Il disturbo di attenzione con iperattività tra i

A11
143
Ringraziamo Silvana Bertoncini, insegnante presso la scuola Media “Dante Alighieri” di
Piacenza, per la revisione attenta del testo e i suggerimenti puntuali su come adeguare meglio
il nostro prodotto alle esigenze degli insegnanti (suggerimenti di cui cercheremo di tener conto
per la stesura del prossimo volume, che speriamo più operativo). Siamo molto grate anche a
Rosanna Zanotti, laureata in psicologia che è stata disponibile, ben oltre il tempo previsto dal
suo tirocinio, ad aiutarci nella redazione del testo, fornendo prezioso supporto e consigli.
Infine un ringraziamento particolare va al nostro Responsabile, Dr Giuliano Limonta, che
oltre a essere il nostro referente è stato in questi anni anche uno dei nostri più importanti
formatori, riuscendo a far nascere in noi il desiderio di approfondire, grazie ai numerosi stimoli che ci ha proposto, alcune tematiche del nostro lavoro.
Lions Club Piacenza “Il Farnese"
The International Association of Lions Club Distretto
108 IB/3 Italy
Carmen Molinari
Antonella Leonetti
Siediti & stai attento!
Il disturbo di attenzione con iperattività tra
i comportamenti–problema nella scuola
Come orientarsi tra i disturbi psicologici
più diffusi nella popolazione
scolastica in età evolutiva
prefazione di
Giorgio Vacca
Presidente del Club Lion “Il Farnese” di Piacenza
Medico Specialista in Neurologia e Psicoterapia
ARACNE
Copyright © MMVI
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
88–548–0507–6
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: marzo 2006
5
Allegati
Dedichiamo questo lavoro a tutti
i bambini con problemi di
comportamento, di attenzione e
di concentrazione augurando loro
che non perdano mai la fiducia
in se stessi e che con il lavoro e
l’applicazione, come è accaduto
a tanti grandi personaggi del
passato, riescano a trasformare
un problema in una risorsa.
5
7
Bibliografia
Indice
Prefazione
9
Premessa
12
1. Sindrome da ADHD: breve rassegna storica
15
15
16
17
18
2. Eziologia
2.1 ADHD: le difficoltà di una diagnosi
2.2 Relazione tra ADHD e quadri psicopatologici
2.3 Relazione tra ADHD e depressione
2.4 Sindrome da ADHD e i problemi della condotta
2.5 Note sul problema della diagnosi, della
gravità e della comorbidità
2.6 Comportamenti da ADHD e normale
vivacità del bambino
21
23
23
24
32
3. Comorbidità significative in ambito scolastico
3.1 Età prescolare
3.2 Età scolare
41
41
41
4. Prognosi
43
5. Trattamento clinico
45
6. Funzionamento cognitivo nel bambino con ADHD
59
7. Apprendimento scolastico
7.1 Strategie educative e approccio didattico
61
63
8. Bambino iperattivo tra scuola e famiglia
8.1 Atteggiamenti educativi: dalla posizione “ingenua”
alle strategie condivise
8.2 Barriere emotive e cognitive nel rapporto
educativo con il bambino con ADHD (ovvero
mille motivi per non dire “Siediti e stai attento!”)
8.3 Interazioni tra motivazione e attenzione
69
1.1
1.2
1.3
1.4
Instabilità psicomotoria
Sindrome ipercinetica
Prime applicazioni farmacologiche
Posizioni attuali sul problema
7
33
35
69
71
74
8
Indice
8.4 Difficoltà motivazionali nel bambino con ADHD
8.5 Atteggiamenti educativi dei genitori: comportamenti
da adottare e comportamenti da evitare
8.6 Atteggiamenti educativi degli insegnanti:
comportamenti da adottare e comportamenti
da evitare
76
78
79
9. Aspetti metacognitivi nella risoluzione
dei problemi: strategie di pianificazione
da insegnare ai ragazzi
83
10. La relazione dell’insegnante con il bambino
con ADHD
10.1Problemi istituzionali
85
85
11. Due casi clinici
11.1 Il caso di Giovanni
11.2 Il caso di Marco
87
87
99
Conclusioni
103
Bibliografia
105
Allegati
107
8
9
Bibliografia
Prefazione
Nell’anno lionistico 2004-2005 la commissione distrettuale
Lions for Children ha promosso e pianificato innumerevoli
iniziative a favore dei bambini e giovani adolescenti; in stretta
adesione ad un nuovo programma internazionale ed in qualità
di presidente del club Lions il Farnese di Piacenza, oltre che
come neurologo e psicoterapeuta, ho ritenuto opportuno
lasciare una significativa testimonianza di impegno e
sensibilità a favore dei bambini attraverso la realizzazione del
volume “Siediti & stai attento!”, curato dalle psicologhe del
settore materno-infantile e psicoanaliste A. Leonetti e C.
Molinari.
Mi sembra doveroso ricordare che i Lions, stupenda
organizzazione mondiale fondata sui servizi alle Comunità, si
trovano in una posizione ideale per contribuire al
miglioramento della qualità di vita di chi vive nel disagio e
nella sofferenza, attraverso iniziative sia locali che sovralocali.
Le opere realizzate attraverso le nostre attività di servizio,
sostenute da spirito autenticamente umanitario e da elevato
impegno morale, sono sicuramente l’espressione più vera del
significato di essere Lion.
Orgoglioso di osservare il motto lionistico “I serve” e
nell’intento di lasciare una testimonianza pregna di valori,
nell’ambito delle iniziative dedicate nell’anno 2004-2005, dalla
nostra Associazione alle tematiche del disagio giovanile, come
peraltro già accennato all’inizio della prefazione, di
particolare interesse è stata la realizzazione di un’opera
scientifica curata dalle dott.sse Antonella Leonetti e Carmen
Molinari, psicologhe e psicoterapeute, specialiste del settore
materno infantile.
Il volume “Siediti & stai attento!”, frutto di intenso ed attento
lavoro, offre al corpo docente dei primi livelli dell’istruzione
scolastica, oltre che alla Comunità Scientifica, l’opportunità di
decodificare ed inquadrare il disturbo dell’apprendimento con
9
10
Prefazione
iperattività nell’infanzia e nella prima adolescenza, fino ad
oggi
misconosciuto
od
erroneamente
interpretato
semplicemente come devianza della condotta.
L’opportunità di decodifica e di lettura autentica di tale
disturbo, da parte della frequenza scolastica, contribuisce alla
realizzazione dei programmi internazionali LIONS FOR
CHILDRENS promossi nell’anno ’04-’05 rappresentando un
utile strumento di prevenzione e contenimento del disagio
giovanile.
Il lavoro delle due autrici è altresì un investimento sulle
responsabilità educative degli insegnanti al fine di riconoscere
ed attivare un ruolo protettivo per garantire un’evoluzione del
bambino il più possibile adeguata sul piano cognitivo, emotivo
e sociale.
Tra le tante problematiche che compongono il disagio
psicosociale, si è ritenuto opportuno concentrare l’attenzione
sui disturbi del comportamento dei bambini e adolescenti,
tenuto conto che sia in generale un disagio sottostimato e di cui
nel complesso esiste una scarsa cultura: famiglia e scuola si
trovano spesso a sperimentare impotenza di fronte a questo
tipo di disturbi anche per la difficoltà primaria a distinguerli
sia da altri tipi di “disagio” (ansia e depressione specialmente)
sia da altri comportamenti di vivacità o di maleducazione. E’
palese che la posizione cambia o dovrebbe cambiare, quando la
lettura del comportamento è data in termini di patologia o
comunque di modalità poco controllabile dal bambino rispetto
a quando la lettura è invece basata sull’attribuire un
comportamento
intenzionale,
controllabile
e
spesso
provocatorio. L’altra componente del disagio che si vuole
prevenire è quella di ridurre o limitare la sensazione di
isolamento, per rifiuto da parte dei coetanei, dei bambini con
manifeste difficoltà comportamentali; secondariamente si
pone il problema di come un disturbo di questo genere non
riconosciuto e non trattato possa avere una grave ricaduta in
termini di disagio o di sviluppo di ulteriori disturbi. Si pensi
per esempio, ai vissuti in termini di disistima a cui i bambini
e/o adolescenti sono sottoposti a causa dell’insuccesso
scolastico e alle condotte comportamentali a rischio (esempio
la tossicodipendenza) in cui più facilmente possono incorrere
10
11
Prefazione
adolescenti nei quali l’ADHD non è stata adeguatamente
affrontata.
