: Roma. E c’è un’altra città – non greca, e nemmeno
etrusca o italica, bensí di origine fenicia, situata presso le coste africane nord-occidentali del Mediterraneo (odierna Tunisia) –, che contrasta i greci in Sicilia e in Spagna, e che sarà la prima grande antagonista di Roma: Cartagine.
13
Si pensi, per esempio, alle poesie liriche di Alcmane (di cui ci restano dei frammenti), poeta forse originario della città di Sardi nella Lidia, ma che è poi vissuto a Sparta.
14
Vedi la tradizione sulla scuola musicale fondata da Terpandro di Lesbo, trasferitosi a Sparta e “inventore” (o, piuttosto, “sistematore”) della lira a sette corde.
15
Contro i messeni ancora indipendenti, contro gli achei, contro Tegea (la maggiore città dell’Arcadia) e contro Argo –
e quest’ultima rimarrà la nemica storica di Sparta.
16
Agli scoraggiati e discordi spartani si rivolgono i canti di Tirteo – forse originario di Mileto, ma operante a Sparta, dei
cui componimenti abbiamo dei frammenti –, che chiama i cittadini alla concordia, all’obbedienza alle leggi e alla lotta
per la vittoria.
17
È qui che la tradizione colloca la fondazione di Taranto, come espulsione degli spartani “troppo dissidenti” – ma la
notizia resta incerta, perché Sparta non appare aver partecipato decisamente al movimento di espansione greca.
6
leanze con Sparta. Verso la metà del VI sec. a. C. hanno un successo decisivo su Argo, si ammettono parte del territorio argivo (compresa l’isola di Citera) e forzano all’alleanza con Sparta le città
minori dell’Argolide (come Epidauro, Trezene, Ermione), esempio viene seguito da Egina e da
Fliunte, poi da Sicione e da Corinto (quando in queste due ultime città, con l’aiuto spartano, vengono espulsi i tiranni). Con la conclusione dell’alleanza con l’Elide – dove si trova Olimpia, sede dei
giochi atletici quadriennali – gli spartani hanno stabilito la loro hegemonìa, «autorità», «preminenza» e «comando», sul Peloponneso, che, entro il 500 a. C., è quasi tutto legato a Sparta da saldi vincoli di alleanza nella Lega del Peloponneso – da cui restano fuori solo Argo e l’Acaia.
La pòlis degli «uguali». A Sparta, abitanti della città e abitanti del territorio della città non coincidono. I soli veri cittadini sono gli spartiati, maschi adulti e guerrieri. Sono loro subordinati i periòkoi, i perieci, «coloro che abitano intorno», cioè gli abitanti liberi degli altri centri della Laconia,
che si autogovernano, posseggono schiavi, si occupano dell’economia e hanno il monopolio del
commercio (per conto proprio e di Sparta), ma sono tenuti a fornire opliti all’esercito spartano. Il
resto degli abitanti della Laconia e della Messenia è costituito dagli èilotes, gli iloti 18 , assoggettati
ai lacedemoni e legati, per gruppi, alla terra che è in loro possesso e che è divisa in klèroi, lotti di
terreno dell’estensione di circa 15 ettari. Ogni klèros – la parola significa «sorte» e «terreno», quindi “terreno dato in sorteggio” –, con l’annesso gruppo di iloti, è assegnato a uno spartiata.
Si badi bene, però: rispetto al loro spartiata, gli iloti non sono collocati in posizione di schiavi,
bensí di servi. Gli forniscono una quota fissa di prodotti e alcuni armati alla leggera come seguito,
oppure dei rematori per la flotta, ma dispongono del resto dei prodotti e possiedono beni personali.
Qualche ilota, giudicato “valido”, può ottenere libertà e cittadinanza – come neodamòde, «recentemente iscritto» (fra i cittadini) –, e ciò avviene, e sempre piú avverrà, al fine di rinsanguare i vuoti
che si aprono fra gli spartani.
Non vi sono molti altri ordinamenti simili nell’Ellade 19 , ma è tramite questo suo “sistema” – con
i connessi rischi costanti di rivolta – che Sparta esce dalla stàsis, formando la comunità degli òmoioi, gli uguali: ognuno ha il suo klèros ed è impegnato come soldato a vita.
Gli spartiati sono liberi da attività economiche, né devono occuparsene – Sparta conia monete di
ferro, perché nessuno “maneggi” argento e oro. Da sette anni iniziano l’addestramento militare, passando per una serie di gruppi di età, stimolati da premi quali, a diciotto anni, l’ammissione a corpi
di hippèis, «cavalieri», o ai kryptèiai, «reparti segreti», di varie mansioni (compresa l’eliminazione
degli iloti giudicati “pericolosi”). Seguono possibili posti di comando e poi, eventualmente, di governo. Fino a età avanzata restano legati alla propria unità militare e ai sissízi, i pasti comuni, a cui
sono tenuti a contribuire. Le donne allevano i figli fino a sette anni e le figlie fino alla maggiore età,
hanno diritti e beni personali, conducono una vita davvero libera (che comprende anche gare atletiche femminili), ma nettamente separata da quella dei maschi, tanto che, “allenate” alla vita militare
degli uomini, non piangono pubblicamente i caduti in battaglia (e, a volte, non li piangono affatto).
L’ordinamento spartano, denominato kòsmos – «spazio ordinato», «ordine», e quindi «ordinamento» –, è attribuito a Licurgo 20 , ma, in realtà, è frutto di un processo che pare aver avuto i suoi
prodromi nel IX sec. a. C., per concludersi agli inizi del VI sec. a. C. con l’instaurazione
dell’eunomía al kòsmos stesso, cioè l’«obbedienza» all’«ordinamento».
Sparta diviene, cosí, la sede di una sorta di accampamento militare, occupante e permanente, i
cui membri si pongono, sí, come una specie di aristocrazia, ma ridotta e forzata. È la comunità
chiusa degli «uguali» – nella fase del culmine della storia spartana, al massimo 20-25.000 maschi –,
in cui tutti gli spartiati sono una specie di “nobili ridimensionati”: hanno di rendite fondiarie, però
piuttosto contenute; si fondano su valori agonistici, però concentrati nel campo militare; praticano la
guerra, però senza ambire a imprese e glorie individuali, bensí come opliti inquadrati nella falange.
