Volume 2 2 Filosofia moderna Questo volume è stato redatto nell’ambito di un progetto dell’editore Garamond, che tuttavia non ha inteso portarlo avanti, dopo il Volume 1, e non ha firmato con l’autore alcun contratto per i Volumi 2 e 3. Essi sono comunque entrambi dotati di codice ISBN Seconda edizione riveduta e corretta © Angelo Conforti, 2015 www.angeloconforti.it Cod. ISBN Volume 2 978-88-96819-06-7 Percorsi della filosofia Indice INDICE GENERALE SEZIONE 1 – DALL’UMANESIMO ALLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA............................................................. 4 UNITÀ DIDATTICA 1. UMANESIMO E RINASCIMENTO ...................................................................................... 5 CAPITOLO 1. UNA NUOVA EPOCA .................................................................................................................... 5 PARAGRAFO 1. DAL MEDIOEVO ALL’UMANESIMO ......................................................................................................5 PARAGRAFO 2. UN NUOVO CONTESTO STORICO ......................................................................................................6 PARAGRAFO 3. LA RISCOPERTA DELLA CIVILTÀ ANTICA ........................................................................................7 PARAGRAFO 4. LA RISCOPERTA DELLA FILOSOFIA ANTICA .................................................................................10 PARAGRAFO 5. LA LAICITÀ DELLA CULTURA .............................................................................................................11 PARAGRAFO 6. LA VALORIZZAZIONE DELL’UOMO E DEL MONDO ......................................................................13 PARAGRAFO 7. FIRENZE E I CENTRI DELL’UMANESIMO ........................................................................................14 CAPITOLO 2. IL RINASCIMENTO ...................................................................................................................... 19 PARAGRAFO 1. NUOVI ORIZZONTI ................................................................................................................................19 PARAGRAFO 2. LA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA ....................................................................................................19 PARAGRAFO 3. ALCHIMIA, ASTROLOGIA, MAGIA ......................................................................................................26 PARAGRAFO 4. LA NUOVA SCIENZA .............................................................................................................................29 PARAGRAFO 5. LA POLITICA TRA «SCIENZA» E UTOPIA ........................................................................................31 PARAGRAFO 6. IL RINNOVAMENTO RELIGIOSO E LA CONTRORIFORMA ..........................................................34 SEZIONE 3 – LA CRISI DELLA MODERNITÀ ...................................................................................................... 320 UNITÀ DIDATTICA 1. ROMANTICISMO E IDEALISMO .................................................................................... 321 CAPITOLO 1. IL ROMANTICISMO ................................................................................................................... 321 PARAGRAFO 1. CARATTERI GENERALI DEL ROMANTICISMO .............................................................................321 PARAGRAFO 2. I PRECURSORI DEL ROMANTICISMO ............................................................................................323 PARAGRAFO 3. GLI ESPONENTI DEL ROMANTICISMO ..........................................................................................324 CAPITOLO 2. DAL CRITICISMO ALL’IDEALISMO. FICHTE ....................................................................... 327 PARAGRAFO 1. DAL DIBATTITO SULLA COSA IN SÉ ALL’IDEALISMO ................................................................327 PARAGRAFO 2. L’IO ASSOLUTO ...................................................................................................................................328 PARAGRAFO 3. LA DIALETTICA.....................................................................................................................................330 PARAGRAFO 4. LA CONOSCENZA ...............................................................................................................................331 PARAGRAFO 5. LA MORALE E L’IDEALISMO ETICO ................................................................................................334 PARAGRAFO 6. LA POLITICA E L’ULTIMO FICHTE ...................................................................................................335 CAPITOLO 3. SCHELLING ................................................................................................................................ 336 PARAGRAFO 1. L’ASSOLUTO .........................................................................................................................................336 PARAGRAFO 2. LA FILOSOFIA DELLA NATURA ........................................................................................................336 PARAGRAFO 3. L’IDEALISMO TRASCENDENTALE ..................................................................................................338 PARAGRAFO 4. L’IDEALISMO ESTETICO ....................................................................................................................339 PARAGRAFO 5. ALTRE FASI DEL PENSIERO DI SCHELLING ................................................................................340 UNITÀ DIDATTICA 2. GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL ....................................................................... 343 CAPITOLO 1. DALLE OPERE GIOVANILI ALLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO ........................ 343 PARAGRAFO 1. LE OPERE GIOVANILI .........................................................................................................................343 PARAGRAFO 2. FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO: CARATTERI GENERALI ..................................................346 3 Percorsi della filosofia Sezione 1 Sezione 1 – Dall’Umanesimo alla Rivoluzione scientifica L’autunno del Medioevo tra Trecento e Quattrocento è il prodotto di una crisi generale delle istituzioni politiche e culturali che hanno cercato di governare l’Europa per molti secoli. È una crisi provocata soprattutto da nuove realtà emergenti, protagoniste di una profonda trasformazione, che segnò il graduale sorgere di una nuova età. Una nuova classe sociale, la borghesia, che col tempo ha progressivamente modificato i rapporti economici, già a partire dall’XI secolo, si affaccia sulla scena con sempre maggiore rilievo. La crisi finale dell’Impero e del Papato, il potenziamento degli Stati nazionali e, in Italia, degli Stati regionali, derivano da questo rafforzamento impetuoso della borghesia produttiva, che essi stessi sostengono. La nuova borghesia laica, estranea alla cultura delle Università medioevali, produsse modelli culturali completamente rinnovati, da cui nacque la civiltà moderna. Umanesimo e Rinascimento La filosofia umanistico - rinascimentale La rivoluzione scientifica Piero della Francesca (attribuito), La città ideale, tempera su tavola, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino, 1480-1490 circa 4 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 UNITÀ DIDATTICA 1. UMANESIMO E RINASCIMENTO PREREQUISITI [ Conoscere i concetti fondamentali della filosofia antica e medioevale – Conoscere ed aver compreso le diverse prospettive con cui sono stati discussi i problemi filosofici nell’Antichità e nel Medioevo – Conoscere i principali mutamenti sociali, politici, culturali e religiosi avvenuti nelle età antica e medioevale - Conoscere e saper utilizzare il lessico specifico della disciplina ] OBIETTIVI [ Conoscere i profondi mutamenti storico-culturali che sono chiamati Umanesimo e Rinascimento - Conoscere e comprendere le nuove tendenze della filosofia – Conoscere e comprendere le nuove prospettive con cui si affrontano e discutono i problemi filosofici – Conoscere le modalità, le motivazioni e gli effetti della trasformazione in atto dalla fine del XIV secolo - Conoscere e comprendere il senso e le conseguenze delle nuove modalità di ricerca filosofica tra XIV e XVI secolo – Conoscere e comprendere il delinearsi di una nuova mentalità naturalistica e scientifica - Conoscere e saper utilizzare il lessico specifico della disciplina] CAPITOLO 1. UNA NUOVA EPOCA Con l’Umanesimo italiano si apre una nuova epoca, una rinascita, preparata da vari elementi di novità presenti già nel Medioevo. Tuttavia questi elementi assumono tra il Trecento e il Quattrocento un’importanza e una centralità tali da portare, per molti aspetti, ad un rovesciamento quasi completo della mentalità, della cultura e della filosofia rispetto all’epoca precedente. PARAGRAFO 1. DAL MEDIOEVO ALL’UMANESIMO I confini tra le epoche non sono mai così chiari come a volte si cerca di farli apparire nei libri di scuola. Abbiamo visto, per esempio, nel volume precedente che i concetti fondamentali della filosofia medievale si delineano già cinque secoli prima dell’inizio del Medioevo propriamente detto. Il pensiero cristiano si era costituito in una lunga fase di transizione, come una sintesi di fede e ragione, di religione e filosofia, come rottura ma anche come continuazione, sviluppo e approfondimento del pensiero greco, con cui ha convissuto per alcuni secoli, per poi svilupparsi e divenire dominante nell’Europa medievale. L’autunno del Medioevo. Del resto, lo stesso Medioevo è un concetto storico molto meno unitario e monolitico di quanto non si creda comunemente. Dopo la fine dell’Impero romano d’Occidente e la profonda crisi che ne è seguita, si sono succedute in realtà diverse fasi storiche, in cui gradualmente sono ripresi i commerci, è rinata la vita urbana, e la cultura, conservata per alcuni secoli nel monasteri, ha ripreso a circolare e a suscitare discussioni e ricerche. Proprio nel cuore di questa inarrestabile rinascita sorse la più importante istituzione culturale dell’Occidente, quella delle Università. E l’«autunno del Medioevo»1 contenne già molti elementi innovativi che troveranno sviluppo nell’epoca successiva, quella che va sotto il nome di Umanesimo, con cui inizia la cosiddetta Età moderna. Da un certo punto di vista è comodo possedere degli schemi di classificazione. Ma bisogna prenderli per quel che sono: strumenti che ci possono aiutare ad orientarci nella storia, ma che non devono farci perdere di vista i processi reali, molto più complicati, intrecciati, lenti e graduali di quel che sembra. Perciò, nel delineare i caratteri della nuova età, dovremo richiamare anche alcuni temi che abbiamo trattato nel precedente volume e che sono delle chiare anticipazioni del nuovo clima culturale che caratterizza il XV secolo e che si 1 La fortunata formula è stata elaborata dallo storico olandese Johann Huizinga (1872-1945), nel suo celebre saggio L’autunno del Medioevo (1919). 5 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 sviluppa nei secoli successivi. Tant’è vero che non è difficile individuare nel Trecento caratteri chiaramente preumanistici, che pongono cioè le basi della nuova età. Inoltre, il Medioevo era stato un susseguirsi di rinascite, a partire da quella carolingia del IX secolo, per arrivare a quelle dell’XI e del XII secolo, che nel fiorire dei commerci e delle nuove idee dell’età comunale in qualche modo preannunciavano già il Rinascimento vero e proprio. Sarebbe allora più corretto parlare di continuità critica tra le due età e tra le varie fasi in cui si articolano Umanesimo, Rinascimento, Rivoluzione scientifica. Le esigenze, anche didattiche, di periodizzazione storica hanno condotto ad individuare delle categorie storiografiche, cioè dei modi di schematizzare la storia della civiltà umana, della cultura e della filosofia, che vanno compresi bene. Non si deve rischiare, infatti, di ridurle a semplificazioni. Perciò, come abbiamo anticipato, se tra Medioevo e Umanesimo avviene una svolta, che tuttavia poggia su forti elementi di continuità, a maggior ragione cercheremo di mettere in evidenza anche gli elementi di stretta continuità che legano tra loro intimamente i vari periodi che si riferiscono, schematicamente e con una certa approssimazione, ai secoli dal XIV al XVIII. Ecco, dunque, uno schema che può essere utile per orientarsi, senza troppo semplificare: XIV secolo: dall’«autunno del Medioevo» al pre-Umanesimo; XV secolo: Umanesimo; XVI secolo: Rinascimento; XVII secolo: Rivoluzione scientifica; XVIII secolo: Illuminismo. Su tutti questi temi, della continuità e della discontinuità tra le epoche, non sono mancate discussioni tra gli studiosi ( Approfondimenti). Ad esempio, una linea interpretativa attualmente molto diffusa, tende a considerare l’Umanesimo soltanto la fase iniziale del Rinascimento, che, nel suo significato più ampio, coprirebbe quindi l’intero arco del Quattro/Cinquecento. L’età moderna. Dal punto di vista ancor più generale, con l’Umanesimo si dovrebbe far iniziare l’età moderna, che costituirebbe, dunque, una categoria storiografica ancora più vasta, che ingloberebbe Umanesimo, Rinascimento, Rivoluzione scientifica, con tutti i loro sviluppi successivi, fino all’Illuminismo del XVIII secolo. Anche questa interpretazione è oggetto di discussioni ( Approfondimenti), poiché alcuni punti di vista inducono piuttosto a identificare l’inizio vero e proprio dell’età moderna, in senso stretto, con la Rivoluzione scientifica, cioè con la nascita della scienza moderna. Resta comunque indiscutibile, anche per i fautori di questa teoria storiografica, che il periodo umanistico - rinascimentale contiene tali e tanti elementi di modernità da rendere, tutto sommato, non decisive queste distinzioni per la comprensione delle dinamiche di sviluppo della civiltà umana nella storia. Questo ragionamento vale anche per la filosofia moderna. Essa può essere intesa, in senso stretto, come quella filosofia che si sviluppa anche in funzione delle profonde trasformazioni culturali e sociali prodotte dalla nascita della scienza moderna con la Rivoluzione scientifica. In senso lato, però, la filosofia moderna inizia proprio con l’Umanesimo, in una complessa dialettica di continuità e rottura rispetto alla filosofia medioevale. Quindi, dato che non si può concepire lo sviluppo del pensiero filosofico come diviso in tanti blocchi separati da steccati, tutto il passaggio dalla filosofia medievale a quella moderna va pensato come un complesso intreccio di tradizione e innovazione, come un processo graduale di progressive modificazioni, recuperi, riprese, ritorni all’indietro e proiezioni in avanti, scoperte e riscoperte, che sono tipiche di ogni processo storico. PARAGRAFO 2. UN NUOVO CONTESTO STORICO La crisi dell’Impero, dopo la morte di Federico II di Svevia (1250), precedette la crisi definitiva del Papato. Il potente Re di Francia Filippo IV il Bello fece arrestare e processare il Papa Bonifacio VIII, che con la bolla Unam Sanctam (1302) aveva cercato invano di ribadire i principi della teocrazia e della superiorità del potere spirituale su quello temporale. La morte di Bonifacio VIII (1303) aprì la strada al controllo del potere monarchico francese sull’elezione del pontefice. Dal 1309, dopo l’elezione di un Papa francese, Clemente V (1304), la sede papale si trasferì ad Avignone e vi 6 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 rimase fino al 1377. In seguito, dal 1378, la Chiesa fu lacerata dallo Scisma d’Occidente, che contrappose Papi ad Antipapi e trovò soluzione solo nel 1417 con l’elezione di Martino V e il ritorno a Roma della sede pontificale. La crisi del Trecento. Il Trecento, percorso da pestilenze, carestie e guerre, fu anche il secolo dell’emergere sulla scena della storia delle classi popolari contadine e operaie, sempre più provate dalla povertà. Le rivolte sociali si intrecciarono con motivi religiosi, come accadde in Inghilterra, al seguito della predicazione riformatrice di John Wycliffe. Il teologo inglese denunciò la corruzione dei costumi delle gerarchie ecclesiastiche avignonesi e si pose in contrasto con la Chiesa anche sul piano dottrinale. Si richiamava al messaggio evangelico originario e diffuse la conoscenza delle Sacre Scritture tra i poveri. Fece così nascere una nuova religiosità, sulle cui radici crebbe in seguito la Riforma protestante. Il movimento che nacque ebbe riflessi rilevanti anche sul piano sociale e politico. Alle sue dottrine si ispirò il teologo praghese Jan Huss, dalla cui predicazione ebbe origine una rivolta contadina antifeudale che si trasformò in una guerra di religione a sfondo nazionale boemo e anti-tedesco, dopo la condanna a morte dell’eretico. Gli Stati nazionali. Mentre l’Impero precipitava sempre più nell’anarchia feudale, tra Inghilterra e Francia si generò un lungo conflitto, che secondo alcuni storici segna il quasi definitivo passaggio dal feudalesimo in dissoluzione all’Europa degli Stati nazionali moderni. È la Guerra dei Cent’anni (1337-1453), da cui emerse una nuova geografia politica continentale. Nata come una guerra dinastica e feudale produsse un nuovo sentimento nazionale in Inghilterra e in Francia (dove un ruolo notevole nel risvegliare l’orgoglio della nazione lo ricoprì Giovanna d’Arco). Le due monarchie, dopo aver risolto problemi interni (la Guerra delle due rose in Inghilterra e la guerra civile tra la corona reale e il Ducato di Borgogna in Francia), poterono dedicarsi alla costruzione di Stati centralizzati, che furono in grado di valorizzare le risorse produttive e commerciali della borghesia in ascesa. Gli Stati regionali in Italia. Molto diversa la situazione italiana in cui, dall’evoluzione delle istituzioni comunale, si erano formati alcuni grandi Stati di dimensione regionale e altri più piccoli che gravitavano in parte nell’orbita di quelli più forti. La frammentazione politica italiana si rifletteva in una conflittualità tra gli Stati che trovò faticosamente un precario equilibrio dal 1454 (pace di Lodi) al 1494 (spedizione francese in Italia). La conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi Ottomani (1453) aveva fatto temere una crisi più grave, ma il destino della penisola italiana era segnato, schiacciata tra ambizioni imperiali e tentazioni espansionistiche degli Stati nazionali, Francia e Spagna soprattutto. L’economia della penisola continuò ancora a lungo a prosperare e i nuovi ceti emergenti di mercanti, finanzieri e banchieri, che sostenevano il potere delle nuove Signorie, grandi e piccole, favorì una notevole rinascita della cultura, delle lettere e delle arti. PARAGRAFO 3. LA RISCOPERTA DELLA CIVILTÀ ANTICA Uno degli elementi più importanti per comprendere la svolta nella continuità, che si attua tra Trecento e Quattrocento, è la riscoperta delle civiltà classiche. Classicità e Medioevo. I classici greci e latini erano ben noti al Medioevo. Prima le scuole monastiche, poi quelle cittadine e, infine, le Università li avevano trascritti, studiati, rielaborati e commentati ampiamente. È quanto sottolinea uno dei più autorevoli studiosi dell’Umanesimo e del Rinascimento, Eugenio Garin (1947): «[…] il Medioevo leggeva i classici, li traduceva; sapeva il greco, almeno in certi tempi e luoghi […] niente affatto tenebroso e barbaro, ma pieno di luci di civiltà e di grandezza di pensiero, si cibò dell’antichità e la fece propria. […] Meglio si conosce il Medioevo, e più si vede quanto nella sua cultura si prolungasse la cultura antica. Modi d’insegnamento, vedute e dottrine sopravvivono variamente». Eppure, gli umanisti ebbero piena consapevolezza della nascita di una nuova epoca, proclamando chiaramente sia l’esigenza di tornare al sapere classico e al mondo antico, sia la certezza che un’epoca della storia umana si era ormai chiusa. Che cosa c’era di nuovo, tra Trecento e Quattrocento rispetto all’età precedente, nell’approccio ai classici? Classicità, Medioevo, Umanesimo. Gli umanisti non si limitarono a studiare l’antichità classica, a riscoprire i testi dimenticati nelle biblioteche dei monasteri medioevali o riassunti nei manuali della Scolastica. Studiarono anche il Medioevo stesso, che aveva conservato e tramandato la cultura antica ma che l’aveva anche interpretata secondo modelli e categorie specifiche. 7 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 L’Umanesimo esaminò quei modelli e quelle categorie per comprenderne il valore e per ritrovare il vero significato dell’antichità classica. L’Umanesimo e poi il Rinascimento si caratterizzarono proprio nel differenziarsi dal Medioevo, che avevano compreso, discusso e criticato: «La cultura del Rinascimento, proprio per realizzarsi come tale ha bisogno di rendersi conto di quelle età che l’hanno preceduta, e mentre definisce anche il Medioevo, lo indaga, ne denuncia i limiti proprio nel suo modo di intendere e di usare i classici […] Il Rinascimento, si potrebbe dire, è stato una scoperta dell’antichità proprio nella misura in cui è stato consapevolezza del significato del mondo medievale; ed è stato una forma originale e nuova di classicismo e di umanesimo nella misura in cui si è reso conto dell’uso che anche il Medioevo aveva fatto dell’antichità, criticandolo e respingendolo» (E. Garin, 1964). La critica che gli umanisti rivolgono agli intellettuali del Medioevo non è di aver ignorato i classici, ma di averli interpretati alla luce della loro cultura teologica cristiana, di non averli compresi pienamente nella loro reale collocazione storica e di aver forzato il significato dei testi antichi ad una lettura simbolica. Secondo gli umanisti, gli intellettuali del Medioevo avevano ritenuto gli antichi soprattutto dei precursori del Cristianesimo e li avevano studiati quasi soltanto sotto questa luce, parziale e deformante. Ecco, dunque, le due nuove esigenze degli umanisti, miranti a riscoprire l’autentico significato di quei testi ritrovati: La filologia; La consapevolezza della storicità. La filologia. Per evitare di interpretare i testi antichi forzandone il senso o falsificandoli anche inconsapevolmente, con la sovrapposizione di significati mutuati dal contesto culturale attuale, gli intellettuali, che li riscoprivano nei monasteri, fecero rinascere anche la filologia. Dal greco philos (amico, amante) e lógos (discorso), la filologia è una disciplina antica, che cerca nei testi il loro significato originario attraverso la ricostruzione della loro autentica forma letterale, depurata, nel caso degli umanisti, dagli eventuali errori dei copisti e degli amanuensi. Già Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio ricercarono con passione le opere degli autori latini, anche quelle allora ritenute perdute, le collezionavano e le commentavano con rigore e accuratezza critica, attenti alla lettera autentica del testo. In seguito furono gli umanisti fiorentini, di cui diremo, a proseguire questa attività, il cui ambito si allargò sempre più e si diffuse non solo in Italia ma anche in Europa. La filologia umanistica 1. restituiva ai testi conosciuti quell’autentico significato che essi avevano avuto per la civiltà classica e ne diffondeva i valori, non più costretti nella «gabbia» dell’interpretazione allegorica del Cristianesimo medioevale; 2. inoltre faceva conoscere e divulgava testi fino ad allora sconosciuti, aprendo orizzonti nuovi alla conoscenza e alla rinascita della società che stava uscendo da una profonda crisi economica e politica. La consapevolezza della storicità. L’acquisizione del senso delle dimensioni storiche dell’antichità è complementare all’opera dei filologi. La tentazione degli intellettuali medioevali era stata quella di interpretare l’antichità quasi esclusivamente come preparazione all’età cristiana, come prefigurazione della rivelazione divina, sovrapponendo significati simbolici a quelli letterali dei testi e perdendo di vista la prospettiva storica. Il passato viene studiato in quanto tale, nella sua specifica identità, in riferimento soltanto a se stesso, ai propri valori e finalità. Le testimonianze della civiltà antica spiccano sullo sfondo di un contesto che possiede una propria autonomia (e non può essere visto in riferimento a quel che accadrà dopo). La rinascita della cultura. La riscoperta degli antichi testi non ha soltanto uno scopo di erudizione dotta. I libri scoperti, tradotti con cura, in edizioni critiche filologicamente corrette, vengono pubblicati, acquistati dalle biblioteche pubbliche che risorgono o sorgono ex novo, entrano nei programmi delle scuole profondamente rinnovate, divengono oggetto di discussione negli Studia humanitatis. La cultura ridiventa fatto sociale e genera nuove esigenze di divulgazione del sapere che, combinate con il rinnovato interesse per le «arti meccaniche» ( Capitolo 2 Paragrafo 4), richiese ben presto la messa a punto delle nuove tecniche di stampa a caratteri mobili. Fu l’orafo Johann (Gänsfleisch zur Laden zum) Gutenberg (1394 – 1468) a stampare per la prima volta con la nuova tecnica un’edizione della Bibbia nel 1455 (vedi immagine pagina successiva). In seguito a questa invenzione il fenomeno tipografico fu una vera e propria esplosione nella pubblicazione e nella diffusione dei libri stampati oltre che, soprattutto, nella circolazione del sapere che subì un’accelerazione considerevole, modificando profondamente abitudini e mentalità ( Approfondimenti). 8 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 Parallelamente a Venezia, a Padova, a Fabriano sorse una vera e propria «industria» moderna della carta, affiancate dalle officine tipografiche, che permisero di stampare circa 40 milioni di libri nella seconda metà del Quattrocento e circa 200 milioni nel Cinquecento. A Francoforte sorse a partire dal 1560 una Fiera del libro che tuttora esiste. L’apporto della cultura bizantina. La conoscenza dei testi originali greci in Occidente fu anche favorita ed alimentata dall’arrivo in Italia di alcuni dotti bizantini, in fuga da Costantinopoli, caduta nel 1453 sotto l’Impero Ottomano. Dall’Italia l’antica filosofia e l’antica cultura greche poi si diffusero gradualmente in tutta Europa, in modo che si può dire che, anche sotto questo aspetto all’origine dell’età moderna c’è la rinascita della civiltà antica. Tra gli intellettuali bizantini di maggior rilievo è opportuno ricordare innanzitutto Giorgio Gemisto Pletone (1355 – 1452) che partecipò nel 1438-39 al Concilio di Ferrara e Firenze per la riunificazione della Chiesa romana e di quella ortodossa. Neoplatonico, ebbe grande influenza su Cosimo il Vecchio ( Paragrafo 7) e su Marsilio Ficino ( Unità 2 Capitolo 1 Paragrafo 2), ispirando la fondazione del nuovo centro culturale umanistico dell’Accademia fiorentina e delle altre istituzioni analoghe che nacquero in Italia ( Paragrafo 5). Altro personaggio di rilievo fu il cardinale e filosofo neoplatonico Basilio Bessarione (1408 – 1472) che partecipò con Pletone al Concilio di Ferrara e Firenze, poi tornò di nuovo in Italia nel 1440 e vi rimase fino alla morte. La questione della lingua e la funzione del latino. Con l’Umanesimo la lingua della cultura tornò ad essere il latino, quello classico, ritrovato nella sua autenticità filologica, soppiantando in parte il volgare, che era stato nobilitato nel Duecento soprattutto dalla letteratura toscana e fiorentina. Il recupero dell’antica lingua latina, avviato già dal Petrarca, fu portato avanti con vigore dalla maggior parte degli intellettuali umanisti. Questo fatto favorì la divulgazione internazionale delle conoscenze e permise che Umanesimo e Rinascimento italiani fossero fin dall’inizio eventi culturali aperti a tutta l’Europa, dove gli studi umanistici si diffusero e fecero del latino la lingua della filosofia e della scienza moderne. Gran parte dei filosofi e degli scienziati per i tre secoli successivi continuarono a scrivere e pubblicare le loro opere in latino, mettendo in opera una grande conversazione culturale, filosofica e scientifica che coinvolse tutti gli uomini di cultura d’Europa. 