La prima parte di questo lavoro riguarda un inquadramento
generale della sindrome anche a livello storico, le difficoltà
della diagnosi di ADHD dovuta alle frequenti associazioni con
altri disturbi che possono simularla e l’importanza di
coinvolgere soprattutto gli insegnanti fin dalle fasi
dell’osservazione. Si richiede all’insegnante un impegno
iniziale ad entrare nel linguaggio tecnico al fine di ritrovare
codici comuni con gli operatori di settore; questa richiesta di
spendersi sulla complessità della parte iniziale del testo è
diretta a rendere più specifico e quindi più produttivo il
contributo che il docente stesso può offrire nel discriminare
precocemente una problematica che risulta così sfumata.
La diagnosi di ADHD e, ancora di più, il trattamento non
possono per loro natura scaturire dal solo livello
ambulatoriale: occorre che tecnici e docenti avviino un
confronto precoce e continuativo nel tempo. L’invito
all’insegnante è quindi ad usare la lettura della prima parte del
lavoro come pretesto per ampliare il bagaglio delle proprie
conoscenze neuropsicologiche. Tali conoscenze infatti stanno
alla base di una buona comprensione della maggior parte dei
disturbi di apprendimento e di comportamento, disturbi le cui
manifestazioni più eclatanti sono evidenti specialmente a
scuola e che, in quanto tali, diventano uno strumento
indispensabile per l’insegnante che intende trovare nuovi
significati al proprio lavoro con i bambini problematici.
Questo senza nulla togliere all’importanza delle valenze
psicopedagogiche la cui centralità risiede però, più ancora che
nell’ambito conoscitivo, nell’individuazione delle strategie
operative: entriamo così nella seconda parte del lavoro che
presenta una materia familiare agli insegnanti introducendo
le strategie educative e tentando quindi di individuare
modalità funzionali, nel rapporto con il bambino con ADHD,
che superino quelle posizioni spontaneistiche ed “ingenue” che
spesso conducono a posizioni di insoddisfazione, di stress ed
infine di impotenza. L’introduzione dei due casi clinici alla fine
del testo consente di mostrare le possibili traduzioni operative
11
12
Prefazione
e di ricollegarsi in modo concreto ai concetti esposti nella parte
teorica.
L’intero volume si presta, a mio parere, come base per un
eventuale corso di formazione durante il quale concetti e
modalità operative possano essere discussi e calati nelle
esperienze svolte da insegnanti e operatori in un processo di
reciproco arricchimento. Il tema dello scambio e della
condivisione del resto è centrale in tutto il lavoro delle due
autrici e l’auspicio è che questo volume costituisca la prima
parte di un successivo lavoro più operativo, più esperienziale e
quindi più mirato ai bisogni degli insegnanti.
Dr. Giorgio Vacca
Il Presidente del Club Lion il Farnese di Piacenza
Medico Specialista in Neurologia e Psicoterapia
12
13
Prefazione
Premessa
La sindrome da ADHD conosce oggi una nuova notorietà da
collocarsi, a nostro avviso, all’interno di un panorama
educativo di adulti che nella relazione con il bambino, si
pongono in posizione di insicurezza, spesso in difficoltà a porre
quei limiti che sono invece necessari per sviluppare con la
giusta
progressione,
diversi
livelli
di
autonomia.
Parallelamente, l’opposizione culturale che in Italia ha bloccato
più volte la liberalizzazione della terapia farmacologica ha
richiamato ulteriore attenzione su questo disturbo. Ci è parso
opportuno, in questo senso, a tutela della prudenza
diagnostica che un disturbo così complesso richiede, collocare
la trattazione di questo disturbo all’interno del più ampio
spettro dei disturbi comportamentali in età evolutiva, perchè ci
sembra corretto che abbiano rilievo differenze a volte difficili
da percepire, a meno di attivare un’osservazione sistematica,
attenta alle sfumature e, soprattutto, attuata anche al di fuori
dell’ambulatorio con l’indispensabile collaborazione di
insegnanti e genitori. La corretta lettura e quindi l’intervento
sui disagi e i disturbi infantili, non è mai stata semplice,
soprattutto per le sintomatologie che, se pur gravi, sono di
carattere esclusivamente comportamentale.
Il range della normalità infatti tiene al suo interno una vasta
gamma di comportamenti, la cui accettabilità è, tra l’altro,
fortemente condizionata da norme socioculturali. Nella misura
in cui, poi, la scuola riflette il sociale, basti pensare a come il
disturbo comportamentale può essere diversamente valutato,
contenuto e compreso in base al livello di formalizzazione ed
esplicitazione delle regole che può caratterizzare una singola
istituzione. Nel problema di comportamento, la costruzione dei
significati è affidata agli adulti educatori e, in particolare, ad
adulti ed educatori impegnati e o coinvolti nella relazione col
bambino. Ci si troverà dunque di fronte ad un significato di
obiettiva gravità del disturbo e ad uno di soggettiva gravità.
La gravità percepita dalla scuola, oltre a variare sulla base
dalle risorse presenti per gestire il problema (competenze
professionali, personale a disposizione) non necessariamente è
13
14
Premessa
la stessa percepita, per es. dai genitori e dal Servizio di
Neuropsichiatria Infantile Età Evolutiva. Questo ripropone
l’opportunità di un dialogo approfondito con la scuola,
attraverso formazioni congiunte o discussione di casi, con
l’obiettivo di condividere i criteri di segnalazione, le attuali
prospettive teoriche e, quindi, le modalità di osservazione e
l’impostazione del trattamento o di più interventi necessari. In
particolare è importante condividere l’assunto che il problema
di comportamento di un bambino non può essere affrontato
solamente a livello farmacologico , o comunque ambulatoriale,
ma che coinvolge in prima persona le agenzie educative
(famiglia e scuola) che con quel bambino interagiscono.
gli autori
14
15
Prefazione
1. La Sindrome da ADHD: breve rassegna
storica
1.1.
L’instabilità psicomotoria
La sindrome da ADHD venne descritta probabilmente per la
prima volta nel 1902, allorché G.F. Still pubblicò le sue
osservazioni su un gruppo di bambini che presentava un “deficit
nel controllo morale (…) ed una eccessiva vivacità e
distruttività”, anche se già da quella prima descrizione venne
formulata l’ipotesi che l’ADHD fosse dovuta a fattori
neurobiologici. Sono stati infatti notate da numerosi autori le
somiglianze tra i sintomi dell’ADHD e i comportamenti di
soggetti con lesioni o ipofunzionalità del lobo frontale della
corteccia cerebrale. In entrambi i gruppi emergono deficit che
investono l’attenzione sostenuta, l’inibizione, la regolazione
delle emozioni e delle motivazioni e la capacità di organizzare
schemi
di
comportamento.
A
favore
dell’eziologia
prevalentemente neurobiologica dell’ADHD ci sono: l’esordio
precoce dei sintomi, la persistenza del disturbo e i
miglioramenti
consistenti
in
seguito
a
trattamenti
farmacologici.
H. Vallon 1925 e G. Abramson sono tuttavia i primi a fornire
una descrizione accurata di questa sindrome dal punto di vista
psicologico. Abramson, in particolare, dimostra che un instabile
psicomotorio opera più che altro in maniera intuitiva e confusa,
fa fatica ad utilizzare i concatenamenti e i confronti, dispone di
una buona memoria immediata sui dati concreti ma ha
difficoltà ad ordinare i dati nel tempo. Secondo tale descrizione
l’instabile psicomotorio riesce spesso nei test che impegnano
molta energia di breve durata, mentre cade in quelli che esigono
coordinazione, precisione e organizzazione Negli anni ‘30 le
ricerche conclusero che i sintomi dell’iperattività e della
disattenzione erano legati tra loro in modo variabile a seconda
dei casi.
Negli anni ‘70 la scuola francese, rilevava l’esistenza di bambini
che, benché portati all’osservazione per ritardo scolare,
15
16
La Sindrome da ADHD: breve rassegna storica
presentavano un livello mentale normale. In questi bambini si
riscontravano soprattutto un’agitazione motoria, una dispettosità
senza aggressività, l’incapacità di uno sforzo sostenuto e, quindi,
un’efficienza insufficiente nel corso di un lavoro prolungato.
Venivano isolate due forme estreme: una con prevalenza di
turbe motorie e turbe dell’affettività meno importanti, l’altra più
caratterizzata da turbe del carattere, da ritardo affettivo e
modificazione della motricità espressiva. In questo senso la
prima sarebbe un modo d’essere motorio di comparsa precoce
che risponde ad un'assenza di inibizione e iperattività che di
solito scompare con l’età. La forma affettivo caratteriale, al
contrario, sarebbe più in relazione con l’ambiente nel quale
vivono i bambini che risulterebbero più intenzionali
nell’aggressività e impulsività. In questa ultima forma si trovano
disordini di organizzazione della personalità precoce, i soggetti
che ne soffrono non arriverebbero a stabilire relazioni oggettuali
valide a causa dell’insufficienza o dell’eccesso pulsionale. Per
quanto riguarda infine i disordini del linguaggio, della lettura,
emotivi e caratteriali si possono riscontrare nelle due forme. E’
facilmente ipotizzabile un continuum tra la prima forma, a
prevalenza di turbe motorie, e l’attuale sindrome da ADHD,
anche se attualmente la prognosi si è rivelata più infausta e
ormai i clinici sembrano aver individuato solo un 30% dei casi
di ADHD che si risolvono con l’età, presumibilmente le forme
meno gravi, a forma affettivo caratteriale, che presenterebbero una
costellazione oggi attribuita ai disturbi della condotta.