18
Lo stesso termine sembra significare «chiusi», «stretti», quindi «costretti», «forzati».
I soli paralleli con il “sistema” spartano si trovano in regioni piú arretrate, come a Creta e in Tessaglia, oppure ai
margini, orientali e occidentali, dell’Ellade, adottati nei confronti dei popoli non-greci – mentre, generalmente, gli abitanti di una città conquistata e distrutta da parte di un’altra pòlis vengono dispersi e/o venduti schiavi.
20
Forse un’antica divinità solare, di cui si persa la memoria: la parola lycòurgos significa infatti «colui che fa luce».
19
7
Sparta appare, dunque, nella forma determinatasi della soluzione dei suoi conflitti interni-esterni,
come una pòlis che non è riuscita a estendersi a tutti gli abitanti della città-territorio, una pòlis non
realizzata − bloccata e, anzi, cristallizzata nel suo sviluppo in quanto pòlis.
Infatti, il compito primario, tenuto sempre presente dal “gruppo” dei lacedemoni, è la perpetuazione. Lo strumento è l’addestramento dei soldati – che, per distinguersi in battaglia, portano le armi sopra chitoni purpurei – e nella forza della falange – in cui è riposta tanta fiducia che Sparta non
ha mura (altro attestato, questo − in quanto forma dello spazio urbano − di Sparta come non-pòlis).
E gli spartani saranno temuti e rispettati in tutta la Grecia, ma mai amati, né tantomeno imitati 21 .
Le istituzioni di Sparta e la Lega del Peloponneso. Verso l’esterno Sparta è uno Stato, cioè una potenza organizzata e solida, ma al suo interno rimane poco consistente come Stato, perché le istituzioni sono costituite e gestite dagli «uguali», e gli apparati amministrativi e giudiziari (in quanto organismi separati dalla società degli spartiati, con sedi, impiegati, addetti, guardie, etc.) sono estremamente ridotti, anzi pressoché inesistenti.
È conservato l’antico potere monarchico, ma ridimensionato e sdoppiato nelle persone di due re,
provenienti dalle due casate degli Aighèiadai, gli Agidi, e degli Eurupontìdai, gli Europontidi. I re
sono i capi dell’esercito e i massimi sacerdoti, e godono di privilegi quali un possedimento ciascuno
nelle terre dei perieci e il diritto a ricevere grandi onoranze funebri. Ma le piú importanti decisioni
spettano all’apèlla, l’«adunanza», l’assemblea degli «uguali» (i maschi spartiati che hanno compiuto i trent’anni), convocata una volta al mese, che, però, può solo approvare o no le deliberazioni sottoposte, ma non può avanzare proposte. Le deliberazioni sono preparate dal centro decisionale della
gherusía, il «consiglio degli anziani», o «senato», di 30 membri – ventotto eletti a vita fra gli «uguali» con oltre sessant’anni, piú i due re, che lo presiedono. Il consiglio tiene, inoltre, i processi per
i crimini di sangue e per i reati contro l’ordinamento.
Esiste un’altra magistratura, l’eforìa, ossia l’eforato, o «sovrintendenza», formata dai cinque èforoi, gli efori, «sovrintendenti» e «ispettori», eletti annualmente e preposti a vigilare sull’osservanza
all’ordinamento e a giudicare gran parte dei reati civili e penali (esclusi quelli piú gravi, appunto di
competenza della gherusía). E, in quanto magistrati permanentemente in funzione, che rispondono
del loro operato solo all’apèlla, gli efori accumulano via via competenze sempre piú vaste: il potere
dell’eforato si amplia, estendendosi fino alla politica estera e al controllo dei re – infatti, dalla fine
del VI sec. a. C., solo uno dei due re di volta in volta può andare in guerra, seguito da due efori, che
ne sorvegliano le azioni. Diventa prerogativa degli efori anche poter deporre e arrestare tutti gli altri
magistrati, convocare l’assemblea, presentare proposte alla gherusía, mobilitare l’esercito, espellere
gli stranieri sospetti, concedere o vietare agli spartiati il soggiorno all’estero. All’inizio del V sec. a.
C. l’eforato sarà il vero “direttorio” del governo di Sparta − ma teso, sempre e comunque, alla piú
rigida conservazione dell’ordinamento.
La conservazione è l’imperativo fondamentale anche in politica estera. Sparta appoggia le posizioni favorevoli nelle città alleate, cioè i regimi oligarchici, ed è, in genere, nemica delle tirannidi,
ma solo quando queste ultime esprimono tendenze a essa ostili. Lo strumento principale della politica estera spartana è la Lega peloponnesiaca, che raccoglie quasi tutte le città e genti del Peloponneso (in certi momenti, si allargherà anche al di fuori della regione). Ma i greci e gli stessi spartani
la chiamano symmachía, cioè «alleanza» (difensivo-offensiva, militare). Infatti, la Lega del Peloponneso non ha organi di governo in quanto Lega, né fondi comuni. È una rete di alleanze, sancite
da trattati, che stringono intorno a Sparta le pòleis peloponnesiache. Le città alleate restano autonome – non devono versare tributi, né accogliere presidi spartani –, ma partecipano alle adunanze generali della Lega (a Sparta), riconoscono a Sparta il diritto a iniziative che riguardano tutti gli alleati
e ne accettano il comando in guerra (solo dopo il V sec. a. C. l’egemonia di Sparta sarà dichiarata
ed esplicita: avrà il diritto di imporre le sue guarnigioni e di decidere la guerra e la pace).
21
A parte i dori di Creta, che adottano un ordinamento ancora piú rigido e che dominano su una larga massa di servi;
tuttavia restano isolati nell’Ellade, partecipandovi solo tramite i mercenari che forniscono per le tante guerre.