9 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 PARAGRAFO 4. LA RISCOPERTA DELLA FILOSOFIA ANTICA La riscoperta della filosofia platonica. La filosofia umanistica e rinascimentale fu soprattutto ispirata ad una rinascita del pensiero di Platone e del Neoplatonismo. I grandi sistemi medioevali avevano esaurito la loro funzione storica e culturale e anche la filosofia ricominciava dal principio: rinasceva riscoprendo lo spirito di ricerca, il dibattito aperto, il confronto tra molteplici punti di vista. Furono tradotti tutti i dialoghi platonici, anche quelli che il Medioevo aveva ignorato. In particolare la traduzione del Simposio e poi del Timeo costituirono delle vere nuove scoperte e fornirono agli umanisti italiani ed europei gli strumenti concettuali per una rivalutazione della dimensione terrena della vita e dell’amore. Inoltre, l’esaltazione della bellezza fisica come immagine della bellezza cosmica e divina dette origine ad un atteggiamento nuovo nei confronti del mondo e della natura, in cui si manifestano, nella pluralità delle modalità dell’essere, le forme intime e segrete di tutte le cose. Infine, la concezione dell’anima come principio universale di vita, passione e intelligenza suscitò grandi entusiasmi e produsse fondamentali trasformazioni nella cultura e nella civiltà moderna. Ma non furono soltanto motivi dottrinali elaborati da Platone e reinterpretati alla luce di una visione non più soltanto teologica e metafisica (il Platone interpretato come filosofo pre-cristiano dai medioevali) ma profondamente umanistica a fare del filosofo ateniese il punto di riferimento costante di gran parte della filosofia del Quattrocento/Cinquecento. Un ruolo importante ed una grande influenza l’ebbe anche la struttura metodologica e stilistica della sua attività filosofica: 1. Da una parte, l’atteggiamento non sistematico di Platone, la molteplicità dei temi che ha affrontato nella sua incessante riflessione, l’atteggiamento di ricerca costante e persino di autocritica, il policentrismo del suo pensiero e la struttura dialogica in cui si esprime; 2. Dall’altra, la fusione costante tra mito e filosofia, tra dimensione poetica e struttura razionale, tra slancio cosmico - teologico e creatività artistica. Fu così che, come scrive E. Garin (1964), «La filosofia visse allora i suoi momenti originali, piuttosto che in sistematiche costruzioni metafisiche, esposte in lezioni o trattati destinati alla scuola - le “grandi cattedrali di idee” dei pensatori del Medioevo - in riflessioni politiche e morali, di logica e dialettica, di estetica, consegnate per lo più a dialoghi, a epistole, a discorsi agili e brevi, a scritti eleganti e chiari, destinati a un pubblico più vasto, non di professionisti della filosofia, non di scolari universitari». Ecco, dunque le due tendenze, entrambe di derivazione prevalentemente platonica, della filosofia dell’epoca: 1. Scienze morali: etica, politica, economia, estetica, logica, retorica; 2. Scienze della natura, studiate con atteggiamento nuovo e sulla base di princìpi metodologici nuovi, non più dedotti dalla metafisica. La valorizzazione del platonismo come filosofia aperta alla complessità del mondo, da studiare con occhi nuovi e sotto aspetti diversi ed autonomi, assunse anche l’aspetto di una netta contrapposizione ad Aristotele, come se l’autore dei dialoghi fosse «opposto» al suo illustre allievo, come se i due pensatori fossero stati quasi dei «nemici« anche in Grecia, il che era assolutamente falso. Il contrasto era però necessario ai vari umanisti che riscoprivano Platone, perché l’avversione ad Aristotele nascondeva un radicale risentimento intellettuale contro l’aristotelismo universitario dell’epoca, contro la rigidità mentale della declinante Scolastica medioevale nelle sue forme estreme. Non erano contro Aristotele, ma contro i suoi seguaci, che occupavano le cattedre universitarie ed esprimevano una cultura fossilizzata, chiusa alla ricerca e alla scoperta. Perciò, anche il «vero» Aristotele fu oggetto di riscoperta da parte degli umanisti. La riscoperta della filosofia aristotelica. Infatti, anche i testi dello Stagirita furono oggetto di nuove traduzioni, in particolare i trattati scientifici, a cui il Medioevo aveva preferito quelli metafisici e teologici. L’Università di Padova era fin dal XIII secolo un centro di studi aristotelici orientato verso gli aspetti naturalistici della filosofia del maestro di Stagira. Perciò le interpretazioni più accreditate dell’aristotelismo che si diffusero in ambito umanistico furono quella di Averroé, che risaliva al XII secolo, e, soprattutto, quella di Alessandro di Afrodisia, il quale dal II-III secolo aveva dato inizio al genere del commento, che si prefiggeva uno scopo di sistemazione del sapere, anche in funzione 10 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 dell’insegnamento nelle cattedre imperiali di filosofia, istituite a Roma, ad Atene e ad Alessandria, che avevano lo scopo di conservare e trasmettere una tradizione irrinunciabile di conoscenza. La chiusura delle cattedre imperiali nel VI secolo aveva in sostanza eclissato l’opera di Alessandro, che fu un’importante riscoperta dell’Umanesimo. Ciò che accomunava averroisti e alessandristi erano, al di là di alcune differenze secondarie: l’interesse per la natura e per la conoscenza razionale delle leggi necessarie che governano il cosmo, frutto della necessità della creazione divina; il tema «laico» e razionale della mortalità dell’anima, che è unita al corpo e non può vivere separatamente da esso, in quanto è legata ai sensi e non è dotata di funzioni intellettive superiori individuali; la teoria della «doppia verità», secondo la quale una dottrina può essere probabile secondo il ragionamento logico e falsa secondo la fede cristiana: è il caso, appunto, della dottrina della mortalità dell’anima: o la ragione fornisce argomenti per ritenere l’anima mortale e il filosofo, in quanto tale, non può far altro che accogliere tale probabile argomento; o la religione, al contrario, insegna che l’anima è immortale e il filosofo, in quanto credente, deve accogliere tale verità di fede. Lo sviluppo, anche spregiudicato, della libertà della ricerca naturalistica, scientifica e razionale, fu reso possibile anche e soprattutto da quest’ultima dottrina della «doppia verità» che, formulata in vari modi, mise parzialmente al riparo filosofi e scienziati da sospetti di eresia, che avrebbero provocato processi e probabili condanne, con tutti gli ostacoli che ciò avrebbe comportato allo sviluppo della cultura e alla sua laicizzazione, di cui fra poco diremo. Il dibattito tra platonismo e aristotelismo. Prima dobbiamo brevemente ricordare che gli intellettuali dell’epoca si impegnarono a lungo in una discussione sulla superiorità di Platone o di Aristotele. Essa coinvolse soprattutto alcuni dotti bizantini riparati in Occidente per sfuggire all’instaurazione dell’Impero Ottomano, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 ( Approfondimenti). La discussione attraversò tutto l’Umanesimo e si protrasse anche nel periodo successivo, dato che i platonici tendevano a contrapporsi con duri accenti polemici alla filosofia di Aristotele, cui si era ispirata prevalentemente la Scolastica delle Università dal XIII secolo in avanti.2 L’avversione per Aristotele era in realtà avversione verso l’aristotelismo scolastico, la cultura cattedratica, avvertita come ipocrita e soffocante, verso i pedanti interpreti e commentatori di una tradizione fossilizzata. Contro questi immobili tradizionalisti mossero con forza tutti coloro che divennero protagonisti di un profondo rinnovamento culturale, creando nuovi centri di elaborazione intellettuale contrapposti alle Università ( Paragrafo 5). PARAGRAFO 5. LA LAICITÀ DELLA CULTURA Dopo la fine dell’Impero romano d’Occidente, fu la Chiesa cristiana a supplirne alcune delle funzioni unificatrici a livello culturale, sociale e politico che erano venute a mancare con l’avvento di una difficile nuova fase storica. La cultura, che dapprima sopravvise nei monasteri, con la rinascita delle città, conobbe una nuova lenta e graduale divulgazione, che culminò con la nascita delle Università. Nel frattempo, la scienza e la filosofia dell’antica Grecia erano state assimilate dalla cultura arabo-islamica che contribuì a diffonderne una più ampia conoscenza anche in Occidente, che ormai era divenuto europeo, continentale e cristiano ( Volume 1, Sezione 2). La laicizzazione della cultura. Con l’Umanesimo giunge a compimento un processo di progressiva laiocizzazione della cultura avviato fin dall’XI secolo con la letteratura cavalleresca e cortese e poi con la letteratura della borghesia in ascesa nei Comuni italiani ( Approfondimenti Volume 1). Tra XIV e XV secolo, i funzionari dei Comuni che si stanno trasformando in Signorie, i giuristi, i nuovi professionisti, al servizio delle famiglie di mercanti, banchieri e finanzieri, sono i nuovi intellettuali che non appartengono più all’ordine ecclesiastico né a quello nobiliare. 2 Un celebre protagonista della polemica anti-aristotelica in età rinascimentale fu Pierre de la Ramée (Pietro Ramo, 1515-1572), che ebbe notevole influenza sulla filosofia francese e sulla rinascita del platonismo in Inghilterra. Il filosofo e logico transalpino, calvinista, fu vittima delle guerre di religione e fu assassinato nella tragica Notte di San Bartolomeo, tra il 23 e il 24 Agosto 1572 ( Approfondimenti). 11 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 Appartengono al ceto emergente che, dopo aver conquistato il potere economico, ora ambisce a detenere quello politico. Perciò riscoprono gli antichi testi su cui plasmare una cultura adatta alla nuova classe dirigente. Leggiamo ancora E. Garin (1964): «Si tratta di formare non tanto i signori e i loro figli, quanto gli uomini appartenenti ai gruppi dirigenti, capaci di governare. Né si intende questo tipo di educazione senza riferirsi alla visione della vita civile propria delle città-stato dell’Italia del secolo XV, al concetto in esse operante della funzione sociale e politica delle famiglie cospicue. L’uomo, si ama ripetere con Aristotele e con Cicerone, è essere politico, nato non per sé ma per la patria e per il bene comune, per la “res publica”». Questo processo di laicizzazione produce un profondo rinnovamento culturale che passa attraverso le nuove scuole di arti liberali, le cancellerie dei nuovi Stati, le corti signorili in cui la borghesia cittadina ha un ruolo di egemonia. Accademie e Università. Le Università, che erano state il frutto più importante e duraturo dello sviluppo medioevale, restano inizialmente ai margini di questo processo. Non sono ancora dotate delle strutture di ricerca idonee allo sviluppo della nuova cultura. Il ruolo trainante della diffusione della cultura lo svolsero le Accademie, libere associazioni di uomini dotti, centri di ricerca e di dibattito culturale vivo e aperto, nati dall’iniziativa degli intellettuali e dal mecenatismo dei Signori. La prima e la più famosa, che ebbe una grande funzione propulsiva, fu l’Accademia platonica fiorentina, fondata da Marsilio Ficino ( Unità 2 Capitolo 1 Paragrafo 2) con sede nella Villa Medicea di Careggi (oggi quartiere periferico di Firenze, in via Gaetano Pieraccini 17; nella foto la Loggetta della Villa, fonte: www.wikipedia.it), donatagli all’uopo da Cosimo il Vecchio ( Paragrafo 7). Altre ne sorsero a Roma, a Napoli, a Ferrara, a Rimini e in altre città italiane. Poi anche le Università furono sempre più coinvolte in quella che fu una vera e propria rivoluzione. Le accademie furono le protagoniste delle rinnovate dinamiche culturali e fornirono spunti, metodi e programmi per la riforma delle nuove scuole, la cui finalità consisteva soprattutto nella formazione dell’uomo e del cittadino nato e cresciuto nelle libere città comunali. La preparazione dei futuri governanti delle città- stato dell’Italia signorile si avvaleva di tutti gli strumenti nuovi, messi a disposizione dagli Studia humanitatis: la retorica, le conoscenze storiche ed economiche, le riflessioni morali, le ideologie utili ad elaborare nuovi programmi politici, alcune nozioni tecniche, una visione generale della vita ispirata agli ideali della classicità. I nuovi programmi e i nuovi metodi didattici trasformarono in modo graduale anche gli equilibri interni alle università, tra le discipline e le facoltà, che dovettero riassestarsi e modificarsi, anche se ciò avvenne lentamente. Non a caso, alcuni dei maggiori intellettuali e filosofi dell’età moderna non furono professori universitari e i loro trattati non si rivolgevano alle scuole, ma a pubblici più vasti. 12 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 PARAGRAFO 6. LA VALORIZZAZIONE DELL’UOMO E DEL MONDO L’Umanesimo, in quanto riscopre la civiltà classica, pone l’uomo e il mondo in una prospettiva che tende progressivamente a rovesciarsi rispetto a quella che prevaleva nel Medioevo. Su questo tema di fondo non possono esserci rigidità nella contrapposizione tra le due epoche. Tuttavia, schematizzando un po’, a scopi di miglior comprensione, si può dire che nel Medioevo l’esistenza umana e la sua dimensione terrena, con tutte le specifiche attività conoscitive e pratiche degli individui e dei gruppi, sono inserite in una prospettiva finalistica, trascendente, provvidenziale ed escatologica. Pur con le dovute differenze e divergenze che abbiamo evidenziato nel Volume 1, la linea prevalente (anche se non rigidamente uniforme) della filosofia cristiana concepisce la vita terrena sulla sfondo di quella ultraterrena. Una nuova prospettiva. Al contrario, nell’Umanesimo si consolidò una concezione che, senza eliminare la trascendenza, fece dell’uomo il signore della propria esistenza terrena, il cui valore non risiede esclusivamente più nel fine ultraterreno, ma innanzitutto in se stessa. Tuttavia, questo rovesciamento di prospettiva non è stato attuato di colpo, ma è il risultato di un processo che si è avviato nel cuore stesso del Medioevo. Anticipazioni medioevali. Già nel primo volume abbiamo anticipato alcuni di quegli elementi della cultura medioevale che mettono in atto profondi cambiamente di prospettiva. In particolare, richiamiamo qui rapidamente argomenti già trattati nel Volume 1: il valore dell’individuo: a partire dal XII secolo, filosofi come Roscellino e Abelardo avevano iniziato a mettere in discussione gli Ordini e le Corporazioni, aprendo la strada ad una rivoluzione filosofica e giuridico politica che venne portata ad un punto di rottura nel XIV secolo da Guglielmo di Ockham e da Marsilio da Padova; il naturalismo, sbocciato anch’esso nel XII secolo, con la Scuola di Chartres e poi sviluppato ad Oxford da Roberto di Lincoln e dal geniale scienziato ed inventore Roger Bacon, in seguito ripreso e sistematizzato dallo stesso Guglielmo di Ockham e dai suoi geniali allievi Giovanni Buridano, Nicola di Oresme e Alberto di Sassonia, precursori delle scienze moderne. L’«humanitas». Il ritorno in auge delle humanae litterae (i testi degli autori classici), non più lette e studiate in funzione delle divinae litterae (le Sacre Scritture), riportò alla luce il concetto latino di humanitas e del corrispondente greco megalopsychìa (grandezza d’animo, magnanimità), il valore della dignità della persona, dell’autonomia individuale, dell’equilibrio psicologico ed etico, della conoscenza e della cultura ( Volume 1, Sezione 1, Unità 5, Capitolo 2). Il motto del commediografo romano Publio Terenzio Afro (195 – 159 a.C.), «Homo sum: humani nihil a me alienum puto» (Heautontimorumenos, v. 77: «Sono un uomo: niente di ciò che è umano ritengo a me estraneo»), tornò ad essere posto al centro dell’esistenza umana. Osserva opportunamente Gaston Mairet: «Il Rinascimento fa dell’uomo il soggetto della sua azione elaborando un altro statuto per la creatura, un’altra concezione dei rapporti che essa stabilisce con il suo Creatore. Al posto di una storia divina dell’uomo, la civiltà rinascimentale concepisce una storia naturale dell’uomo; [...] che l’uomo sia una creatura non impedisce che sia anche creatore; l’uomo creatore, quindi libero, è ormai visto come l’artefice di una storia che egli costruisce e il cui senso non gli è estraneo perché ne è l’autore». L’«homo faber». L’uomo creatore, libero, artefice della propria storia è il singolo individuo, che realizza se stesso non più grazie all’appartenenza ad un ordine sociale, a un ceto o a diritti ereditari, ma sulla base delle proprie capacità, dell’intelligenza, dell’intraprendenza, del coraggio, dell’astuzia, dell’energia, della conoscenza, delle competenze tecniche, delle abilità pratiche. L’individuo è un «progetto» che fa capo soltanto a se stesso e si potrebbe dire che, per l’individuo dell’Umanesimo, e poi del Rinascimento, l’esistenza precede l’essenza (anticipando una formula che sarà propria di filosofi del Novecento Volume 3, ma che potrebbe essere attribuita a molti umanisti e, più di tutti a Pico della Mirandola Unità 2, Capitolo 1, Paragrafo 3): il progetto umano non è più la conseguenza di un’essenza data a priori, da cui tutto deriva quasi necessariamente, ma una libera costruzione della propria identità e del proprio essere, aperta alle possibilità e che deriva dalle proprie scelte e potenzialità. 13 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 L’individuo è ora più che mai artefice del proprio destino sulla base dei propri meriti, nel nome della ritrovata locuzione latina «Faber est suae quisque fortunae» («Ciascuno è artefice della propria sorte»), attribuita allo storico e senatore romano Gaio Sallustio Crispo (86 - 34 a.C.). La vita terrena. In questa concezione laica e «borghese» dell’esistenza individuale, autonoma anche se non separata dalla dimensione ultraterrena della salvezza eterna, il progetto umano è tutto rivolto alla vita terrena e alla sua piena realizzazione. Ecco, dunque, rinascere valori dimenticati o asserviti alla spiritualità e alla trascendenza: il corpo e la sua bellezza, l’amore carnale, il piacere, l’azione concreta, la produzione di beni materiali e di ricchezze, la trasformazione delle case e delle città, l’impegno civile, sociale e politico. La virtù e la felicità consistono nell’equilibrio tra vita contemplativa e vita attiva, tra pensiero e azione, tra riflessione teorica e soluzione di problemi pratici. La «fortuna». L’unico limite è costituito dalla fortuna, anch’essa concepita in modo laico: non si tratta del destino cieco o della volontà divina (che è vista, comunque, come provvidenziale); si tratta piuttosto del concatenarsi degli eventi umani e storici, dell’intrecciarsi imprevedibile delle volontà dei singoli e dei gruppi sociali e politici. La consapevolezza di tale imprevedibilità grava sempre sulla sorte dell’individuo, ma non rende impossibile l’esercizio della virtù, che è in suo potere e che ne fa , in ogni caso, il responsabile delle proprie scelte e delle realizzazioni: per quanto condizionate dalla possibile mala sorte, esse non potranno mai esserne determinate, perché in ultima analisi la libertà è un dato ineliminabile che spinge al continuo superamento del limite. L’età dei «giganti». Ora che dobbiamo iniziare a parlare nel dettaglio dei più importanti protagonisti della cultura e della filosofia umanistico – rinascimentale, di coloro che valorizzarono, con le loro attività, l’uomo ed il suo operare terreno nel mondo, è giusto ricordare che essi stessi furono uomini eccezionali, di altissimo ingegno. Per farlo citiamo una pagina di Friedrich Engels, un filosofo del secondo Ottocento, che, oltre ad essere una perfetta sintesi di quel che fu tutto il Rinascimento nel suo complesso e nei suoi effetti, parla di quegli uomini come di «giganti» e ricorda alcuni di quelli di cui parleremo, indicandoli come luminosi esempi di un’epoca rivoluzionaria: «La monarchia, appoggiandosi sulla borghesia urbana, spezzò il potere della nobiltà feudale e fondò i grandi regni, basati essenzialmente sulla nazionalità, nei quali si svilupparono le moderne nazioni europee e la moderna società borghese. E mentre ancora borghesia e nobiltà si azzuffavano, la guerra dei contadini in Germania additò profeticamente le future lotte di classe, portando sulla scena della storia non soltanto i contadini in rivolta (che non sarebbe stata cosa nuova), ma dietro ad essi i gruppi iniziali dell’attuale proletariato, con la bandiera rossa in mano e la rivendicazione della comunanza dei beni sulle labbra. All’attonito Occidente si rivelò un nuovo mondo, quello dell’antica Grecia, nei manoscritti salvati dalla caduta di Bisanzio, nelle antiche statue venute alla luce scavando fra le rovine di Roma. Di fronte alle luminose immagini di quel mondo scomparvero gli spettri del Medioevo; l’Italia si elevò a una fioritura artistica senza precedenti, e mai più eguagliata, che sembrò un riflesso dell’antichità classica. In Italia, in Francia, in Germania, sorse una nuova letteratura, la prima letteratura moderna; l’Inghilterra e la Spagna attraversarono poco dopo il periodo della loro letteratura classica. I limiti dell’antico orbis terrarum furono infranti, la Terra fu veramente scoperta allora per la prima volta, e furono gettate le basi per il futuro commercio mondiale, per il passaggio dall’artigianato alla manifattura, che a sua volta rappresentò il punto di partenza per la grande industria moderna. La dittatura spirituale della Chiesa fu rotta; i popoli germanici la respinsero senz’altro nella loro maggioranza e accolsero il Protestantesimo, mentre tra i latini si andava sempre più radicando una serena libertà di pensiero, proveniente dagli Arabi ed alimentata dalla filosofia greca allora riscoperta, che preparava il materialismo del XVIII secolo. Fu il più grande rivolgimento progressivo che l’umanità avesse fino allora vissuto: un periodo che aveva bisogno di giganti e che procreava giganti: giganti per la forza del pensiero, le passioni, il carattere, per la versatilità e l’erudizione. Gli uomini che fondarono il moderno dominio della borghesia erano tutto fuorché limitati in senso borghese. Al contrario, il carattere avventuroso della loro epoca ha lasciato un’impronta, più o meno forte, su tutti. Non vi era allora quasi nessun uomo di rilievo che non avesse fatto grandi viaggi, che non parlasse quattro o cinque lingue, che non brillasse in parecchie discipline» (Friedrich Engels, Dialettica della natura, 1883). PARAGRAFO 7. FIRENZE E I CENTRI DELL’UMANESIMO 14 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 Fin dal XIII secolo Firenze, con la Toscana in generale, era stato un centro di profondo rinnovamento della cultura (nell’immagine la più antica veduta della città, nell’affresco Madonna della Misericordia, prima metà del XIV secolo, Museo della Loggia del Bigallo, Firenze). Il Dolce Stil Novo aveva dato espressione ai ceti emergenti della civiltà comunale in espansione, elaborando un’«ideologia» della nobiltà d’animo che si espresse liricamente ma che si nutriva di riferimenti teologici, filosofici ed etici di un certo spessore. La figura di Dante Alighieri è fondamentale e nella sua opera, ancora medioevale, si annunciano tuttavia i temi del rinnovamento della vita e della rinascita dei costumi e della società. Francesco Petrarca. Furono poi le figure di Cino da Pistoia e, soprattutto, del suo grande allievo Francesco Petrarca a portare a compimento quella piena valorizzazione della dimensione umana e terrena dell’esistenza che è tipica dell’Umanesimo. Petrarca, in particolare, è ritenuto il primo umanista, con la sua passione per la ricerca dei testi antichi e la sua ammirazione per la civiltà classica. Inoltre, nei suoi scritti già si delineano alcuni motivi filosofici che saranno prevalenti nell’Umanesimo maturo. Per comprendere questa graduale nascita di nuovi punti di riferimento culturali è essenziale anche l’opera di Giovanni Boccaccio (per l’importanza della letteratura del Due/Trecento Approfondimenti). Gli umanisti fiorentini. Uno dei primi umanisti fiorentini fu Lino Coluccio Salutati (1331 – 1406), che dal 1375 fu cancelliere della Repubblica di Firenze, la più alta carica amministrativa della città. Egli ebbe un ruolo decisivo nel difendere la Repubblica e le sue istituzioni nel conflitto che contrappose Firenze alle mire espansionistiche del Duca di Milano Gian Galeazzo Visconti. La vittoria di Firenze conferì alla città un notevole prestigio nell’Italia centrosettentrionale e fece risaltare l’importanza della libertas repubblicana, di cui il Salutati si fece l’alfiere, contro ogni forma di tirannia. Egli contribuì notevolmente alla riscoperta dei classici e allo studio del greco. Creò una grande biblioteca pubblica che comprendeva almeno cento volumi antichi. Inoltre invitò a Firenze fin dal 1397 lo studioso bizantino Emanuele Crisolora, il massimo esperto di greco «classico», affidandogli la nuova cattedra di letteratura greca, che non si insegnava più in Italia da secoli. Era in contatto sia con Petrarca che con Boccaccio e il suo ruolo di definitiva transizione verso i valori dell’Umanesimo è rilevante. Importante anche la figura del suo allievo Leonardo Bruni (Arezzo, 1370 – Firenze, 1444), noto anche come Leonardo Aretino, che fu uno dei primi studiosi di filologia. Giannozzo Manetti (Firenze, 1396 – Napoli, 1459), che conosceva il latino, il greco e l’ebraico, lasciò preziose traduzioni dei classici ed una ricca biblioteca che ora fa parte del fondo palatino della Biblioteca Vaticana. La sua opera fondamentale è il De dignitate et excellentia hominis, il cui titolo lascia facilmente intuire la presenza di tutti i grandi temi umanistici, valorizzando le capacità intellettive ed attive umane, in opposizione all’ascetismo medioevale che tendeva piuttosto a sottolineare i limiti dell’esistenza terrena dell’umanità.3 I signori di Firenze. Firenze divenne il più importante centro di elaborazione e diffusione della cultura umanistica anche per merito di Cosimo di Giovanni de’ Medici (Firenze, 1389 – Careggi, 1464), detto il Vecchio, proclamato alla sua morte pater patriae, il più potente banchiere italiano di livello internazionale dell’epoca. Ponendo fine alle lotte di fazione che contrapposero le potenti famiglie fiorentine nel Trecento e nei primi decenni del Quattrocento, Cosimo nel 1434 assunse di fatto il potere signorile. 3 In particolare, Manetti sviluppa una confutazione punto per punto del De contemptu mundi (Il disprezzo del mondo) di Lotario dei Conti di Segni (1160 – 1216, papa Innocenzo III dal 1198). Al disprezzo del mondo e del corpo che l’opera esprimeva, Manetti contrappone la valorizzazione della fisicità e della dimensione terrena e mondana del vivere ( Approfondimenti). 15 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 La sua è stata definita una cripto-signoria, poiché egli non modificò mai radicalmente le istituzioni repubblicane. Tenne tuttavia sotto controllo tutte le magistrature, riuscendo ad affidarle ad uomini di sua fiducia, ed esercitò un potere incontrastato. Uomo di cultura, fece affluire nella sua corte intellettuali ed artisti, di cui divenne amico e finanziatore generoso delle loro attività. Legò il suo destino a quello della città, contribuendo grandiosamente a renderla prospera, bella, culturalmente viva e prestigiosa politicamente. Incentivò gli studi classici incoraggiando Marsilio Ficino ( Capitolo 3 Paragrafo 2) a fondare l’Accademia platonica, che divenne il centro più importante dell’Umanesimo italiano ed europeo. Proseguì la sua opera di mecenatismo il nipote Lorenzo di Piero de’ Medici, detto Lorenzo il Magnifico (Firenze, 1449 – 1492), signore di Firenze, abile diplomatico e uomo politico di grande statura. Divenne ben presto il sovrano indiscusso della città, tenendo a freno le rivalità tra le famiglie più potenti e ottenendo il favore popolare. Fu anche l’artefice dell’equilibrio politico della penisola italiana negli anni successivi alla Pace di Lodi (1454). Intellettuale colto e raffinato, egli stesso celebre poeta, incentivò la cultura e l’arte con grande generosità e fece della sua corte il centro più importante del Rinascimento ( Approfondimenti). Leon Battista Alberti. Leon Battista Alberti (Genova, 1404 – Roma, 1472) fu una grande personalità dell’Umanesimo italiano: matematico, archeologo, architetto, musicista, linguista, poeta, saggista, un genio enciclopedico tipico della nuova età. Come architetto lavorò in quasi tutti i principali centri della rinascita signorile italiana della seconda metà del Quattrocento, garantita dalla stabilità sancita dalla Pace di Lodi (1454): ottenne commesse dal Papa a Roma, dagli Este a Ferrara, dai Gonzaga a Mantova, dai Malatesta a Rimini. Il suo trattato Della famiglia analizza tutti i più rilevanti aspetti della vita sociale e politica del tempo, contrapponendo alla tradizione medioevale la nuova mentalità dei ceti emergenti borghesi e proto-capitalisti (capitalismo Glossario). Alberti insiste sull’importanza della famiglie come nuclei fondamentali della struttura dello Stato, come luoghi di formazione completa dell’uomo, innanzitutto, e poi del cittadino. Ferrara e la Scuola di Guarino Veronese. Uno dei primi importanti centri dei nuovi studia humanitatis fu Ferrara (nella foto, il Castello Estense), dove ebbe un ruolo da protagonista Guarino Veronese. Autore di numerosi testi scolastici e traduttore dal greco e dal latino, Guarino Veronese (Verona 1374 - Ferrara 1460), entrò in contatto con il Crisolora, uno dei dotti bizantini che diffusero la conoscenza del greco in Occidente. Aprì diverse scuole a Firenze, Venezia, Verona finché nel 1429, si rifugiò a Ferrara per sfuggire alla peste. Nella città padana, che fin dal 1208 da Comune si era trasformata in Signoria, fondò un’Accademia ed una scuola che per trent’anni fu frequentata da studenti di tutta Europa. Il Veronese trasformò Ferrara (nella foto il Castello Estense) in un centro fondamentale di irradiazione della cultura umanistica (cfr. E. Garin, 1964) e con la collaborazione del Signore della città, il Duca D’Este, Leonello, che fu tra i suoi allievi, creò un collegio-convitto dedicato alla formazione delle nuove classi dirigenti, dei nuovi insegnanti e intellettuali. Rinnovò i metodi di studio, incidendo anche profondamente sull’Università ferrarese che riformò, a partire dal 1442, e che nel Cinquecento assurse a tanta rinomanza: vi si laurearono, infatti, personalità rilevanti del Rinascimento come Paracelso ( Capitolo 2 Paragrafo 3) e Niccolò Copernico ( Capitolo 2 Paragrafo 3). 16 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 Ne trasse grande vantaggio la casata degli Este, di origini antichissime, che ebbe nel secolo successivo un ruolo fondamentale nella promozione dell’arte e della letteratura del Rinascimento. Lorenzo Valla a Napoli. Una figura di notevole importanza fu quella di Lorenzo Valla (Roma, 1407 – 1457), umanista e filologo che ricopri anche incarichi ecclesiastici dando un grande contributo al rinnovamento della spiritualità religiosa. La sua opera filosofica più importante fu il De Voluptate, in cui il Valla riscoprì il messaggio autentico di Epicuro e di Lucrezio, volto ad approfondire il tema della ricerca della felicità individuale. La contrapposizione tra istinti, corporeità, passioni, emozioni da un lato, e moralità e spiritualità dall’altro non ha per lui alcun fondamento. La natura umana tende al piacere o all’utile. La vita sociale e politica si fonda sulla ricerca dell’utilità generale, che deriva dalla composizione razionale e saggia dell’utilità individuale e particolare. Il messaggio cristiano non è affatto in disaccordo con la valorizzazione del piacere e dell’utile; al contrario esso promette una vita ultraterrena in cui il piacere sarà sublimato e i corpi rinasceranno per vivere più intensamente e con totale pienezza quel piacere che nel corso della vita terrena è inevitabilmente mescolato al dolore. Egli attuava così, ispirandosi ad Epicuro, quella stessa sintesi tra corpo e spirito, tipica dell’Umanesimo, che sarà cara ai platonici fiorentini guidati da Marsilio Ficino ( Capitolo 3 Paragrafo 2). Professore di retorica a Pavia, a causa delle polemiche suscitate dalle sue dottrine, passò da un’università all’altra, divenendo nel 1435 segretario del re di Napoli Alfonso V di Aragona. Contribuì così in modo decisivo a fare di Napoli, e della corte aragonese, uno dei centri più importanti dell’Umanesimo e del Rinascimento. Grande conoscitore del latino, di cui elogiò l’eleganza e la superiorità in un celebre trattato (Elegantiarum linguae latinae libri, 1444), fu un grande filologo. Ebbe infatti il merito di smascherare la falsità del documento noto come Donazione di Costantino. Si trattava di un documento in cui l’Imperatore romano Costantino attribuiva al pontefice romano, all’epoca Silvestro I, la sovranità temporale sui territori imperiali d’Occidente. Sulla base di tale documento si giustificavano i diritti della Chiesa su vasti possedimenti territoriali e, soprattutto, la legittimità del potere politico del Papa in Occidente ( Approfondimenti). Il De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio (1440), sulla base di un’analisi linguistica, stilistica e storica molto accurata, dimostrò in modo inoppugnabile che il documento non era stato scritto nel IV secolo d. C. ma molto più tardi, in epoca medioevale: si tratta, insomma, di un clamoroso falso, creato ad arte per legittimare il potere temporale della Chiesa. Lorenzo Valla a Roma. Con la morte del Papa Eugenio IV, che aveva impedito la pubblicazione dell’opuscolo sulla Donazione di Costantino e lo denunciò all’Inquisizione, nel 1447 fu chiamato dal nuovo pontefice Niccolò V a ricoprire l’incarico di segretario apostolico e dal 1450 tornò a fare il professore di retorica. Criticò il latino della cosiddetta Vulgata e sostenne la necessità di codificare i canoni linguistici, stilistici e retorici della lingua latina sulla base dei testi classici, ponendo le basi scientifiche del movimento umanista impegnato a riformare il latino cristiano in riferimento allo stile di Cicerone. Egli contrappose sempre la retorica alla sillogistica scolastica, difendendo una concezione della filosofia intesa come libertà di ricerca e discussione, come varietà di opinioni che si confrontano in modo aperto e libero. La libertà è uno dei valori fondamentali su cui Valla ha sempre insistito, in polemica con gli Ordini, soprattutto quelli monastici, e persino, senza esitazioni, contro la Chiesa istituzionale, anticipando motivi di rinnovamento religioso che trovarono in seguito vasta diffusione ( Capitolo 2 Paragrafo 4). In particolare, egli sostenne la tesi che la vita religiosa consiste nel libero rapporto individuale con Dio, non nell’adesione esteriore e formale a regole o rituali codificati. Padova e altri centri. Padova rappresenta un caso particolare nella mappa dell’Umanesimo italiano, che ebbe tratti comuni nei veri centri culturali, innovando in profondità atteggiamenti, interessi, modi di pensare. Tuttavia, vi furono differenze spesso non irrilevanti. In questo senso, Padova rappresenta l’esempio più evidente di queste differenze tra i centri umanistici, per due principali motivi: 1. il centro della produzione culturale rimase un’istituzione tipicamente medioevale qual era l’Università; 2. essa restò la roccaforte dell’aristotelismo, soprattutto nella versione alessandrista. L’Università di Padova, che era nata nel 1222 quando un gruppo di studenti e professori migrarono dall’Università di Bologna alla ricerca di una maggiore libertà accademica, aveva raggiunto l’apice del suo prestigio nel XIV secolo grazie a Pietro d’Abano e Marsilio da Padova, grazie ai quali era stato abbandonato lo studio della metafisica aristotelica, per dedicarsi agli aspetti scientifici della dottrina del maestro, valorizzando il suo razionalismo e il suo naturalismo. 