1.2.
La sindrome ipercinetica
Una caratteristica delle prime descrizioni degli autori di lingua
inglese è l’accettazione dell’origine organica di questa sindrome.
Nel 1947 A. Strass e L. Lehtinen descrivono una sindrome
caratterizzata
da
sintomi
che
testimoniano
una
disorganizzazione di tutte le sfere cognitive, percettivo-motorie
e affettive, ma dove l’iperattività, l'instabilità e l'impulsività sono
dominanti.
16
La Sindrome da ADHD: breve rassegna storica
17
Nel 1962 il gruppo di lavoro internazionale di Oxford rifiutò la
nozione di lesioni cerebrali minime in favore di quella di
disfunzione cerebrale minima.
P.H. Wender (1971) definisce la sindrome di disfunzione
cerebrale minima con le seguenti caratteristiche:
-
Disordine di comportamento motorio, iperattività (egli
rileva tuttavia un certo numero di bambini ipoattivi) ed
alterazione del coordinamento;
Turbe dell’attenzione e turbe percettive;
Difficoltà di apprendimento scolare;
Turbe del controllo degli impulsi;
Alterazione delle relazioni interpersonali;
Turbe affettive, labilità, disforia, aggressività, etc1.
Come vedremo successivamente, le posizioni più recenti ed
ufficiali della psichiatria e neuropsicologia si sforzano di
individuare forme distinte della sindrome in termini di gravità e
incidenza dei sintomi qui elencati.
1.3.
Prime applicazioni farmacologiche
Dal 1937 C. Bradley ha dimostrato l’azione benefica
dell’anfetamina sulle turbe del comportamento del bambino o
di altri farmaci ad azione equivalente, in particolare del
metilfenidato (Ritalin). Nel 1971 oltre all’efficacia sicura di
questi farmaci sul livello di attività, attenzione, impulsività,
comportamento sociale e apprendimento, sembrava altrettanto
dimostrato che gli effetti secondari (insonnia, ecc..) tendevano a
scomparire con il prolungarsi della cura. Anche alcuni
antidepressivi hanno dato risultati positivi sebbene con minore
efficacia. All’epoca dei primi studi si riteneva che, oltre all’aiuto
psicoterapeutico ai genitori e ad un’organizzazione scolastica
adeguata, uno dei trattamenti elettivi potesse essere costituito
dalla terapia psicomotoria oggi, riorganizzata e reintegrata dai
trattamenti basati su autoregolazione cognitiva e emozionale. E’
1 Cfr. J. De Ajuriaguerra, Manuale di psichiatria del bambino, Masson, Milano 1979
17
18
La Sindrome da ADHD: breve rassegna storica
comunque da sottolineare come già all’epoca delle prime
individuazioni del disturbo fosse presente l’intuizione che un
approccio a questa problematica, i cui sintomi sono
esclusivamente comportamentali, dovesse includere, per
risultare efficace, un trattamento combinato tra psicoterapia,
approccio educativo specifico ed, eventualmente intervento
farmacologico. L’intuizione di allora ha trovato attualmente una
forte strutturazione negli ultimi studi della comunità scientifica
ed è stata convalidata dai risultati delle esperienze che a questi
hanno fatto seguito. Il patrimonio conoscitivo sul problema e le
competenze psicopedagogiche più adatte per affrontarlo sono,
tuttavia, ancora in larga misura sconosciuti o poco applicati nei
contesti educativi e clinici, in prima linea nella gestione dei
problemi comportamentali. Ancor meno diffusa appare la
consapevolezza della necessità di un trattamento integrato e
della conseguente limitatezza del trattamento ambulatoriale o
farmacologico.
1.4.
Posizioni attuali sul problema
Nel 1994, il DSM IV2 ha cercato di identificare la sindrome con
una certa precisione, ciò nonostante rimangono dubbi e
perplessità sia rispetto alla gravità delle manifestazioni
dell’attenzione, sia rispetto alla discriminazione tra problema di
attenzione e problemi comportamentali, talora identificati con
veri e propri problemi della condotta. Tipico del bambino con
ADHD è come la motivazione riesca a protrarre il tempo di
attenzione, d’altra parte è da sottolineare come i compiti
giudicati motivanti3 sono quelli che meno impegnano
cognitivamente e strategicamente”. Questa convinzione peraltro
andrebbe meglio dimostrata. Se infatti appare chiara quando si
confrontano un compito attivo ed uno passivo, come fare un
compito di matematica o ascoltare la musica, la distinzione è
più sfumata se si mettono a confronto la capacità di seguire una
2 Cfr. J.L. Rapaport, D.R. Ismond, DSM IV Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’infanzia e
dell’adolescenza, Masson Milano 2000
3 Cfr. Cornoldi e coll. Impulsività e autocontrollo, Erickson Trento 1996
18
La Sindrome da ADHD: breve rassegna storica
19
lezione scolastica con la capacità di giocare
in modo
competente una partita di calcio o imparare a suonare uno
strumento musicale4.
Le diagnosi ADHD richiedono, per essere poste, che i sintomi si
manifestino in almeno in due situazioni, per es. a casa e a scuola
(o anche di più, per ridurre il numero di diagnosi falsamente
positive, e quindi in attività sportive, ricreative, ecc.). Viene
riproposta comunque una netta distinzione tra il disturbo
ADHD e i disturbi della condotta. Nell’ambito dell’ADHD
vengono distinte due sottocategorie sulla base dei sintomi
prevalenti:
-
Disattenzione;
Iperattività e impulsività.
L’esordio dei sintomi deve essere anteriore ai sette anni e questi
devono presentarsi in almeno due contesti educativi. Una
menomazione significativa in ambito sociale o scolastico deve
essere evidente, anche se la segnalazione arriva nei primi anni
di scuola i genitori riferiscono spesso un esordio intorno ai
tre anni. I sintomi di iperattività e impulsività creano problemi
soprattutto a scuola. I criteri sono indirizzati ai casi tipici tra gli
otto e i dieci anni anche se con l’aumentare dell’età alcuni
sintomi si modificano, per es. l’iperattività nella scuola media
può trasformarsi in apatia.
Sottotipi del Disturbo da Deficit dell’attenzione/iperattività:
-
disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, Tipo
Combinato;
disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, Tipo con
disattenzione prevalente;
4 D’altra parte nel corso delle osservazioni del Centro di secondo livello dell’ASL di Piacenza si è
potuto osservare come anche in compiti ripetitivi e richiedenti competenze strategiche precise e
cognitivamente impegnative, diversi bambini con sospetto di ADHD abbiano fornito risposte nella
media. È da rilevare come bambini normodotati (secondo la scala WISC-R) sembrino risultare
fortemente sollecitati dal contesto socioemotivo di attenzione che si crea nella situazione di
osservazione al centro di secondo livello, nel quale operatori e genitori risultano fortemente centrati
sul bambino e propongono un compito impegnativo cognitivamente e strategicamente, ma nuovo e
stimolante. Naturalmente rimane da precisare quali di questi bambini in grado di attivare strategie
impegnative in questi compiti risultino affetti da ADHD. Le osservazioni sono tuttora in corso).
19
20
La Sindrome da ADHD: breve rassegna storica
-
disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, Tipo con
iperattività impulsività prevalenti;
disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, NAS (non
altrimenti specificato).
20
La Sindrome da ADHD: breve rassegna storica
21
2. Eziologia
Tra le numerose ipotesi eziologiche della sindrome dell’ADHD
(neurologiche,
neurochimiche,
biologiche,
genetiche)
particolare attenzione, anche per i loro riflessi sull’attività
scolastica, ci sembra meritino le alterazioni delle funzioni
esecutive che includono carenze a livello di pianificazione,
organizzazione,
metacognizione,
flessibilità
cognitiva,
automonitoraggio e autocorrezione, e in generale riguardano il
deficit nel controllo volontario della mente richiesto nei processi
mentali. Queste alterazioni peraltro non sono specifiche
solamente dell’ADHD.