8
La Lega del Peloponneso, con un territorio di oltre 16.000 km2 (di cui la metà è territorio spartano) e una popolazione sui 700.000 abitanti, assicura a Sparta le forze per conservare come stabile la
situazione nel Peloponneso, compreso il territorio spartano, quindi per conservare il suo stesso ordinamento interno. E la Lega sarà indispensabile a Sparta, dall’inizio dell’«età classica», per mettere
in campo la piú grande forza militare terrestre dell’Ellade – successivamente, Sparta riuscirà a dotarsi anche di una flotta potente.
La dinamica della storia di Sparta. Gli «uguali» non sono davvero uguali. Lo attesta la presenza
dei re e il fatto che i piú capaci e ambiziosi di costoro cercano di estendere il proprio ruolo e la propria potenza, e anche alcuni efori cercano di usare e abusare dei loro poteri. Né la famosa austerità
spartana è effettiva – tanto che storici e filosofi greci insistono sulla nota corruttibilità (per onori,
potere, denaro) dei re e degli efori. Inoltre, gli «uguali» che ci riescono possono accrescere i loro
beni, per esempio aumentando il proprio bestiame e/o acquistando poderi nei territori dei perieci.
Alcuni «uguali» diventano tanto ricchi da poter partecipare alle gare di corsa con i carri ai giochi
olimpici 22 , massimo simbolo di ricchezza e prestigio dell’aristocrazia greca 23 . Altri «uguali», al
contrario, finiscono (a causa o di cattiva conduzione del proprio klèros, o di carestie e/o di debiti
contratti, etc.) per venir meno agli obblighi degli spartiati – massima mancanza: cessare i contributi
ai banchetti comuni –, per cui perdono la posizione di uguali, passando fra gli hypomèiones, quelli
«un po’ inferiori», ossia i «cittadini di seconda classe», di minore diritto. Gli «uguali» ricchi si servono della loro ricchezza per portare avanti i loro interessi e le proprie ambizioni, tanto piú che gli
spartiati con redditi insufficienti sono costretti a chiedere prestiti, in cambio dell’ipoteca sulle rendite del loro lotto, che passano al creditore in caso di mancata restituzione. Infine, un po’ tutti i magistrati e i capi militari si servono della loro posizione a fini politici e personali. Come forza contrapposta a tutte queste tendenze, c’è però la mentalità disciplinata e conservatrice di un’assemblea quale l’apèlla, e c’è la sua resistenza contro l’eccesso di differenziazioni, contro l’imporsi di profonde
trasformazioni.
Nel contesto degli «uguali» si sviluppa, insomma, la contraddizione permanente fra la comunità
dei lacedemoni e il gruppo piú ristretto di coloro che rompono l’uguaglianza, diventando maggiormente ricchi e potenti, mentre altri decadono, o ne corrono il rischio, dalla condizione di «uguali».
Con tale contraddizione si intrecciano le gravi conseguenze che la perpetuazione dell’ordinamento
spartano ha sull’andamento della popolazione: non solo gli «uguali» cercano di non avere molti figli, dato che il lotto di terra spetta solo al primogenito, mentre gli altri maschi restano fra i cittadini
di minor diritto, in attesa che “si liberi” un altro klèros – donde le pratiche per ridurre le nascite 24 –,
ma si ha anche la scarsa pulsione (piú o meno pensata) a continuare, ad andare avanti, a espandersi,
perché l’“orizzonte” è quello dato, e nient’altro è, né deve, essere previsto.
Ciò si traduce, infine, nella decadenza demografica: nella seconda metà del V sec. a. C. gli spartiati non saranno piú di 5.000, e saranno solo circa 2.000 nel 371 a. C., per ridursi a 700 nel 242 a.
C. Le misure di volta in volta prese – assegnazione dei lotti agli “illegittimi”, i figli di spartiati e di
donne ilote, o promozione a spartiati di iloti liberati – daranno solo risultati provvisori, perché tutto
il complesso di problemi sempre si ripropone, in primo luogo a causa dell’imperativo primario: la
perpetuazione dell’ordinamento. Tali problemi vengono, per di piú, complicati dalla politica estera:
Sparta conta sulle forze della Lega, ma deve sempre dimostrare di essere in grado di fornire il nerbo
dell’esercito – cosa via via sempre piú difficile, per la riduzione progressiva del numero degli spartiati. Nel contempo, non può far allontanare dalla città troppi soldati, perché gli iloti, se si allenta il
controllo, possono sempre insorgere.
Sparta non riuscirà a evitare l’impatto delle tendenze ai mutamenti, date le spinte interne e date
le vicende esterne della storia greca, in cui svolgerà un ruolo di primo piano. Ma ciò che finirà –
22
Sono, dunque, in grado di sostenere i costi della scelta, allevamento e addestramento dei cavalli, della preparazione
dell’auriga, della costruzione e manutenzione del leggero carro da corsa.
23
Fra il 550 e il 400 a. C. si trovano, negli elenchi dei vincitori di queste gare, nove spartani, con un totale di 12 vittorie.
24
E si tratta anche di pratiche brutali, come l’“esposizione” dei neonati, cioè lasciarli esposti a morire, adducendo loro
malformazioni di nascita.
9
ogni volta – per imporsi nella comunità dei lacedemoni sarà la conservazione del suo ordinamento.
E sarà, perciò, inevitabile che tendenze e spinte alla trasformazione, ossia le energie maggiori, impedite e bloccate, decadano e si disperdano, rovesciandosi nel deperimento della stessa comunità. E
Sparta terminerà la sua storia attiva nel II sec. a. C.: chiusa in se stessa, e lasciata da tutti a se stessa,
isolata – dissoltasi ormai da tempo la Lega del Peloponneso –, andrà all’estinzione di quella che era
stata l’orgogliosa comunità degli «uguali».