17 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 Passata sotto il potere della Repubblica di Venezia, l’Università di Padova conobbe, dal 1405, un’epoca di grande prestigio e divenne ben presto un centro internazionale di ricerca scientifica, nel campo della matematica, dell’astronomia, della medicina. Fu Pietro Pomponazzi ( Capitolo 3 Paragrafo 4) la figura di maggior spicco dell’aristotelismo padovano. Dall’Italia all’Europa. Tra gli importanti centri umanistici italiani è necessario ricordare almeno anche la Mantova dei Gonzaga, la Urbino dei Montefeltro e la Rimini dei Malatesta, signori rinascimentali che promossero nelle loro corti l’arte e la cultura. Bisogna inoltre tener presente, come fa opportunamente E. Garin (1964), che Umanesimo e Rinascimento costituiscono «un fatto culturale di vastissima portata, i cui effetti opereranno sempre più in profondità, con ripercussioni sempre più vaste». In effetti, gli ideali di vita affermati con tanta passione dagli umanisti italiani del XV secolo, sia pure in un’epoca ancora molto conflittuale e ingiusta, cioè ideali come quello del dialogo, della tolleranza religiosa, della pace tra uomini, filosofie e religioni, feconderanno, sia pure lentamente, l’intera Europa, emigrando «in Svizzera e in Polonia, per rifluire in Olanda o in Inghilterra, fra persecuzioni e guerre». Così anche le corti dei sovrani nazionali europei, come quella di Francesco I di Francia o quella di Elisabetta I di Inghilterra, ad imitazione delle corti signorili italiane, promossero l’attività di artisti, letterati e filosofi. 18 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 CAPITOLO 2. IL RINASCIMENTO Il Rinascimento, che nel suo significato più ampio ingloba anche l’Umanesimo, porta a compimento tutti i motivi innovativi sviluppatisi tra Trecento e Quattrocento in Italia, dando luogo ad una straordinaria fioritura della cultura, delle lettere e delle arti. Perfezionò il principio del ritorno all’antichità classica nel tentativo di farla rivivere con un’opera di rinnovamento generale che investì tutti i campi del sapere e produsse nuove scoperte, una concezione rivoluzionaria dell’universo, un’inedita e più approfondita attenzione ai fenomeni della natura, un grandioso ripensamento della religione cristiana, una rinascita del dibattito sulla dimensione storico – politica. PARAGRAFO 1. NUOVI ORIZZONTI Il 1492 è la data che una consolidata tradizione storiografica ha individuato come l’inizio ufficiale dell’età moderna. Altri invece hanno preferito individuarla nel 1453, anno della conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi Ottomani e della definitiva caduta dell’Impero romano, sopravvissuto ad Oriente per altri mille anni dalla fine di quello d’Occidente. Si tratta di un problema relativamente poco importante e, come abbiamo già visto, i passaggi tra le epoche della storia della civiltà umana sono molto lenti e graduali. Oltretutto spesso la continuità prevale rispetto alle fratture e alle cosiddette rivoluzioni. Quindi è tutto sommato assurdo affermare che il Medioevo finisce nel 1492 e nello stesso anno inizia l’Età moderna. Tuttavia, la scoperta di un nuovo continente, quello americano, e di nuove popolazioni, avvenuta appunto in quell’anno, ad opera di Cristoforo Colombo, fu un evento di grande importanza. Esso, infatti, non si limitò ad integrare le conoscenze geografiche dell’umanità del Quattro/Cinquecento e a ridisegnare la mappa del pianeta. Produsse anche, nel corso del tempo, profondi cambiamenti nell’economia, nella politica, nella mentalità, nei costumi e, naturalmente, nella riflessione filosofica. A lungo andare, l’effetto più rilevante sul modo generale di pensare fu la definitiva crisi dell’eurocentrismo ( Glossario). La mappa delle potenze economiche e politiche europee venne ridisegnata dai nuovi traffici transoceanici che si stabilirono nel corso del secolo successivo. La penisola italiana e le repubbliche marinare di Venezia e Genova, che avevano il monopolio dei traffici mediterranei, cominciarono a subire l’influenza negativa dello spostamento dell’asse del commercio internazionale dal Mediterraneo all’Atlantico. A ciò contribuì anche la già citata conquista turca di Costantinopoli e la circumnavigazione dell’Africa da parte delle navi portoghesi (1498), che potevano accedere all’Oceano Indiano e all’Estremo Oriente senza passare dal Mediterraneo. Prima Spagna e Portogallo, poi Olanda, Inghilterra e Francia divennero gradualmente i nuovi centri dello sviluppo economico continentale e con l’ascesa delle loro borghesie commerciali e produttive crebbe anche la loro capacità di elaborazione della cultura filosofico scientifica, i cui centri nel corso di un secolo si trasferirono da Firenze, Padova, Ferrara, Roma e Napoli ad Amsterdam, Parigi, Londra. Da questo spostamento delle attività economiche e di quelle culturali trassero un beneficio soltanto momentaneo la Spagna e il Portogallo che non seppero, per motivi diversi, garantire lo sviluppo dei ceti medi produttivi e rimasero ben presto in ritardo anche rispetto alle innovazioni della scienza e della filosofia. PARAGRAFO 2. LA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA Oltre all’ampliamento dei confini del mondo conosciuto, l’evento più rilevante del Rinascimento, per la sua portata rivoluzionaria, fu il profondo mutamento che avvenne nella cosmologia, con la nascita dell’astronomia come scienza moderna. Viene di solito designata come «Rivoluzione copernicana», attribuita all’astronomo polacco Niccolò Copernico e identificata con il passaggio dal geocentrismo all’eliocentrismo. In realtà, non si trattò soltanto della nascita di una nuova scienza e del profondo contributo a quella che si chiamerà «Rivoluzione scientifica» ( Unità 2). Fu anche e soprattutto un processo che incise su tutto il pensiero filosofico dell’età moderna, sulla cultura e sulla mentalità comune. 19 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 La «rivoluzione copernicana». Nikołaj Kopernik, latinizzato in Nicolaus Copernicus e italianizzato in Niccolò Copernico (1473 – 1543; nell’immagine un suo ritratto del 1580) è passato alla storia come il principale ispiratore di un mutamento di prospettiva che assunse un alto valore simbolico. In realtà, come vedremo, la rivoluzione di Copernico ebbe una portata più limitata di quella che colpì l’immaginazione di molti e che ancor oggi rappresenta un punto di svolta nella concezione dell’universo. Protagonista di tale svolta non fu solo il giurista, ecclesiastico, medico e astronomo polacco, che aveva studiato astronomia prima in patria poi in Italia, nelle sedi universitarie dell’aristotelismo, come Bologna e Padova, e poi in quelle più aperte al pitagorismo e al platonismo, come Ferrara, dove si era laureato in diritto. Altri svilupparono le sue intuizioni e non saranno soltanto scienziati e astronomi ( Unità 2, Capitolo 1 Paragrafo 4), ma soprattutto un filosofo come Giordano Bruno ( Capitolo 5) a dare un decisivo contributo ad un modo completamente diverso di pensare il cosmo; oltretutto, come vedremo, Bruno si rifaceva anche alle geniali anticipazioni di un altro filosofo, come Nicola Cusano ( Capitolo 3 Paragrafo 1), che con un secolo di anticipo su Copernico già sovvertiva la cosmologia medioevale geocentrica. La rivoluzione astronomica e l’Umanesimo. La rivoluzione operata da Copernico fu uno degli aspetti più significativi del ritorno all’antichità classica e della riscoperta dei testi antichi, proprie della cultura umanistico – rinascimentale: in questo senso essa è parte di quella più ampia rivoluzione avviata proprio dagli umanisti. Fu, infatti, la lettura da parte di Copernico dei testi dei Pitagorici, di Eraclide Pontico (385-322 a.C.) e di Aristarco di Samo (310-230 a.C.)4, che lo indussero a condividere la teoria eliocentrica e a sviluppare una serie di calcoli matematici che spiegassero il moto dei pianeti in modo più semplice rispetto a quelli necessari nell’ambito del geocentrismo. Essi erano, infatti, talmente complessi, da fornire un’immagine complicata e contorta del meccanismo dell’universo. L’eliocentrismo copernicano. La teoria eliocentrica di Copernico può essere riassunta in alcuni punti: il Sole è immobile al centro dell’universo chiuso e finito, delimitato dal cielo delle stelle fisse; intorno al Sole ruotano tutti i pianeti ed i cieli, compresa la Terra; la Terra ruota intorno al proprio asse durante le 24 ore: o il movimento del Sole durante il giorno è solo apparente, in quanto il Sole è fisso mentre è la Terra a ruotare su stessa; la Luna ruota intorno alla Terra; la Terra, con il suo satellite Luna, e come tutti gli altri pianeti, si muove intorno al Sole: o i movimenti che il Sole sembra compiere, attraverso lo Zodiaco, durante il giorno e durante l’anno il giorno e nelle diverse stagioni dell’anno, sono gli effetti del reale movimento della Terra su se stessa e intorno al Sole Con la centralità del Sole si potevano meglio spiegare quasi tutti i fenomeni astronomici ed i calcoli di Copernico pur contenendo errori che furono corretti in seguito erano decisamente soddisfacenti in generale. Per altri aspetti, la teoria risentiva ancora di motivazioni metafisiche e teologiche di stampo medioevale che ne riducevano il valore scientifico: 1. la finitezza dell’universo (già messa in discussione da Nicola Cusano un secolo prima); 2. la sfericità dell’universo, come simbolo della perfezione del suo creatore; 3. la sfericità delle orbite dei pianeti intorno al Sole (fu in seguito Giovanni Keplero a dimostrare che le orbite sono ellittiche Unità 2, Capitolo 1 Paragrafo 4); 4 La teoria di Copernico ricalca in gran parte proprio quella di Aristarco di Samo, che sosteneva il moto circolare della Terra sul proprio asse e intorno al Sole. Un matematico del II secolo a. C, Seleuco di Seleucia, l’aveva ripresa e ne aveva fornito una dimostrazione basata sul fenomeno delle maree. 20 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 4. la centralità del Sole spiegata simbolicamente come emanazione della luce divina in tutto l’universo dalla migliore posizione possibile (quella centrale, appunto). Nonostante questi limiti, era evidente che la novità teorica costituiva comunque un ribaltamento della concezione tradizionale. La «rivoluzione»: consapevolezza e cautela. Copernico era consapevole della portata rivoluzionaria della sua dottrina, che dimostrava con calcoli matematici rigorosi la validità della teoria eliocentrica e, soprattutto, denunciava la falsità di una concezione dell’universo che per secoli era stata ufficialmente riconosciuta come vera dai grandi poteri costituiti. La teoria geocentrica, infatti, si accordava con i dati della percezione (il sole che sorge e tramonta) e con il senso comune. Soprattutto rappresentava il fulcro di una cosmologia teologica avallata dalla Chiesa: la Terra, creata da Dio per l’uomo, fatto a propria immagine e somiglianza, circondata dai pianeti e dalle sfere concentriche, raffigurava un modello simbolico e ideologico in cui la struttura dello spazio esplicitava il rapporto tra terra e cielo, uomo e Dio ( Approfondimenti). Del resto, certi passi delle sacre Scritture, come quello, famoso, in cui Giosuè fermò il Sole (cfr. illustrazione biblica di Gustav Doré del 1883 nella pagina successiva), confermavano tale interpretazione. Quindi, l’astronomo polacco fu sempre molto cauto e, benché stesse maturando la nuova teoria fin dai primi anni del nuovo secolo, mentre studiava a Ferrara, la sua opera fondamentale, il De rivolutionibus orbium coelestium, fu pubblicata soltanto nel 1543, quando Copernico era ormai moribondo. Inoltre, uno degli editori, Andrea Osiander, fece precedere l’opera da una prefazione anonima (che poteva, quindi, essere erroneamente attribuita allo stesso Copernico) in cui la teoria veniva presentata non come una vera rappresentazione dell’universo, ma come una semplice ipotesi matematica destinata a facilitare i calcoli sui moti dei pianeti. La «rivoluzione» culturale. Comunque, dal punto di vista culturale, la rivoluzione che si stava mettendo in moto era inarrestabile, causa ed effetto, espressione ed anticipazione insieme di tutte le altre rivoluzioni che si erano e che si 21 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 sarebbero messe in moto. Il fatto che la Terra diventasse un pianeta qualsiasi nel cosmo e non occupasse più il posto privilegiato che le era stato attribuito nella scala gerarchica cielo - terra, Dio - uomo, perfezione - imperfezione, rappresentava un grande mutamento di prospettiva. Esso corrispondeva, sul piano cosmico, al mutamento di prospettiva sociale e politica che aveva sgretolato gli Ordini gerarchici medioevali e restituito pieno valore all’individuo, ai suoi meriti e alle sue capacità. Ora la terra non è più il punto più lontano dal cielo e da Dio, ma un luogo del cosmo autonomo da ogni struttura gerarchica, in cui alto e basso sono termini senza più significato reale, né tantomeno simbolico. Da questo punto di vista si compie con Copernico uno degli aspetti centrali della rivoluzione umanistico - rinascimentale: la restituzione all’uomo della sua indipendenza, autonomia e libertà nel mondo terreno e naturale. Dopo Copernico, l’uomo non è più il centro unico di un progetto divino sull’universo, assoggettato alla sua volontà, ma è il centro di un proprio mondo che egli governa con la propria libera volontà terrena e umana, limitata ma autonoma. Toccò poi a Giordano Bruno sviluppare ( Capitolo 5) le teorie matematiche di Copernico e le precedenti intuizioni cosmologico - metafisiche di Cusano nella concezione di un universo infinito come Dio, senza centro né periferia, in cui sono possibili infiniti mondi abitati da esseri simili agli umani. 22 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 Tabella riassuntiva. Rivoluzione astronomica. Geocentrismo (Tolomeo) Eliocentrismo (Copernico) 1. Universo finito e chiuso dal cielo delle stelle fisse 2. Il Sole è immobile al centro dell’Universo 3. Intorno al Sole ruotano i pianeti e i cieli 4. La Terra ruota intono al Sole e su se stessa 5. La Luna ruota intono alla Terra 6. Le orbite dei pianeti sono circonferenze 7. L’orbita della Luna intorno alla Terra è una circonferenza 8. I cieli sono sfere perfette 1. Universo finito e chiuso dal cielo delle stelle fisse 2. La Terra è immobile al centro dell’Universo 3. Intorno alla Terra ruotano la Luna, tutti i pianeti e i cieli 4. Le orbite dei pianeti sono circonferenze 5. I cieli sono sfere perfette 23 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 24 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 Andreas Cellarius (cartografo tedesco), Sistema geocentrico tolemaico e sistema eliocentrico copernicano, Harmonia Macrocosmica, Amsterdam, 1661 25 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 PARAGRAFO 3. ALCHIMIA, ASTROLOGIA, MAGIA Non si può comprendere appieno l’Umanesimo e il Rinascimento se non si tiene conto del fatto che la riscoperta del mondo antico e la continuità critica rispetto al Medioevo implicava il recupero dell’unità fondamentale di tutte le conoscenze, che era stata già una caratteristica del sapere antico, per il quale matematica e mistica, scienze della natura e metafisica, medicina e magia erano strettamente connesse tra loro5. La tendenza alla specializzazione fu una delle conseguenze del Rinascimento, ma prima di tutto deve essere chiaro che nel Quattro/Cinquecento il sapere era concepito in modo unitario e non era neppur pensabile delimitare le discipline scientifiche sia tra loro che rispetto alla filosofia e alle cosiddette scienze occulte, come l’alchimia, l’astrologia e la magia. L’unità del sapere. Anche il sapere medioevale rifiutava la specializzazione, tipica della modernità, e concepiva in modo unitario tutta la conoscenza. La differenza fondamentale tra l’Antichità classica e il Medioevo consiste nel fatto che nel primo caso l’unità del sapere è garantita dalla filosofia, che ingloba in sé e giustifica tutte le scienze, incluse quelle occulte, mentre nel secondo caso l’unità è garantita piuttosto dalla teologia. Umanesimo e Rinascimento tornano al principio, alle origini della nascita della conoscenza, perciò recuperano il valore dell’unità filosofica del sapere. Va detto, per chiarire e tracciando indicazioni valide in linea generale, che la teologia medioevale tende a considerare la filosofia come a sé subordinata, mentre l’Antichità e anche la nuova età considerano piuttosto la teologia come una parte della filosofia. L’alchimia. Una delle fondamentali scienze occulte, non facilmente distinguibile dalla sapienza pre-filosofica, sia in Oriente che in Occidente, né dalla filosofia, è l’alchimia (parola che deriva probabilmente dall’arabo e dal greco: «al», articolo arabo, e «khymeia», fusione; Glossario). 1. Si può considerare l’alchimia come la disciplina pre-scientifica da cui trasse poi origine la chimica moderna. In questo senso è legata allo sviluppo della metallurgia fino dalle più antiche età preistoriche, come una «tecnica» che studia e sperimenta la possibilità di trasformare i metalli in oro. 2. Allargando un po’ lo sguardo però si scopre che per gli antichi Egizi tale «tecnica» era strettamente connessa ad aspetti simbolici e magico – religiosi ( Approfondimenti). L’oro, infatti, è soprattutto il simbolo della perfezione verso cui dovrebbe tendere l’intero universo e l’umanità in particolare. In questo senso, quindi, l’alchimia è piuttosto una concezione complessiva della realtà che tende ad una trasformazione e trasfigurazione della sostanza cosmica in energia spirituale incorruttibile, come l’oro che ne è la materializzazione e la metafora. 3. In seguito, la nascita dell’alchimia venne attribuita al dio Hermes, detto Trismegisto, cioè «Tre volte Massimo», che venne identificato con il dio egizio Thoth (o Theuth: è lo stesso di cui parla Platone nel Fedro Volume 1, Unità 3, Capitolo 1, Paragrafo 3). Nacque allora il Corpus Hermeticum (da Hermes, appunto), una serie di scritti composti tra il I e il III secolo d. C. in cui confluiscono tutti i temi della tradizione filosofica e magico - religiosa antica, in particolare il Neo-Pitagorismo, lo Gnosticismo e il nascente Neo-Platonismo ( Volume 1 Sezione 1, Unità 5, Capitolo 2 Paragrafo 6 e Approfondimenti Volume 1) nel nome di alcuni principi filosofico – magici: Nulla si crea, nulla si distrugge; Tutto si rigenera nella circolarità del tempo; Tutto è Uno; Ogni entità nel cosmo è legata da complessi rapporti di interdipendenza con tutte le altre; Il corpo umano (microcosmo) trova corrispondenze dirette nei vari elementi che compongono l’universo (macrocosmo); La tendenza alla specializzazione era stata avviata soltanto nell’ambito del Liceo aristotelico e proseguita nell’età ellenistica, nell’ambito del Museo di Alessandria. 5 26 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 Tutta la natura è animata, profondamente penetrata dalle forze spirituali, che si attraggono o respingono per simpatia o antipatia.6 4. Durante il Medioevo alcuni testi greci sull’alchimia si diffusero in Occidente grazie alle traduzioni arabe, in particolare ad opera di Gerberto di Aurillac, divenuto Papa col nome di Silvestro II ( Volume 1, Sezione 2, Unità 2, Capitolo 1, Paragrafo 5; Approfondimenti Volume 1), che ebbe un ruolo fondamentale per la diffusione nel mondo cristiano della evoluta cultura matematica, scientifica e filosofica araba. Alchimisti furono anche alcuni altri importanti filosofi cristiani ( Approfondimenti Volume 1). 5. Fu Marsilio Ficino ( Capitolo 3 Paragrafo 2) a tradurre nel 1471 il Corpus Hermeticum, di cui una copia era giunta nelle mani di Cosimo il Vecchio, portata da un dotto bizantino a Firenze in occasione del Concilio del 1439. L’influenza dell’alchimia restò molto profonda non solo lungo l’arco del Rinascimento ma anche dopo la Rivoluzione scientifica. Come vedremo anche il massimo scienziato del Seicento e «padre» della fisica moderna, Isaac Newton ( Sezione 2, Unità 2, Capitolo 2), vi dedicò moltissimo tempo. L’astrologia. Fin dai tempi più remoti, nell’ambito del sapere pre-filosofico, l’astrologia rappresentava lo studio degli astri (da ástron e lógos) ed era ritenuta una forma fondamentale di sapienza. Nell’ambito della filosofia greca fu innalzata ad un livello teorico adeguato e già i primissimi filosofi (Talete, Anassimandro, Anassimene, Pitagora, e tutti gli altri a seguire) ebbero profonde conoscenze sui moti delle stelle e dei pianeti7. L’astronomia come scienza moderna, matematico-sperimentale, è nata con la rivoluzione astronomica avviata da Niccolò Copernico ( Paragrafo 2) e si è poi sviluppata con le successive ricerche e scoperte ( Unità 2, Capitolo 1 Paragrafo 5). Nell’antichità l’astronomia non esisteva come scienza propria. Si chiamava astrologia o era una parte di essa. L’astrologia babilonese, egizia e caldea (VIII secolo a. C.) si diffuse presso tutti i popoli mediterranei e i filosofi greci la coltivarono e la perfezionarono, collegandola strettamente alla riflessione teorica più generale sull’universo, detta cosmologia. Alchimia, astrologia e scienza moderna. L’astrologia è fin dall’origine strettamente connessa all’alchimia, in quanto ogni entità nel cosmo è legata da complessi rapporti di interdipendenza con tutte le altre. Per tutto il Rinascimento l’astrologia continuerà ad essere trattata come una forma di conoscenza, inclusa nell’ambito di un sapere unitario della natura e del cosmo ( Capitolo 3 Paragrafo 2). Come vedremo, la separazione tra astrologia (oggi ritenuta una scienza occulta o, peggio, una forma di superstizione) e astronomia come scienza moderna avverrà gradualmente e lo stesso Galileo Galilei ( Unità 2, Capitolo 3), che alla nascita della moderna astronomia scientifica ha dato un decisivo contributo, continuerà a svolgere studi astrologici e a formulare oroscopi. D’altra parte, la nascita della scienza moderna per certi aspetti non è altro che l’evoluzione degli studi alchemici e di quelli astrologici: cioè, la moderna chimica e la moderna astronomia si svilupperanno in una sorta di continuità e, al contempo, di rottura critico-polemica rispetto all’alchimia e all’astrologia. Come vedremo, si trattò di studiare gli elementi fisico-chimici da una parte (la chimica), e i moti delle stelle e dei pianeti dall’altra (l’astronomia), non più in relazione al Tutto, ma separatamente dal Tutto di cui sono parte ( Unità 2, Capitolo 1 Paragrafo 2). La magia. Allo stesso modo, per quanto strano possa sembrare, all’origine della scienza moderna c’è la magia (dal greco magheia, termine coniato per designare certi sapienti persiani, i Magi, ben noti ai filosofi greci). Sia l’approccio magico che quello scientifico ebbero come obiettivo la conoscenza delle leggi della natura. Pertanto, come vedremo, la nascita della scienza moderna fu possibile anche grazie agli studi, alle ricerche ed agli esperimenti dei cosiddetti maghi. 6 «Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una. […] tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una […]» («Tavola di smeraldo», attribuita a Ermete Trismegisto, Corpus Hermeticum). 7 Sembra che fu proprio Talete a distinguere tra stelle e pianeti e a dar loro questo nome che in greco significa «corpi erranti». 27 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 La magia rinascimentale ingloba in se stessa l’alchimia e l’astrologia, è la scienza di tutte le scienze, la conoscenza di tutte le forze che agiscono nella natura e nel cosmo, forze spirituali e divine, sia manifeste che occulte. I filosofi di ispirazione platonica del Quattrocento trovarono nel Corpus Hermeticum, tradotto da Marsilio Ficino, i fondamenti della magia come sintesi delle dottrine platoniche, neopitagoriche, gnostiche, neoplatoniche, ebraico - cabalistiche e cristiane, come insieme di pratiche rituali e teurgiche8 miranti a favorire il ricongiungimento tra l’uomo e le forze divine agenti nella natura. Che cos’è la magia? Per capire a fondo cosa intendevano gli umanisti e gli uomini del Rinascimento con il termine magia bisogna togliersi dalla mente tutto ciò che ha in qualche modo a che fare con la superstizione e la ciarlataneria che designa oggi troppo spesso questo termine. La magia è per quei grandi innovatori lo studio delle corrispondenze segrete tra l’anima dell’uomo e l’anima universale, presente ovunque nella natura e nel cosmo. La magia ha a che fare con l’energia psichica, con la pienezza di tutte le facoltà umane e di tutte le potenzialità della natura, unite da relazioni molto intime. È un modo di rapportarsi alla realtà sia con la razionalità che con la passione e l’intuizione. È la ricerca di una conoscenza sintetica, insieme apollinea e dionisiaca9, in cui vengano esaltate al massimo grado le capacità sensoriali, intuitive, impulsive, emotive, passionali, sentimentali e anche intellettive, grazie al contatto con le forze primarie della natura e del cosmo, che sono in senso ampio forze «divine». Magia, «follia», amore. La magia ha a che fare con la «mantica», la «mania», la «follia», di cui aveva parlato Platone nel Fedro, presentandola come lo sfondo originario della vera sapienza, dono divino, contrapposta alla semplice ragionevolezza, propria degli umani: «Non è verace il discorso che ad un innamorato si debba preferire chi non ama, con il pretesto che il primo delira e l’altro invece è sano e saggio. Ciò sarebbe detto bene se il delirio fosse invariabilmente un male; ora invece i più grandi doni ci provengono proprio da quello stato di delirio, datoci per dono divino. Perché appunto la profetessa di Delfi, le sacerdotesse di Dodona, proprio in quello stato di esaltazione, hanno ottenuto per la Grecia tanti benefici, sia agli individui che alle comunità; ma quando erano in sé fecero poco o nulla. […] la testimonianza degli antichi considera superiore lo stato di delirio che viene da un dio che il senno ch’è proprio degli uomini». La magia è dunque soprattutto amore, la capacità cioè di empatia e di immedesimazione con tutte le cose. Anche questo è un tema che potremo approfondire trattando del pensiero del più grande esponente della filosofia umanistica, Marsilio Ficino ( Capitolo 3 Paragrafo 2). Magia, filosofia e scienza. Per tutte queste ragioni, in quest’epoca sarebbe stato impossibile distinguere chiaramente, almeno fino al XVII secolo, la magia dalla filosofia e dalle scienze. Come certi antichi filosofi erano al contempo «scienziati» e «maghi» (Empedocle, ad esempio, lo dichiarava espressamente), anche i grandi filosofi dell’Umanesimo e del Rinascimento, come Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, Giordano Bruno, si diranno «maghi». Riprenderemo l’argomento trattando delle dottrine dei pensatori che abbiamo qui citato. Ora accenniamo brevemente ad alcuni importanti esponenti della magia rinascimentale. Tuttavia, a differenza della scienza moderna, che si prefigge il dominio della natura intesa come una parte del Tutto, la magia non concepisce la conoscenza come dominio e non separa la natura dal Tutto ( Unità 3, Capitolo 1, Paragrafo 2). Agrippa di Nettesheim. Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim (Colonia, 1486 – Grenoble, 1535) con la sua opera De occulta philosophia, pubblicata nel 1530, trattò della magia come della «vera scienza, la filosofia più elevata e perfetta, in una parola la perfezione e il compimento di tutte le scienze naturali». Essa comprende la Fisica o Magia naturale, che studia le realtà della natura terrena, la Matematica o Magia celeste, che studia i moti degli astri e la natura La teurgia, molto diffusa nell’ambito del Neo-Platonismo, consiste in una pratica magico - rituale che consiste nel caricare di energia divina un essere umano, che può divenire capace di profezie ed oracoli, o un oggetto, che si trasforma in un talismano, cioè in qualcosa capace di propiziare la benevolenza della divinità. 9 Per la simbologia di Apollo e Dioniso cfr. Volume 1: Approfondimenti Sezione 1 Percorso1 e anche Capitolo 3 Paragrafo 2. 