Sintomi d’ansia quali: irrequietezza, affaticabilità, difficoltà di
concentrazione, memoria e irritabilità, potranno essere attribuiti
al disturbo d’ansia nella misura in cui si rileva che il bambino è
consapevole delle proprie difficoltà, che si sente preoccupato
per come si è comportato e per cosa gli riserva il futuro ed
escludendo quindi la sindrome ADHD. I bambini con ADHD
infatti solitamente non si accorgono di aver commesso delle
azioni riprovevoli e tanto meno riescono a pensare che cosa
riservi loro il futuro, questo richiederebbe infatti una capacità
anticipatoria e strategica che in loro è spesso carente. Bisogna
comunque tenere presente che anche i bambini con ADHD
possono sviluppare sintomi di ansia generalizzata in
relazione
a
fallimenti
di
tipo
scolastico
o
interpersonali ma queste preoccupazioni sono
proporzionate alla gravità delle situazioni mentre
quelle di bambini con disturbo d’ansia sono eccessive e
irrealistiche.
Per quanto riguarda i sintomi comuni tra ADHD e sintomi
depressivi, occorre sottolineare che nei casi in cui questi ultimi
prevalgono i bambini presentano anche un calo di interesse e di
piacere nello svolgimento delle loro attività preferite, possono
manifestare alterazioni del ritmo sonno veglia o di
alimentazione ed eccessive preoccupazioni.
21
22
Eziologia
Ricerche recenti5 riportano che questi soggetti non sono
sufficientemente orientati al compito e faticano a pianificare
l’esecuzione delle attività che vengono loro assegnate.
Generalmente, se un bambino con ADHD presenta difficoltà di
apprendimento difficilmente si tratterà di problematiche di
ordine strumentale (velocità e correttezza in scrittura, lettura e
calcolo) ma, piuttosto, di inadeguatezze di problem-solving
matematico, di produzione e di comprensione di testi scritti e di
studio di brani complessi. I ragazzini con ADHD cioè
utilizzano strategie di studio meno efficaci e fanno
fatica ad inibire le informazioni irrilevanti contenute
all’interno di un brano.
Fig.1.1 “Difficoltà di autoregolazione a scuola” tratta da Iperattività e
autoregolazione cognitiva, C. Cornoldi e altri,
pag.22, Erickson, Trento 2001
5 Cfr. C.Vio e altri, Il bambino con deficit di attenzione e iperattività, Erickson, Trento 1999
22
23
Eziologia
2.1.
ADHD: le difficoltà di una diagnosi
Alcuni problemi, che possono interferire con la diagnosi di
ADHD, sono costituiti dall’eventuale associazione o dalla
comorbidità con un disturbo dell’umore (specie di tipo ansioso
che depressivo). Data la forte sovrapposizione e concomitanza di
sintomi simili, assumeranno spesso un significato decisivo
l’osservazione longitudinale e l’ utilizzo dinamico della diagnosi,
ovvero la possibilità di modificarla in itinere insieme
all’evoluzione del bambino e delle esperienze da lui vissute.
Altrettanto determinanti saranno le osservazioni offerte dagli
adulti dei vari contesti di appartenenza che consentiranno di
comporre un quadro unitario proprio perché provenienti dalla
rete relazionale formata da adulti e pari, e da contesti
diversificati in cui è indispensabile tener conto di regole,
richieste e limiti.
La classe esemplifica bene la complessità delle competenze
richieste al bambino, rispetto alle variabili da gestire nel
contesto ambulatoriale, dove il rapporto duale tra adultobambino risulta costituire un setting di per sé contenitivo o
regolativo. In questo senso vorremmo selezionare alcuni criteri
che possano servire ad
insegnanti e genitori per svolgere
osservazioni più accurate, con l’obiettivo di aumentare
l’attenzione a quei segnali e a quei dettagli che possono
orientare il clinico e gli educatori ad una miglior comprensione
dei bisogni del bambino.
2.2.
Relazione tra ADHD e quadri
psicopatologici
Sintomi apparentemente simili a quelli dell’ADHD possono
essere riscontrati in altri quadri psicopatologici quali i Disturbi
della Condotta (Disturbo Oppositivo Provocatorio e altri) e i
Disturbi della Sfera Emozionale (Sindromi di Ansia o Fobiche e
Sindrome Depressiva) che possono essere conseguenza di
situazioni familiari disfunzionali o appartenere ad un quadro
23
24
Eziologia
medico (es. allergie e disfunzioni della tiroide). I bambini con
ADHD risultano comunque a maggior rischio di sviluppare altri
disturbi di tipo psichiatrico quali: il Disturbo d’Ansia,
dell’Umore, Oppositivo - Provocatorio e della Condotta; è quindi
chiaro che l’identificazione precoce e l’intervento possono
minimizzare i rischi, presenti nel percorso di sviluppo, associati
all’ADHD.
2.3.
Relazione tra ADHD e DEPRESSIONE
È ormai accettato che la depressione è piuttosto diffusa nei
bambini, anche se i pareri su questa psicopatologia infantile
sono abbastanza discordanti. Fino agli anni ottanta si riteneva
che molti disturbi dell’età evolutiva fossero una forma di
depressione “mascherata” in quanto il bambino nel tentativo di
liberarsi dai sintomi depressivi, cerca di mascherare la sua
situazione mostrandosi spesso aggressivo. Adottando questa
ipotesi diventava difficile differenziare la depressione da altri
disturbi del comportamento; i comportamenti disturbati dei
bambini infatti sono largamente riconducibili ad uno stato
depressivo. Attualmente questa teoria è stata quasi
completamente abbandonata a favore dell’ipotesi che due o più
disturbi possono coesistere. Vari studi riferiti da Matson (1989)
hanno dimostrato che bambini e adolescenti possono
manifestare il sovrapporsi di ansia, depressione, disturbo della
condotta e disturbo oppositivo provocatorio che, a loro volta,
possono essere scambiati con la sindrome da ADHD. Un dato
confermato è l’influenza dello sviluppo cognitivo sulle tipologie
dei sintomi: durante l’infanzia prevalgono un aspetto
malinconico, disturbi fisici, agitazione. Negli adolescenti si nota
anedonia (perdita del piacere) senso di impotenza, ipersonnia,
cambiamenti del peso, tentativi di suicidio. Attualmente i più
importanti contributi alla comprensione dei meccanismi
cognitivi legati alla depressione rimangono quelli di A. Beck6 e
dei suoi collaboratori. Egli propone tre determinanti alla
depressione note come la “triade cognitiva”:
6 Cfr A.T. Beck, Terapia cognitiva della depressione, Bollati Boringhieri, Torino 1987
24
25
Eziologia
-
una visione negativa di sé stesso (il depresso tende a
considerarsi come inadeguato ed incapace);
- una visione negativa delle proprie esperienze attuali
(considera le richieste del mondo esagerate e gli ostacoli
insormontabili);
- una visione negativa del futuro (il soggetto considera la
sofferenza e le difficoltà attuali come immodificabili e
crede che dureranno per sempre).
Il soggetto comincia ad impiegare schemi cognitivi disfunzionali
contenenti varie forme di disfunzioni cognitive come reazione
ad un evento particolarmente stressante o ad una serie di eventi
minori implicanti una qualche forma di perdita, di fallimento o
di rifiuto, come per esempio la svalutazione sistematica degli
aspetti positivi di una situazione pensando che non contino,
le previsioni negative del futuro, l'ingigantire la gravità dei propri
difetti ed errori ed altri.
K. Stark7 sottolinea come la rabbia sia un’emozione molto
comune tra i bambini depressi e come questa emozione si sia
dimostrata anche uno dei sintomi più resistenti al cambiamento
terapeutico. La manifestazione della gravità del sentimento di
rabbia va da una lieve irritabilità, agli scoppi di ira, ai pensieri
omicidi fino all’insopportabilità dell’emozione; la gravità della
rabbia e dei pensieri che la compongono può essere utile a
discriminare tra la demoralizzazione conseguente all’ADHD e
una sintomatologia depressiva prevalente.
La maggior parte delle ricerche riguarda i bambini di età
compresa tra i 9 e i 13 anni, ed è meno applicabile ai bambini sotto
gli 8 anni.
La ragione per cui risulta particolarmente interessante
affrontare il tema dei rapporti tra i diversi disturbi del
comportamento e la depressione ci viene sia dalla nostra pratica
clinica sia dall’esame della letteratura specifica dei disturbi
dell’umore. In particolare l’impostazione di K.Stark, basata su
7 Cfr. pag. 22 e seguenti in K. Stark,, La depressione infantile, Erickson, Trento 1995
25
26
Eziologia
numerose e validate ricerche sulle componenti della
depressione in generale, sul trattamento e sulle sue connessioni
con altri tipi di disturbo, mette in rilievo l’importanza di
quantificare il tempo dedicato dal bambino ai costrutti
depressivi e ai comportamenti di ritiro, isolamento. In questo
modo è possibile determinare con maggior precisione quanto
incida sui diversi disturbi comportamentali (Disturbo
Oppositivo – Provocatorio, Disturbo della Condotta, Sindrome
ADHD) e sul problema cognitivo - emotivo presentato, la
componente
depressiva
e
quanto
le
componenti
neuropsicologiche (Disturbo dell’Apprendimento e sintomi
dell’ADHD). Come si vedrà meglio nel proseguimento di questo
lavoro la presenza della sintomatologia depressiva (anche nella
sua forma conseguente al disturbo come la demoralizzazione) è
da definire più precisamente rispetto al criterio della gravità. È
palese infatti come sviluppi depressivi futuri possano essere
conseguenze di una cattiva gestione del disturbo da ADHD.