Atene: la pòlis dispiegata
La penisola dell’Attica si estende per circa 2.700 km2, separata dalla Beozia da un gruppo montagnoso, e unita dalla Megaride all’Istmo di Corinto. Non è fra le regioni greche piú fertili, ma ha
quattro pianure e altre piane minori. Tuttavia, è povera d’acqua e le precipitazioni sono, in genere,
scarse; le coste meridionali e orientali sono, però, adatte all’approdo, e vi si trovano le cave di marmo del monte Pentelico e, a sud-est, le miniere del Laurion, nei tempi antichi ricche d’argento.
L’Attica è il territorio della pòlis degli ateniesi e la loro maggiore città è Athènai, Atene, di cui la
dea Atena è la patrona. Vi sono, però, altri centri minori, quali Decelea, Afidna, Braurone, Cefisia,
Eleusi, la cui unificazione politica – synoikismòs, sinecismo, letteralmente «coabitazione» – con Atene è proceduta già nell’«età buia», per concludersi nell’«età arcaica», agli inizi del VII sec. a. C.
Atene, che nel VI sec. a. C. conta circa 30.000 abitanti, nel V sec. a. C. ne avrà dai 105 ai
120.000, e tutta l’Attica dai 210 ai 235.000. Tuttavia, i cittadini di pieno diritto pare non superino
mai i 50.000; il resto della popolazione è composto da donne e bambini, nonché da meteci e schiavi.
Atene è la piú grande pòlis della Grecia. Solo Sparta ha un territorio maggiore, ma Atene non ha
sudditi: tutti i maschi liberi, originari dell’Attica sono ateniesi. Né Atene partecipa all’espansione
dell’Ellade: il territorio è sufficiente e, intanto, si sviluppano l’artigianato e il commercio.
Nell’VIII sec. a. C. il potere del re (presente in origine) viene sempre piú limitato, mentre al suo
fianco compaiono dei magistrati, gli àrcontes, arconti, finché non si costituisce come organo di governo il collegio degli arconti: nove, piú un tesoriere − e il re diventa una figura “simbolica”. Gli ex
arconti entrano nel consiglio dell’Àreios Pàgos, l’Areopago, cosí denominato dal colle, situato di
fronte all’acropoli, su cui si riunisce 25 . Il consiglio, presieduto dal re, sorveglia l’osservanza delle
norme e giudica i reati di sangue − se sono effettivamente tali, o involontari, o “giustificabili” 26 .
Sono solo i nobili, gli eupatrídes – ossia quelli di «buon padre», quindi i «ben nati» –, a ricoprire
le magistrature, a comporre gli organi di governo, a gestire ed esercitare il potere. Vi sono strati di
benestanti non-nobili, legati all’agricoltura e, in particolare, all’artigianato, al commercio e soprattutto ai traffici marittimi. Però la massa della popolazione non solo è povera, ma, spesso, è anche
indebitata con i potenti: molti sono costretti a lavorare come braccianti sulle terre dei nobili 27 , mentre altri, debitori insolventi, dapprima perdono la loro piccola proprietà, poi la stessa condizione di
cittadini liberi, cadendo nella schiavitú per debiti insoluti.
Alla seconda metà del VII sec. a. C. risalgono le leggi scritte attribuite a Dràkon, Dracone 28 . E
sono leggi durissime – come dicevano i greci, «scritte con il sangue» –, basate su un sistema penale
rigido e crudele, che sanciscono potere e predominio dei nobili, a cui soltanto è data la facoltà di esercitare le massime magistrature, pur stabilendo possibilità di accesso a cariche minori per i benestanti. Ne segue, anche ad Atene come in altre pòleis, la stàsis: il conflitto paralizzante fra nobili,
benestanti e popolo. A tale situazione interna si aggiunge la sconfitta ateniese nella guerra contro
Megara per il possesso dell’isola di Salamina: dall’isola, in possesso ai megaresi, viene una minaccia permanente alle coste dell’Attica, ostacolando i traffici marittimi e bloccando lo sviluppo del
porto del Pireo.
25
Forse il «colle di Ares», dio della guerra, o anche il «colle delle Arai», ossia delle Erinni, divinità (ctonie) della vendetta di «sangue».
26
Per difesa, per vendetta contro gravi torti e offese subiti, etc.
27
Sono pagati «in natura», ma possono trattenere per sé − come sembra − solo un sesto del prodotto.
28
Probabilmente si tratta di una divinità ctonia, retaggio di antichi culti del sottoterra: dràkon significa, infatti, «drago»
o «serpente».
10
È allora che, come si è anticipato, un nobile, Kýlon, Cilone, verso il 630 a. C. cerca di instaurare
la tirannide – pare sia sostenuto nel suo disegno dal suocero Teagene, già tiranno di Megara –, ma
viene sconfitto nella guerra civile che scoppia ad Atene e massacrato, insieme ai suoi seguaci, dalla
nobile e potente casata degli Alcmaionìdai, gli Alcmeonidi – casata che è, e sarà, molto importante
nella storia di Atene. Tuttavia, il massacro non pone affatto fine alla stàsis, che, anzi, raggiunge un
livello tale da imporre l’improcrastinabile adozione di nuove misure.
Le riforme e la costituzione di Solone: la pòlis oligarchica. Verso il 594 a. C., un nobile, Sòlon, Solone, viene scelto e designato come diallaktès, «pacificatore» e – con il consenso sia del popolo per
la sua fama di onestà, sia degli eupatridi perché è uno di loro – viene eletto arconte con poteri straordinari. Solone – che respinge le ripetute sollecitazioni ad assumere la tirannide – attacca la
rapacità eccessiva dei potenti e dei ricchi, e attua la seisàchtheia, lo «sgravio dei pesi», la loro
«riduzione»: cancella quei debiti che porterebbero alla schiavitú, e vieta, comunque, per il futuro la
riduzione in schiavitú per debiti, mentre libera molti che erano diventati schiavi per tali motivi.