8 28 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 dei corpi celesti, e la Teologia o Magia cerimoniale, che studia l’anima, l’intelletto e le cose divine ( Approfondimenti). Paracelso. Uno dei più famosi maghi, astrologi e alchimisti del tempo fu Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelsus, in italiano Paracelso (Einsiedeln, 1493 – Salisburgo, 1541). Si laureò all’Università di Ferrara, più o meno negli stessi anni in cui vi si laureò anche Niccolò Copernico. Medico e farmacologo, si ispirò, anche nel nome d’arte, al medico e naturalista romano del I secolo d. C. Aulo Cornelio Celso, al quale si considerava «prossimo» (Paracelso, cioè parà = accanto, in greco, e Celso). Convinto della perfetta corrispondenza tra corpo umano (microcosmo) e struttura del cosmo e della natura (macrocosmo) egli si batté per la diffusione di una medicina magico – alchemico - astrologica. Tra i suoi meriti, bisogna ricordare l’importanza che attribuì, per primo, all’utilizzo di sostanze minerali e di composti chimici nella terapia medica ( Approfondimenti). Queste concezioni, relative alla corrispondenza tra terra e cielo, micro e macrocosmo, molto diffuse già a partire dall’Umanesimo, avevano il merito di dissolvere la tradizionale distinzione tolemaico - cristiana tra perfezione celeste ed imperfezione terrena. In tal modo i maghi contribuirono a creare una nuova mentalità scientifica, in cui l’indagine sulla natura e sul cosmo poteva fondarsi su una ritrovata unità metodologica. Altri maghi. Altre importanti figure geniali e creative di maghi furono: Girolamo Cardano (Pavia, 1501 – Roma, 1576), medico, astrologo e matematico di prestigio internazionale. Fu condannato per eresia per aver formulato e pubblicato un oroscopo di Gesù Cristo. È l’inventore del giunto cardanico, della sospensione cardanica e della serratura a combinazione ( Approfondimenti). Fornì grandi contributi all’algebra e alla dinamica. Con la sua opera De subtilitate realizzò una vasta enciclopedia del sapere dell’epoca, raccogliendo una vastissima mole di osservazioni e tentando di fornire una spiegazione a tutti fenomeni sulla base di rapporti naturali di causa ed effetto. Diede così un notevole contributo alla nascente mentalità sperimentale e naturalistica. Giovanni Battista Della Porta (Vico Equense, 1535 – Napoli, 1615) pubblicò nel 1558 il Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium, opera successivamente ampliata, in cui raccolse tute le conoscenze magiche, alchemiche e astrologiche che poté ricavare dalla lettura di testi antichi e moderni sui più svariati argomenti e sui progressi delle scienze naturali e fisiche dell’epoca, come l’ottica. Egli diffuse la conoscenza della camera oscura e contese a Galileo Galilei ( Unità 2, Capitolo 3) la paternità dell’invenzione del telescopio. Si occupò di un’immensa mole di argomenti, tra cui la crittografia, la mnemotecnica, la fisiognomica e la chiromanzia. Fu anche un celebre drammaturgo ( Approfondimenti). Robert Fludd (Milgate House, 1574 – Londra, 1637), medico, alchimista e filosofo ermetico, seguace di Paracelso, nella sua opera Utriusque Cosmi, maiores scilicet et minores, metaphysica, physica atque technica Historia svolse in modo ampio i tipici temi, ricavati dalla filosofia di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, dei rapporti complessi tra micro e macrocosmo ( Approfondimenti).. PARAGRAFO 4. LA NUOVA SCIENZA Accanto alle «scienze occulte» e dall’interno di esse, già nel corso del Quattrocento si stava formano una nuova mentalità scientifica, da cui trassero origine, con un processo graduale che culminò nel Seicento, la scienze moderne, fondate su principî propri, autonome rispetto alla teologia e alla metafisica. Come vedremo, per la nuova scienza la natura non si identifica più con il Tutto, ma si riduce alla realtà fisica, conoscibile oggettivamente grazie all’utilizzo rigoroso della matematica ( Unità 3, Capitolo 1 Paragrafo 3). Una nuova mentalità scientifica. Tuttavia, per arrivare a questo risultato, occorre tener presente quali furono i numerosi e complessi fattori che agirono per creare la nuova mentalità scientifica: Naturalismo ed empirismo della filosofia medioevale del XII secolo: l’idea di una scienza come ricerca delle cause naturali ed un nuovo interesse per lo studio della natura si erano già affermati fin dal XII secolo nella Scuola di Chartres e poi in quella di Oxford. La riscoperta dei testi antichi da parte degli umanisti del Quattrocento: essa mise a disposizione dei ricercatori, dei medici, degli astronomi e del fisici gli scritti tradotti dall’originale greco dei grandi scienziati antichi, che 29 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 erano noti soltanto attraverso la mediazione delle traduzioni arabe o erano del tutto sconosciuti. Cominciarono così a circolare preziosi testi del tutto ignoti, come quelli di medicina di Cornelio Celso (I secolo d. C.) e quelli di matematica e idrostatica di Archimede. Il razionalismo naturalistico dell’aristotelismo. Il platonismo: esso contribuì a concepire la natura come la manifestazione e la materializzazione della perfezione divina, espressione piena di un ordine matematico e magico insieme. Per quanto la matematica dei platonici fosse ancora intessuta di elementi simbolici, la tesi della corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo creava la mentalità adatta alla ricerca delle modalità concrete attraverso le quali l’ordine universale si attua; annullando la tradizionale distinzione tolemaico - cristiana tra perfezione celeste ed imperfezione terrena, il platonismo creava i presupposti per l’unità metodologica delle indagini sulla natura e sul cosmo. La magia, come già abbiamo visto sopra. Gli sviluppi delle tecniche e le nuove esigenze socio-politiche. L’età comunale, con il risveglio delle attività commerciali e artigianali, aveva già innescato un processo di rinascita delle tecniche in Occidente. Nuovi bisogni sociali ed economici richiedevano nuovi strumenti, per la soluzione di problemi pratici sia civili che militari. Le manifatture tessili, i trasporti, la navigazione, il calcolo del tempo, l’idraulica, la metallurgia, l’edilizia, la stessa agricoltura sempre più produttiva, avevano bisogno di escogitare nuovi attrezzi che facilitassero lo svolgimento dei vari compiti connessi all’efficienza della produzione e del lavoro. Il bisogno di soluzioni certe ed efficaci ai problemi posti dal progresso tecnico fece emergere la nuova figura dell’ingegnere, che riassumeva in sé le competenze dello scienziato e del tecnico. Questo personaggio di nuovo tipo, di cui Leonardo da Vinci ( vedi oltre) costituì l’esempio forse più brillante, era il frutto: 1. della nuova mentalità umanistica, che esaltava l’uomo attivo e costruttivo; 2. della nuova mentalità tecnica, volta alla soluzione pratica dei problemi; 3. delle conoscenze dei testi scientifici antichi nella loro traduzione filologicamente più corretta, rimessi in circolazione dagli Studia humanitatis: a. il De medicina di Cornelio Celso, ignoto nel Medioevo, scoperto nel 1426 dal Guarino Veronese; b. gli Elementi di geometria di Euclide; c. le opere di matematica di Erone di Alessandria (I-II secolo d. C.) e, soprattutto, di Archimede, tradotto dal Tartaglia nel 1543, ma già circolante fin dai primi decenni del Quattrocento; 4. in generale, della nuova alleanza tra scienza e tecnica, a lungo separate nel Medioevo. Saranno queste nuove figure di ingegneri – scienziati, spesso mantenuti «dal principe o dall’amministrazione dello Stato per i bisogni del governo e della collettività» (L. Geymonat, 1970) i protagonisti della nascita della scienza moderna che, pur tra mille resistenze, riuscirà infine a prevalere. Leonardo da Vinci. Straordinaria figura di artista, ma anche di scienziato e di ingegnere meccanico ed idraulico, inventore instancabile di congegni e macchine di ogni genere, Leonardo nacque a Vinci, nei pressi di Firenze nel 1452. A Firenze, nella bottega di un pittore importante come il Verrocchio, si mise presto in luce per la sua grande abilità, così fu raccomandato da Lorenzo il Magnifico per lavorare a Milano presso la corte di Ludovico Sforza, detto il Moro. In quel periodo dipinse il famoso Cenacolo e svolse un’intensa attività tecnico - scientifica. Fu poi a Mantova, a Firenze (dove dipinse la celebre Gioconda), di nuovo a Milano, poi a Roma. Infine, il re di Francia Francesco I, che ne aveva un’altissima considerazione, lo invitò alla sua corte presso il castello di Amboise, dove risiedette fino alla morte (1519). Non scrisse nulla di sistematico, ma lasciò un’immensa mole di appunti, dall’enorme valore, che costituisce una vera e propria enciclopedia di un sapere innovativo e inventivo. Umanista autodidatta, ricercatore spregiudicato, geniale sperimentatore, Leonardo era un seguace dei cosiddetti fisici parigini che abbiamo ricordato sopra ( Naturalismo ed empirismo). In tal modo, studiando l’impetus arrivò alla formulazione quasi definitiva del principio di inerzia ( Unità 3 Capitolo 3). 30 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 La sua filosofia si rifaceva al vitalismo neoplatonico, alla corrispondenza macro-microcosmo,10 ma i suoi interessi tecnico – scientifici lo spingevano sempre più in direzione di una concretezza che ne fa uno dei precursori più lucidi della nuova metodologia scientifica, con un secolo di anticipo. In sostanza, può essere considerato colui che per primo applicò sistematicamente quel metodo matematico sperimentale11 che in seguito venne chiaramente formulato e praticato da Galilei ( Unità 3 Capitolo 3) e che sta alla base di tutto lo sviluppo della scienza moderna. Come ricorda E. Garin (1967) il suo pensiero si fondava su alcuni punti di forza sui quali poggerà la successiva Rivoluzione scientifica ( Unità 3, Capitolo 1): «[…] indipendenza da ogni autorità filosofica o religiosa; fiducia nella ragione; fiducia nell’esperienza come contatto diretto con la natura; fiducia nella macchina che l’uomo costruisce; fiducia nella scienza non disgiunta dalla tecnica, anzi integrata da una concezione generale della realtà intesa come “natura” legata da necessarie “ragioni”». PARAGRAFO 5. LA POLITICA TRA «SCIENZA» E UTOPIA Come abbiamo visto, la centralità dell’attività umana, la sua concreta possibilità di dominare la natura e di valorizzare le proprie capacità si traduce fin dall’esordi dell’Umanesimo nella nascita di nuove scuole il cui obiettivo fondamentale è la formazione umana del cittadino nato e cresciuto nelle città libere dell’età comunale e della prima età signorile. L’emergere dei valori borghesi dell’intraprendenza, dello spirito di iniziativa, del merito individuale, scardina i valori sociali e politici su cui si era retto per secoli il potere dell’aristocrazia ereditaria e del clero. Perciò, tra le altre nuove prospettive, si affaccia nell’Umanesimo e nel Rinascimento anche e soprattutto quella che ambisce a progettare ex novo la società e la politica. Chi, come l’uomo del Rinascimento, progetta la conoscenza e il dominio della natura fisica, è logico che si volga anche alla conoscenza e al dominio della natura umana e sociale, al ripensamento della dimensione politica. Il rinnovamento della riflessione politica. Anche in questo settore sono tre gli aspetti di novità che si delineano come prevalenti e che caratterizzano la riflessione socio-politica: 1. Il ritorno alle origini classiche, da cui trarre ispirazione per elaborare modelli, che non sono soltanto da imitare passivamente, anzi al contrario da interpretare in relazione alle attuali concrete situazioni storiche allo scopo di realizzarli praticamente; 2. Il formarsi di una mentalità scientifica e rigorosamente razionale, fondata sull’osservazione empirica e quasi «naturalistica» dei fenomeni storico-sociali: da questo nuovo atteggiamento scaturisce di fatto una nuova scienza della politica, totalmente autonoma dalla dimensione teologica e metafisica 12; 3. La costruzione di modelli ideali di società e di organizzazione dello Stato in cui si prospettano nuove soluzioni per la convivenza civile, per la produzione della ricchezza e, soprattutto, per una sua più equa distribuzione (per evitare le disuguaglianze tra ceti ricchi o benestanti e ceti poveri o miseri): La progettazione di modelli ideali di società è esistita fin dall’antichità e il referente più importante è pur sempre costituito dalla Repubblica di Platone13: nel Rinascimento, nell’ambito delle approfondite discussioni sui modelli ideali (dalla letteratura all’urbanistica Approfondimenti), anche le 10 «Va però notato che egli fonda questo parallelo più su analogie tra la costituzione materiale del corpo umano e quella del mondo, che non su considerazioni filosofiche generali» (L. Geymonat, 1970). 11 Per la prima volta fu formulato da Roberto di Lincoln nel XIII secolo ( Volume 1 Sezione 2, Unità 3, Capitolo 1, Paragrafo 8). 12 Occorre, comunque, osservare che, fin dai primi decenni del XIV secolo, il pensiero giuridico e politico si stava emancipando dalla teologia e dalla metafisica. In particolare, ne furono protagonisti Guglielmo di Ockham ( Volume 1, Sezione 2, Unità 4, Capitolo 2) e, soprattutto, Marsilio da Padova ( Volume 1, Sezione 2, Unità 4, Capitolo 3, Paragrafo 2) che seppe anticipare concetti come quello di sovranità popolare, laicità dello Stato, libertà di coscienza e di opinione, separazione del potere civile da quello religioso, positività del diritto, funzione legislativa della sovranità, Stato di diritto e governo della legge. 13 L’influenza platonica è evidente in tutte e tre le principali opere a carattere utopico di cui parleremo, per il legame che viene istituito tra sapere e potere politico ( Approfondimenti). 31 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 cosiddette «utopie» politiche ebbero il merito di alimentare il dibattito e di contribuire ad uno sviluppo notevole della ricerca in ambito socio-politico. La nuova «scienza» politica nasce con Machiavelli. Fu senz’altro Niccolò Machiavelli (Firenze, 1469 – 1527; nell’immagine la sua firma autografa) il principale artefice della nascita della moderna scienza politica, con il suo approccio laico e con il suo spregiudicato realismo. La separazione della politica dalla teologia e dalla metafisica, già avviata da Marsilio da Padova, raggiunge nel pensiero di Machiavelli dei livelli di notevole emancipazione che dettero poi luogo a molte discussioni e polemiche. Funzionario della Repubblica fiorentina negli anni travagliati in cui l’Italia era oggetto delle ambizioni di conquista dei re di Francia e di Spagna, nonché degli imperatori della casata degli Asburgo d’Austria, con metodo già scientifico elaborò una visione dello Stato che si alimentava a due fondamentali sorgenti: la sua esperienza di grande diplomatico, frequentatore delle corti straniere, consapevole degli sviluppi storico politici in atto in Europa e del formarsi di monarchie nazionali centralizzate; la sua conoscenza della storia antica, dalla quale traeva incessantemente lezioni da applicare nella concreta situazione presente. Machiavelli: l’approccio laico alla questione del potere. Sotto entrambi questi aspetti, Machiavelli rappresenta l’esempio più notevole di quella laicizzazione della cultura che l’Umanesimo aveva avviato. Ed è grazie a questa sua consapevolezza laica che egli seppe mettere a punto un metodo che può essere considerato l’equivalente, negli studi storico-sociali, di quello che Leonardo da Vinci stava mettendo a punto per gli studi sulla natura. La sua attenzione alla «realtà effettuale», cioè alla concreta realtà dell’esperienza, e la sua capacità di scindere completamente la riflessione sulla politica da qualsiasi presupposto teologico o metafisico, gli danno la possibilità di teorizzare per primo, superando d’un balzo il moralismo idealistico della trattatistica politica del Quattrocento ( Approfondimenti), il significato nuovo, autonomo e «scientifico» della «virtù politica». Essa non ha più nulla a che vedere con il tradizionale elenco delle virtù morali che riguardano il comportamento individuale ma nulla hanno a che vedere con le finalità e le procedure di uno Stato moderno. Machiavelli: «realtà effettuale» e teoria. L’opera più celebre del Machiavelli, il Principe (1513), nasce dall’esigenza di rispondere nell’immediato ad una situazione storica che stava portando l’Italia alla rovina politica (la «ruina»), mentre potenti e unitari Stati moderni, fondati su una nuova concezione centralistica e anti-feudale della monarchia, stavano diventando protagonisti della storia europea. L’intento di Machiavelli è quello di fornire indicazioni pratiche ad un «principe» che prenda l’iniziativa di unificare il territorio della penisola, la cui prosperità economica e culturale maschera l’imminente declino politico causato dal policentrismo, dal frazionamento territoriale e dal particolarismo conflittuale. Machiavelli sembra ritenere possibile, ma soprattutto necessario, che l’Italia, non ancora concepita come «nazione» ( Approfondimenti), ma soltanto come potenziale Stato moderno, possa essere unificata e governata da un monarca che imiti gli altri sovrani «assoluti» dell’Europa occidentale (per assolutismo politico Glossario e anche Sezione 2, Unità 2, Capitolo 1). Machiavelli: virtù e fortuna. Tuttavia, nonostante l’occasionalità e l’urgenza della composizione, il trattato riveste un’importanza teorica fondamentale nel delineare le caratteristiche di un’analisi scientifica della politica, fondata su alcuni capisaldi concettuali: 1. al di là delle facili idealizzazioni, che guardano più a come si dovrebbe vivere che a come si vive di fatto, il comportamento umano è ispirato da una natura profondamente egoistica, che lo spinge all’inganno, alla sopraffazione, alla malvagità; 2. la finalità fondamentale dello Stato è quella di tenere a freno il naturale egoismo umano, obbligandolo o convincendolo a convivere in funzione della comune utilità; 3. il compito di chi governa, sia esso un monarca o un governatore eletto ( Approfondimenti), è quello di mantenere la sicurezza e la pace nella società, facendo funzionare al meglio lo Stato; 4. le virtù del governante debbono essere commisurate soltanto al funzionamento dello Stato: non si tratta di virtù morali individuali private, ma di virtù «tecnico - professionali» di buon amministratore della sicurezza e della 32 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 pace pubblica; in questo senso, nella situazione storica dell’epoca e considerando il naturale egoismo umano, certi vizi morali (la frode, l’inganno, il tradimento) possono realisticamente diventare virtù atte a sconfiggere gli avversari politici o i nemici stranieri che minacciano l’integrità dello Stato: perciò la forza del leone e l’astuzia della volpe (il «lione» e la «golpe») possono essere spesso necessarie e risultano giustificate dal fine 14 che ci si prefigge, fine esclusivamente politico. 5. la virtù deve comunque sempre fare i conti con la fortuna, cioè con quell’insieme di eventi naturali e di circostanze storiche che dipendono dall’agire altrui, quindi con la buona o avversa sorte che non può essere sotto il controllo e le possibilità di previsione dell’uomo politico anche il più accorto e previdente: in linea di massima Machiavelli attribuisce alla virtù (intelligenza, forza, astuzia, ecc.) un potere di condizionare gli eventi pari a circa il 50%, mentre l’altra metà la riserva alla fortuna ( Approfondimenti). Per concludere questa breve sintesi ( Approfondimenti), osserviamo che: Molti di questi temi saranno oggetto di un articolato dibattito e ripresi in seguito da Thomas Hobbes ( Sezione 2, Unità 2, Capitolo 1). A differenza delle scienze della natura, che si reggono sull’esperienza e sulla ricerca di leggi generali che consentano di descrivere e prevedere le relazioni tra gli eventi ( Sezione 1, Unità 3, Capitolo 1), la nuova scienza politica, che pure si fonda sull’esperienza e va in cerca di leggi generali del comportamento umano, nasce con consapevolezza della fondamentale imprevedibilità degli eventi storico – sociali (tema che dovremo riprendere più avanti). La teorizzazione di tale imprevedibilità, unita alla lucida consapevolezza della complessità della realtà e al rifiuto delle certezze e delle generalizzazioni, è propria dell’altro grande uomo politico e saggista dell’epoca, Francesco Guicciardini (1483 – 1540) per il quale rimandiamo agli Approfondimenti. Nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, opera scritta tra il 1513 e il 1519, Machiavelli sviluppa riflessioni politiche di natura teorica più generale (meno legate alla fase contingente della storia d’Italia, come era Il Principe). Qui egli appare l’iniziatore della moderna storiografia, traendo dalla storia romana gli esempi da imitare e ricreare, adattandoli ai tempi. Inoltre, si ispirò allo storico Polibio (206 – 124 a.C.) e al VI libro delle sue Storie, in cui elogiava il perfetto assetto istituzionale dello Stato romano: una Costituzione mista contenente elementi di tutt’e tre i possibili governi (monarchia, aristocrazia, politèia; cfr. Aristotele Volume 1 Sezione 1 Unità 4 Capitolo 3 Paragrafo 2), modello che anche l’illustre fiorentino sembra apprezzare ( Approfondimenti). L’utopia. La progettualità utopica, molto diffusa nel Rinascimento, assume il suo nome dall’opera Utopia (che letteralmente, dal greco ou-topos, significa «non luogo», «luogo che non esiste»), scritta da Thomas More (Londra, 1478 – 1535) intorno al 1516, negli stessi anni in cui Machiavelli elaborava i suoi Discorsi e li interrompeva temporaneamente per dedicarsi al Principe. More fu umanista di livello europeo, amico di Erasmo da Rotterdam, e occupò numerose cariche pubbliche, compresa quella di Lord Cancelliere d’Inghilterra tra il 1529 e il 1532 sotto il re Enrico VIII. Cattolico, rifiutò di accettare l’Atto di Supremazia del re sulla Chiesa anglicana 15. Ciò segnò la fine della sua carriera politica e lo condusse alla pena capitale con l’accusa di tradimento. La Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana lo venerano come santo. Sembra che vi sia un abisso tra il realismo di Machiavelli e il progetto di una città ideale del More. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. La dimensione utopica non va confusa con quella utopistica. Quest’ultima è la tendenza a proiettare in un futuro immaginario e fantastico («utopismo», Glossario) un modello ideale di società pressoché irrealizzabile. Ma l’atteggiamento utopico (non utopistico) dell’autore ha una funzione progettuale ben diversa ed è profondamente radicato nella realtà, di cui svolge un’accurata analisi polemica. La descrizione di una società immaginaria svolge, infatti, un ruolo fortemente critico verso l’epoca presente, nei confronti degli assetti sociali, economici, giuridici e 14 «Il fine giustifica i mezzi» è la celebre formula con cui è stata semplificata la teoria del Machiavelli, nei cui scritti questa frase non compare mai. 15 La Riforma della Chiesa anglicana, che nel 1534 sottopose il clero inglese alla monarchia, per iniziativa del re Enrico VIII con l’Act of Supremacy, ebbe un carattere prevalentemente politico e non intaccò sostanzialmente la dottrina né l’apparato gerarchico ecclesiastico. 33 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 politici dell’Inghilterra contemporanea. Il modello ideale propone dunque soluzioni, anche se in forma futuribile, ai problemi di una società che nella sua realtà concreta è ben lontana dai valori umanistici a cui il More è stato educato. Tra i capisaldi della dottrina di More, attuati nell’isola di Utopia: L’abolizione della proprietà privata, fonte di tutte le disuguaglianze e principale ostacolo al raggiungimento dell’utilità comune attraverso la solidarietà, tema che sarà ripreso con vigore nell’Ottocento ( Volume 3); Il diritto al lavoro, per un massimo di 6 ore al giorno; L’obbligo per tutti al lavoro produttivo primario (agricoltura) in turni biennali; Il diritto al tempo libero, in cui coltivare gli interessi personali; L’importanza dello studio della filosofia e delle scienze per tutti, per educare alla «libertà dello spirito e della cultura»; o in particolare, le responsabilità di governo dovrebbero essere assegnate a coloro che si distinguono per capacità intellettuali e per dedizione al sapere; Il diritto di tutti ad appagare pienamente i propri bisogni e aspirazioni; La tolleranza religiosa, la libertà di culto per qualsiasi tipo di fede, ferma restando la necessità di credere nell’immortalità dell’anima e nella Provvidenza divina, perché: o credere «che l’anima perisca col corpo» costituirebbe un grave svilimento della dignità umana, cosa che per l’umanista More appare inaccettabile; o credere «che il mondo vada innanzi a caso» è altrettanto impensabile per la sua formazione profondamente religiosa, in nome della quale andrà incontro al martirio, nel nome di quelle «guerre di religione» che egli invitava a superare; tali guerre insanguineranno l’Europa ancora per più di un secolo, ma rinacquero più forti di prima gli ideali di tolleranza e di libertà di culto ( Sezione 2, Unità 3, Capitolo 2, e inoltre Sezione 2 Unità 4 Capitolo 1), posti dal More alla base della convivenza civile, e si imporranno dopo alcuni secoli nella coscienza europea e mondiale. Al modello utopico e critico - progettuale rappresentato dalla sua opera si ispirarono in seguito anche il suo connazionale Francis Bacon ( Unità 3, Capitolo 2, Paragrafo 5) con la Nuova Atlantide (1626) e, prima ancora, il filosofo calabrese Tommaso Campanella ( Unità 2 Capitolo 2 Paragrafo 2) con La città del sole (1602). PARAGRAFO 6. IL RINNOVAMENTO RELIGIOSO E LA CONTRORIFORMA Dalla grande rinascita umanistica e dal profondo bisogno di ritrovare le antiche radici della civiltà umana non fu certo esente la religione e il bisogno di una «riforma» coinvolgeva profondamente la Chiesa cristiana. Lo spirito umanistico determinò anche la riscoperta filologica delle Sacre Scritture e dei testi originali dei Padri della Chiesa. Se ne fecero nuove traduzioni e se ne portò alla luce il significato più autentico. L’esigenza di ritorno alle origini del Cristianesimo, alle sue fonti primarie, richiedeva un profondo rinnovamento della Chiesa cristiana istituzionale, la cui predicazione aveva perso la vitalità originaria e si era fissata in un formalismo spesso puramente esteriore e nella fossilizzazione della Scolastica medioevale, ormai priva di vitalità. A questa spinta riformatrice della cultura teologica cristiana, di matrice filologica, si saldava un’antica esigenza di molti movimenti ereticali, che anche di recente si erano di nuovo espressi con John Wycliff (1320 – 1384), in Inghilterra, e con Jan Huss (1369 – 1415) ed il suo allievo Girolamo da Praga (1370 – 1416), in Boemia: quella di combattere la corruzione della gerarchia ecclesiastica, divenuta un sistema di potere politico ed economico, e di ritrovare la semplicità di vita evangelica del Cristianesimo primitivo. Rendeva sempre più urgente un profondo rinnovamento il vero e proprio «mercato delle indulgenze»: in sostanza, ormai si comprava letteralmente il perdono dei peccati e la salvezza eterna, anche senza pentimento e senza compiere opere meritorie, caritatevoli e buone, sostituite da offerte in denaro. Erasmo da Rotterdam. Il primo aspetto fu incarnato soprattutto da un’autorevole figura di umanista, Desiderio Erasmo (Rotterdam, 1466 – Basilea, 1536; nell’immagine il suo ritratto, opera del 1523 di Hans Holbein il Giovane, conservato alla National Gallery di Londra). Nella sua importante opera Elogio della follia (1509), Erasmo esaltava con acuta ironia la geniale creatività e libertà dai limiti di una ragione di derivazione «scolastica» che vorrebbe, presuntuosamente e vanamente, tutto spiegare. La follia, che recupera il senso della platonica «mania», madre della vera sapienza ( Approfondimenti Volume 1), è anche 34 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 l’autentica fede cristiana, che non ha bisogno di complesse dimostrazioni teologiche: essa, infatti, si alimenta soltanto della passione militante nella religione dell’amore, come già sosteneva nell’altra importante opera del 1503, Il manuale del soldato cristiano ( Approfondimenti). Come ha scritto Alberto Tenenti (1966) l’influsso dell’opera di Erasmo fu notevole nell’Europa dell’epoca: «Erasmo non ha scritto a caso l’Elogio della follia; esso rientra nel suo meditato piano di restaurazione morale, religiosa e culturale. Egli, infatti, si sente ancora cristiano: ma, come un alarga parte dell’élite intellettuale e sociale del suo tempo, intende promuovere una religione nettamente diversa da quella che passa sotto tal nome. Prima di Lutero, ha chiaramente tracciato un programma che esercitò una vastissima seduzione sui laici colti e sui numerosi ecclesiastici del Cinquecento. Ogni paese d’Europa, dalla Spagna alla Polonia, dall’Inghilterra all’Italia, attraverso i Paesi Bassi, la Francia, la Svizzera e la Germania, ebbe i suoi attivi, convinti e spesso influenti erasmiani. La loro azione fu notevolissima, e non solo in ristrette cerchie di eruditi». In polemica con Martin Lutero, di cui parliamo subito dopo, Erasmo pubblicò anche un’opera dal titolo De libero arbitrio, in cui sostenne un tema umanistico fondamentale, quello della dignità e della libertà dell’uomo, artefice del proprio destino e responsabile, con le opere buone, della propria salvezza eterna. La Riforma protestante: Martin Lutero. Per il secondo aspetto del rinnovamento religioso, fu il monaco agostiniano tedesco Martin Lutero ad assumere il ruolo di protagonista, dando vita ad un evento rivoluzionario epocale, che distrusse definitivamente l’unità del Cristianesimo europeo occidentale e produsse profonde trasformazioni nell’assetto sociale, economico e politico del continente ( Approfondimenti). Martin Luther (Lutero in italiano, 1483 – 1546; nell’immagine il suo ritratto, opera del 1529 di Lucas Cranach), monaco agostiniano dalla profonda preparazione teologica, divenne professore di teologia a Wittenberg, nell’Università da poco fondata dal principe elettore di Sassonia Federico III detto il Saggio. Sulla porta della Cattedrale di Witenberg il 31 ottobre del 1517 affisse le 95 tesi destinate a cambiare per sempre le sorti del Cristianesimo. Intriso di una religiosità ancora medioevale, vissuta drammaticamente, trovò nei passi di Paolo di Tarso e Agostino di Ippona l’ispirazione per sviluppare quella che ritenne la più autentica interpretazione dei testi sacri. I punti fondamentali della dottrina di Lutero sono i seguenti: 1. La salvezza eterna e la redenzione dal peccato sono opera della predestinazione divina e della sua grazia concessa agli eletti; 2. L’onnipotenza e la predestinazione divina escludono il libero arbitrio: l’unica libertà per il fedele è l’asservimento al volere divino (servo arbitrio); 3. La fede è dono di Dio e l’abbandono ad essa è la conseguenza della grazia divina che, sola, giustifica il peccatore, riscattandolo dal peccato originale e dalla naturale malvagità umana; 4. Le opere buone non sono utili alla salvezza eterna che dipende dalla sola fede e, in ultima analisi, dalla grazia concessa da Dio: tali opere sono dunque conseguenza della predestinazione eterna alla salvezza, non causa; 5. Le vere opere buone sono quelle della vita sociale: la vera fede si esplica nell’impegno civile e nel lavoro, non negli aspetti rituali dell’ormai degenerata religione cristiana ufficiale e tanto meno nell’isolamento monastico dal mondo; 6. La vita religiosa consiste nel rapporto diretto del fedele con le Sacre Scritture, con la parola di Dio (dottrina del libero esame), che non ha bisogno della mediazione esplicativa della gerarchia ecclesiastica e del clero; 7. Ogni fedele è sacerdote di se stesso (dottrina del sacerdozio universale); 8. Il clero non ha alcuna funzione, dal momento che la fede è un rapporto diretto del fedele con Dio; 9. Gli unici sacramenti che hanno valore sono quelli istituiti direttamente da Gesù Cristo, il battesimo e l’eucarestia. Si tratta di temi che già erano stati in parte svolti da Wycliffe e Huss poco più d’un secolo prima, ma che trovano in Lutero una decisa coerenza dottrinale e un terreno molto fertile in cui attecchire. La loro lontana origine risiede nell’interpretazione rigida e radicale delle prime elaborazioni concettuali della fede cristiana e della grazia divina, cui Lutero si riferì espressamente, quella di Paolo di Tarso e quella di Agostino di Ippona ( Volume 1, Sezione 2). 