D’altra parte, per poter rilevare sintomi depressivi e quindi
giustificare una diagnosi prevalente di depressione, occorre un
approccio diagnostico integrato (test proiettivi, questionari
comportamentali, test neuropsicologici). Questo anche al fine di
orientare correttamente il trattamento secondo i training più
adeguati: assertività, autoregolazione, autostima, abilità sociali,
gruppi di incontro, training al rilassamento e all’immaginazione
positiva ed autoistruzione.
La difficoltà a comprendere le differenze tra ADHD e
depressione nasce dai sintomi decisamente aspecifici
dell’ADHD tanto che il disturbo depressivo può facilmente
simulare la sindrome. Depressione è un termine generico con il
quale ci si riferisce sia ad un grave abbassamento dell’umore, sia
a lievi alterazione dell’emotività. Sul piano clinico rappresenta
una sindrome che coinvolge diversi sintomi concomitanti; tali
sintomi riguardano categorie emotive, cognitive, motivazionali,
fisiche e neurovegetative (vedere scheda di approfondimento).
26
27
Eziologia
SCHEDA DI APPROFONDIMENTO
Sintomi emozionali
La tristezza
Il sintomo principale della depressione è la tristezza (umore
disforico). Ciò che permette di distinguere il sintomo in un bambino
depresso, rispetto ad un bambino che soffre di altri disturbi, tra cui,
l’ADHD, è la gravità e la durata della tristezza. Nel bambino con
ADHD l’umore triste è fortemente reattivo all’ambiente ed è in
associazione con gli eventi ambientali. (vedi tabella 1.1 pag. 19). Il
bambino con ADHD può essere tirato su di morale da esperienze
piacevoli ed il sentimento positivo rimane; il bambino più depresso
(specie se grave) è più difficile da rincuorare e, se si rallegra, è per un
tempo breve.
L’umore collerico o irritabile
La rabbia è un’emozione molto comune tra i bambini depressi ed è
anche uno dei sintomi più resistenti al cambiamento terapeutico; la
gravità del sentimento di rabbia va da una lieve irritabilità agli
scoppi d'ira, ai pensieri omicidi e al fatto di sentirsi così arrabbiati
da non sopportarlo. Meno la rabbia è influenzata dall’ambiente,
maggiore è la gravità del sintomo depressivo; più è influenzata
dall’ambiente, meno grave è la sua depressione. Nel bambino con
ADHD sarà facile riscontrare l’esperienza della rabbia in relazione a
situazioni ambientali quali l’esperienza del rifiuto e del fallimento.
Anedonìa
L’anedonìa è la perdita della risposta di piacere, molto frequente nei
bambini con depressione grave (54%) mentre poco frequente nei
disturbi depressivi più lievi. Dalle indagini effettuate sugli adulti
con ADHD si riscontrano personalità e comportamenti di tipo
anedonico che non sperimentano piacere nei confronti di eventi che
procurano felicità alla maggior parte delle persone; diversamente
dai soggetti depressi, l’individuo con ADHD può passare
dall’eccitamento alla depressione in pochi minuti o poche ore.
Tendenza al pianto
I bambini depressi tendono a piangere più degli altri e il loro pianto
non è legato agli eventi ambientali rispetto ai quali hanno una soglia
più bassa; nel bambino ADHD sarà più facile individuare uno o più
27
28
Eziologia
eventi scatenanti nel provocare la reazione di pianto.
Il non sentirsi amati
Il bambino depresso si sente così indipendentemente da una
punizione subita e può essere difficile rassicurarlo sul fatto che
qualcuno lo ami o si preoccupi per lui; nel bambino con ADHD
questo tipo di convinzione può derivare dalle frequenti valutazioni
negative ricevute da adulti e da compagni e il senso di sé come
“cattivo” studente può comunque trasformarsi facilmente in un
senso di inadeguatezza personale generale.
Sintomi cognitivi
Autovalutazioni cognitive
I bambini depressi tendono a percepire se stessi come inadeguati e
la loro performance come inaccettabile. Tale valutazione
contribuisce ad un basso livello di autostima. Nel bambino con
ADHD riscontriamo invece l’utilità dei rinforzi positivi e di quelle
gratificazioni concrete e psicologiche che adottate sistematicamente
possono contribuire ad un miglioramento dell’autostima.
Difficoltà di concentrazione
Tipico del bambino depresso è perdersi nel mondo negativo di
pensieri che ha creato nella sua mente. I pensieri depressivi
interferiscono con la sua concentrazione; nei casi più gravi il
bambino non si concentra anche se si sforza e le cose su cui
vorrebbe concentrarsi sono interessanti. Nel bambino con ADHD la
difficoltà a concentrarsi rimanda ai deficit cognitivi primari
individuati dalla Douglas (Douglas e Perry, 1983) e già
precedentemente evidenziati.
Ideazione morbosa
La preoccupazione per la possibilità che qualcuno muoia diventa
sintomatica se si prolunga per molto tempo anche in seguito ad un
evento accaduto e se il bambino se ne preoccupa senza che sia legata
ad una perdita personale, ma semplicemente leggendo libri o
giornali. Tale sintomo non è generalmente riscontrabile nei bambini
con ADHD, se non negli stessi termini che nei bambini normali,
ovvero quando gli eventi reali giustificano tali pensieri.
Sintomi motivazionali
Chiusura sociale
La chiusura sociale è relativa al numero di contatti e al
28
29
Eziologia
coinvolgimento relazionale con bambini e adulti; la chiusura diviene
sintomatica quando il bambino si accorge che sta respingendo i suoi
amici e sta evitando compagni, genitori e altri adulti. Nel bambino
con ADHD la chiusura può presentarsi o perché nel frattempo si è
associato un disturbo depressivo (dovuto all’accumularsi degli
insuccessi e dei rifiuti nel tempo) oppure come reazione passeggera
a situazioni di esclusione e di giudizio negativo.
Peggioramento delle prestazioni scolastiche
Questo sintomo appare nei bambini depressi come risultato di
sintomi molto simili presentati dal bambino con ADHD. Forse tra le
differenze può esserci una maggiore disponibilità del bambino con
ADHD a recepire l’aiuto individuale.
Sintomi fisici e neurovegetativi
Affaticamento
Si riferisce alla stanchezza e alla mancanza di energia necessaria per
agire, e quindi ad un aumento della necessità di riposare, anche
soltanto stando seduto senza movimenti. Nell’ ADHD invece
l’affaticamento è collegato con l’effettivo dispendio di energia messo
in atto dal bambino, o potrebbe essere in relazione con i frequenti
disturbi del sonno spesso associati.
Cambiamento nell’appetito e/o nel peso
Tra i bambini depressi la perdita di peso è più comune dell’aumento
dell’appetito. Può tuttavia accadere che il bambino mangi di più,
con modalità che vanno da un aumento minimo ad un aumento
sfrenato, non riuscendo a trattenersi dal mangiare.
Atteggiamenti di scarsa regolazione nel cibo variabili
dall’alimentazione restrittiva al discontrollo si possono verificare
con una certa facilità anche nei bambini con ADHD.
Dolori e malesseri
I disturbi somatici più comuni tra i bambini depressi sono cefalee,
dolori allo stomaco, alla schiena, alle gambe e altri malesseri. I
dolori sono gravi a sufficienza da considerarsi sintomatici quando
interferiscono con la scuola e le attività ricreative.
29
30
Eziologia
Un sintomo infantile-adolescenziale dell’episodio depressivo
maggiore è rappresentato dall’incapacità di raggiungere il peso
previsto (che tra l’altro differenzia i bambini rispetto agli adulti,
per i quali invece è frequentemente una perdita).
I sintomi centrali della depressione sono gli stessi per bambini,
adolescenti e adulti fatto salvo per alcune variazioni con l’età. In
particolare per bambini e adolescenti il sintomo dell’umore
depresso può essere sostituito dall’irritabilità, dai disturbi fisici
e dal ritiro sociale.