Ostacola l’ulteriore accrescimento delle tenute agrarie degli aristocratici, ma rifiuta di procedere
alla redistribuzione delle proprietà fondiarie nobiliari, escluse, forse – la tradizione non è chiara in
proposito –, le terre palesemente usurpate dall’aristocrazia. Protegge l’agricoltura e vieta
l’esportazione dei beni alimentari indispensabili, favorendo, però, quella dell’olio, prodotto in
abbondanza nell’Attica. Riforma il sistema dei pesi e delle misure, e introduce una moneta argentea
piú leggera di quella fino allora in vigore, facendo cosí aumentare la circolazione monetaria e
facilitando di nuovo i debitori, che possono pagare i debiti in valuta ridotta. Tramite questo
complesso di provvedimenti, Solone stempera le contraddizioni piú acute e pone le basi della stabile
formazione di una classe di medi e piccoli agricoltori indipendenti.
Dopo aver modificato il sistema giudiziario, mitigando ampia parte delle pene previste e dando
chiarezza all’ordinamento penale – stabilisce anche la specifica carica di efètes, «giudice» –, Solone
affronta il problema di dare una vera, e nuova, costituzione agli ateniesi. A tal fine, divide i cittadini
in quattro classi, che hanno diritti e doveri proporzionati al loro censo, calcolato in base alla proprietà terriera (quest’ultima serve quale misura per calcolare anche l’equivalente dei beni posseduti
in campo artigianale o commerciale):
1. prima classe, i pentacosiomèdimnoi, pentacosiomedimni, coloro che hanno rese agricole (o beni
equivalenti) pari o superiori ai 500 medimni di cereali, oppure alle 500 metrete di vino od olio 29
l’anno, e che possono, quindi, allevare cavalli e combattere come cavalieri;
2. seconda classe, coloro che hanno rese agricole (o beni) fra le 500 e le 300 misure annue, gli
hippèis, i cavalieri, perché possono, anche loro, combattere a cavallo, o comunque come opliti;
3. terza classe, gli zeughítai, zeugiti, quelli che hanno almeno una coppia di buoi (aggiogabili:
zèughon, giogo) e rese agricole (o beni) fra le 300 e le 150 misure annue, e che possono combattere
come opliti;
4. quarta classe, i thetèioi, i teti, i prestatori d’opera, coloro le cui proprietà non arrivano alla resa
di 150 misure annue (o al loro equivalente), cioè i contadini che hanno un podere molto ridotto, gli
artigiani che hanno solo un piccolo laboratorio, nonché coloro che non possiedono nulla e vivono
come braccianti od operai, i quali svolgono in guerra compiti ausiliari o vengono imbarcati come
marinai nella flotta, ma sono equipaggiati – a differenza delle altre tre classi – a spese della pòlis.
• Alla prima classe vanno le cariche di tesorieri, perché spettano solo a chi è in possesso dei beni
adeguati per rispondere in proprio di un’eventuale cattiva gestione dei fondi della pòlis.
• Alla prima e seconda classe vanno le cariche dell’arcontato, dell’aeropago e degli efeti.
• Alla terza classe vanno le cariche minori – come quella degli undici, il collegio che si occupa
dei compiti di polizia e dei processi per reati comuni.
• Alla quarta classe va il diritto di accedere, con le altre tre, all’ekklesìa, l’«assemblea» del popolo, che elegge i magistrati e prende le maggiori decisioni.
29
Un mèdimnos, medimno, è di circa 52 litri; una metretès, metreta, è di circa 39 litri.
11
Sembra, inoltre, che Solone istituisca il nuovo tribunale dell’Heliàia, l’Eliea (da Apollo come
Hèlios, dio del sole), addetto a tenere tutti i processi per reati contro privati cittadini (esclusi quelli
di sangue, spettanti all’Aeropago) − non siamo ben informati sulla sua iniziale composizione e funzionamento, ma pare che vi siano ammessi anche dei membri della quarta classe.
Solone introduce il principio del potere secondo la ricchezza. Pone cosí termine al monopolio aristocratico del potere e realizza, in tal modo, la pòlis oligarchica ad Atene: il predominio resta ai
nobili, ma uniti ai piú ricchi, mentre i poveri vengono maggiormente tutelati – questi ultimi, tuttavia, proprio per la chiarezza dell’ordinamento soloniano, vengono diventando piú consapevoli di essere collocati in una posizione permanente di subordinazione e inferiorità.
Secondo la tradizione, Solone, attuati i suoi provvedimenti, lascia Atene, per non dover subire
pressioni dalle diverse parti. E ben presto proprio la sua costituzione diventa il terreno su cui si riaccende la stàsis, che si presenta, ora, come conflitto fra tre gruppi: i proprietari terrieri della zona
pianeggiante centrale dell’Attica – la pediachía –, guidati dal nobile Licurgo; i piccoli proprietari,
artigiani, mercanti e marinai delle coste – la paralìa –, guidati dal nobile Megacle; i contadini delle
colline interne – la diàcria –, guidati dal nobile Pisistrato. E accadrà precisamente ciò che Solone
aveva cercato di evitare.
La tirannide. Pisistrato compie il suo primo tentativo di prendere il potere nel 560 a. C., occupando
con una guardia armata l’acropoli di Atene, ma il “colpo” fallisce per la decisa reazione dei suoi avversari e del governo legale. Non conosciamo bene ciò che avviene in seguito, tuttavia sappiamo
che nel 554 a. C. Pisistrato compie il suo secondo tentativo, è ancora sconfitto e viene espulso
dall’Attica. Allora riorganizza le sue forze all’estero, aiutato anche dalla fortuna che riesce ad accumulare 30 . Cogliendo l’occasione fornita dalla disorganizzazione e dal discredito del governo e dei
propri avversari ad Atene – a causa della sconfitta subita nella nuova guerra con Megara –, ritorna
in Attica con forze mercenarie, raccoglie i suoi seguaci ed entra in Atene. È il 545 a. C.: Pisistrato
fa uccidere o esilia gli oppositori piú irriducibili, e instaura la tirannide, che detiene fino alla morte,
nel 527 a. C., quando gli succede suo figlio maggiore, Ippia.