35 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 Il forte contrasto sulla questione del servo arbitrio o del libero arbitrio con l’autorevole Erasmo da Rotterdam svela chiaramente una caratteristica che è stata considerata anti-umanistica e anti-rinascimentale del pensiero luterano. Nonostante ciò, per quanto il luteranesimo sia ancora l’espressione di una concezione in parte medioevale della vita e del peccato, che contrasta con l’esaltazione dell’autonomia umana tipica dei tempi nuovi, non si può negare che faccia comunque parte a pieno titolo del più generale rinnovamento in atto promosso dall’Umanesimo. Ha scritto opportunamente Erich Auerbach (1946): «[…] Umanesimo e Riforma sono nati da una stessa necessità: quella di risalire alle sorgenti pure, eliminando i ruderi della tradizione che vi si erano sovrapposti: come l’Umanesimo escluse la scienza medioevale che aveva deformato e adattato ai suoi bisogni la cultura antica […], la Riforma cercò di liberare il Cristianesimo dal cumulo di tradizioni secondarie da cui era stato ricoperto in quindici secoli di sviluppo, e di risalire alle fonti pure dei Vangeli». In particolare, la dottrina del libero esame ebbe una funzione propulsiva nella ricerca di un’esperienza religiosa più interiorizzata e diede i suoi frutti sul piano della riflessione morale anche a secoli di distanza ( Sezione 2 Unità 8). Grande impulso alla modernità lo dette anche la concezione della religiosità come impegno sociale, come attività mondana, sviluppata soprattutto da altri riformatori come Zwingli e Calvino (vedi oltre). Non si può nemmeno trascurare il forte messaggio di uguaglianza sociale, destinato a notevoli sviluppi nel corso dei secoli, contenuto nella dottrina del sacerdozio universale. Si deve inoltre sempre tener conto della complessità degli eventi storici e socio-culturali che non possono essere ricondotti ad un solo rigido schema esplicativo. In ogni caso, la dottrina luterana, condannata dalla Chiesa romana, rispondeva ad esigenze profonde della società tedesca a vari livelli e si diffuse rapidamente nella Germania ancora semi-feudale, innescando una serie di reazioni a catena sia sul piano propriamente religioso sia su quello sociale, economico e politico, con rivolte di cui furono protagonisti per motivi diversi sia i prìncipi sia i contadini ( Approfondimenti). La Riforma protestante: Zwingli. Anche nella Confederazione Elvetica si erano create condizioni economiche, sociali e politiche adatte al diffondersi della Riforma religiosa. Fu l’umanista Huldrych Zwingli (Wildhaus, 1484 – Kappel am Albis, 1531), che aveva intensi rapporti con Erasmo da Rotterdam, ad interpretare le tesi di Lutero nella direzione dell’universalità del Cristianesimo, mettendone in luce l’accordo con la più antica tradizione filosofica, sulla base di un principio teorico molto diffuso nell’Umanesimo italiano ( Sezione 1, Unità 2, Capitolo 1 Paragrafo 2 e Paragrafo 3). Egli accolse pressoché tutte le teorie di Lutero, limitando ulteriormente il valore dei sacramenti, ridotti a riti simbolici. Predicò il ritorno ad una comunità cristiana di ispirazione evangelica, progettando un rinnovamento sociale e politico profondo nel nome dei principi della fratellanza universale. Come quella di Lutero la sua predicazione diede grande impulso all’impegno sociale e civile. La Riforma protestante: Giovanni Calvino. Ma l’influsso più profondo e diffuso sulla società europea lo ebbero le dottrine di Giovanni Calvino (italianizzazione di Jean Cauvin, 1509 – 1564), avvocato, umanista e studioso di teologia, nato in Francia e rifugiatosi a Ginevra dopo aver accolto la Riforma. La sua dottrina si fonda soprattutto sulla concezione della doppia predestinazione teologica, che sviluppa e rafforza alcune tesi di Lutero: 1. La salvezza eterna e la redenzione dal peccato sono opera della predestinazione divina e della sua grazia concessa soltanto agli eletti, ai quali è data la fede e che sono scelti dall’eternità, senza alcun riguardo alle opere; 2. Il successo nella vita terrena, nel mestiere o nella professione che il fedele svolge, è frutto della predestinazione divina, non dell’impegno del singolo, ed è segno dell’elezione, cioè della destinazione alla salvezza eterna. Con questi capisaldi, la dottrina calvinista, che a Ginevra (nella cui Biblioteca è conservato il ritratto del grande riformatore; vd. immagine a lato) istituì un modello di Città – Stato fondata sui nuovi valori etico – religiosi, irradiò nell’Europa della borghesia in ascesa, dedita agli affari e ai traffici, l’idea che l’iniziativa privata, il lavoro, il guadagno, il profitto, la produzione della ricchezza, l’impegno civile nella società e nelle attività economiche non 36 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 soltanto fossero benvolute da Dio ma costituissero perfino la più autentica forma di religiosità e di testimonianza della gloria di Dio, superando definitivamente ogni tipo di ascetismo e misticismo di origine medioevale ( Approfondimenti). Infatti, il credente non deve abbandonarsi alla rassegnazione e al fatalismo, ma impegnarsi a fondo nella missione terrena che Dio gli ha affidato, per ricercare in se stesso e nel proprio successo professionale, sociale ed economico i segni dell’elezione divina. Calvinismo e Cattolicesimo. In questo senso, il calvinismo molto più del luteranesimo, si poneva su una linea di continuità diretta con la valorizzazione della vita terrena, motivo centrale dell’Umanesimo e del Rinascimento e, con la sua etica del lavoro, dava così il suo contributo più rilevante alla cultura occidentale. In effetti, dal calvinismo, diffusosi rapidamente preso i ceti più agiati di Francia, Inghilterra, Scozia, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria, si sviluppò successivamente la nuova etica del nascente capitalismo ( Glossario), di cui parleremo più avanti. Rimasero invece tagliati fuori da questo tipo di sviluppo moderno del capitale, anche per una serie di complessi fattori politici ed economico – sociali, i Paesi rigidamente cattolici, in cui non poté penetrare la nuova mentalità religiosa riformata, come la Spagna, il Portogallo e anche gli Stati regionali italiani, inglobati nel Cinquecento nell’orbita spagnola. Nel cattolicesimo, prevaleva infatti una condanna moralistica e spesso ipocrita dell’attività economica finalizzata al guadagno. Inoltre, nella dottrina della predestinazione, il perdono dei peccati sulla base delle opere buone, tipico dell’etica cattolica, viene semplicemente eliminato. Ne consegue che l’indulgenza nei confronti del peccatore, l’appello alla misericordia divina e il possibile lassismo morale che ne deriva ( Glossario), non sono nemmeno pensabili nell’ambito dell’etica riformata, in cui onestà, rettitudine morale e virtù non sono comportamenti «contrattabili» ( Approfondimenti). Altri riformatori. È opportuno ricordare brevemente altri precursori e seguaci della Riforma protestante. Tra i primi una certa importanza l’hanno avuta: 1. Jacques Lefèvre d’Étaples (1455 – 1536), interprete di Aristotele e della Bibbia in nome di un nuovo ideale umanistico; 2. Charles de Bovelles (o Carlo Bovillo, 1475-1553), umanista neoplatonico francese, molto influenzato dal pensiero di Marsilio Ficino ( Unità 2, Capitolo 1 Paragrafo 2) e Giovanni Pico della Mirandola ( Unità 2 Capitolo 1 Paragrafo 3); 3. Thomas More (Londra, 1478 – 1535), umanista di livello europeo di cui abbiamo già parlato nel Paragrafo 5; 4. Rudolph Agricola (1442-1485), professore di filosofia ad Heidelberg, iniziatore dell’Umanesimo in Germania; 5. Giovanni Reuchlin (1455 - 1522), uno dei più importanti umanisti ed ebraisti tedeschi del tempo, zio di Filippo Melantone, che fu a sua volta il più importante seguace di Lutero. Tra i seguaci vanno ricordati: 1. Filippo Melantone, nome italianizzato di Philipp Melanchthon (Bretten, – Wittenberg, 1560), umanista e riformatore, seguace di Lutero, è il vero sistematore delle dottrine del maestro, autore della Confessione di Augusta (1530), in cui viene formalizzato il «credo» ufficiale luterano. È anche l’ispiratore dell’organizzazione della Chiesa riformata luterana. Da vero umanista cercò di recuperare il legame del Cristianesimo con l’antica tradizione filosofica platonica e aristotelica. Cercò anche una mediazione con il cattolicesimo romano, rivalutando l’importanza delle opere; 2. Jakob Böhme (1575 – 1624) fu molto influenzato dal pensiero mistico di Meister Eckhart ( Volume 1) e dalla magia naturale di Paracelso ( Paragrafo 3), fornendo un’interpretazione magico - mistica della Riforma; 3. Lelio Socini (1525-1562) e suo nipote Fausto Socini (1539-1604) furono i più importanti esponenti della Riforma in Italia e dettero vita al Socinianesimo, una forma di interpretazione razionale delle Sacre Scritture, che negò i principali dogmi cristiani non dimostrabili su base razionale e teorizzò la libertà di coscienza, il rispetto e la tolleranza nei confronti di tutte le religioni. La Controriforma cattolica. La reazione della Chiesa romana non tardò a manifestarsi e, dopo alcuni tentativi di conciliazione ad opera di Melantone, le posizioni reciproche si irrigidirono e fu indetto il Concilio di Trento (1545- 37 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 1563), con il quale si ribadivano i dogmi fondamentali della dottrina e la validità dell’assetto gerarchico istituzionale della Chiesa. Riprese la lotta all’eresia con la restaurazione della Santa Inquisizione fondata ufficialmente all’inizio del XIII secolo da Innocenzo III, per indagare e punire, mediante un apposito tribunale, i sostenitori di teorie considerate contrarie all’ortodossia cattolica. Fu istituita anche la Congregazione dell’Indice, con lo scopo di vigilare sulla pubblicazione di libri pericolosi per la fede e ordinarne la distruzione. Furono così inseriti nell’Indice dei libri proibiti e bruciati numerosi testi, sia religiosi che scientifici e filosofici. Inoltre tutte le nuove pubblicazioni dovevano essere sottoposte ad una forma di censura preventiva da parte delle Curie vescovili, che ne autorizzavano eventualmente la stampa apponendo il famigerato timbro «Imprimatur» («Si stampi»). La Controriforma cattolica e l’esaurirsi del Rinascimento in Italia. La gravità di queste iniziative fu tale che la libertà di pensiero e di ricerca scientifica e filosofica subì un durissimo colpo nei Paesi, come la Spagna e, soprattutto, l’Italia, in cui la Controriforma cattolica ebbe il sopravvento su tutte le altre forme di cultura ( Unità 2 Capitolo 3 Paragrafo 6 e Unità 3 Capitolo 3 Paragrafo 6). Il declino culturale del Rinascimento italiano fu inevitabile e lo splendore delle arti e delle lettere divenne pura forma esteriore, mentre gli autentici motivi di innovazione furono accolti in quelle zone d’Europa in cui lo spirito di Riforma aveva portato con sé una ventata di libertà, potenziando quel fervore di rinnovamento culturale che l’Umanesimo e il Rinascimento avevano fatto rinascere. La «Riforma» cattolica. Nell’ambito del cattolicesimo romano vi furono comunque esigenze di rinnovamento profondo che nascevano dal basso, dalla comunità cristiana. Tali spinte verso una riforma morale della Chiesa si espressero nella nascita di nuovi ordini religiosi, impegnati nell’assistenza ai bambini, ai poveri e ai malati16, o nell’evangelizzazione e nella predicazione. In quest’ultimo compito, rivolto alla conversione dei popoli extraeuropei, anche quelli di recente scoperta, si distinse la Compagnia di Gesù. I Gesuiti (così vennero detti), fondati nel 1540 da Ignazio di Loyola, un soldato spagnolo, ebbero un’organizzazione ispirata alla rigida disciplina militare. Essi furono anche oggetto di polemiche teologico – etiche piuttosto accese, come vedremo parlando di Blaise Pascal ( Sezione 2, Unità 3, Capitolo 1). Nel campo propriamente filosofico, riprese vigore il tomismo, grazie a: Luigi Molina (1535-1600), che si impegnò nella polemica sul libero arbitrio, con i riformati e con altre tendenze religiose cattoliche sospettate di eresia (come il giansenismo Sezione 2, Unità 3, Capitolo 1, Paragrafo 1), dimostrandone la compatibilità con la prescienza divina, in chiave tomistica; Francesco Suárez (1568-1617), che accolse la dottrina del potere politico derivante dal popolo per subordinarla al potere religioso di diretta derivazione divina. 16 Tra di essi possiamo ricordare in particolare i Cappuccini, che si ispiravano al francescanesimo, i Fatebenefratelli, fondatori di celebri ospedali, i Barnabiti e gli Scolopi, specializzati nell’istruzione. 38 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 HAI IMPARATO CHE ... 1. IN UN CONTESTO STORICO CHE CAMBIA, LA CIVILTÀ E LA CULTURA SI RINNOVANO PROFONDAMENTE. 2. LA RISCOPERTA DELLA CIVILTÀ E DELLA FILOSOFIA CLASSICHE GUIDANO IL PROCESSO DI RINNOVAMENTO. 3. LA CULTURA E LA FILOSOFIA SI RENDONO AUTONOME DALLA TEOLOGIA E DALL’ISTITUZIONE ECCLESIASTICA. 4. I NUOVI INTELLETTUALI SONO LAICI E OPERANO FUORI DALLE UNIVERSITÀ, FONDANDO NUOVE ISTITUZIONI DETTE ACCADEMIE. 5. LA CULTURA VALORIZZA L’UOMO NEL MONDO E NELLA VITA TERRENA. 6. IL MOVIMENTO DELL’UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO È UN FENOMENO SOPRATTUTTO ITALIANO ALL’INIZIO. 7. LE SCOPERTE GEOGRAFICHE APRONO NUOVI ORIZZONTI E TRASFORMANO SOCIETÀ, ECONOMIA E MENTALITÀ. 8. ANCHE LA CONCEZIONE DELL’UNIVERSO CAMBIA TOTALMENTE. 9. ALCHIMIA, ASTROLOGIA, MAGIA HANNO UN’IMPORTANTE FUNZIONE DI POTENZIAMENTO DELLA RICERCA NATURALISTICA. 10. SI FORMA UNA NUOVA NATURALISTICA E SCIENTIFICA. MENTALITÀ 11. ANCHE LA SOCIETÀ E LA POLITICA SONO OGGETTO DI ORIGINALI RIFLESSIONI TEORICHE E PROGETTI DI RINNOVAMENTO. 12. LA RELIGIONE CRISTIANA SI RINNOVA E SI TRASFORMA PROFONDAMENTE; L’UNITÀ DEL CRISTIANESIMO EUROPEO SI FRANTUMA. 39 Percorsi della filosofia Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3 OMISSIS 40 Percorsi della filosofia Sezione 3 Sezione 3 – La crisi della modernità Con la rivoluzione culturale del Romanticismo e dell’Idealismo la modernità giunge alla sua svolta epocale. Il doppio dualismo che ha contrassegnato la filosofia moderna viene ricomposto e la metafisica classica entra in una crisi profonda, che apre la strada ad un complessivo ripensamento dei valori fondanti della civiltà occidentale. Una coscienza più precisa del divenire storico e della irriducibilità del reale a schemi omogenei e unitari emerge sempre più chiaramente, pur con qualche incertezza. L’Idealismo, uno degli ultimi grandi tentativi di comprendere tutta la realtà razionalmente, contiene già in sé i germi del proprio sviluppo dialettico successivo. Romanticismo e Idealismo Hegel Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia (1818), Amburgo, Kunsthalle 320 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 1 UNITÀ DIDATTICA 1. ROMANTICISMO E IDEALISMO PREREQUISITI [ Conoscere ed aver compreso: le modalità con cui Kant ha chiuso la parabola della filosofia moderna, aprendo una nuova epoca del pensiero –- la «rivoluzione copernicana» con cui ha risolto il dualismo gnoseologico moderno – le modalità con cui ha superato il dibattito tra razionalismo ed empirismo – la posizione metodologica del criticismo che rifiuta dogmatismo e scetticismo – la sua originale fondazione teoretica della scienza moderna – la giustificazione teoretica della crisi della metafisica - la sua capacità di rendere rigorosi i temi dell’Illuminismo e di anticipare i futuri motivi del Romanticismo – la sua capacità di operare una svolta anche nei dibattiti sull’etica, l’estetica e la politica – il suo modo rigoroso di studiare tutte le componenti della personalità umana: intelletto, ragione, coscienza morale e sentimento Conoscere e saper utilizzare il lessico specifico della disciplina ] OBIETTIVI [ Conoscere e comprendere: il nuovo clima culturale del Romanticismo – i caratteri generali del Romanticismo – le dottrine dei romantici - lo sviluppo del criticismo kantiano nell’Idealismo tedesco – i concetti fondamentali del pensiero di Fichte e Schelling – il significato della dialettica nel pensiero di Fichte e Schelling - gli sviluppi dell’idealismo nel passaggio da Fichte a Schelling –- il superamento definitivo dei dualismi, gnoseologico e ontologico, avviato dai pensatori romantici e idealisti – la nuova concezione della scienza nel pensiero idealistico rispetto alla scienza moderna – il superamento dell’intelletto illuministico kantiano nel pensiero romantico e idealistico – il superamento del meccanicismo deterministico – Conoscere e saper utilizzare il lessico specifico della disciplina ] CAPITOLO 1. IL ROMANTICISMO Il Romanticismo costituì una profonda rivoluzione della cultura e e della sensibilità che, da un lato, sviluppò e approfondì temi e motivi già affrontati dall’Illuminismo, dall’altro si oppose, a volte con qualche eccesso, all’astratto intellettualismo dell’Età dei Lumi, al suo universalismo, valorizzando la soggettività, le identità nazionali, i processi storici, la natura vivente, l’organicismo, il finalismo, il sentimento, le componenti irrazionali della personalità umana, la fede in una Provvidenza naturale e storica, una ragione concreta e dialettica, non empiristica né meccanicistica. PARAGRAFO 1. CARATTERI GENERALI DEL ROMANTICISMO Il Settecento fu il secolo dell’Illuminismo, ma già nei suoi ultimi decenni si diffuse in Europa, dall’Inghilterra e dalla Germania, una sensibilità nuova e rivoluzionaria che si contrappone in parte a quella dei philosophes e che avrà influssi molto profondi su tutta la civiltà contemporanea. Dal criticismo al Romanticismo e all’Idealismo. Nel pensiero stesso di Kant, che rappresenta il culmine della filosofia moderna, si possono individuare gli elementi dell’avvio di una nuova epoca della cultura e della civiltà, caratterizzata dal Romanticismo e dall’Idealismo, un vasto e complesso movimento culturale ed un’originale corrente filosofica strettamente connessi tra loro. Ne hanno posto le basi proprio Kant, diversificando i propri percorsi di ricerca, e sulle sue tracce, un grande filosofo come Fichte ( Unita 9, Capitolo 2), che non a caso è ritenuto il «fondatore» sia del Romanticismo che dell’Idealismo. 321 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 1 Illuminismo e Romanticismo. Per inquadrare la peculiarità del Romanticismo (e dell’Idealismo) rispetto all’Illuminismo può essere utile sviluppare le conseguenze di quel residuo dualismo, tra fenomeno e noumeno, che permane nel criticismo kantiano. Intorno ad esso si strutturano altri dualismi e altre contrapposizioni: a. Da una parte, c’è l’intelletto, la facoltà che consente la solida conoscenza del relativo e del finito, la razionalità illuministica, ancorata alla dimensione empirica; b. Dall’altra parte, troviamo: i. La ragione, la facoltà che aspira a conoscere l’assoluto e l’infinito, tesa a trascendere l’esperienza verso la dimensione metafisica; ii. La coscienza morale, che svela la dimensione noumenica dell’individuo, la sfera della libertà umana; iii. La fede pratica, che proietta l’umano in una dimensione divina ed eterna; iv. Il sentimento del bello e del sublime, che trasfigura la natura in una dimensione spirituale; v. Il sentimento finalistico, che apre la strada al superamento definitivo del meccanicismo. Il Romanticismo e l’Idealismo, che segnano il definitivo affermarsi in Europa della cultura e della filosofia elaborate nella Germania kantiana e post-kantiana17, pur con sfumature molto diverse nel pensiero e negli atteggiamenti polemici dei loro vari esponenti18, ridimensionano l’importanza dell’illuministico e scientifico intelletto astratto per valorizzare, con qualche eccesso, tutte le altre facoltà umane. Il che significa, in sintesi, rifiutare la finitudine e la relatività per proiettarsi verso l’infinito e l’assoluto: se c’è una caratteristica che può riassumere la comune sensibilità romantica, in un movimento culturale così vasto e complesso da essere ritenuto quasi indefinibile, è proprio in questo rapporto con l’Infinito e con l’Assoluto che può essere riconosciuta, in questa tensione costante, e infinita essa stessa, che prende la forma di: Streben, sforzo incessante e titanico verso il perfezionamento spirituale, morale, estetico o conoscitivo; Sensucht, desiderio inquieto di trascendere costantemente i limiti dell’umano; Ironia che, essendo consapevolezza rovesciata dell’infinità del desiderio e, quindi, della sua inappagabilità, nel rinvio continuo dal finito all’infinito, non può prendere «sul serio» nessuna realtà finita (secondo la formula usata da Hegel in una delle sue opere Unità, Capitolo 1). Non bisogna, tuttavia, pensare che il Romanticismo (considerato tutto sentimento, fede, coscienza morale, ragione, culto del bello e del sublime, finalismo) fosse diametralmente opposto all’Illuminismo (ritenuto tutto freddo intelletto). È più corretto considerare il Romanticismo come lo sviluppo e l’approfondimento, con modalità diverse e persino talora opposte tra loro, di studi già avviati nel Settecento e di concezioni già delineatesi nel corso dell’Età dei Lumi. È vero che alcuni aspetti del Romaticismo furono affrontati da un punto di vista quasi opposto rispetto all’approccio tipico dell’Età dei Lumi. È vero altresì che gli elementi di discontinuità furono netti su alcuni temi e contribuirono a creare il luogo comune della contrapposizione frontale tra i due movimenti culturali e tra i due periodi storici. Ma si deve pur sempre ricordare che la dialettica 19 storica tra Illuminismo e Romanticismo finì per consolidare le dinamiche socio-economiche e politiche che già si stavano delineando da tempo 20. Caratteri del Romanticismo. Dalla valorizzazione delle facoltà umane che trascendono l’intelletto scientifico 17 Il Romanticismo fu un fenomeno culturale che si irradiò soprattutto dalla Germania, ma che ebbe anche in Inghilterra una sua autonoma genesi, a partire dalla poesia sepolcrale e dal romanzo gotico, per poi confluire, con apporti peculiari e importanti sul piano letterario e anche filosofico, nel più generale movimento europeo ( Approfondimenti). 18 Il Romanticismo fu tutt’altro che monolitico e lo stesso si deve dire dell’Idealismo: le differenze e i contrasti, che in alcuni casi sfociarono in conflitti personali molto duri, furono rimarchevoli (ma, come sappiamo, il discorso vale anche per l’Illuminismo). 19 Furono proprio gli stessi romantico-idealisti ad elaborare il concetto di dialettica ( Capitolo 2) come principio esplicativo delle dinamiche storiche. 20 Pur con qualche colpo di coda delle antiche aristocrazie e delle monarchie di diritto divino, anche l’età romantica contribuì all’ascesa economico-politica della borghesia e al progressivo emergere del proletariato, nel contesto dell’espandersi in Europa della rivoluzione industriale e dell’affermarsi del capitalismo. 322 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 1 derivano una serie di altre caratteristiche peculiari del Romanticismo (e anche della filosofia idealistica, della quale ci occuperemo in modo più specifico): l’esaltazione dell’individualità e della soggettività sotto il duplice aspetto: o dell’attivismo morale; o del talento e del genio artistico, creativo, «folle»; l’importanza di quella soggettività comune, di quell’identità collettiva di tradizioni, lingua, civiltà e costumi che è il popolo, la nazione, con le sue radici storiche (contro alcune tendenze universalistiche dell’Illuminismo); da questa valorizzazione del popolo, del suo radicamento nel territorio e nella tradizione, trasse origine l’ambigua ideologia del nazionalismo, che nell’Ottocento ebbe un ruolo storico decisivo, nel bene e nel male: o da un lato, si coniugò col liberalismo nelle lotte per l’unità nazionale e per l’indipendenza dei popoli dalla dominazione straniera (come, per esempio, in Italia); o d’altro canto, si consolidò nel tempo (per esempio, in Germania come ideologia aggressiva nell’affermazione del primato di alcune nazioni su altre e sfociò nell’imperialismo ( Approfondimenti); l’ambivalenza delle dottrine politiche dei romantici, nell’oscillazione tra gli estremi delle istanze liberali, quasi anarco-individualiste ( Approfondimenti; Volume 3) e dello statalismo talora reazionario ( Approfondimenti); lo storicismo, che assegna al divenire storico una particolare centralità nella comprensione degli eventi umani individuali e collettivi (l’influsso delle concezioni storicistiche e delle relative conseguenze logiche e ideologiche fu molto rilevante nell’epoca successiva); l’importanza che assumono gli studi sul linguaggio, sia in relazione alla definizione delle identità nazionali, sia in riferimento alla sua peculiarità come espressione della creatività umana (in seguito la centralità del linguaggio nella riflessione filosofica si accentuerà sempre più Volume 3); la riscoperta del Medioevo (dimenticato e persino denigrato dagli illuministi) non solo come periodo d’origine delle nazioni moderne e della loro identità storico-culturale, ma anche come età dell’immaginazione, del sentimento e della fede (valori romantici per eccellenza); il mito dell’antica civiltà greca come età felice di equilibrio e di armonia tra uomo e natura, in continuità con il Neoclassicismo, di cui era stato fautore l’archeologo Johann Joachim Winckelmann (1717 – 1768) l’imporsi di una concezione provvidenzialistica della storia, che spesso, ma non sempre, assume la forma filosofica del panteismo; la spiritualità della natura, interpretata in una chiave vitalistica, organicistica, finalistica e talora magica (superando in modo definitivo il meccanicismo), come totalità viva e animata, con cui l’anima umana, che ne è parte, si trova in sintonia; la grande importanza concessa ai sentimenti, alle passioni, alle componenti irrazionali della personalità umana, alla potenza dei processi psichici inconsci; la centralità assoluta, tra tutti i sentimenti e le passioni, dell’amore come fusione carnale e spirituale di due esseri, come sintesi incarnata di finito e infinito. PARAGRAFO 2. I PRECURSORI DEL ROMANTICISMO Hamann. Johann Georg Hamann (1730 – 1788), concittadino e amico di Kant, fu un anti-illuminista convinto e, sulla base di alcune forzature interpretative, oppose la fede alla razionalità. L’obiettivo della sua polemica è la «ragione» della prima Critica kantiana ( Sezione 2, Unità, Capitolo 1) in nome della «fede» di Hume. L’estremizzazione dei due concetti da parte di Hamann è palese. Quella di cui parla Hume non è propriamente fede, ma credenza che deriva dalla regolarità dell’esperienza; mentre Kant distingue intelletto e ragione e, nelle Critiche successive, concede anche alla fede un importante spazio. L’esaltazione della fede come esperienza mistica, come rapporto immediato con Dio, in contrapposizione all’impotenza della razionalità tout court, senza tante sottigliezze, da parte di colui che fu soprannominato il «mago del Nord», ebbe comunque una certa influenza sui filosofi del suo tempo. Herder. Johann Gottfried Herder (1744 – 1803) ha criticato l’apriorismo kantiano ed ha sviluppato un’ampia e 323 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 1 acuta polemica nei confronti dell’universalismo illuminista, in cui è contenuto il rischio di trasformare l’umanità in un gregge assoggettato a principi troppo generali ed astratti. I suoi studi si sviluppano intorno ai temi del linguaggio (il vero «carattere distintivo» della razionalità e della socialità umane) e della storia delle nazioni. Le lingue hanno un carattere nazionale, riflettono il modo di essere e di pensare dei popoli. Le nazioni hanno, dunque, anch’esse caratteri peculiari e forniscono il loro specifico contributo alla storia dell’umanità. Herder elabora, in quest’ambito, il concetto di pregiudizio, come fattore di crescita e consolidamento dello spirito nazionale, tema che troverà un fondamentale sviluppo nel Novecento (Volume 3). Si tratta di un processo organico, in cui natura e cultura si fondono e si intrecciano, sotto la guida di una provvidenza immanente, che costituisce una riscoperta e reinterpretazione del panteismo di Spinoza, con notevoli ripercussioni su altri esponenti del Romanticismo e dell’Idealismo. La varietà delle sue ricerche ne fece anche un anticipatore di temi e argomentazioni che troveranno echi e approfondimenti nel Novecento ( Approfondimenti). Jacobi. Friedrich Heinrich Jacobi (1743 – 1819) sulla base della distinzione kantiana tra il condizionato (il fenomeno) e l’incondizionato (il noumeno) nega ogni valore alla ragione, fallace strumento di conoscenza del condizionato, ed esalta la fede, che apre alla dimensione dell’incondizionato. Tutto il razionalismo moderno è vittima di un errore fondamentale, che trova nel panteismo di Spinoza la sua formulazione più rigorosa: l’identificazione di Dio con la Natura, dell’incondizionato con il condizionato. In questo senso, il razionalismo e lo spinozismo, che ne è la forma più pura, sono delle forme di ateismo. Soltanto la fede consente l’accesso diretto alla verità assoluta del Dio trascendente ( Approfondimenti). La polemica su Spinoza sarà una delle componenti importanti del dibattito interno al Romanticismo. Lo Sturm und Drang. Un eccezionale valore di transizione tra Illuminismo e Romanticismo lo ebbe lo Sturm und Drang («Tempesta e Impeto»), movimento culturale tedesco in cui, sulla scorta delle suggestioni preromantiche già presenti tra i philosophes (Rousseau, soprattutto Sezione 2, Unità 6, Capitolo 3), già si agitano i motivi fondamentali del Romanticismo maturo. Ne fecero parte, tra gli altri, letterati e filosofi come Schiller e Goethe, di cui parliamo nel Capitolo successivo. PARAGRAFO 3. GLI ESPONENTI DEL ROMANTICISMO Schiller. Johann Christoph Friedrich von Schiller (1759 – 1805) è stato un poeta, drammaturgo, storico e filosofo che ha saputo cogliere e sviluppare gli spunti innovativi e «romantici» della kantiana Critica del giudizio ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3) per elaborare una teoria dell’arte come dimensione naturale e spirituale insieme, capace di integrare in armonia ed equilibrio le varie componenti della personalità umana, coscienti e inconsce, razionali e impulsive: questa è la funzione educativa che Schiller assegna all’arte, in un’epoca in cui un’umanità dissociata e quasi «stritolata» dagli spietati ingranaggi del progresso scientifico e tecnico sembra aver perduto l’equilibrio tipico della civiltà greca in cui società, natura e individuo si trovavano in accordo. Schiller pone così le basi per l’analisi critica della società industriale e capitalistica che avrà notevole sviluppo nei decenni successivi ( Approfondimenti). Goethe. Johann Wolfgang von Goethe (1749 –1832) scrittore, poeta, drammaturgo tedesco, scienziato, teologo e filosofo, fu un genio universale, una sorta di uomo del Rinascimento, tanto che vi è chi chiama il periodo proto-romantico l’«età di Goethe» (nell’immagine il suo ritratto del 1828, opera di Joseph Karl Stieler). Per quasi tutta la sua vita lavorò al Faust, un’opera in cui si rispecchia la sua concezione della realtà e dell’esistenza umana: un capolavoro che elabora il concetto di Streben e fornisce un’importante chiave di lettura della storia della civiltà occidentale ( Approfondimenti). Anch’egli prende spunto, come Herder, da Spinoza, e, come Schiller, dalla Critica del giudizio ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3), in particolare dal finalismo che, da proiezione soggettiva qual era in Kant, diviene in Goethe l’essenza reale della natura, anticipando così la dottrina di Schelling ( Capitolo 3). Humboldt. Wilhelm von Humboldt (nome completo Friedrich Wilhelm Christian Karl Ferdinand Freiherr von Humboldt; 1767 – 1835) può essere considerato il precursore della scienza del linguaggio, avendo anticipato con 324 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 1 genialità metodi e concezioni che hanno trovato pieno sviluppo soltanto nel Novecento ( Volume 3). Rifacendosi ad Hamann e Herder, approfondisce il legame tra lingua e nazione, concependo le diverse lingue come le facce di un prisma, che offrono punti di vista diversi e complementari sulla realtà, in reciproco confronto, dialogo e sviluppo. Si dedica in particolar modo allo studio della struttura della lingua, vista come un organismo che si evolve e che forma il pensiero, il sentimento e l’immaginazione: come per Herder, ciò che rende tale l’uomo è soprattutto il linguaggio. F. Schlegel. Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel (1772 – 1829), con il fratello Wilhelm August, pubblicò la rivista Äthenäum e fu uno dei principali animatori del Circolo di Jena, che riuniva, negli ultimi decenni dell’Ottocento, tutti i poeti, letterati, artisti e filosofi che si riconoscevano nella comune ispirazione romantica. Rifacendosi alle dottrine di Fichte ( Capitolo 2), che egli considerava il vero padre del Romanticismo, Schlegel teorizzò l’infinità della poesia, intesa come unità di tutti i generi letterari e come creatività nel contempo artistica, filosofica, scientifica, religiosa: «La poesia romantica è una poesia universale progressiva. La sua destinazione non è solo di tornare a congiungere tutti i generi divisi della poesia, e di tornare a porre in contatto la poesia con la filosofia e la retorica. Essa vuol anche, ora mescolare, ora fondere, poesia e prosa, genialità e critica, poesia d’arte e poesia naturale; rendere la poesia viva e socievole, e la vita e la società poetica [...] può anche, nel modo più deciso, librarsi a mezzo tra il rappresentato e il rappresentante, libera da ogni interesse reale e ideale, sulle ali della riflessione poetica, e sempre tornare a potenziare tale riflessione, moltiplicandola come in una serie infinita di specchi»(F. Schlegel, Äthenäum, 1798). In seguito si convertì al cattolicesimo e, percorrendo una parabola che in parte coinvolse altri esponenti del movimento romantico, si fece paladino e teorico non solo della fede e della rivelazione di Dio nella storia, ma anche della Restaurazione, accentuando in senso reazionario l’anima anti-illuminista della sua ispirazione originaria ( Approfondimenti). Novalis. L’influenza del pensiero di Fichte ( Capitolo 2) fu importante anche per Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, detto Novalis (1772 – 1801; nell’immagine un suo ritratto del 1799, opera di Franz Gareis), che rielaborò suggestioni neoplatoniche e spinoziane, sviluppando soprattutto il tema della spiritualità della natura e perfezionando quello che verrà detto idealismo magico ( Approfondimenti): «Tutto ciò che è divino ha una storia e la Natura, questo unico intero al quale l’uomo può paragonarsi, non dovrebbe, come appunto l’uomo, essere compresa in una storia, ossia, che è lo stesso, avere uno spirito? La Natura non sarebbe la Natura se fosse priva di spirito, se non avesse quell’unico riscontro dell’umanità, né l’indispensabile risposta a questa misteriosa domanda, né la domanda a questa interminabile risposta» (Novalis, I discepoli di Sais, 1799). «La natura è ideale. Il vero ideale è nello stesso tempo possibile, reale e necessario. La fisica non è altro che la dottrina della fantasia. La natura è una città magica pietrificata» (Novalis, Frammenti di filosofia naturale, § 1385-1387, pubblicazione postuma). Questi concetti filosofici trovarono piena e rigorosa teorizzazione, in un contesto dottrinale più ampio, nel pensiero del filosofo romantico-idealista Schelling ( Capitolo 3) Hölderlin. Anche Johann Christian Friedrich Hölderlin (1770 – 1843), uno dei più grandi poeti della letteratura tedesca e mondiale, ha incentrato le sue riflessioni filosofiche sul tema panteistico della natura come Uno-Tutto, con cui l’individuo può fondersi perdendo e ritrovando se stesso, grazie alla creatività e al potere conoscitivo della poesia (che è vera filosofia, a differenza di quella razionale; cfr. Schelling Capitolo 3): « Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l’uomo [...] Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all’immagine del mondo eternamente uno [...] e la ferrea fatalità rinuncia al suo potere e la morte scompare dalla società delle creature e l’indissolubilità e l’eterna giovinezza rendono felice e bello il mondo [...] un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette [...] » (Hölderlin, Hyperion, 1799) Come Schiller celebrò il mito dell’antica Grecia quale epoca dell’equilibrio e dell’armonia tra uomo e natura ( Approfondimenti). 325 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 1 Schleiermacher. L’influsso di Fichte e Schegel, unito al panteismo spinoziano di Herder e Goethe danno vita, nel pensiero del filosofo e teologo Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768 – 1834), alla celebrazione della religione come il sentimento privilegiato in cui finito e infinito coincidono ( Approfondimenti). Schleiermacher è importante soprattutto per essere stato il fondatore dell’ermeneutica ( Glossario), una nuova metodologia di interpretazione dei testi, che conoscerà un fondamentale approfondimento nell’Ottocento e nel Novecento ( Volume 3). Il Romanticismo in Europa. Il Romanticismo ebbe una vasta diffusione in tutta Europa, e anche negli Stati Uniti d’America, e costituì una durevole atmosfera culturale che dette una particolare sfumatura a molte correnti letterarie, artistiche e filosofiche delle epoche successive. In Inghilterra temi preromantici erano già presenti nelle riflessioni dei moralisti del Settecento, ma il manifesto ufficiale del movimento può essere considerata la Prefazione (1802) alle Lyrical Ballads (Ballate liriche, 1798) di Samuel Taylor Coleridge (1772 – 1834) e William Wordsworth (1770 – 1850). A diffondere la conoscenza del Romanticismo nel clima culturale francese, nell’alveo già preaparato dal pensiero di Rousseau, fu Madame de Staël (cioè Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein, 1766 – 1817) con la sua opera De l’Allemagne (1810). Anche in Italia fu la de Staël, con un articolo «Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni», uscito nel 1816 sulla rivista Biblioteca Italiana, ad aprire la cultura della penisola ai nuovi orizzonti della letteratura inglese e tedesca, stimolando un dibattito sulla necessità di superare i modelli statici del classicismo a cui parteciparono quasi tutti gli intellettuali italiani e che ebbe una delle sue espressioni più importanti nella rivista bisettimanale Il Conciliatore, pubblicata a Milano su carta azzurra in 118 numeri tra il 1818 e il 1819, finché non fu chiusa dalla censura austriaca ( Approfondimenti). Una forte sensibilità protoromantica era già presente nell’opera letteraria e poetica di Niccolò Ugo Foscolo (1778 – 1827). Alessandro Manzoni, il grande scrittore italiano, nelle sue opere trasfigurò in forma artistica molti dei temi del Romanticismo maturo, fornendo un notevole contributo al processo di unificazione politico-territoriale della penisola del cui nuovo Regno divenne senatore a vita. Nel contesto del Romanticismo italiano e del dibattito post-illuministico, un posto particolare lo occupa Giacomo Leopardi (1798 – 1837), grandissimo poeta, recentemente riscoperto anche nella dimensione filosofica della sua opera, soprattutto da parte di Emanuele Severino. Proprio in quest’ottica, che lo vede come un lucido anticipatore di temi contemporanei, ne rinviamo la trattazione al Volume 3. 326 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 CAPITOLO 2. DAL CRITICISMO ALL’IDEALISMO. FICHTE Dal dibattito avviato da alcuni seguaci di Kant, con lo scopo di perfezionare il criticismo, nasce l’idealismo, movimento filosofico in cui sarà definitivamebnte risolto il doppio dualismo tipico della filosofia moderna. Fichte, uno dei massimi esponenti del Romanticismo, è l’artefice di questa trasformazione, destinata ad aprire una fase totalmente nuova del pensiero filosofico. L’Io trascendentale di Kant, da forma universale diviene sostanza assoluta e infinita: questa è la chiave di volta dell’idealismo, che mette in discussione la logica e la metafisica dell’intera tradizione filosofica precedente. In particolare, quello di Fichte è un idealismo etico, in cui il soggetto trascendentale e assoluto è concepito come attività infinita, volta a realizzare la piena libertà umana nella storia. PARAGRAFO 1. DAL DIBATTITO SULLA COSA IN SÉ ALL’IDEALISMO La rivoluzione copernicana operata da Kant in gnoseologia ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 1, Paragrafo 2) aveva posto le basi teoretiche per un definitivo superamento del dualismo tra contenuti mentali (le idee) e realtà oggettiva, tipico della filosofia moderna ( Sezione 2, Unità 1, Capitolo 1, Paragrafo 2), fondando sulla struttura a priori dell’Io trascendentale la verità delle leggi della natura ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 1, Paragrafo 6). Tuttavia, nella distinzione tra fenomeno e noumeno persisteva un residuo di dualismo che, nell’intento di giungere al suo definitivo superamento, fu oggetto di un dibattito svoltosi nell’ambito del post-criticismo tedesco. Il dibattito sulla cosa in sé. Protagonisti di questo dibattito, avviato già da Jacobi, furono soprattutto Karl Leonhard Reinhold (Vienna, 1758 – Kiel, 1823), con il suo Saggio di una nuova teoria della facoltà umana della rappresentazione (1786-1788), Gottlob Ernst Schulze (1761 – 1833), con l’opera Enesidemo (1792), Salomon ben Joshua (1754-1800), ebreo lituano studioso di Mosè Maimonide, dal quale assunse lo pseudonimo di Salomon Maimon, con le sue Ricerche critiche sullo spirito umano (1797), e infine Jakob Sigismund Beck (1761-1840), autore de L’unico punto di vista dal quale può essere giudicata la filosofia kantiana (1796). Nelle critiche che i suoi stessi seguaci rivolgono a Kant, essi corrono spesso il rischio di interpretare la dottrina del filosofo di Königsberg come se fosse ancora contrassegnata dall’idealismo di stampo cartesiano e dal realismo presupposto dei filosofi moderni (eliminato soltanto da Berkeley, che aveva portato l’idealismo alle sue conseguenze più logiche Sezione 2, Unità 4, Capitolo 2, Paragrafo 1). Essi, infatti, tendono ad assimilare il residuo dualismo fenomeno/noumeno a quello idea/cosa che aveva afflitto tutta la gnoseologia dei due secoli precedenti ( Approfondimenti). Ma noi sappiamo che Kant aveva già superato quel tipo di dualismo. Sappiamo che il fenomeno di Kant non è l’idea di Descartes e dei suoi successori, razionalisti o empiristi. Il fenomeno è, invece, l’oggetto reale in quanto appare, o si manifesta, alla mente umana, in quanto è conosciuto dalla mente umana, distinto quindi dalla cosa in sé, che appunto in quanto è in sé, non si manifesta, non appare, pur essendo pensata (pensata, ma non conoscibile). Tuttavia, con le loro critiche, essi pongono le basi per il definitivo superamento del dualismo residuo kantiano e, nel tentativo di perfezionare il criticismo, lo trasformano in nuovo tipo di idealismo, profondamente diverso da quello di Berkeley. Il noumeno, infatti, in quanto pensato, è già incluso nell’orizzonte del pensiero e quindi nell’ambito della conoscenza: insomma tra pensare e conoscere non c’è alcuna sostanziale differenza. La cosa pensata non è in sé, è già in relazione con la mente che pensa e conosce, dunque non può essere inconoscibile, deve essere conoscibile. L’idealismo di Berkeley e l’idealismo tedesco post-kantiano. Per l’idealismo di Berkeley ciò che esiste sono soltanto le idee nella mente, mentre non vi è alcuna realtà fuori dalla mente (esse est percipi, immaterialismo). L’idealismo che nasce con Johann Gottlieb Fichte (nell’immagine il suo ritratto), traendo frutto dal dibattito postkantiano, non nega affatto l’esistenza della realtà fisica in relazione con la mente pensante umana, ma la considera un prodotto della mente umana stessa, un prodotto dell’Io. 327 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 Per compiere questa operazione occorre considerare la realtà oggettiva e fisica, insomma la natura nella sua totalità universale, come qualcosa che per principio è conoscibile, anche se non è attualmente conosciuta nella sua globalità. La distinzione tra fenomeno e noumeno (rispettivamente: ciò che è conosciuto e ciò che è soltanto pensato) non ha più senso di esistere, poiché tutta la realtà oggettiva è originariamente in relazione con il pensiero umano. Insomma tutta la realtà è fenomenica, almeno come possibilità: nel senso che tutto ciò che esiste può apparire e manifestarsi alla mente umana. Allora, se l’Io trascendentale kantiano autocosciente unifica tutta la realtà oggettiva, bisogna che l’Io stesso sia posto come il principio originario e assoluto rispetto a tutto ciò che esiste. Per Kant l’Io è a priori rispetto ai fenomeni (ma lascia fuori la dimensione assoluta della realtà in sé). Lo stesso principio vale per Fichte, il quale però considera tutta la realtà come possibile fenomeno. L’Io trascendentale, dunque, per Fichte è il principio assoluto. Eliminando la cosa in sé, che limita l’Io trascendentale kantiano, quest’ultimo non ha più limiti, diviene infinito e include tutto ciò che esiste. Il pensiero umano, lo Spirito (secondo il lessico filosofico che si imporrà nell’idealismo) non è una parte del Tutto, ma è lo stesso manifestarsi del Tutto: Pensiero ed Essere coincidono. Infatti, porre qualcosa come esistente al di fuori del pensiero è assurdo, poiché esso sarebbe già pensato. Ne consegue che il pensiero non è una parte della realtà, dato che il tutto di cui farebbe parte sarebbe a sua volta pensato, nel momento stesso in cui lo si istituisce. Il pensiero non è, insomma, una cosa tra le cose, ma è lo stesso orizzonte all’interno del quale tutte le cose che esistono si manifestano (cfr. E. Severino, 1984). PARAGRAFO 2. L’IO ASSOLUTO L’Io penso di Kant è una soggettività trascendentale autocosciente che unifica il molteplice fenomenico oggettivo, è una forma a priori della conoscenza: una funzione, non una sostanza. Nel pensiero di Fichte, dopo la rapida emancipazione dal pensiero del maestro, esposto nella sua prima opera, l’Io è una sostanza assoluta, pura e a priori rispetto a tutto ciò che esiste. Esso cessa di essere la funzione unificante dell’intelletto e si trasforma nel principio razionale (non più solo intellettuale) immanente al Tutto, l’atto originario e infinito da cui tutto si origina. Il primo principio. Dunque, il primo principio della scienza è l’Io che pone se stesso. Infatti, qualsiasi altro principio presuppone un Io, cioè una mente razionale autocosciente che lo pensa e pensa se stessa. Ad esempio, il principio di identità, A = A, è noto in quanto è pensato, cioè già incluso nell’orizzonte del pensiero razionale: l’oggetto è già incluso nel soggetto assoluto ed originario: «Con la proposizione: A=A si giudica. Ma ogni giudizio è secondo la coscienza empirica un atto dello spirito umano, poiché esso ha tutte le condizioni dell’atto nell’autocoscienza empirica, condizioni che, per agevolare la riflessione, debbono essere presupposte come note e certe […] Ora a fondamento di quest’atto sta qualcosa che non è fondato su nulla di superiore, cioè X=Io sono […]. 328 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 Perciò questo è il fondamento assolutamente posto e fondato su se stesso – fondamento di un certo agire dello spirito umano (anzi di ogni agire, come tutta la dottrina della scienza ci dimostrerà) e quindi il suo puro carattere, il puro carattere dell’attività in sé fatta astrazione dalle JOHANN GOTTLIEB FICHTE. VITA E OPERE particolari condizioni empiriche di essa. Quindi Johann Gottlieb Fichte (Rammenau, 1762 – Berlino, il porsi dell’Io per se stesso è la pura attività di 1814), proveniente da famiglia povera potè studiare esso – L’Io pone se stesso – e è in forza di grazie ad un benefattore ammirato dalle sue capacità questo puro porsi per se stesso; e viceversa: l’Io menmoniche. Dopo il ginnasio, nel 1780 si iscrisse è e pone il suo essere in forza del suo puro essere alla facoltà di Teologia di Jena, poi a Lipsia. Si -. Esso è in pari tempo l’agente ed il prodotto impiegò come precettore e dovette insegnare dell’azione, ciò che è attivo e ciò che è prodotto privatamente la dottrina di Kant, la cui Critica della dall’attività, azione e fatto sono una sola e ragion pura lo rese «uno degli uomini più felici del medesima cosa; perciò l’Io sono è espressione di mondo». Proprio su di essa si basa la sua opera un atto ma anche del solo atto possibile, come si Saggio di una critica di ogni rivelazione. Egli la fece vedrà da tutta la dottrina della scienza» (J. G. leggere allo stesso Kant, che ne fu creduto l’autore, Fichte, «Sul concetto della dottrina della finché lui stesso non svelò l’equivoco. Fichte, scienza», in Dottrina della scienza, parte I, § 1). divenuto celebre, fu chiamato all’Università di Jena Non essendo pura forma a priori, bensì sostanza, come professore nel 1794 e vi rimase fino al 1799. In l’Io ha già in sé la totalità dell’essere, ma non è questo periodo scrisse la maggior parte delle opere l’Essere della metafisica tradizionale, perfetto, più importanti: la Dottrina della Scienza (1794), il immobile e immutabile. L’Io è essenzialmente breve saggio Discorsi sulla missione del dotto, i attività che tutto genera, atto assoluto, puro e Fondamenti del diritto naturale (1796) e il Sistema infinito. È pensiero razionale, Spirito che pensa e della dottrina morale (1798). conosce tutto ciò che esiste, in quanto il Tutto è un In seguito alla «polemica sull’ateismo» Fichte si suo prodotto. dimise dall’Università ( Approfondimenti) e fu sostituito da Schelling ( Capitolo 3). Si trasferì a Il secondo principio. L’Io, dunque, pone il Berlino, dove diede lezioni private e frequentò diversi proprio contrario, il Non-Io, la Natura fisica, che è il intellettuali romantici, tra i quali Schlegel, contenuto del suo pensiero. Il soggetto genera Schleiermacher, Tieck e Novalis (estimatore della sua l’oggetto come opposto a sé, come polo passivo opera). Nel 1805 entrò all’Università di Erlangen. Nel dell’infinita attività soggettiva. 1806 era a Königsberg quando Napoleone invase la A differenza del noumeno kantiano, inconoscibile, il città: tornato a Berlino, scrisse i Discorsi alla nazione Non-Io è conoscibile, anche se attualmente può non tedesca (1807-1808), in cui cercava di risvegliare essere conosciuto in modo determinato dall’Io che l’anima del popolo tedesco contro la dominazione lo pensa e lo pone. napoleonica, affermando il primato teutonico. La posizione del Non-Io è un atto originario, ma la Nuovamente celebre, il re lo nominò professore conoscenza del Non-Io è un atto senza fine, che si ordinario dell’Università di Berlino, di cui fu, in svolge, come vedremo, nella storia. seguito, eletto rettore. Morì nel 1814 di colera, contagiato dalla moglie che lo aveva contratto Il «panteismo» dell’Io-Spirito. curando i soldati negli ospedali militari. L’assolutizzazione del pensiero umano conduce ad una nuova forma di monismo, o di «panteismo», diversa sia da quella di Bruno ( Sezione 1, Unità 2, Capitolo 3, Paragrafo 2), che pensava ancora in termini realistici, sia da quella di Spinoza, che identificava Dio con la Natura, sia pur intesa come unità di pensiero ed estensione ( Sezione 2, Unità 3, Capitolo 2, Paragrafo 2). Il panteismo idealistico dell’Io ha un carattere spiritualistico, poiché l’Io, che è Spirito, è l’Assoluto, al di fuori del quale non c’è nulla. Così Fichte ritrova le istanze più profonde dell’Umanesimo e del Rinascimento ( Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1, Paragrafo 6) e le porta a compimento infinitizzandole. A differenza dell’io empirico cartesiano ( Sezione 2, Unità 1, Capitolo 1, Paragrafo 6), l’Io fichtiano è la Sostanza Assoluta che tutto produce e tutto può conoscere. Il terzo principio. L’Io assoluto ha una struttura dialettica. La tesi oppone a se stessa la propria antitesi. Permane ancora un residuo di dualismo gnoseologico nell’idealismo fichtiano: infatti, benché l’Io trascendentale, lo Spirito, sia assoluto e infinito, tuttavia si autolimita opponendo a sé la Natura. 329 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 Ne deriva che la Natura/Non-Io: essendo un prodotto dello Spirito, è pensata e dunque conoscibile; tuttavia, pur essendo pensata, non è attualmente conosciuta dallo Spirito. Comunque, a differenza della dialettica kantiana ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 1, Paragrafo 7) che si arenava nelle antinomie della ragione metafisica, la dialettica fichtiana supera l’antinomia tra la tesi (l’Io, lo Spirito) e l’antitesi (il Non-Io, la Natura) in una sintesi, in cui gli opposti si unificano. Nella dialettica fichtiana la sintesi, espressa dal terzo principio, è attuata generando la storia concreta dell’umanità, che incarna l’atto infinito dell’Io assoluto in uno svolgimento altrettanto infinito: «L’Io oppone nell’Io un io divisibile e un non-io divisibile». PARAGRAFO 3. LA DIALETTICA Lo Spirito produce, dentro l’orizzonte del pensiero stesso, la molteplicità dei concreti soggetti individuali (tutti gli spiriti, tutte le menti razionali) e dei concreti oggetti della natura fisica (tutti i corpi materiali esistenti in natura). La sintesi, dunque, è pur sempre interna alla dimensione assoluta dell’Io, l’atto originario che si divide in un numero infinito di io finiti, per esprimersi pienamente come attività infinita in contrapposizione ai non-io finiti (anch’essi infiniti di numero). Esso, infatti, pur essendo il Soggetto assoluto, poiché non c’è nulla al di fuori dell’Io-Spirito, tuttavia ha bisogno di attuarsi storicamente, attraverso i soggetti empirici, le concrete persone umane. La struttura dialettica dell’Io genera, dunque, al proprio interno, la storia, in cui gli individui, i gruppi, le società, i popoli, le nazioni, lottano contro i limiti della natura (il Non-Io) per ampliare progressivamente il dominio dell’Io. Si attua così l’unità degli opposti, in cui consiste la sintesi: essa, ponendo in relazione l’Io e il Non-Io, in origine assolutamente opposti, si assume il compito di un’infinito superamento della contraddizione originaria tra Spirito e Natura. Mente e corpo. Se permane un residuo di dualismo gnoseologico, anche il dualismo ontologico ( Sezione 2, Unità 1, Capitolo 1, Paragrafo 8) non appare del tutto superato. Infatti, se l’io è la mente razionale cartesiana, il non-io è il corpo con tutto ciò che di meccanico ancora porta con sé l’eredità della concezione, dominante in età moderna, della corporeità come estensione non pensante. Io e Non-Io possono dunque essere letti anche come contrapposizione tra conscio e inconscio, tra volontà e passioni, con tutte le conseguenze che vedremo nella gnoseologia e nell’etica fichtiana. Una nuova logica del divenire. Con l’assolutizzazione dell’Io inteso come atto, l’idealismo elabora un nuovo modello logico, la dialettica appunto, che verrà poi perfezionato da Hegel ( Unità 2, Capitolo 1, Paragrafo 2). Viene messa in discussione l’antica logica dell’Essere, fondata sul principio di identità, e si comincia ad intravedere la possibilità di utilizzare la nuova logica del Divenire, in cui un ruolo decisivo è svolto dalla contraddizione, dall’antitesi. È l’antitesi della Natura, infatti, ad esigere l’attività dello Spirito, che trascende continuamente se stesso per superare l’ostacolo e ampliare costantemente il proprio dominio sul mondo. La divinizzazione dell’Io-Spirito non è, dunque, la concezione di un Dio immutabile, secondo la logica tradizionale. Al contrario si tratta di divinizzare l’infinito divenire del pensiero umano che allarga senza sosta il proprio orizzonte, inglobando in sé sempre più vasti territori del Non-Io. Logica e ontologia. Bisogna però precisare che la dialettica non è semplicemente una logica, cioè una struttura della mente umana. Essa è anche un’ontologia, o una metafisica, profondamente diversa da quella tradizionale. Dato che il pensiero e l’essere coincidono, la dialettica è l’intima struttura della realtà, la metafisica del divenire. Non si può dire che l’idealismo sia una metafisica della mente, se non si precisa che la mente non è, per gli idealisti, una parte della realtà, ma è tutta la realtà, dato che la mente non è altro che l’apparire dell’essere, il manifestarsi di tutto ciò che esiste. L’idealismo si porta oltre il dualismo moderno, concependo la mente come la trasparenza stessa del Tutto: infatti, il Tutto, in quanto pensato, è interno al pensiero stesso. Dunque, nell’idealismo il pensiero è il Tutto e insieme la stessa Realtà assoluta (cfr. E. Severino, 1984). 330 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 Pensiero ed Essere. Filosofia antica, filosofia moderna, Idealismo. Filosofia antica e medioevale Filosofia moderna La realtà esiste al di fuori della mente umana (realismo) ma la mente (parte del Tutto) ha gli strumenti logici e concettuali per conoscere l’intima essenza della realtà, la sostanza di essa La realtà potrebbe esistere al di fuori della mente umana (realismo presupposto), ma la mente (parte del Tutto) deve dubitare dell’esistenza della realtà esterna essa infatti conosce soltanto le idee (idealismo) e deve dimostrare che le idee corrispondano alla realtà esterna (dimostrazione possibile per i razionalisti, impossibile per gli empiristi) Idealismo Tutta la realtà è o pensata dalla mente umana o e perciò conoscibile dalla mente umana Non c’è nulla fuori dalla mente umana La mente umana è un assoluto Il pensiero e la realtà coincidono Il pensiero è immanente alla realtà e la produce L’atto e lo «Streben». In quanto atto dialettico e storico l’Io tende all’infinito senza mai poterlo attuare in una sintesi assoluta. Dato che l’Assoluto è l’Io, il cui fine storico è il continuo superamento del limite che ha opposto a sé all’interno di sé, questo sforzo, lo Streben romantico ( Unità 1, Capitolo 1, Paragrafo 1), di cui Fichte è uno dei massimi interpreti, è la sostanza stessa della natura umana: infinitizzare se stesso è il senso dell’esistenza umana. L’umanizzazione della natura. Tal infinitizzazione consiste di fatto nell’umanizzare la natura (e se stesso in quanto parte della natura). È questo il fondamentale compito etico in cui si traduce il senso dell’esistenza umana, come vedremo ( Paragrafo 5). L’idealismo e la libertà. Esso si traduce anche in un processo di progressiva liberazione dell’Io dai limiti del Non-Io. È questo il nuovo importante significato costruttivo che l’idealismo attribuisce al concetto di libertà: non soltanto un dato di natura, la libertà d’azione o il libero arbitrio, ma anche un processo di progressiva conquista di nuove possibilità, di riduzione dei condizionamenti che la natura, l’ambiente, il contesto sociale, il carattere individuale esercitano sull’individuo; insomma, la libertà come orizzonte di opportunità da ampliare senza sosta, come mèta ideale da perseguire costantemente. PARAGRAFO 4. LA CONOSCENZA Come abbiamo visto, l’attività dell’Io consiste nella progressiva conoscenza del Non-Io: il compito infinito della mente umana è quello di conoscere la natura. Si tratta di un’attività che tende a liberare il soggetto dai limiti dell’oggetto, a dominare il mondo, a svelare tutti i segreti dell’universo, ma appunto per ciò si tratta di un’attività infinita, in cui la sintesi è rinviata indefinitamente. Il terzo principio, la sintesi, è infatti una nuova opposizione, in cui agli io concreti ed empirici (i singoli soggetti individuali) si oppongono i non-io concreti ed empirici (i singoli oggetti reali). Pertanto, la conoscenza è un’attività in qualche modo reciproca, che consiste nel limitarsi reciproco dei soggetti e degli oggetti: l’oggetto agisce sul soggetto, producendo le idee o rappresentazioni soggettive dell’oggetto stesso; ma tale azione è soltanto una conseguenza di un’azione originaria del soggetto sull’oggetto. L’immaginazione produttiva. Per spiegare questo processo Fichte si rifà alla dottrina dell’immaginazione produttiva di Kant ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 1, Paragrafo 5), a cui tuttavia apporta una modifica sostanziale. In Kant l’immaginazione produttiva era concepita come una funzione dell’Io trascendentale nel processo di unificazione a priori dell’esperienza femomenica: una struttura formale del soggetto che presuppone l’esistenza indipendente della realtà in sé noumenica. 331 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 Per Fichte essa è, invece, un’attività dell’Io puro, a priori rispetto all’io empirico, che produce la stessa realtà oggettiva. La Natura (il Non-Io) esiste come realtà oggettiva di fronte all’Io-Spirito, ma è l’Io stesso che l’ha prodotta. Per l’io empirico questa attività (che lo precede ontologicamente) è inconscia: il soggetto si trova di fronte l’oggetto che agisce su di lui e che deve impegnarsi a conoscere, ma non è cosciente del fatto che l’oggetto è un prodotto della stessa Soggettività assoluta che ha generato anche lui. La deduzione delle categorie. Anche la deduzione delle categorie in Fichte assume un diverso significato rispetto a Kant, che con questa operazione intendeva giustificare la validità logica e gnoseologica delle categorie stesse in riferimento ai fenomeni. Per Fichte il significato di deduzione è piuttosto quello di generazione ontologica della molteplicità empirica da parte dell’Io assoluto: tutto l’apparato gnoseologico delle forme a priori kantiane assume ora un valore di produzione del fenomeno (non più solo di unificazione di esso). Pertanto le categorie kantiane sono dedotte dai tre primi principi, secondo lo schema seguente: Principi Tavola delle categorie Tre principi Primo principio (l’Io) Secondo principio (il Non-Io opposto all’Io) Terzo principio (Io divisibile e Non-Io divisibile si limitano reciprocamente) Qualità Terzo principio Moltiplicazione degli io e dei non-io Quantità Terzo principio Io come sostanza Non-io divisibile = causa, io divisibile = effetto Azione reciproca dell’io sul non-io e viceversa Relazione Realtà Negazione Limitazione Unità Pluralità Totalità Sostanza e accidente Causa ed effetto Azione reciproca I gradi della conoscenza. Fichte ripercorre anche, con qualche aggiustamento, i gradi kantiani della conoscenza che dalla sensazione (azione dell’oggetto sull’oggetto) conducono all’intuizione (azione del soggetto sull’oggetto, organizzato dalle forme a priori dello spazio-tempo), all’intelletto (categorie), al giudizio (sintesi a priori) e sfociano nella ragione che, di nuovo, per Fichte assume un significato diverso da quello che le assegnava Kant. Per lui, infatti, solo all’intelletto veniva riconosciuta legittimità gnoseologica mentre la ragione tentava inutilmente di oltrepassare l’esperienza verso la cosa in sé. Per Fichte la ragione, al contrario, supera l’intelletto e consente il pieno possesso concettuale dell’oggetto da parte del soggetto, realizzando la più piena conoscenza scientifica. Filosofia e scienza. «Dottrina della scienza» è la formula fichtiana per designare il superamento stesso della filosofia (come ricerca del sapere) e l’attuazione della vera e propria scienza (come sapere definitivamente acquisito). Ma la scienza di cui parla Fichte, ancora una volta, non è la scienza moderna che Kant aveva fondato sull’intelletto ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 1, Paragrafo 6), è la scienza della ragione dialettica, il sapere assoluto che deriva dall’infinita attività dell’Io attraverso la storia. L’idealismo ritrova, dunque, una concezione della scienza che si rivolge al Tutto (per l’idealismo Tutto è Spirito), superando la separazione operata dalla scienza moderna tra la natura fisica e il Tutto ( Sezione 1, Unità 3, Capitolo 1, Paragrafo 2). Dogmatismo e idealismo. Da tutto quel che abbiamo detto risulta chiaro che per Fichte l’idealismo rappresenta il culmine della storia della filosofia, in quanto supera il dogmatismo di tutti i sistemi filosofici precedenti. In particolare, Fichte sembra essere pienamente consapevole del fatto che il realismo classico della filosofia pre-moderna e anche il realismo presupposto nel dualismo della filosofia moderna sono delle forme di dogmatismo che considerano la realtà oggettiva come esistente indipendentemente dal pensiero. In questo senso, anche il criticismo di Kant è, dal punto di vista fichtiano, ancora prigioniero del dogmatismo, in quanto presuppone la realtà in sé come indipendente dall’Io. 332 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 Ma anche l’idealismo moderno che pone il soggetto come principio, che individua l’orizzonte del pensiero come comprensivo dell’essere, rischia di risolversi in un fenomenismo, se si fonda soltanto sulla dimensione gnoseologica (che fa dell’idea all’interno della mente il vero oggetto immediato della conoscenza). Ecco, dunque, Fichte precisare che il suo è il vero idealismo, in cui la mente assoluta produce l’oggetto reale e lo conosce direttamente nell’esperienza, senza mediazioni. In questo senso Fichte correttamente osserva che l’idealismo, essendo il superamento del dualismo gnoseologico, è anche il più autentico realismo non dogmatico, in quanto il pensiero coincide con il manifestarsi dell’essere reale (ideal-realismo). L’«idea» nell’idealismo. Con l’idealismo il termine idea torna a significare l’oggetto reale, come nell’antichità: infatti, la mente non è altro che l’accesso diretto alla realtà e la realtà non è altro che ciò che si manifesta alla mente. L’idealismo ricongiunge certezza e verità, dopo aver confutato l’esistenza di una realtà oggettiva esterna al pensiero: identità mediata di certezza e verità, in cui il Pensiero è il Tutto che si manifesta (cfr. E. Severino, 1984). Mente e corpo. Il residuo di dualismo ontologico del pensiero fichtiano si rispecchia anche, a livello del singolo individuo, nella contrapposizione tra mente e corpo, coscienza e inconscio, volontà e passioni; pertanto, il compito infinito dell’Io di conoscere il Non- Io si traduce nel compito infinito dell’individuo di conoscere il proprio corpo, il proprio inconscio, le proprie passioni. È la trascrizione idealistica dell’antico motto filosofico: «Conosci te stesso», con tutte le conseguenze etiche che ancora, come nell’antichità, esso implica. 