Negli adolescenti gli episodi depressivi sono spesso associati
con ADHD, disturbi d’ansia e di alimentazione. Alcune
caratteristiche, quali bassa autostima, facilità al pianto, e
diminuito piacere nello svolgere attività, si trovano associate
regolarmente a disturbi quali ADHD, disturbo della condotta,
ritardo mentale o gravi difficoltà di apprendimento. Per ovviare
a questo problema l’indicazione è di formulare più spesso una
diagnosi del disturbo dell’umore in associazione con questi
disturbi. Si auspica in definitiva l’uso di diagnosi multiple
sia per evitare l’out out, sia per evitare l’uso inappropriato
del disturbo depressivo come unica diagnosi. Alcune recenti
posizioni (cfr. gli interventi del convegno “Pediatria e l’ADHD”)
sul rapporto tra ansia/depressione e ADHD ammettono sia
la possibilità della diagnosi differenziale sia quella
della comorbidità8. In particolare per quanto riguarda la
comorbidità, viene rilevata una sovrapposizione tra i sintomi di
scarsa concentrazione e irrequietezza motoria tipici dell’ADHD
e quelli presenti nei disturbi d’ansia e depressivi; in questi
ultimi, tuttavia, la difficoltà di concentrazione e l’irrequietezza
risulterebbero meno pervasivi.
8 Per comorbidità si intende lo spettro dei disturbi mentali che può esistere insieme alla ADHD, di
cui il più comune è appunto la depressione; per caratteristiche associate si intende l’insieme delle
emozioni, dei comportamenti e dei pensieri che normalmente affiancano i sintomi e che vengono
valutati quando si pone una diagnosi; con diagnosi differenziale si intende ciò che distingue la
ADHD da altri disturbi che la simulano.
Ricordiamo che tutti i sintomi della ADHD possono essere osservati anche in una popolazione di
persone che non presentano la sindrome; sono la gravità, l’intensità e il grado di interferenza nella
vita di un individuo che orientano alla diagnosi di ADHD.
30
31
Eziologia
Il ragazzo con ADHD ha generalmente un atteggiamento meno
preoccupato, rispetto al ragazzo con problemi emotivi, per
eventi che lo hanno coinvolto negativamente nel passato e che
potrebbero minacciarlo nel futuro. La velocità e la superficialità
nell’analisi delle situazioni rendono il ragazzo con ADHD
più ansioso nel constatare l’evento negativo in cui si
trova piuttosto che nell’anticipazione e previsione
dello stesso. Il ragazzo ansioso invece è sempre concentrato
sull’aspettativa di un evento che immagina pericoloso per la sua
integrità fisica e psicologica, quindi la difficoltà di
concentrazione e l’agitazione motoria si configurano come una
conseguenza del disagio provocato dall’ansia.
Secondo alcune recenti posizioni 9 esisterebbe tra
ansia/depressione e ADHD una sovrapposizione dei sintomi di
scarsa concentrazione e irrequietezza motoria rispetto sia ai
disturbi d’Ansia (ansia generalizzata) che depressione
(depressione grave/distimia); tuttavia questi sintomi sarebbero
meno pervasivi rispetto a quanto lo sono nell’ADHD. Inoltre
dalla documentazione del convegno, per ciò che concerne la
questione della comorbidità e della diagnosi differenziale,
possiamo evidenziare i seguenti dati:
-
-
fino al 40% dei bambini con ADHD possono soffrire di
ansia/depressione in comorbidità….e fino al 40% dei
bambini con disturbi di ansia/depressione possono
presentare un ADHD in comorbidità;
non sono ancora chiari gli effetti di età, sesso o sottotipo
di ADHD sulla comorbidità con ansia e depressione. Tali
aspetti sono spesso sovrastimati nella pratica clinica.
Nel caso clinico che riporteremo sarà possibile osservare come
nella pratica clinica queste distinzioni possano essere sfumate,
come i test stessi sull’attenzione risultino talora scarsamente
9 Riferimento al Convegno del 29/01/2005 “Il Pediatra e l’ADHD” svoltosi a Piacenza con la
partecipazione del gruppo IRCCS Stella Maris dell’Università degli Studi di Roma e dell’Università
degli Studi di Cagliari, organizzato dal Dott. Giuseppe Gregori referente Pediatria di base di
Piacenza.
31
32
Eziologia
discriminanti e come, talvolta, la vera natura del disturbo
principale si chiarisca strada facendo osservando con quali
modalità di funzionamento cognitivo ed emotivo il bambino
affronta e gestisce
esperienze di vita, educative e di
apprendimento.
2.4.
La Sindrome da ADHD e i problemi della
Condotta
Cornoldi e altri10 riportano come anche i ragazzi con ADHD
possono avere problemi di aggressività e violare le norme
sociali. Nella pratica educativa tuttavia risulta difficoltoso
discriminare in quali casi il problema della condotta sia
primario e quando secondario a quello dell’attenzione.
Solitamente, nei ragazzi nei quali il problema della condotta è
primario si riscontra una significativa incidenza di
problematiche familiari e più variabili psicopatologiche nella
famiglia, al contrario, risultano meno influenti le variabili
cognitive. Analogamente anche il Disturbo oppositivo –
provocatorio presenta sintomi che si possono ritrovare anche
nel bambino con ADHD; la modalità comportamentale tipica di
questo disturbo è negativistica, ostile e provocatoria, ovvero i
bambini tendono a sfidare frequentemente le richieste degli
adulti e ad infastidire insegnanti e compagni, si irritano con
facilità ed hanno una bassa soglia di tolleranza alla frustrazione.
Per contro manca, a differenza di altri disturbi della condotta, un
comportamento contro le leggi e i diritti fondamentali degli
altri, come il furto, la crudeltà, la prepotenza, l’aggressione e la
distruttività. L’esordio si verifica caratteristicamente in bambini
di età inferiore a 9-10 anni. Per meglio specificare la diagnosi di
ADHD è importante verificare con precisione quali problemi
comportamentali si evidenzino e in quale misura siano da
attribuire a fattori cognitivi, come l’incapacità di usare il
pensiero sequenziale. Un altro fattore, che può produrre
10 Cfr . C. Cornoldi, M.Gardinale, A. Masi, L. Pettinò, Impulsività e autocontrollo, Erickson, Trento
1996
32
33
Eziologia
problemi comportamentali nel ragazzo con ADHD è la
probabilità che egli ha di trovarsi in circuiti relazionali viziati,
ovvero di trovarsi nel ruolo di colui che dà fastidio a compagni e
insegnanti per la sua difficoltà a porre attenzione alle regole, ai
limiti e ai vincoli del contesto in cui si trova. Sempre Cornoldi,
Vio e altri11 riprendendo il modello classico della Douglas
(Douglas e Perry, 1983) hanno messo in luce l’importanza
dell’aspetto cognitivo del disturbo ADHD, delineando la
presenza di quattro deficit primari:
-
debole investimento in termini di mantenimento dello
sforzo;
deficit di modulazione dell’arousal psicofisiologico
(attivazione) che rende il soggetto incapace di
raggiungere le richieste dei compiti;
forte ricerca di stimolazioni e gratificazioni intense e
immediate;
difficoltà di controllo degli impulsi.
2.5.
Note sul problema della diagnosi, della
gravità e della comorbidità
L’esperienza clinica tenderebbe a confermare non solamente la
varietà dell’intensità dei sintomi da bambino a bambino ma
anche una certa variabilità a seconda di importanti
cambiamenti che possono avvenire nei contesti frequentati dal
bambino (famiglia, scuola), di mutate situazioni socio educative
o di eventi stressanti accaduti in uno dei due contesti
(abbandono o cambiamento di importanti figure di
attaccamento nel contesto familiare, variazioni nella
complessità delle richieste e capacità di programmazione
dovute a cambi di figure nella scuola o, semplicemente,
all’aumento delle richieste inerenti il programma scolastico).
11 Cfr C.Cornoldi, T. De Meo, F. Offredi, C. Vio, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Erickson,
Trento 2001
33
34
Eziologia
Anche nella nostra esperienza clinica abbiamo avuto modo di
riscontrare come bambini, che inizialmente presentavano più
sintomi ADHD, specie sul versante della iperattività, a distanza
di un anno sviluppassero comportamenti chiaramente connotati
in senso ansioso/depressivo (cfr. il caso clinico riportato a pag.
70).
Le differenze di intensità possono essere tali che mentre in
alcuni casi i sintomi sono irrilevanti in altri possono paralizzare
la vita. In questo senso, è utile ricordare la flessibilità dei
protocolli statunitensi che utilizzano il farmaco con pazienti
adulti in base alle diverse necessità che le circostanze di vita
propongono. In accordo con il medico curante il farmaco viene
ripreso, abbandonato o modificato nel dosaggio, anche in
relazione a cambiamenti nella vita del paziente che possono
richiedere maggiori capacità di affrontare lo stress e maggiori
capacità organizzative quali: divorzio, cambio di lavoro,
aumento di responsabilità nell’ambito dello stesso,
scatti di carriera ecc…12.