In politica estera, Pisistrato conquista ad Atene l’isola di Salamina, impone la supremazia ateniese su Delo – isola sacra ad Apollo e centro delle Cicladi – e attua insediamenti ateniesi
nell’Ellesponto – a Sigeo, sulla costa anatolica, e nell’antistante Chersoneso tracico. Aiuta l’amico
Ligdamo a diventare tiranno di Nasso e stabilisce relazioni amichevoli con il tiranno Policrate di
Samo e con il re della Lidia. Per il resto, conduce una politica di “non intervento” nelle contese greche, instaura buoni rapporti ovunque gli è possibile – cosí con Sparta e con Corinto – e conta su parentele con la nobiltà di Argo, della Tessaglia, della Tracia e della Macedonia. Pone, in questo modo, le condizioni esterne per la prosperità di Atene; tuttavia, provvede a rafforzare l’esercito e a costruire una flotta efficiente (di circa 50 navi), definendo la divisione dell’Attica in 48 naucràriai,
naucrarie, «suddivisioni», ossia «zone» “per le navi”, ognuna delle quali deve fornire ogni anno i
fondi necessari per armare una nave da guerra (e mantenere due cavalieri).
In politica interna, Pisistrato, se installa sull’acropoli un corpo di mercenari sciti 31 , ottiene però
l’appoggio del popolo e, inoltre, di gran parte dell’aristocrazia, comprese l’importante casata degli
Alcmeonidi (che però in seguito gli saranno ostili) e la potente famiglia dei Filaidi, il cui esponente,
Milziade, è posto al comando dell’insediamento del Chersoneso. Ma l’aristocrazia subisce, comunque, una grande e irreversibile sconfitta: prima Pisistrato e poi Ippia, infatti, mantengono inalterata
la costituzione soloniana vigente, assicurandosi soltanto che vengano elette alle cariche principali
persone loro fidate, e si limitano ad assumere in prima persona il comando supremo dell’esercito, a
capo del costituito collegio degli strateghi – strategòi, «comandanti» –, insieme al diritto di gestire i
sacrifici pubblici agli dèi. Le grandi famiglie della nobiltà occupano ancora i posti piú importanti,
30
Non sappiamo esattamente come, ma pare che sia grazie alle operazioni che mette in atto verso le miniere d’oro e
d’argento del massiccio del Pangeo in Tracia.
31
Scelti, cioè, fra i non-greci, gli sciti − popolo insediato fra le piane dell’attuale Russia e Bulgaria −, in modo che non
avessero nulla a che vedere non solo con la situazione di Atene, ma anche con la realtà della Grecia.
12
ma sono forzate a inserirsi nelle istituzioni e a farle funzionare, ad “abituarsi” alla costituzione e a
sottomettersi a essa, perché costrette dal potere superiore del tiranno.
La tirannide consolida in modo duraturo le classi dei medi e dei piccoli agricoltori in Attica; dà
impulso ai commerci, specie marittimi (la ceramica attica conquista il monopolio dell’esportazione,
specie quella diretta in Magna Grecia e in Sicilia); offre sbocchi ai nullatenenti, tramite sia gli insediamenti esteri, sia le maggiori possibilità di occupazione, dovute alla crescita economica in Attica
e all’avvio di grandi lavori pubblici (fra cui fontane e templi). E Pisistrato – la cui opera è proseguita da Ippia – emette la nuova dracma, la moneta argentea con impressa la civetta (sacra ad Atena e
simbolo di Atene); protegge le arti; si interessa ai misteri e ai culti dionisiaci (che hanno una forte
adesione popolare); promuove le feste pubbliche, introducendo la recitazione di brani omerici nelle
Panathènaia, le Panatenee (le feste «di tutti gli ateniesi») e le gare di cori tragici nelle Megàla Dionýsia, le Grandi Dionisie (le feste in onore di Dioniso). Sotto la tirannide, Atene diventa una città
splendida, dove appare piú bello vivere, mentre aumenta il generale benessere.
Sotto Ippia, però, si profilano e concretizzano pericoli esterni: la minaccia ai confini occidentali,
costituita dalla Lega costituitasi in Beozia, fra Tebe e le altre città; il potenziamento della Lega del
Peloponneso, grazie all’adesione di Corinto e di Egina; la perdita della supremazia sull’isola di Delo, alla quale si estende il predominio di Policrate di Samo; l’arrivo della potenza dell’Impero persiano fino all’insediamento di Sigeo, costretto a versare tributi al «gran re» dei persiani.
Ippia riesce, tuttavia, a impedire che la vicina città di Platea sia assorbita nella Lega beotica, affrontando e battendo l’esercito tebano – perciò Platea rimarrà sempre alleata di Atene, cosí come
Tebe sarà, per lungo tempo, sua nemica. Ma i problemi maggiori sono, ormai, soprattutto interni.
Grazie alla tirannide, infatti, gli ateniesi hanno visto ridimensionato il potere della nobiltà, si sono
abituati alla “normalità” del regolare funzionamento delle cariche politiche e giudiziarie, le maggiori difficoltà di sussistenza dei poveri sono state superate e i piú forti contrasti economici sono stati
attutiti. A che cosa può servire ancora, dunque, la tirannide? In altri termini, precisamente in base ai
suoi sostanziali successi, la tirannide si viene sempre piú manifestando come superflua.
In questa situazione avviene, nel 514 a. C., l’assassinio, per motivi del tutto “privati”, del fratello
minore di Ippia, Ipparco 32 . La sua morte dimostra che il tiranno può essere colpito direttamente nella sua persona: Ippia diventa molto piú diffidente, sospettoso e pronto a repressioni “preventive”, e
il suo esercizio del potere effettivo si fa piú duro e dispotico.
Sono, infine, gli Alcmenoidi a prendere l’iniziativa della lotta aperta contro il tiranno. Il loro
primo tentativo, nel 513 a. C., viene battuto dai mercenari e dai sostenitori di Ippia; il secondo, nel
510 a. C., appoggiato dall’esercito spartano guidato dal re Cleomene, riesce: Ippia, di fronte a un tale spiegamento di forze, nonché, evidentemente, non piú sostenuto, o non in modo adeguato, dal
popolo ateniese, si rinserra sull’acropoli e viene a patti, ottenendo di potersene andarsene liberamente da Atene, con la sua famiglia e i suoi seguaci piú accesi, per rifugiarsi a Sigeo.