333 Percorsi della filosofia Platone: l’idea e la realtà Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 Descartes: l’idea e la realtà Kant: il fenomeno e il noumeno Fichte e l’idealismo Idea = «cosa» reale in quanto èpensata ed è conoscibile dalla ragione umana Carattere soggettivo/oggettivo della realtà: il «mondo» è ciò che si manifesta nel pensiero umano; il pensiero è il fondamento del mondo reale Idea = Essenza reale della «cosa» conoscibile per mezzo dell’intelletto Idea = Rappresentazione mentale della «cosa» esistente fuori dalla mente Fenomeno = «cosa» reale in quanto si manifesta alla mente umana (intelletto), distinto dalla «cosa in sé», esistente fuori dalla mente, pensata ma non conoscibile Idea = costruzione mentale (ragione) che pensa la cosa in sé, senza poterla conoscere Carattere oggettivo della realtà: il «mondo» è in relazione immediata col pensiero umano (realismo classico) Carattere soggettivo e mentale della realtà: il «mondo» è il contenuto del nostro atto di pensiero (idealismo gnoseologico / realismo presupposto) Carattere soggettivo trascendentale (ma non puramente mentale) della realtà fenomenica: il «mondo» della natura è il risultato della nostra attività di unificazione del molteplice empirico (fenomeno) PARAGRAFO 5. LA MORALE E L’IDEALISMO ETICO La conoscenza è l’attività attraverso cui il soggetto (l’Io) trasforma l’oggetto (il Non-Io) in concetto della ragione, ampliando il proprio dominio sulla natura. Ma la più importante attività del soggetto è la reale trasformazione del Non-Io in Io, il dominio del mondo materiale, l’umanizzazione e la spiritualizzazione della Natura fisica. Sia la conoscenza che l’azione sono entrambe attività con le quali la mente umana si appropria del mondo naturale, ma la ragion pratica ha un primato rispetto a quella teoretica. Quest’ultima anzi, in un certo senso, esiste in funzione della prima: in altri termini, conoscere è funzionale all’agire. Il primato della ragion pratica e l’idealismo etico. La storia dell’umanità e dell’intero universo è la storia dell’ampliamento progressivo dei confini dell’Io che, essendo un Atto libero e assoluto, non un Essere immutabile, ha opposto a sé e all’interno del proprio orizzonte (l’orizzonte del pensiero) un Non-Io pensato e conoscibile, che lo limita e lo condiziona. Ciò al fine di esplicitare di fatto, nella dialettica storica, quella libertà che è implicita nel suo costituirsi come principio assoluto. Perciò l’attività dell’Io è teoretica, per svelare i segreti del Non-Io e conoscerne scientificamente le leggi (che lo stesso Io ha generato), ma è soprattutto pratico-morale, in quanto il fine dell’Io è liberarsi dai limiti e dai condizionamenti della natura, il che significa: da un lato, trasformare infinitamente il Non-Io in Io: umanizzare il paesaggio, assoggettare la materia, prevedere e determinare gli eventi fisici; dall’altro, allargare sempre più i confini della libertà umana, migliorare costantemente la coscienza morale dell’umanità, farla progredire con l’appagamento crescente dei bisogni più autentici. Questo è appunto il primato della ragion pratica, già enunciato da Kant ( Sezione 2, Unità 4, Capitolo 1, Paragrafo 3) e fondato da Fichte sulla stessa struttura ontologico-metafisica del soggetto assoluto. Si parla, quindi, di idealismo etico poiché la stessa attività della conoscenza è funzionale all’attività pratico-etica in cui si realizza effettivamente l’infinità dell’Io. L’azione, in quanto tale, è buona: il lavoro come opera di trasformazione del Non-Io, è fonte di libertà e di bene. L’inerzia è piuttosto il male. La missione del dotto. Tale compito educativo nei confronti dell’umanità spetta in particolar modo ai dotti, agli uomini di cultura, la cui missione è appunto quella di incarnare la moralità e la libertà, guidando la società nella direzione di un incessante progresso verso la piena attuazione dell’autentica essenza umana. Come già per Platone, anche per Fichte il ruolo di guida degli intellettuali è decisivo per il perfezionamento morale dei popoli. 334 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 2 Mente e corpo. Lo Streben riguarda anche l’io individuale. La conoscenza di sé, compito ontologico-etico di ogni individuo, è funzionale alla possibilità di sottomettere praticamente il corpo, gli istinti, gli impulsi, le passioni e l’inconscio al dominio della mente razionale, della coscienza, della volontà; insomma, il compito di educare se stesso a ciò che di propriamente umano c’è nella persona, di costruire la propria vera libertà, emancipandosi dal condizionamento della natura ( Approfondimenti). PARAGRAFO 6. LA POLITICA E L’ULTIMO FICHTE Per capire gli sviluppi della dottrina politica di Fichte bisogna tener conto dei diversi aspetti del suo idealismo etico, la cui coerenza è fuori discussione ma, a seconda dell’accentuazione e del risalto che un elemento dell’argomentazione teorica può avere rispetto agli altri, si modificano le conseguenze logiche della dottrina stessa. Le tre fasi del pensiero politico. Tale evoluzione può essere divisa in tre fasi: 1. Il tema centrale della libertà conduce il primo Fichte (Fondamenti del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza del 1796 Approfondimenti), nell’epoca della Rivoluzione francese e anche sotto l’influsso degli eventi, a condividere una concezione liberale dello Stato, inteso come garante dei diritti naturali (cfr. Locke Sezione 2, Unità 4, Capitolo 1, Paragrafo 4); 2. In seguito, sviluppa meglio in chiave politica il concetto di libertà, non soltanto come dato di natura, ma anche e soprattutto come costruzione progressiva, come educazione permanente, come emancipazione dai condizionamenti del Non-Io: libertà come liberazione. È un rovescimento della sua visione dello Stato, cui assegna ora un compito etico-sociale: garantire il benessere di tutto il popolo, eliminare la povertà, garantire il lavoro, gestire e programmare l’attività economica per raggiungere l’autosufficienza nella produzione e nella distribuzione della ricchezza (Lo Stato commerciale chiuso del 1800 Approfondimenti). Liberalismo politico e liberismo economico sono ora rifiutati, in nome di un orientamento statalistico, in cui si delinea un’ideologia politica che poi si chiamerà socialismo ( Volume 3). 3. L’altro grande tema etico della missione educativa dei dotti si trasferisce poi in una concezione politica nazionalistica, suscitata anche dall’occupazione napoleonica della Prussia che indusse, per reazione, al risveglio di una coscienza nazionale tedesca (Discorsi alla nazione tedesca, 1808). La funzione educativa che gli intellettuali ricoprono nei confronti della società spetterebbe, nei confronti del genere umano, alla nazione tedesca, il cui primato etico e spirituale le assegna la funzione storica di educare l’umanità intera alla ragione e alla libertà. Il fatto che questo fondamentale testo in seguito sia stato utilizzato in chiave ideologica, per giustificare il pangermanesimo come variante aggressiva e razzista del nazionalismo politico e militare ( Approfondimenti), non ricade certo tra le responsabilità dirette di Fichte, in quanto non è una conseguenza logica delle argomentazioni del suo patriottismo. Gli sviluppi del pensiero di Fichte. L’evoluzione del pensiero di Fichte si allarga dopo il 1806 all’intera sua concezione della storia come necessario affermarsi della ragione e della libertà. Lo sviluppo più rilevante, nelle ultime sue opere e soprattutto nei suoi corsi universitari a Berlino (dal 1810), riguarda l’attribuzione del carattere di Assoluto non più al pensiero umano (l’Io puro della Dottrina della scienza) ma al Dio trascendente e immanente insieme , unico vero principio motore che con necessità guida la storia dell’umanità verso un fine prestabilito, la piena santificazione, il «regno dei fini» kantiano, il cristiano Regno di Dio ( Approfondimenti). 335 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 3 CAPITOLO 3. SCHELLING Con Schelling, l’idealismo giunge al definitivo superamento del doppio dualismo che aveva afflitto il dibattito filosofico in età moderna, identificando Spirito e Natura come forme di una stessa attività originaria. Egli opera anche il superamento del determinismo meccanicistico della scienza moderna, recuperando la dimensione vitalistica rinascimentale e oggettivando il finalismo soggettivo kantiano. Il suo idealismo assume una connotazione estetica, in quanto l’arte assurge al più alto livello tra tutte le forme di conoscenza dell’Assoluto. Genio inquieto e instancabile ricercatore autocritico elabora sotto altre forme le sue originali intuizioni filosofiche, anticipando sviluppi successivi del pensiero. PARAGRAFO 1. L’ASSOLUTO L’Idealismo di Fichte assolutizza e «divinizza» il Soggetto (Io/Spirito), da cui si genera anche l’Oggetto (NonIo/Natura) che si oppone infinitamente al Soggetto. Quindi, nel suo pensiero resta un residuo di dualismo, che non elimina la contraddizione dialettica, ma la riproduce in eterno. La contraddizione viene tolta in modo definitivo da Schelling (nell’immagine: Christian Friedrich Tieck, Ritratto di Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, Ölgemälde in Privatbesitz, 1800 circa). Egli riconduce sia lo Spirito che la Natura nell’ambito di un Assoluto che «precede» logicamente l’opposizione del Soggetto e dell’Oggetto. Riprendendo l’antichissimo ragionamento di Anassimandro ( Volume 1), Schelling osserva che l’origine di tutto ciò che esiste non può essere uno dei diversi che fanno parte del Tutto: non si vede, infatti, come il Soggetto potrebbe generare l’Oggetto, come dallo Spirito potrebbe derivare la Natura. Il principio non può quindi essere identificato nella tesi dialettica (l’Io, lo Spirito), ma in una sintesi dialettica originaria, sia pure implicita: un Assoluto che costituisca una indifferenziata unità o identità di Soggetto e Oggetto, Spirito e Natura. Oltre ogni dualismo. L’Assoluto indifferenziato di cui parla Schelling non mette in discussione i fondamenti dell’idealismo posti da Fichte. Non rinnega il principio fondamentale che assolutizza il pensiero umano. Al contrario, si tratta di intendere anche la Natura come Spirito, cioè come pensiero, e di intendere lo stesso Spirito come Natura. L’unità indifferenziata di Spirito e Natura è, infatti, l’Assoluto immanente sia allo Spirito che alla Natura, sia pure con modalità diverse. Schelling supera definitivamente il dualismo ontologico, che permaneva nell’idealismo di Fichte e che era rimasto irrisolto anche nel panteismo di Spinoza, il quale identificava Dio con la Natura, benché intesa come unità di pensiero ed estensione ( Sezione 2, Unità 3, Capitolo 2, Paragrafo 2). Ma ora l’idealistica coincidenza di Pensiero ed Essere è teorizzata nel modo più pieno e chiaro. Non solo viene superata la concezione del pensiero come parte del Tutto, ma viene superata anche l’opposizione fichtiana tra Io e Non-Io, che permaneva all’interno dell’orizzonte dell’Io/Spirito. PARAGRAFO 2. LA FILOSOFIA DELLA NATURA Schelling attribuisce alla Natura la stessa attività che Fichte attribuiva soltanto all’Io/Spirito. 336 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 3 Oltre il meccanicismo. Si rifà direttamente al finalismo di Kant, che nella Critica del giudizio ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3, Paragrafo 3) aveva denunciato i limiti del determinismo e del meccanicismo, tipici FRIEDRICH WILHELM JOSEPH VON SCHELLING. della scienza moderna e incapaci di spiegare fino in VITA E OPERE Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (Leonberg, fondo la natura e le sue leggi; in particolare la 1775 – Bad Ragaz, 1854), nato da un colto sacerdote natura organica, la vita, per non dire del pensiero (come notava Kant, il meccanicismo non è in grado protestante, a soli quindici anni entrò nel Tübingen di fornire una valida giustificazione dell’esistenza Stift, il seminario di Tubinga, dove studiò Teologia assieme a Hölderlin ed Hegel. Nel 1796 si trasferì persino di un semplice filo d’erba). Ma Schelling, come precettore a Lipsia. Il successo delle sue prime rifacendosi anche a Leibniz, a Spinoza, alle filosofie opere gli fece ottenere, nel 1798, una cattedra a rinascimentali e antiche, in particolare al neoplatonismo, si porta oltre Kant, superando in Jena, dove si legò ai maggiori esponenti del modo definitivo il meccanicismo, con una Romanticismo: Goethe, Novalis, Schiller, Hölderlin, i fratelli Wilhelm e Friedrich Schlegel e Fichte, del concezione organicista, ispirata ad un finalismo quale divenne il successore dopo le sue dimissioni. A immanentistico del tutto originale, profondamente Jena collaborò anche con Hegel alla pubblicazione diverso dal finalismo trascendente della teologia ebraico-cristiana. del Giornale critico della Filosofia. Conobbe Caroline Elabora così una dottrina perfettamente consona alla Michaelis che; dapprima sposata con Wilhelm August von Schlegel, diventerà sua moglie. Cominciarono, mentalità romantica, di cui si poneva come uno dei intanto, a manifestarsi gravi dissapori e polemiche massimi teorici. con Fichte. Dopo aver ottenuto un’altra cattedra a «Ma il meccanismo è lungi dal costituire esso solo la Natura. Infatti, non appena noi entriamo Würzburg, nel 1806 si trasferì a Monaco, dove nel campo della Natura organica ci viene a maturò, per vari motivi, una svolta profonda nella sua filosofia: l’incontro con Baader, che gli fece mancare qualunque collegamento di causa ed conoscere il pensiero di Böhme, la morte di Carolina, effetto. Ogni prodotto organico sussiste per se gli attacchi alla sua filosofia da parte di Hegel, Jacobi stesso, la sua esistenza non dipende da alcun’altra esistenza. Ma la causa non è mai la ed altri. Dopo il 1809, si isolò in un lungo silenzio, stessa cosa dell’effetto, e solo per cose diverse è impegnandosi nella stesura di un’opera mai conclusa, Le età del mondo. Nel 1812 sposò Paulina Gotter, possibile un rapporto di causa ed effetto: invece che gli resterà sempre accanto e gli darà sei figli. Nel l’organismo produce se stesso, deriva da se 1821 Schelling insegnò a Erlangen e, dal 1826, a stesso; ogni singola pianta è prodotta soltanto da un individuo della sua specie, e così ogni singolo Monaco, dove, l’anno seguente, terrà le Lezioni organismo continua a produrre e a riprodurre monachesi sulla Storia della Filosofia moderna. Nel 1841 venne chiamato alla cattedra di Berlino che era all’infinito soltanto il suo genere. Quindi nessun stata di Hegel e dove ebbe tra i suoi uditori anche organismo prosegue in avanti, ma ritorna sempre Kierkegaard, Feuerbach ed Engels. Morirà, quasi in se stesso all’infinito. Perciò un organismo come tale non è mai né causa né effetto di una dimenticato, a Bad Ragaz, in Svizzera, dove si cosa fuori di sé, e quindi non è cosa che possa trovava in villeggiatura, il 20 Agosto 1854. Le sue opere principali: Primo abbozzo di un sistema essere compresa nel sistema del meccanismo» di filosofia della natura (1799), Sistema dell’idealismo (F. W. J. Schelling, Idee per una filosofia della trascendentale (1800), Deduzione universale del natura, «Introduzione», 1897). processo dinamico (1800), Esposizione del mio Spirito e Natura. Le scoperte scientifiche sistema di filosofia (1801), Ulteriori esposizioni del mio sistema di filosofia (1803), Filosofia dell’arte, dell’epoca, che presentavano il quadro di una natura Propedeutica filosofica e Sistema dell’intera filosofia, fisica percorsa da forze, come il magnetismo e scritti tra il 1802 e il 1804, che saranno tuttavia l’elettricità, rafforzava l’idea della Natura come pubblicati postumi. atto, come vita universale, come anima mundi, come organismo vivente capace di autoorganizzarsi: insomma come Spirito, anche se inconscio. La natura è Spirito visibile e specularmente lo Spirito è Natura invisibile (divenuta cosciente e razionale): «Che è dunque quel legame segreto che unisce il nostro spirito con la natura, o quell’organo nascosto in virtù del quale la Natura parla al nostro spirito o il nostro spirito alla Natura? [...] La Natura deve essere lo Spirito visibile, lo 337 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 3 Spirito la Natura invisibile. Qui dunque, nell’assoluta unità dello spirito in noi e della natura fuori di noi, si deve risolvere il problema come una natura sia possibile fuori di noi» (F. W. J. Schelling, op. cit.) Mente e corpo. Completamente superato appare anche il dualismo tra mente e corpo, tra conscio e inconscio. Il corpo, non più opposto alla mente razionale, è già coscienza e ragione, benchè ancora in forma «preistorica» e inconsapevole. Schelling attua qui pienamente quel recupero dell’unità/molteplicità della dimensione psichica che già era stata anticipata da Spinoza ( Sezione 2, Unità 3, Capitolo 2, Paragrafo 5) e ancor più da Leibniz ( Sezione 2, Unità 5, Capitolo 1, Paragrafo 6). Con il suo vitalismo, con il suo animismo universale, coglie la profonda sintonia tra psiche e natura, tra personalità psichica umana nel suo complesso e Assoluto come unità indifferenziata degli opposti. Intuizioni notevoli, capaci di mettere in moto un significativo sviluppo del pensiero successivo ( Volume 3). La «preistoria» dello Spirito. La Natura ha già in sé quella struttura dialettica che in Fichte costituiva la struttura dell’Io e che si esprime nelle tre potenze: La natura fisica apparentemente inorganica (ma tutto è vita), governata dalla forza di gravità (e dalla polarità dialettica di attrazione e repulsione); La natura chimica (in cui agiscono il magnetismo, l’elettricità e la luce, preludio alla coscienza); La natura organica, in cui la sensibilità, l’irritabilità (cioè la capacità di movimento) e la «tendenza produttiva» esprimono in modo pieno il finalismo organicistico non teologico ( Approfondimenti) che trapassa e culmina nello Spirito, cioè nella natura intelligente: l’umanità come finalità intrinseca alla Natura. Evoluzionismo. La dialettica ascendente che dai gradi inconsci dello Spirito/Natura progressivamente si sviluppa, fino a divenire Natura invisibile nella ragione umana, appare come un processo evolutivo che anticipa di qualche decennio le teorie evoluzionistiche vere e proprie ( Volume 3). Bisogna però precisare che per Schelling i diversi gradi di questo processo evolutivo non rappresentano un percorso cronologico, distribuito nel tempo (come accadrà nell’evoluzionismo vero e proprio). Essi sono piuttosto dei momenti logici e metafisici che sono dati contemporaneamente nell’ambito dell’Assoluto, che è eternamente, non storicamente, Natura/Spirito. Il contributo di Schelling al formarsi di una visione evoluzionistica è notevole, ma la sua dottrina non può essere considerata in senso stretto evoluzionista ( Approfondimenti). PARAGRAFO 3. L’IDEALISMO TRASCENDENTALE Dopo aver esaminato l’attività della Natura che si eleva a Spirito, la filosofia trascendentale si occupa dell’attività dello Spirito che è anche Natura (l’essere umano non è soltanto mente razionale, è anche corpo, istinti, passioni). Dato che l’idealismo è anche un realismo, la filosofia della natura ha appunto mostrato il formarsi della dimensione ideale, cosciente e spirituale nel grembo della realtà inconscia e materiale. Ora si tratta di mostrare, sul modello del percorso già tracciato da Fichte, l’altro aspetto, speculare e reciproco, della produzione del reale da parte dell’ideale. La conoscenza. La dialettica dello Spirito è parallela a quella della Natura e si fonda sulla produzione inconscia dell’Oggetto da parte del Soggetto. Tuttavia, come già in Fichte, l’oggetto prodotto si trova di fronte al soggetto, lo limita e lo costringe a svolgere la propria dialettica conoscitiva che conduce dalla sensazione, alla riflessione e, infine, alla volontà, con la deduzione trascendentale delle forme a priori (spazio e tempo) e delle categorie ( Approfondimenti). La morale e la storia. Dalla volontà nasce la moralità soggettiva, nel senso kantiano del termine ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 1, Paragrafo 2), cui si contrappone dialetticamente il diritto, come norma esterna e oggettiva (tema che ritroveremo in Hegel Unità 2, Capitolo 2, Paragrafo 5). La sintesi si realizza nella storia, che a sua volta presenta una struttura dialettica e costituisce, come già in Fichte ( Capitolo 2, Paragrafo 3), il realizzarsi dell’Assoluto nel tempo e nel divenire 21, tema anch’esso hegeliano ( Unità 2, Capitolo 1). 21 La scansione triadica della storia, tipica del pensiero idealistico, spinge il visionario genio di Schelling a profetizzare il possibile compiersi di una sintesi assoluta nella storia, una sorta di «regno di Dio», in cui si attuerebbe quella pace perpetua che Kant aveva auspicato ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3, Paragrafo 4). 338 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 3 PARAGRAFO 4. L’IDEALISMO ESTETICO Ma la grande originalità di Schelling, che ne fa uno dei teorici più importanti del Romanticismo e un precursore di successivi sviluppi del pensiero filosofico ( Volume 3), consiste nel suo idealismo estetico. La natura e l’arte. Rifacendosi di nuovo alla kantiana Critica del giudizio e, in particolare, alla dottrina del giudizio estetico e del genio artistico ( Sezione 2, Unità 8, Capitolo 3, Paragrafo 2), e sviluppandola in modo originale, Schelling vede nella creazione artistica la più alta esperienza umana, quella che meglio riproduce la stessa sintesi originaria che si dà nell’Assoluto tra Spirito e Natura, ideale e reale, coscienza e inconscio: «Non si può concepire come il mondo oggettivo possa adattarsi alle nostre rappresentazioni, e queste a loro volta al mondo oggettivo, se non si ammette che tra i due mondi, l’ideale e il reale, esista un’armonia prestabilita. Quest’armonia prestabilita peraltro non è anch’essa pensabile, se l’attività per cui si produce il mondo oggettivo non è originariamente identica a quella che si manifesta nel volere, e viceversa. Ora è senza dubbio un’attività produttiva quella che si manifesta nel volere; ogni libero agire è produttivo, produttivo soltanto con coscienza. Se si pone ora che, siccome le due attività devono essere solo nel principio una sola, quella medesima attività, la quale nel libero agire è produttiva con coscienza, nella produzione del mondo sia produttiva senza coscienza, quell’armonia prestabilita è reale, e la contraddizione è sciolta. Posto che tutto accada realmente così, quella identità originaria tra l’attività che si spiega nella produzione del mondo e quella che si manifesta nel volere, si rappresenterà nei prodotti della prima; e questi prodotti dovranno apparire come prodotti di un’attività conscia ed inconscia ad un tempo. La natura, sia come un tutto, sia nei singoli suoi prodotti, dovrà apparire quale un’opera formata consapevolmente, e pur tuttavia quale un prodotto del più cieco meccanismo; essa è finalistica, senza essere finalisticamente spiegabile. La filosofia dei fini della natura, o la teleologia, è adunque il punto di congiunzione tra la filosofia teoretica e la pratica. Si è finora postulata soltanto in generale l’identità tra l’attività inconscia, che ha formato la natura, e quella conscia, che si manifesta nel volere, senza decidere ove risieda il principio di tale attività, se nella natura, o in noi. Ma il sistema del sapere solo allora potrà considerarsi come compiuto, quando sarà ricondotto al suo principio. La filosofia trascendentale sarebbe compiuta solo quando potesse dimostrare nel suo principio (nell’Io) quella identità, che è la più alta soluzione del suo intero problema. Si postula pertanto che nel soggettivo, nella coscienza stessa, venga dimostrata quell’attività conscia ed inconscia ad un tempo. Una simile attività è soltanto l’estetica, e ogni prodotto dell’arte non si può comprendere se non come un prodotto di essa. Il mondo ideale dell’arte e quello reale degli oggetti sono perciò i prodotti di una sola e medesima attività; la combinazione dell’uno e dell’altro (del conscio e dell’inconscio), senza coscienza, dà il mondo reale; con la coscienza, dà il mondo estetico. Il mondo oggettivo non è se non la poesia primitiva e ancora inconscia dello spirito; l’organo universale della filosofia – e la chiave di volta dell’intero suo edificio – è la filosofia dell’arte» (F. W. J. Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, «Introduzione»). Come l’Assoluto, artista cosmico, è Natura/Spirito, allo stesso modo l’artista: da un lato opera inconsciamente, grazie all’ispirazione, al talento e al genio, che sono tutti fattori inconsci, non razionali; d’altro canto opera consciamente, predisponendo in modo razionale le tecniche, i materiali e le modalità dell’esecuizione della sua opera. Allo stesso modo, l’opera d’arte, l’oggetto artistico, come l’oggetto naturale (che è spirito e natura, opera d’arte originaria) è: sia un oggetto fisico, finito e delimitato nello spazio tempo, concreto e individuale (materia e natura); sia una serie infinita di significati, che lo proiettano in una dimensione mentale e spirituale. L’infinità inconscia dell’arte. «L’opera d’arte ci riflette l’identità dell’attività cosciente e dell’inconscia. Ma l’antitesi tra queste due attività è infinita, e vien tolta senza il minimo concorso della libertà. Il carattere fondamentale dell’opera d’arte è dunque una infinità inconscia (sintesi di natura e libertà). Sembra che l’artista abbia nell’opera sua, all’infuori di quanto vi ha messo con palese intenzione, rappresentata istintivamente quasi un’infinità, che nessun intelletto finito è capace di sviluppare interamente. Per render chiaro il nostro pensiero con un solo esempio, la mitologia greca, la quale è innegabile che racchiuda in sé un senso infinito e simboli per tutte le idee, è nata in mezzo a un popolo e in una maniera, che rendono ambedue impossibile il supporre una generale intenzionalità nell’invenzione e nell’armonia, con cui ogni cosa è riunita in un grande insieme. Così è di ogni vera opera d’arte, in quanto ciascuna, come se vi 339 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 3 fosse un’infinità d’intenzioni, è capace di un’interpretazione infinita, dove non si può ben dire se quest’infinità si sia trovata nell’artista medesimo, o si trovi soltanto nell’opera d’arte. Invece nel prodotto, che non fa se non simulare il carattere dell’opera d’arte, intenzione e regola si trovano alla superficie ed appaiono così limitate e circoscritte, che il prodotto non è altro se non la fedele riproduzione della cosciente attività dell’artista ed è addirittura un oggetto solamente per la riflessione, ma non per l’intuizione, la quale ama profondarsi nell’intuito e soltanto sull’infinito può riposare» (op. cit., VI). Nell’idealismo estetico di Schelling l’arte assurge ad un valore conoscitivo superiore alla filosofia e alla scienza, che tendono a costituirsi prevalentemente come attività razionali e concettuali, mentre nell’arte si realizza l’identità indiffenziata e assoluta della corporeità e della spiritualità, cioè entrambe le polarità da cui è costituita l’intera realtà, compreso l’uomo. L’importanza conferita da Schelling all’inconscio universale, che agisce tramite il talento artistico, ma ben al di là delle intenzioni individuali, insieme all’attenzione per il mito, con i suoi significati originari e archetipici, anticipa temi che saranno ripresi e sviluppati nella psicologia del profondo del Novecento ( Volume 3). PARAGRAFO 5. ALTRE FASI DEL PENSIERO DI SCHELLING Nelle opere successive al 1801, Schelling cerca di approfondire le sue dottrine ed inizia ad attribuire a Dio, che dovrebbe esser pensato come eterno e immutabile nella prospettiva della metafisica tradizionale, ciò che prima riferiva all’Assoluto idealisticamente inteso (nell’idealismo l’uomo è Dio). Si distinguono tre fasi successive: la filosofia dell’identità; la filosofia del Dio vivente; la filosofia positiva. La filosofia dell’identità. È una fase transitoria in cui Schelling approfondisce il tema dell’identità indifferenziata dell’Assoluto originario, ponendosi il problema logico di come dall’uno indifferenziato possa derivare il molteplice, caratterizzato dalle differenze. Il problema resta aperto e in sostanza irrisolto, data la fondamentale disomogeneità tra l’infinito e il finito, che non trova giusitificazioni valide nel panteismo tradizionale, né nel creazionismo ebraicocristiano né nell’emazionismo neoplatonico ( Approfondimenti). La filosofia del Dio vivente. Successivamente si orienta verso l’interessante approfondimento di una sua intuizione precedente, quella dell’Assoluto processuale. Ora però è Dio ad essere concepito come processo, come entità non immutabile ma diveniente e vivente che si manifesta storicamente nel molteplice e nel finito, passando dall’inconscio alla luce della coscienza razionale, attraverso la dialettica caduta/redenzione. Sembra così chiarirsi il rapporto tra infinito e finito, assoluto e relativo, perfezione e imperfezione, uno e molteplice, dato che Dio stesso non è un Essere, ma un Divenire. La realtà del finito, che sembrava impossibile da spiegare sulla base dell’identità, ora è giustificata dal suo essere la matrice stessa della realtà, che appartiene sia a Dio che a tutti gli esseri derivati da Lui. Sotto questo punto di vista anche il problema della libertà e quello del male possono essere risolti ( Approfondimenti). La filosofia positiva. Dopo la dura polemica con il compagno di studi Hegel, il cui idealismo si stava affermando con prepotenza, Schelling scelse il silenzio, ferito dall’accusa di aver elaborato una dottrina dell’identità assoluta, una «notte in cui tutte le vacche sono nere» (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito Unità 2, Capitolo 1, Paragrafo 2). Dopo la morte di Hegel avviò una decisa ritrattazione dell’idealismo, definito ormai come «filosofia negativa», poiché si limita a studiare le essenze, le possibilità logico-razionali della realtà. Ad essa contrappone la sua «filosofia positiva» che si occupa dell’esistenza concreta della realtà, non deducibile a priori dalla ragione. Nelle sue lezioni all’Università di Berlino, dove era stato chiamato ad occupare la cattedra che era stata del suo amico/rivale, elabora questa sua ultima dottrina, ricca di suggestioni già post-hegeliane e destinata a interessanti sviluppi ( Volume 3). 