Munir ed al. (1987) esaminando un campione di bambini con
ADHD hanno riscontrato le seguenti percentuali di
comorbidità:
Disturbi della Condotta
Disturbo Oppositivo Provocatorio
Disturbo dell’Umore
Tic (esclusa la Sindrome di Tourette)
Disturbi della Comunicazione
Encopresi
36%
59%
32%
32%
23%
18%
12 Cfr. R.J. Resnick, Impulsività, disattenzione e iperattività nell’adulto, Mc-Graw-Hill, Milano
2000
34
35
Eziologia
Inoltre tra il 50 e l’80% dei ragazzi con ADHD presentano
difficoltà di apprendimento scolastico che diventano invalidanti
con l’avanzare della carriera scolastica. Secondo C. Vio e altri
(1999, Erickson) la maggior parte dei bambini con ADHD non
presenterebbe tanto problematiche di ordine strumentale
(lettura, scrittura e calcolo) ma piuttosto inadeguate abilità di
problem solving matematico, di produzione e comprensione di
testi scritti e di studio di brani complessi. Questi soggetti, cioè,
utilizzerebbero strategie di studio meno efficaci e sarebbero in
difficoltà ad inibire le informazioni irrilevanti contenute
all’interno di un brano. A nostro parere la difficoltà di problem
solving e di inibizione l’informazione irrilevante, è specifica
dell’ADHD in quanto rientra nel deficit di pianificazione e
organizzazione delle competenze esecutive; al contrario il
Disturbo specifico di apprendimento rientra nelle frequenti
comorbidità rilevate.
Per quanto riguarda invece i disturbi da ansia/depressione
rispetto all’ADHD, si rileva che i primi hanno una prognosi più
favorevole e rispondono meglio ad interventi psicoterapeutici
più che a quelli farmacologici, mentre i disturbi da ADHD e
della condotta risultano nettamente più sensibili all’uso di
farmaci. Nel caso del bambino con ADHD ulteriore attenzione
va posta nel non confondere depressione con
demoralizzazione; quest’ultima produce sensi di colpa e
autodefinizioni di se stesso in termini di cattiveria o di
stupidità riguardo il proprio disturbo. Questo aspetto
della demoralizzazione, conseguenza del problema
comportamentale, ha un’incidenza stimata pari
all’80% mentre la concomitanza con la depressione
verrebbe stimata al 20%.
2.6.
Comportamenti da ADHD e normale
vivacità del bambino
I bambini con comportamenti negativi, caratterizzati da
aggressività o violenza, si distinguono da quelli con disturbi
35
36
Eziologia
della condotta perché presentano, di solito, manifestazioni
limitate e non sono associati con le carenze scolastiche e sociali
di questi ultimi; per poter invece distinguere tra bambini vivaci,
ma nella norma, e bambini con ADHD, sarà importante
osservare la qualità dell’attività stessa: quella naturale dovrebbe
essere finalizzata e organizzata, mentre nei bambini iperattivi
l’attività è spesso incontrollata e priva di scopo o con scopo
incongruo al momento e al contesto.
Dobbiamo ricordare tuttavia che spesso la tendenza all’ attività
disorganizzata può derivare da un ambiente educativo caotico
dove mancano ritmi e organizzazione. Questo tipo di contesto
infatti, causa ansia al bambino che può reagire con il
comportamento iperattivo.
Anche la gamma dei comportamenti normali, d’altra parte, è
molto vasta; così è facile che sull’onda delle mode del momento
genitori ed educatori ansiosi o, al contrario, poco attenti
scambino un comportamento molto vivace, che magari è il frutto
di uno stile educativo troppo permissivo, con un disturbo tipo
ADHD. Questa confusione del resto può avere aspetti emotivi
funzionali perché può essere paradossalmente più semplice
pensare ad un disturbo del bambino piuttosto che mettere in
crisi un sistema relazionale ed educativo.
A proposito della distinzione spesso difficile da parte delle
agenzie educative tra l’ADHD e altre forme di più o meno
esasperata vivacità o altre forme di disagio, anche a Piacenza,
come in altre realtà italiane, il servizio di neuropsichiatria
infantile pare registrare un incremento esponenziale di richieste
di aiuto per diversi disturbi tra cui la Sindrome dell’Iperattività.
Negli ultimi numeri di un organismo di categoria degli
psicologi13 sono comparsi due articoli entrambi tendenti a
confermare che la Sindrome dell’Iperattività avrebbe avuto un
balzo di diffusione nella popolazione infantile da 0,5% all’8%
(per una stima considerata media del 4%).
13 Babele, Periodico quadrimestrale dell’associazione Sammarinese degli psicologi, gennaio – aprile
2005 numeri 23 e 29
36
37
Eziologia
Questo incremento, oltre a far riflettere sulle componenti socio
educative del problema, deve anche indurre ad una valutazione
estremamente accurata del disturbo o del malessere attraverso
un’osservazione del soggetto che vada oltre i confini
dell’ambulatorio per cogliere le caratteristiche del bambino
come sono espresse nei diversi contesti di appartenenza. Da
quanto abbiamo visto dalla storia e dalle recenti ipotesi cliniche
su questa sindrome, è risultato palese come ogni sintomo possa
legarsi a una gamma di diversi disturbi; questo risulta
sicuramente un problema per i clinici tanto d’aver portato
alcuni di loro a considerare disturbi che prima si escludevano
come compresenti, ampliando le comorbidità possibili. Ancora
più complessa diventa la distinzione tra comportamenti normali
e comportamenti che potrebbero o meno essere patologici per
chi ha a che fare con i bambini nella quotidianità. Come
conferma Federico Bianchi di Castelbianco, “abbiamo potuto
riscontrare come i disturbi sopracitati sono, per la maggior
parte dei casi, risposte a dinamiche educative poco funzionali
e/o inadeguate”. L’autore rileva come, per quanto riguarda i
disturbi del sonno, dell’alimentazione, dell’attenzione e dei
livelli di attività, questi risultino spesso sintomi di disagi più
ampi e profondi che non vengono presi in considerazione, con
pesanti ricadute sui pazienti.
Comportamenti problema e sistema educativo
Un rischio, dell’attribuire i problemi comportamentali dei
bambini ad una sindrome clinica da parte del sistema educativo,
è di individuare in questo modo una scappatoia e una delega al
sistema di cura, evitando la riflessione sui propri modelli e
valori e su come questi ultimi siano più o meno adeguati a
rispondere sia ai bisogni dei bambini normali sia a quelli dei
bambini problematici; in questo senso numerose sono le
indicazioni psicopedagogiche che si propongono di integrare il
modello educativo attuale ricco di affettività ma povero di
norme. Anche i cambiamenti macrosociali di questi ultimi anni
hanno portato alla perdita di punti di riferimento valoriali
sicuri ingenerando incertezze sociali, esistenziali e di ruolo.
37
38
Eziologia
Genitori ed insegnanti si trovano confrontati con un nuovo
modello educativo facile da comprendere sul piano razionale ma
molto difficile da assumere nel proprio comportamento e in
modo sistematico. A fronte della perdita nel sistema educativo
attuale di punti di riferimento sicuri, di regole e di limiti, i nuovi
modelli rimandano non più a ruoli rigidi e precostituiti (in gran
parte caduti anche tra gli adulti) ma piuttosto ad una revisione
critica individuale che comporta un lavoro di analisi delle
convinzioni, credenze, aspetti emozionali e comportamenti
solitamente ben radicati nella strutturazione personale degli
educatori14.
La psicologia cognitiva offre riflessioni teoriche e modalità
operative da utilizzare con i bambini e suggerisce modalità ben
strutturate che genitori ed insegnanti possono utilizzare per
gestire le problematiche comportamentali dovute al disturbo.
L’efficacia di tali strategie tuttavia è condizionata da come
l’adulto ha affrontato primariamente il lavoro di revisione
cognitiva-emotiva personale e, in secondo luogo, dalla
sistematicità con cui vengono applicate.
Come si vedrà dall’esposizione del caso, per essere efficaci è
indispensabile mettersi in gioco sul piano personale ed affettivo;
questo non può prescindere dall’avere chiarezza degli obiettivi
cognitivi /didattici (e del modo di affrontare la realtà) che di volta
in volta ci si prefigge e da una programmazione giornaliera. In
questo senso, per quanto concerne le problematiche
comportamentali, ci sembra di aver osservato, in questi anni
di lavoro nel servizio di neuropsichiatria infantile, come, a
fronte della demotivazione degli insegnanti, il sistema formativo
non sembri ancora avere individuato un progetto ed una
formazione educativa realistica e rispondente alla gestione
pedagogica e didattica del disturbo comportamentale.
14 Si possono consultare per suggerimenti operativi adatti ad affrontare le problematiche educative
degli adulti, i testi: T. Gordon, Né con le buone né con le cattive, La Meridiana Molfetta 2001; T.