Le riforme di Clistene: la pòlis democratica. Caduta la tirannide, il re spartano Cleomene mira a
restaurare l’oligarchia ad Atene e a fare della città un’alleata di Sparta, e a questo tende anche
l’aristocrazia ateniese piú conservatrice, guidata da Isagora. Ma Clistene, capo degli Alcmenoidi, ha
saputo trarre un preciso bilancio dell’esperienza della situazione precedente e della tirannide. E si
pronuncia per la democrazia, per il potere del popolo – di tutto il popolo. Mentre ad Atene viene respinto, fra disordini, tumulti e scontri, il disegno di Cleomene e di Isagora, scoppia la guerra, portata contro gli ateniesi dalla Lega beotica, unita a Egina e a Calcide dell’Eubea; ma Sparta, anche perché pressata da Corinto (ostile a Egina e a Calcide), ordina a Cleomene di rientrare con tutto
l’esercito. Gli ateniesi riescono a respingere i beoti e anche a occupare parte dell’Eubea.
Ora Clistene può attuare le sue riforme: divide l’Attica e Atene in demi (circa 174), distretti amministrativi (retti da demarchi), ai quali sono iscritti i cittadini secondo la residenza. Raccoglie i
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Viene ucciso dai nobili Armodio e Aristogitone per una questione di rivalità in amore fra omosessuali, a causa delle
insistenti e insistite “pressioni” su Aristogitone da parte di Ipparco, per cui Armodio, “amico” di Aristogitone, insieme
allo stesso, ne decidono e mettono in atto l’uccisione − questa è la vicenda, anche se i due uccisori saranno trasfigurati
dagli ateniesi, dopo la fine della tirannide, nelle figure dei due «tirannicidi», eroi della libertà.
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demi in distretti piú ampi: 10 nella pediachìa, 10 nella paralìa, 10 nella diàcria. Tali distretti, detti
trittie (rette dai trittiarchi, che hanno funzioni militari), perché a gruppi di tre, scelti per sorteggio –
cioè una trittia della pediachìa, una trittia della paralìa e una trittia della diàcria –, formano una tribú (retta da un responsabile delle finanze). Clistene costituisce cosí 10 tribú territoriali – formate
dalle 30 trittie, che comprendono tutti i demi –, le quali forniscono 10 tàxeis, «ordinamenti di schiere», ossia «reggimenti», di opliti, al comando dei 10 strateghi (in un primo tempo eletti uno per tribú, ma presto, invece, fra tutti gli ateniesi).
Per quanto riguarda la flotta, mantiene il sistema delle naucrarie; per quanto riguarda le finanze
della pòlis, mantiene il sistema vigente di dazi e di tasse straordinarie, ma abolisce quelle ordinarie, imposte dalla tirannide – perché giudicate dagli ateniesi indegne di uomini liberi.
Rispetto alle istituzioni, Clistene conserva i dieci membri dell’arcontato, ma ne stabilisce
l’elezione di uno per tribú, e conserva anche i tribunali esistenti, ma potenzia il ruolo dell’Eliea.
Conserva, inoltre, la divisione nelle quattro classi di censo (ora calcolato in denaro) per l’accesso o
meno dei cittadini alle magistrature. Tuttavia, pone il “centro” della gestione del potere nel nuovo
organo della boulè. E la bulè − o «consiglio dei 500»: è il governo – è formata da 10 pritanèiai, pritanie, sezioni di 50 membri, eletti annualmente a sorte in ciascuna tribú fra tutti i cittadini; ogni pritanèia, pritania, presieduta dal suo epistàtes, «presidente», che cambia tutti i giorni, tiene la presidenza della bulè a turno, per poco piú di un mese (la decima parte dell’anno).
La bulè risponde all’ekklesìa, l’assemblea composta da tutti gli ateniesi maschi adulti (ad Atene
lo si è a 18 anni), la quale decide a maggioranza sulle leggi, sul mantenimento in carica o meno dei
magistrati, sulle proposte della bulè, ed elegge quelle cariche che richiedono competenze tali da non
poter essere affidate al sorteggio, come il collegio dei dieci strateghi.
Pur con dei compromessi con i vecchi principi di «stirpe» e «sangue», e con il regime stabilito da
Solone e conservato formalmente dalla tirannide, Clistene impone due nuovi principi:
1. il principio territoriale, per cui ogni maschio adulto, figlio di un ateniese, iscritto nelle liste di un
demo e residente in Attica, è cittadino di pieno diritto;
2. il principio egualitario, quello dell’isonomìa, «eguaglianza» di diritti e doveri di fronte alle leggi.
Clistene rompe completamente, in tal modo, ogni predominio della gestione del potere da parte
dei nobili e dei ricchi, perché li parifica agli altri come cittadini e collega i loro demi di residenza,
tramite il sistema delle tritte che formano le tribú, ad altri demi, politicamente e socialmente diversi,
impedendo, cosí, qualsiasi loro supremazia “automatica” nelle elezioni – le quali, peraltro, si basano
sul sorteggio per la formazione del centro della gestione del potere, la bulè.
Con la riforma di Clistene, Atene diviene una pòlis a democrazia diretta, esercitata in prima persona dai cittadini, perché nell’assemblea il voto di un povero vale quanto quello di un ricco e perché, attraverso il sorteggio per la bulè, ogni cittadino ha buone possibilità di far parte del governo
una volta nella vita (del resto, è vietato farne parte due volte), nonché, come possibile presidente di
una pritania, di essere il capo ufficiale della pòlis per un giorno.