340 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 3 Di particolare interesse la prima parte, la filosofia della mitologia, che riprende e sviluppa un tema già presente nel suo idealismo estetico. Il politeismo e la mitologia sono visti e trattati come archetipi inconsci universali, momenti fondamentali nella formazione della cultura umana. La seconda parte, la filosofia della rivelazione, è dedicata in particolare al Cristianesimo come religione universale in cui Dio rivela se stesso tramite il proprio Figlio ( Approfondimenti). Dando espressione al suo genio profetico Schelling auspica anche, sulla scorta di Gioacchino da Fiore ( Volume 1, Sezione 2, Unità 3, Capitolo 1, Paragrafo 5), una terza età, quella dello Spirito, in cui si realizzi pienamente l’armonia completa tra l’uomo e Dio (cfr. anche Lessing Sezione 2, Unità 7, Capitolo 2, Paragrafo 5). 341 Percorsi della filosofia Sezione 3, Unità 1, Capitolo 3 HAI IMPARATO CHE ... 1. IL ROMANTICISMO SVILUPPA E APPROFONDISCE TEMI DELL’ILLUMINISMO E IN PARTE SI CONTRAPPONE AD ESSO. 2. I PRINCIPALI MOTIVI ROMANTICI SONO: LA SOGGETTIVITÀ, L’IDENTITÀ NAZIONALE, LA SPIRITUALITÀ DELLA NATURA, IL SENTIMENTO, LA FEDE, IL VALORE DELLA STORIA. 3. DAL DIBATTITO SUL CRITICISMO NASCE L’IDEALISMO. 4. FICHTE TRASFORMA L’IO TRASCENDENTALE KANTIANO IN IO ASSOLUTO. 5. PER FICHTE L’IO È SPIRITO ASSOLUTO, GENERA E OPPONE A SÉ LA NATURA O NON-IO. 6. L’IO È ATTO PURO E INFINITO, HA UNA STRUTTURA DIALETTICA E SI ATTUA NELLA STORIA. 7. L’INFINITA ATTUAZIONE DELL’IO SI REALIZZA TRAMITE GLI IO EMPIRICI IN OPPOSIZIONE AI NON-IO EMPIRICI. 8. QUELLO DI FICHTE È UN IDEALISMO ETICO, IN QUANTO LA CONOSCENZA È FINALIZZATA ALL’AZIONE, CIOÈ ALL’UMANIZZAZIONE E SPIRITUALIZZAZIONE DELLA NATURA. 9. L’IO È LIBERTÀ, INTESA COME PROGRESSIVA LIBERAZIONE DAI LIMITI E DAI CONDIZIONAMENTI DELLA NATURA. 10. LA DOTTRINA POLITICA DI FICHTE SI EVOLVE DAL LIBERALISMO CLASSICO AD UNA CONCEZIONE ETICOSOCIALE DELLO STATO E INFINE VERSO IL NAZIONALISMO PATRIOTTICO TEDESCO. 11. CON SCHELLING L’ULTIMO RESIDUO DI DUALISMO VIENE SUPERATO. 12. L’ASSOLUTO È CONCEPITO COME INDIFFERENZIATA DI SPIRITO E NATURA. UNITÀ 13. LA NATURA È «PREISTORIA DELLO SPIRITO», «SPIRITO VISIBILE». 14. «LO SPIRITO È NATURA INVISIBILE». 15. NELL’OPERA D’ARTE SI RIPRODUCE L’UNITÀ INDIFFERENZIATA DI INCONSCIO E COSCIENZA CHE È ORIGINARIA NELL’ASSOLUTO. 16. QUELLO DI SCHELLING È UN IDEALISMO ESTETICO. 17. NELLE FASI SUCCESSIVE DEL SUO PENSIERO SCHELLING RIELABORA E MODIFICA LE SUE DOTTRINE PRECEDENTI. 342 L’autore Percorsi della filosofia UNITÀ DIDATTICA 2. GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL PREREQUISITI [ Conoscere ed aver compreso: il nuovo clima culturale del Romanticismo – lo sviluppo del criticismo kantiano nell’Idealismo tedesco – i concetti fondamentali del pensiero di Fichte e Schelling – il significato della dialettica nel pensiero di Fichte e Schelling - gli sviluppi dell’idealismo nel passaggio da Fichte a Schelling –- il superamento definitivo dei dualismi, gnoseologico e ontologico, avviato dai pensatori romantici e idealisti – la nuova concezione della scienza nel pensiero idealistico rispetto alla scienza moderna – il superamento dell’intelletto illuministico kantiano nel pensiero romantico e idealistico – il superamento del meccanicismo deterministico Conoscere e saper utilizzare il lessico specifico della disciplina ] OBIETTIVI [ Conoscere e comprendere: le modalità con cui Hegel conduce al suo culmine l’idealismo –- il superamento definitivo di tutti i dualismi - la dialettica come struttura processuale dell’Assoluto e della storia - le «figure» storicofilosofiche in cui si manifesta la mente umana nel suo sviluppo individuale e sociale - - la struttura complessa e articolata del sistema hegeliano in cui si attua la sintesi piena e definitiva di pensiero ed essere – l’enorme varietà di spunti di riflessione e di comprensione della realtà contenuti nell’opera di Hegel Conoscere e saper utilizzare il lessico specifico della disciplina ] CAPITOLO 1. DALLE OPERE GIOVANILI ALLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO Con Hegel l’idealismo raggiunge il culmine del suo sviluppo. Il superamento definitivo di ogni dualismo, il perfezionamento della dialettica come intima struttura processuale dell’Assoluto e della storia, sono concezioni che si delineano fin dagli scritti giovanili e che trovano una prima esposizione in quella sorta di romanzo storico-filosofico della mente umana nelle sue varie manifestazioni che è la Fenomenologia dello Spirito. PARAGRAFO 1. LE OPERE GIOVANILI Tra il 1794 e il 1802, nel periodo in cui risiedette a Berna, a Francoforte e , infine, a Jena, Hegel scrisse un gruppo di opere, alcune imcompiute, la maggior parte inedite. Esse furono riscoperte e pubblicate più di un secolo dopo con il titolo Scritti teologici giovanili ( Approfondimenti). Si tratta di un titolo che sottolinea soltanto una delle caratteristiche di questi importanti scritti: il tema religioso. In realtà, la religione è studiata soprattutto nei suoi legami con la storia dei popoli e delle genti, come fattore culturale, etico e politico. L’importanza di questi testi risiede soprattutto nel fatto che in essi si delineano già alcune componenti fondamentali del pensiero hegeliano, con cui lo sviluppo storico e filosofico dell’idealismo raggiunse il suo culmine, imprimendo una svolta definitiva alla crisi della civiltà moderna. 343 L’autore Percorsi della filosofia GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL. VITA E OPERE Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 1770 – Berlino, 1831), primogenito di Georg Ludwig, capo della cancelleria del duca Karl Eugen, e di Maria Magdalena Fromm, che avranno altri due figli, Ludwig e Christiane, viene educato nella famiglia secondo i principi di una ferma ortodossia politica e religiosa. Fin dall'adolescenza appare di temperamento conformista e borghese. Dal 1777, affronta studi umanistici nel Ginnasio di Stoccarda e, privatamente, studi scientifici. Rimasto orfano della madre nel 1784, dal 1785 al 1787 tiene un diario da cui si rileva il suo interesse per il mondo classico, la Bibbia e autori contemporanei come Goethe, Schiller e Lessing. Ottenuta la maturità nel 1788, nell’ottobre di quello stesso anno si iscrive all'Università di Tubinga, ospite come borsista nel locale seminario, lo Stift, di cui non apprezza la disciplina, né i metodi di insegnamento, né la preparazione dei professori, i quali non ebbero influenza su di lui se non, forse, quella di stimolargli una reazione alla loro ortodossia dogmatica. Influenza molto importante, al contrario, fu la frequentazione col futuro, grande poeta Friedrich Hölderlin che lo definisce ingegno alto e prosaico - e Schelling, con i quali divise, per alcuni anni, la camera. Studia, in particolare, i classici greci, gli Illuministi, Kant e i kantiani; conclusi gli studi nel 1793 con un giudizio non lusinghiero in filosofia, si dedica all’attività di precettore prima a Berna, poi a Francoforte. Con Hölderlin e Schelling dà stesura definitiva al Programma di sistema, manifesto dell'Idealismo tedesco. Nel 1801 si trasferisce a Jena, in quegli anni capitale della cultura tedesca, ospite di Schelling che insegna nella locale Università. Pubblica la Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling per aprirsi la strada all'insegnamento. Conosce, a Weimar, Goethe e Schiller; in una lettera a Schiller, Goethe sottolinea la goffaggine di Hegel nella conversazione, un difetto che appare anche nell'esposizione delle sue lezioni universitarie. Dal 1802 al 1803, con Schelling, pubblica il Giornale critico della filosofia. Inizia, nel 1806, una relazione con la sua affittacamere Christiane Charlotte Fischer Burckhardt, dalla quale ha un figlio. Il 13 Ottobre l'esercito francese entra a Jena; Hegel vede, da lontano, Napoleone e scrive all'amico e collega Friedrich Niethammer: «[…] l’imperatore - quest’anima del mondo - l’ho visto uscire a cavallo dalla città, in ricognizione; è davvero una sensazione singolare vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, spazia sul mondo e lo domina […]». Il suo alloggio viene requisito e va a Bamberg per due mesi; tornato a Jena, pubblica la Fenomenologia dello spirito (1807) con la quale, per le critiche che vi sono contenute, si consuma la rottura con Schelling. Si trasferisce a Bamberg a dirigere il modesto quotidiano Bamberger Zeitung (Gazzetta di Bamberg). Nel 1808 viene nominato rettore e professore di Filosofia del Ginnasio di Norimberga. Si sposa, nel 1811, con la ventenne aristocratica Marie von Tucher, da cui avrà due figli. Nell’occasione, scrive all’amico Niethammer: «Ho raggiunto il mio ideale terreno, perché con un impiego e una donna si ha tutto in questo mondo». Dal 1812 al 1816 pubblica la Scienza della logica. Dal 1816 insegna Filosofia all’Università di Heidelberg e pubblica l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Nel 1818 è nominato professore di Filosofia nell’Università di Berlino: nella prolusione del 22 Ottobre, esalta lo Stato prussiano ed entra in polemica col giurista Friedrich Carl von Savigny e con il filosofo e teologo Friedrich Schleiermacher. Nel 1827 escono gli Annali per la critica scientifica, rivista dell’hegelismo, cui collaborano, tra gli altri, Goethe e i fratelli von Humboldt. Ad agosto parte per Parigi, dove è ospite dello storico e filosofo Victor Cousin. In ottobre, di ritorno a Berlino, incontra Goethe a Weimar, discutono della dialettica. Nell’ottobre 1829, Hegel, rettore dell’Università di Berlino, nella prolusione accademica, celebra l’accordo tra la legge dello Stato e la libertà d’insegnamento. Nel 1830 pubblica i Lineamenti di Filosofia del diritto. Muore improvvisamente il 14 Novembre 1831, di colera o, forse, di un tumore allo stomaco; gli vengono tributati funerali straordinari e viene sepolto vicino alla tomba di Fichte. Dopo la sua morte, sulla base degli appunti raccolti dagli studenti, furono pubblicate: nel 1832, Lezioni sulla filosofia della religione e Lezioni sulla storia della filosofia, nel 1837 Lezioni sulla filosofia della storia, nel 1836 e 1838 Lezioni sull’Estetica. 344 L’autore Percorsi della filosofia Hegel, immerso profondamente nel clima romantico e idealistico, fa i conti con Kant e con l’Illuminismo, in particolare prende rapidamente le distanze dalla concezione della moralità individuale del dovere e da quella dell’intelletto scientifico astratto. Su entrambe le questioni la chiave di confutazione è fondata sulla dialettica che, come vedremo fra poco, è ispirata più alle idee di Schelling (o almeno di uno Schelling interpretato da Hegel) che a Fichte. Il Cristianesimo e la «legge» dell’amore. Per quanto riguarda la prima questione Hegel vede nel Cristianesimo la sintesi tra l’etica della Grecia antica e l’etica ebraica: 1. la tesi è costituita dalla religione greca, i cui dèi sono espressioni della natura, la cui morale è in perfetto accordo con gli impulsi spontanei e naturali della vita; 2. l’antitesi è rappresentata dalla religione ebraica, mosaica in particolare, fondata sulla contrapposizione tra i precetti morali e gli impulsi e le passioni, tra il Dio trascendente e il mondo terreno, tra la legge e la natura (posizione che Hegel identifica con la moralità kantiana del «tu devi»); 3. la sintesi è costituita dal messaggio autentico di Cristo che riconcilia natura e legge, con il suo precetto dell’amore, in cui si superano e si conservano in una dimensione più alta, gli opposti: la passione, l’impulso naturale, da una parte, e il dovere, dall’altra. Bisogna aggiungere che Hegel tende a identificare l’autentica religione di Cristo con il messaggio evangelico, non con la Chiesa istituzionale, che impone una religione positiva contro natura, come lo era la legge mosaica (tema di grande interesse per alcuni fondamentali sviluppi che avrà a partire dalla seconda metà dell’Ottocento Volume 3; inoltre Approfondimenti). Il movimento dialettico presenta già alcune originalità che poi troveranno adeguato sviluppo ( Approfondimenti). Fichte e Schelling. Nell’unica opera pubblicata di questo periodo (quello di Jena, più precisamente), La differenza tra il sistema fichtiano e quello schellinghiano (1801), Hegel dapprima critica Kant alla luce di Fichte, poi critica Fichte alla luce dell’amico e compagno Schelling. Secondo Hegel, Fichte ha saputo cogliere lo spirito della filosofia kantiana, cioè il superamento del dualismo gnoseologico, l’identità del soggetto e dell’oggetto. Tale spirito si esprime nella deduzione delle categorie, quando Kant intende l’oggetto come ciò che è plasmato dal soggetto. o Hegel afferma che l’intelletto kantiano «è tenuto a battesimo dalla ragione». Intende dire che Kant fa compiere all’intelletto astratto un’operazione che è possibile soltanto per la ragione dialettica, già rivalutata da Fichte e in seguito potentemente sviluppata dallo stesso Hegel. Infatti: l’intelletto astratto è conoscenza del finito, che concepisce le realtà determinate (i concetti dell’intelletto, ad esempio) come entità a se stanti, separate le une dalle altre, cristallizzate nella loro opposizione; la ragione è invece la facoltà che consente di porre in relazione i concetti nella concretezza del divenire e nella loro reciproca opposizione/dipendenza: un concetto, infatti, è tale solo in quanto si oppone al suo opposto: l’amore è tale solo in quanto si oppone all’odio; senza tale opposizione sarebbe indistinguibile dall’odio, non sarebbe neppure definibile. o Poi, però, Kant (nella sua «Dialettica» Sezione 2, Unità 8, Capitolo 1, Paragrafo 7) ha trattato la ragione dal punto di vista dell’intelletto, riaffermando quel dualismo di fenomeno e noumeno che aveva saputo superare: così ha tradito lo spirito stesso della sua gnoseologia. Tuttavia, lo stesso Fichte, pur affermando che il soggetto produce l’oggetto, ha concepito questa identità come interna al soggetto, opponendo di nuovo soggetto e oggetto, Io e Non-Io, in una contraddizione infinita: ha pensato ancora dal punto di vista dell’intelletto gli opposti come assoluti : Schelling, secondo Hegel, che lo interpreta un po’ a modo suo, ha saputo superare il residuo di dualismo fichtiano, soddisfacendo pienamente le esigenze della ragione dialettica con l’unificazione assoluta di Spirito e Natura. L’amore. La dialettica, secondo Hegel, è infatti essenzialmente relazione e unificazione, opposizione e superamento dell’opposizione, che conserva gli opposti e li innalza ad un livello più alto. Da un altro punto di vista, in queste prime opere, il romantico Hegel vede anche nell’amore di coppia un altro esempio del processo dialettico di unificazione dei diversi. 345 L’autore Percorsi della filosofia Tale unificazione non avviene sul piano della ragione, ma sul piano della vita concreta delle persone, dei loro sentimenti, delle loro volontà e dei loro corpi. Dall’unione dei due innamorati nasce una nuova entità: il noi, la sintesi dell’io e del tu, in cui l’io e il tu non si perdono, ma realizzano la loro pienezza di vita. La relazione d’amore è uno scambio reciproco che arricchisce entrambi gli innamorati, e fa loro sperimentare l’assoluto, l’unificazione reale del finito e dell’infinito. Ecco il bellissimo frammento sull’amore: «Unificazione vera, amore vero e proprio, ha luogo solo fra viventi che sono eguali in potere, e che, quindi, sono viventi l’uno per l’altro nel modo più completo, e per nessun lato l’uno è morto rispetto all’altro. L’amore esclude ogni opposizione; esso non è intelletto, le cui relazioni lasciano sempre il molteplice come molteplice, e la cui stessa unità sono delle opposizioni; esso non è ragione che oppone assolutamente al determinato il suo determinare; non è nulla di limitante, nulla di limitato, nulla di finito; l’amore è un sentimento, ma non un sentimento singolo: dal sentimento singolo, poiché è solo vita parziale e non vita intera, la vita si spinge fino a sciogliersi e a disperdersi nella molteplicità dei sentimenti per trovare se stessa in questo tutto della molteplicità. Nell’amore questo tutto non è contenuto come somma di parti particolari, di molti separati; nell’amore si trova la vita stessa come una duplicazione di se stessa, e come sua unità; partendo dall’unità non sviluppata, la vita ha percorso nella sua formazione il ciclo che conduce a una unità completa. Di contro all’unità non sviluppata stavano la possibilità della separazione e il mondo; durante lo sviluppo la riflessione produceva sempre più opposizioni, che venivano unificate nell’impulso soddisfatto, fin che la riflessione oppone all’uomo il suo stesso tutto; l’amore infine, distruggendo completamente l’oggettività, toglie la riflessione, sottrae all’opposto ogni carattere di estraneità, e la vita trova se stessa senza ulteriore difetto. Nell’amore rimane ancora il separato, ma non più come separato, bensì come unito; e il vivente sente il vivente. [...] [L’amore] è un prendere e dare reciproco; nel timore che i suoi doni possano essere sdegnati, nel timore che un opposto possa non cedere al suo prendere, vuol vedere se la speranza non lo ha ingannato, se trova in ogni modo se stesso. Colui che prende non si trova con ciò più ricco dell’altro: si arricchisce, certo, ma altrettanto fa l’altro; parimenti quello che dà, non diviene più povero: nel dare all’altro egli ha anzi altrettanto accresciuto i propri tesori. Giulietta nel Romeo e Giulietta: “Più ti do, tanto più io ho, ecc.”. L’amore acquista questa ricchezza di vita nello scambiare tutti i pensieri, tutte le molteplicità dell’anima, poiché cerca infinite differenze e trova infinite unificazioni, si indirizza all’intera molteplicità della natura per bere amore da ognuna delle sue vite. Quel che c’è di più proprio si unifica nel contatto e nelle carezze degli amanti, fino a perdere la coscienza, fino al toglimento di ogni differenza: quel che è mortale ha deposto il carattere della separabilità, ed è spuntato un embrione di immortalità, un embrione di ciò che da sé eternamente sviluppa e produce, un vivente. L’unificato non si separa più, la divinità ha operato, ha creato» (G.W.F. Hegel, «L’amore», in Scritti teologici giovanili). PARAGRAFO 2. FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO: CARATTERI GENERALI Dal 1806 Hegel prende le distanze da Schelling, dal suo Assoluto che annulla tutte le differerenze, e si appresta a pubblicare una introduzione al sistema filosofico che sta elaborando. L’anno successivo pubblica la Fenomenologia dello Spirito, un’opera discontinua, scritta in parte di getto, ma geniale, complessa e ricchissima di intuizioni notevoli, suscettibili di sviluppi molto interessanti. Lo Spirito. La parola «Spirito» che compare nel titolo non ha più il significato che al termine attribuiva Schelling. Hegel chiama Spirito non più l’Io che oppone a sé il Non-Io (Fichte) e neppure lo Spirito che si oppone alla Natura in Schelling (dopo essersi diversificato dall’Assoluto indifferenziato originario). Lo Spirito per Hegel è la sintesi dialettica tra soggetto e oggetto, ideale e reale, conscio e inconscio: per Hegel lo Spirito è l’Assoluto che conosce assolutamente se stesso in quanto Assoluto. «Secondo il mio modo di vedere che dovrà giustificarsi soltanto mercé l’esposizione del sistema stesso, tutto dipende dall’intendere e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto. [...] La sostanza viva è bensì l’essere il quale è in verità Soggetto, o, ciò che è poi lo stesso, è l’essere che in verità è effettuale, ma soltanto in quanto la sostanza è il movimento del porre se stesso, o in quanto essa è la mediazione del divenir-altro-da-sé con se stesso» (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, vol. 1). Ma ciò non può accadere che al termine di un processo dialettico in cui lo Spirito porta a conclusione quel fine che è già implicito nell’inizio del processo stesso, chiudendo il cerchio della conoscenza di sé in quanto Assoluto (identità di pensiero ed essere, effettivamente conquistata dopo l’opposizione dialettica di tesi e antitesi). 346 L’autore Percorsi della filosofia «Come soggetto essa è la pura negatività semplice, ed è, proprio per ciò, la scissione del semplice in due parti, o la duplicazione opponente; questa, a sua volta, è la negazione di questa diversità indifferente e della sua opposizione; soltanto questa ricostituentesi eguaglianza o la riflessione entro l’esser-altro in se stesso, non un’unità originaria come tale, né un’unità immediata come tale, è il vero. Il vero è il divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha all’inizio la propria fine come proprio fine, e che solo mediante l’attuazione e la propria fine è effettuale» (op. cit.). Perciò l’Assoluto è il risultato di un processo che si attua nella storia dell’umanità e che può attuarsi anche nella storia di ogni singolo individuo. L’Assoluto non è all’inizio, come Io (Fichte) o come Assoluto indifferente (Schelling), ma soltanto alla fine come sintesi dialettica di soggetto e oggetto: «Il vero è l’intiero. Ma l’intiero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto o divenir-se-stesso» (op. cit.). L’Assoluto nell’idealismo. Fichte L’Assoluto è l’Io/Spirito originario da cui deriva anche il Non-Io/Natura Schelling L’Assoluto è l’unità indifferenziata originaria di Spirito e Natura da cui tutto deriva Hegel L’Assoluto è lo Spirito come risultato finale di un processo dialettico, di un divenire se stesso La fenomenologia. Il termine «fenomenologia» riferito allo Spirito significa studio ed esposizione delle manifestazioni dello Spirito, studio ed esposizione delle modalità attraverso cui lo Spirito appare nella storia e attua dialetticamente se stesso. In questo senso l’opera è davvero un avvincente romanzo storico-filosofico che narra la storia dell’umanità, dal primo baluginare della coscienza fino alla presa di coscienza razionale che il Pensiero umano coincide con il Tutto. Essa è dunque anche la narrazione della storia della civiltà e della cultura fino al suo compiersi nella filosofia idealistica. Ed è inoltre la storia di ogni individuo che, dal primo aprire gli occhi sul mondo, ripercorrendo le tappe della storia dell’umanità (le figure fenomenologiche dello Spirito universale), raggiunge l’età della ragione e diviene cosciente della sua possibilità di conoscere ogni cosa che esiste, interiorizzando tutto ciò che l’umanità ha già realizzato e oggettivato nel suo percorso millenario (e che all’individuo singolo appare come oggetto esterno: monumenti, documenti, opere d’arte, ecc., in cui è racchiuso lo spirito universale): «Il singolo deve ripercorrere i gradi di formazione dello spirito universale, anche secondo il contenuto, ma come figure dallo spirito già deposte, come gradi di una via già tracciata e spianata. Similmente noi, osservando come nel campo conoscitivo ciò che in precedenti età teneva all’erta lo spirito degli adulti è ora abbassato a cognizioni, esercitazioni e fin giochi da ragazzi, riconosceremo nel progresso pedagogico, quasi in proiezione, la storia della civiltà. Tale esistenza passata è proprietà acquisita allo spirito universale; spirito che costituisce la sostanza dell’individuo e, apparendogli esteriormente, costituisce così la sua natura inorganica. Mettendoci per questo riguardo dall’angolo visuale dell’individuo, la cultura consiste nella conquista di ciò ch’egli trova davanti a sé, consiste nel consumare la sua natura inorganica e nell’appropriarsela» (op. cit.) La dialettica. La storia fenomenologica dello Spirito ha una struttura dialettica, secondo la concezione che in Hegel si sta sempre più precisando. Ecco l’esempio semplice che ne dà nelle prime pagine dell’opera: «Il boccio dispare nella fioritura, e si potrebbe dire che quello vien confutato da questa; similmente, all’apparire del frutto, il fiore vien dichiarato una falsa esistenza della pianta, e il frutto subentra al posto del fiore come sua verità. Tali forme non solo si distinguono, ma ciascuna di esse dilegua anche sotto la spinta dell’altra, perché esse sono reciprocamente incompatibili. Ma in pari tempo la loro fluida natura ne fa momenti dell’unità organica, nella quale esse non solo non si respingono, ma sono anzi necessarie l’una non meno dell’altra; e questa eguale necessità costituisce ora la vita dell’intiero» (op. cit.). L’esempio, tratto da un fenomeno della natura, alla quale peraltro Hegel non riserverà in seguito una grande attenzione, chiarisce però molto bene: 347 L’autore Percorsi della filosofia il concetto di dialettica come processo storico in cui il risultato finale del processo stesso (la sintesi) è il compimento delle fasi precedenti: il frutto è la concreta realizzazione di ciò in funzione di cui esistono le fasi precedenti: il boccio e il fiore, il fatto che la tesi (il boccio) sia negata e superata dall’antitesi (il fiore) e questa sia negata e superata dalla sintesi (il frutto); l’importanza dell’antitesi che è il motore del divenire dialettico (tema che Hegel approfondì particolarmente in seguito ( Unità 2, Capitolo 2, Paragrafo 2); l’unità organica dei tre momenti che, pur essendo distinguibili l’uno dall’altro, non sono separabili, in quanto fanno parte di un solo processo: in sé i singoli momenti sono astratti (separati, appunti), mentre la loro concreta esistenza è nel loro fluido legame dialettico; il fatto che le tre fasi sono ugualmente necessarie allo svolgersi del processo: in ognuna di esse si attua, in modo particolare, la vita del tutto: anche questo è un tema fondamentale nella dottrina hegeliana, il Tutto si manifesta in ogni sua parte, l’infinito si manifesta nel finito, l’assoluto nel relativo. la necessità logico-processuale (e storica) che lega le tre fasi e che le conserva nel loro stesso superamento. Le «figure» e la dialettica. Comunque, l’esempio della fruttificazione chiarisce soltanto la struttura triadica (tesi, antitesi, sintesi e loro rapporti) della dialettica. Applicando il modello al divenire storico il discorso si articola in una sorta di modello a spirale. Nella storia, infatti, ogni sintesi particolare è soltanto una delle tappe dell’intero sviluppo dello Spirito: essa ha dunque in sé quella instabilità e incompiutezza che la proietta verso una nuova tesi, parte di un’ulteriore triade dialettica. Ognuna delle tappe del percorso che lo Spirito compie dal primo apparire della coscienza fino al Sapere Assoluto è una delle figure fenomenologiche in cui si manifestano le più diverse attività umane, conoscitive, pratiche, comportamentali, psicologiche, morali, sociali, economiche e politiche. Ognuna di esse è necessaria e vi si riflette l’intero sviluppo dello Spirito. Ogni figura è quindi una manifestazione dello Spirito nella particolarità di quella determinata manifestazione (l’infinito si manifesta nel finito, l’assoluto nel relativo). Perciò anche ciascun individuo è chiamato a ripercorrere con pazienza tutte le tappe che lo Spirito universale ha già percorso: un lungo cammino, reso più lieve dal fatto che la strada è già tracciata: «L’insofferenza pretende l’impossibile, vale a dire il raggiungimento della meta senza i mezzi. Da un lato bisogna sopportare la lunghezza di quest’itinerario, ché ciascun momento è necessario; dall’altro lato occorre soffermarsi presso ciascun momento, giacché ciascuno di per sé è un’intera figura individuale; così ciascun momento vien considerato assoluto, proprio perché la sua determinatezza vien riguardata come un intiero o come un concreto, o come l’intiero nella peculiarità di questa determinazione. Poiché non solo la sostanza dell’individuo, ma addirittura lo Spirito del mondo ha avuto la pazienza di percorrere queste forme in tutta l’estensione del tempo, e di prender su di sé l’immane fatica della storia universale per riplasmare quindi in ciascuna forma, per quanto questa lo comportasse, il totale contenuto di se stesso; e poiché lo Spirito del mondo non avrebbe potuto attingere la coscienza di sé con minore fatica, è evidente che, secondo la cosa stessa, l’individuo non potrà arrivare a comprendere la sua sostanza attraverso un cammino più breve; tuttavia ha dinanzi a sé una fatica più lieve, perché tutto ciò in sé già consummatum est: il contenuto è già l’effettualità affievolita nella possibilità, l’immediatezza già forzata, è la figurazione già ridotta alla sua abbreviazione, alla semplice determinazione di pensiero. Essendo il contenuto di già un pensato, esso è proprietà della sostanza; non più l’esserci deve venir volto nella forma dell’esser-in-sé [an sich]; anzi è ciò ch’è in sé che deve venir volto nella forma dell’esser-per-sé; – ciò ch’è in sé, non più meramente originario né calato nell’esserci, ma piuttosto ridotto già a memoria» (op. cit.) 348 L’autore Percorsi della filosofia La dialettica. Fichte Tesi e antitesi sono assolutamente opposte Nel processo dialettico e storico tesi e antitesi si oppongono all’infinito La sintesi è dunque rinviata all’infinito ed è effettivamente irrealizzabile L’Assoluto è la tesi in quanto soggetto Schelling Hegel La sintesi è data già in principio nell’Assoluto indifferenziato Lo sviluppo dialettico dell’Assoluto è interno all’Assoluto che tutto contiene dall’inizio L’Assoluto è la tesi in quanto soggetto/oggetto Tesi e antitesi sono opposte ma non assolutamente Ogni sintesi è sempre una nuova tesi cui si opporrà una nuova antitesi nel processo dialettico L’Assoluto in quanto soggetto/oggetto è la sintesi suprema del processo Il significato delle «figure». Il significato delle figure è almeno triplice: 1. esse sono tappe ideali e metastoriche, vere categorie universali dello Spirito: a. possono ripetersi ciclicamente nella storia; b. esistono metafisicamente, eternamente conservate nell’Assoluto Spirito; 2. sono tappe effettivamente percorse dalla storia dell’umanità; 3. sono tappe della storia individuale, in quanto gli individui possono liberamente, se vogliono realizzarsi nella loro piena umanità, ripercorrere tutte le manifestazioni dello Spirito nella storia universale. www.angeloconforti.it [email protected] 349