A tutela della democrazia viene posto, infine – dallo stesso Clistene o comunque entro la ventina
di anni seguenti –, l’istituto dell’ostrakismòs, l’ostracismo: può essere indetta ogni anno
un’assemblea − il numero legale dell’ekklesìa è di almeno 6.000 cittadini −, nella quale i cittadini
scrivono su degli òstraka, dei «cocci», i nomi degli ateniesi ritenuti pericolosi per la costituzione;
chi viene indicato a maggioranza deve andare in esilio per dieci anni, senza perdere, però, la proprietà dei suoi beni.
I cittadini di pieno diritto nell’Atene democratica sono solo i maschi adulti di padre ateniese (piú
tardi, lo dovrà essere anche la madre), quindi non certo un gruppo ristretto come l’accampamento
militare permanente degli «uguali» di Sparta – tuttavia un gruppo pur sempre limitato, e che si sente
− e lo è − privilegiato.
Nobili e ricchi non scompaiono certo, né perdono la loro capacità di influenza, ma, per accedere
al potere politico, devono osservare le regole della democrazia. Anzi, si può dire che, in certa misura, la democrazia ateniese innalzi al livello di una sorta di aristocrazia tutti i cittadini, portando cosí
a compimento quanto era implicito nell’appartenenza comune alla pòlis di tutti i suoi membri: infatti i valori culturali e civili che si affermano – lo spirito agonistico, l’attrazione per le grandi imprese,
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il gusto del dibattito, l’amore per le competizioni atletiche, la passione per l’arte, l’importanza del
teatro, il senso della cultura – sono quelli di origine aristocratica. Si può definire, dunque e in questo
senso, quella ateniese come una specie di democrazia aristocratica.
La dinamica della storia di Atene. Questa è la realtà di Atene, al suo ingresso nel V sec. a. C., epoca del suo massimo sviluppo e splendore, delle sue grandi prove e trionfi – e dei suoi disastri (come
vedremo, né tali disastri saranno solo per Atene). Nel V sec. a. C. la democrazia ateniese diventa
ancora piú “radicale” − cioè si realizza in maniera ancora piú conseguente −, coinvolgendo effettivamente tutti i cittadini (“deputati”, riconosciuti come tali) nella gestione comune della pòlis. E la
costituzione democratica di Atene sarà di modello per l’instaurazione della democrazia anche in altre pòleis (per esempio, a Taranto, a Siracusa, a Tebe, nonché nelle città delle isole egee, e anche altrove). La democrazia − coerente e conseguente, diretta e con forme centrali di designazione per
sorteggio − costituisce il pieno dispiegamento della forma-pòlis («secondo il suo concetto»): uno
Stato, in quanto potenza organizzata verso l’esterno, ma non uno Stato al suo interno, perché istituzioni e apparati coincidono con i cittadini, e l’esercito e la flotta coincidono sempre con i cittadini −
c’è un corpo di “operatori” di polizia, fatto ancora (come sotto la tirannide) da mercenari sciti (arcieri), ma privo di qualsiasi autonomia (è solo agli ordini delle istituzioni fatte dai cittadini) e composto da estranei sia per eliminare ogni ingerenza negli “affari” della pòlis, sia perché, anche per reati comuni, un cittadino cerca di evitare di alzare le mani su un altro cittadino.
Ma tutto ciò ancora non risolve i “nodi”, i contrasti. Quali? C’è l’esclusione da un “ruolo completo” come cittadini delle donne e dei meteci − nonché degli schiavi (che, tuttavia, sono in numero
scarso, che resterà scarso per il V, IV e anche III sec. a. C. nel mondo greco e poi ellenistico), il che
pone problemi sempre presenti, pur sottesi e latenti. E c’è la presenza costante della guerra − “usuale”, per difesa e offesa (i cui rispettivi confini non sono mai ben definiti), come modalità di affrontare i problemi con l’esterno. E restano le contraddizioni sociali ed economiche interne, fra strati
ricchi, strati medi, strati piccoli, massa di poveri − le si possono definire «contraddizioni di classe».
La democrazia della pòlis permette di affrontare questo intreccio di “nodi” − e pone le basi per
energie creative enormi, su tutti i piani, compresi quelli culturali, artistici, letterari, scientifici −, ma
non dà, di per sé, la soluzione dei “nodi” stessi. Come risolvere il problema dei poveri, poco- o nulla-tenenti? Tanto piú che ad Atene non vige la limitazione delle nascite “stile spartano” 33 , per cui i
poveri si riproducono e aumentano − in proporzione, rispetto agli altri strati, che pur hanno
anch’essi problemi di mantenimento, o di accrescimento di possessi e risorse. Come risolvere il
problema dei rapporti − solo conflittuali o di separazione netta? − con le altre pòleis? Come risolvere il problema dei rapporti di ostilità con potenze “altre”, come l’incombente Impero persiano?
L’impero si sta estendendo in Anatolia, mira a ovest, all’Egeo e alla Grecia, sottomette le città greche ed è del tutto estraneo alla mentalità, al “modo d’essere” delle pòleis.
Ad Atene si penserà, in fondo e infine, di usare la stessa democrazia come “chiave” di soluzione
− ma senza toccare le contraddizioni interne, solo trovando una fonte di sussistenza per i poco- o
nulla-tenenti dalla finalizzazione del loro utilizzo per respingere l’Impero persiano e per legare ad
Atene tante altre città, ampliando nel contempo le possibilità di mantenimento e/o accrescimento di
possessi e risorse degli altri strati sociali in tale contesto. Però ciò si tradurrà in imperialismo, e in
altre guerre ancora − infine rovinose (come vedremo), già arrivando alla fine del V sec. a. C. …
A ogni modo gli ateniesi resteranno sempre legati alla loro democrazia e sempre la restaureranno, dopo ogni sua caduta – fino a che, cessata la sua storia attiva, Atene sarà la massima “città universitaria” del Mondo antico. La piena dissoluzione sarà piú tarda, sotto l’Impero romano cristiano.
Firenze, 11 marzo 2011
MARIO MONFORTE
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Anche se non vige certo quel «crescete e moltiplicatevi» che la casta sacerdotale giudea fa comandare dalla divinità
da essa creata agli ebrei − e che già costituisce una, pur non esplicita, dichiarazione imperiale.
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