Gordon, Insegnanti efficaci, Giunti Lisciani, Teramo 1992; T. Gordon, Genitori efficaci, la
Meridiana, Molfetta 1994; D. Novara (a cura di), La scuola dei genitori, Berti, Piacenza 2004
38
39
Eziologia
Una formazione specifica in questo senso risulterebbe efficace
nell’affrontare non solo il disturbo ma anche le forme di disagio
comportamentale sempre più numerose nella popolazione
infantile, permettendo così alle agenzie educative l’attuazione di
una pedagogia mirata alla ricerca di modalità più efficaci per
proporre
norme e limiti, ma anche opportunità di
apprendimento in grado di coinvolgere il maggior numero
possibile di studenti.
Castelbianco15, sempre a proposito dell’ADHD, sostiene come il
problema non sia tanto mettere in dubbio l’esistenza di questo
disturbo, quanto piuttosto risolvere i punti interrogativi sulle
percentuali dichiarate. L’autore mette in guardia dall’attribuire
la definizione di Iperattivi a bambini agitati ed irrequieti,
incapaci di aderire a semplici regole sociali, che, nella maggior
parte dei casi, sostiene, sono semplicemente maleducati.
Sottolinea inoltre una scarsa coscienza dei cambiamenti nei
comportamenti sociali e di come questi abbiano influito sui
bambini. E’ frequente, ad esempio, l’affermazione che i bambini non
hanno più regole e che gli adulti non sono capaci di educarli
ecc…,salvo meravigliarsi se i bambini nelle scuole presentano
comportamenti difficili e complessi che possono essere
scambiati per disturbi.
Si pensi, ad esempio, come qualche anno fa l’insegnante poteva
rappresentare un argine educativo sicuro, mentre oggi ci si
trova di fronte a bambini difficilmente contenibili. L’autore
sottolinea che, secondo alcuni dati ufficiali, sarebbe presente un
bambino con ADHD ogni 25 (quindi uno per ogni classe
scolastica), rilevando come nella loro pratica clinica tale
percentuale non sia mai stata riscontrata anche nei bambini che
già arrivano con questa diagnosi; riporta, inoltre, come un
processo analogo sia accaduto con la diagnosi di Dislessia che
aveva raggiunto stime ufficiali del 14% e 18% ora
ridimensionate in modo clamoroso.
15 Cfr “Babele” Periodico quadrimestrale dell’associazione Sammarinese degli psicologi, numero 29
aprile 2005
39
40
Eziologia
A prescindere dalla correttezza o dall'accordo sui dati riportati, la
pratica clinica ci ha effettivamente confrontati con la necessità
di distinguere questo disturbo da un comportamento di disagio
e con la necessità di creare una cultura e una chiarificazione del
problema all’interno dell’istituzione scolastica.
40
41
Eziologia
3. Le comorbidità
scolastico
3.1.
significative
in
ambito
Età prescolare
Anche nei bambini più piccoli (3-6 anni) possiamo trovare in
comorbidità il disturbo oppositivo provocatorio, i disturbi dello
sviluppo linguistico e motorio e il disturbo dell’attaccamento, che
possono interferire con la difficoltà a formulare diagnosi precise.
Alcuni sintomi aspecifici possono comunque risultare correlati
ad una futura diagnosi di ADHD quali:
- crisi di collera;
- rapporto disturbato genitore bambino;
- genitori esausti;
- ritardata acquisizione dei prerequisiti scolastici.
È comunque da sottolineare che, poiché alcuni criteri diagnostici
sono meno chiari e c’è, in età prescolare, una minore richiesta di
compiti attentivi, la diagnosi risulta più complessa e dovrà
tenere conto maggiormente dell’osservazione comportamentale.
3.2.
Età scolare
La valutazione delle abilità scolastiche è fondamentale, occorre
infatti ricordare che molti adulti sono guariti dalla sindrome,
ma non dai suoi effetti infatti si sono portati appresso le
conseguenze dei loro insuccessi scolastici. La disabilità stessa
nell’apprendimento, d’altra parte, può produrre irrequietezza
in classe e le difficoltà possono essere dovute sia a ritardo
mentale (lieve o moderato) sia a richieste scolastiche non
adeguate alle capacità. Il DSM IV conclude tuttavia che un’altra
possibile comorbidità è quella tra ADHD e ritardo lieve o
moderato16.
Questo confermerebbe i presupposti di quella tendenza di
pensiero che vede la mancanza di attenzione e l’iperattività
16 Cfr. J.L. Rapaport, D.R. Ismond, DSM IV Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’infanzia e
dell’adolescenza, Masson, Milano 2000
41
42
Le comorbità significative in ambito scolastico
come sintomi riscontrabili in una vasta e variegata gamma di
disturbi.
In particolare:
- Disturbi del sonno: presentano una sovrapposizione in circa
-
-
-
il 50% dei casi e possono presentarsi come problemi di
addormentamento, risvegli notturni, movimenti involontari
durante il sonno, risvegli precoci, parasonnie, sonnolenza
diurna. Gli stimolanti possono accrescere i problemi di sonno,
anche se, solitamente, il disturbo rientra dopo qualche tempo;
Disturbo della lettura: la comorbidità può apparire con le
diverse tipologie ma si può anche avere una ADHD che simula
il disturbo di apprendimento, oppure il disturbo di
apprendimento può simulare l’ADHD;
Discalculia: l’incidenza di questa patologia con l’ADHD va
dal 20 al 26%;
Disturbo evolutivo della coordinazione motoria: si
sovrappone all’ADHD in circa il 50% dei casi insieme ad altri
problemi di sviluppo, le difficoltà nel disegno e nella scrittura,
che si possono migliorare con gli stimolanti e che sono
sensibili sia alla diagnosi precoce che al trattamento;
Ritardo mentale: esiste una sindrome iperattiva, associata a
ritardo mentale e movimenti stereotipati, basata sull’evidenza
che i bambini con grave ritardo mentale (QI al di sotto di 50)
presentano gravi problemi di iperattività e deficit attentivo,
frequentemente presentano comportamenti stereotipati.
Questa sindrome appare ben distinta e fortemente
caratterizzata rispetto al quadro presentato dall’ADHD come
l’abbiamo descritto fino ad ora; sottolineiamo anzi che un
criterio per l’inclusione nel protocollo di osservazione, adottato
dal Centro di II livello di Piacenza, comporta un QI superiore a
70.
La sindrome da ADHD può avere un’evoluzione specifica sia in
fase adolescenziale sia in età adulta, con riduzione di alcuni
sintomi e amplificazione di altri, in particolare tenderà a
spostarsi sul disturbo attentivo e sulla difficoltà di pianificare e
organizzare le attività (funzioni esecutive).
In conseguenza, tuttavia, della diversa direzione che la sindrome
assume e delle sue commistioni con problemi di tipo
emozionale o di tipo comportamentale, riteniamo opportuno
rimandare l’esame della tipologia dell’ADHD in adolescenza ad
un successivo lavoro.
42
Le comorbità significative in ambito scolastico
43
4. Prognosi
Diversi studi longitudinali che hanno verificato gli esiti
dell’ADHD evidenziano che solo il 20% dei soggetti, ai quali era
stato diagnosticato l’ADHD non manifesta più i sintomi quando
raggiunge l’età adolescenziale. Le ricerche non forniscono dati
chiari sul rapporto tra utilizzo tempestivo del farmaco e una
prognosi favorevole. Chi ha analizzato in modo distinto il
decorso di bambini con ADHD ha riscontrato che il 51% dei
soggetti continua a presentare i sintomi anche in età
adolescenziale e, se si pensa a come la sindrome fosse
maggiormente misconosciuta fino a 20-30 anni , le percentuali
sono sensibili di aumento. Resta da tener conto però che il
diverso sistema educativo di allora probabilmente indirizzava
più precocemente questa tipologia di ragazzi al di fuori del
circuito scolastico (in alcuni casi forse anche con esiti
positivi per i ragazzi stessi che trovavano maggiori gratificazioni
in un ambito lavorativo pratico). Per quanto riguarda i bambini
con solo Disturbo della Condotta in età infantile, questi ultimi
manterrebbero invece tali comportamenti durante l’adolescenza
nel 28% dei casi. La prognosi sarebbe nettamente più infausta
per quei soggetti che presentano entrambe le problematiche:
per questi ultimi la probabilità di ricevere la stessa diagnosi
anche durante l’adolescenza salirebbe all’81%. Secondo R.J.
Resnick17 i disturbi ritrovati più frequentemente in comorbidità
nell’adulto con ADHD sono ansia e depressione, in particolare
la depressione è, in assoluto, il più frequente. Secondo l’autore è
d’altra parte difficile, spesso impossibile, discriminare un adulto
con ADHD da una persona che presenti depressione. La
depressione nei disturbi ADHD dell’adulto ha cicli brevi e il
soggetto ADHD può passare dall’eccitamento alla depressione
in pochi minuti o ore. L’autore conclude che non esiste una
terapia risolutiva per l’ADHD nell’adulto. Il trattamento clinico
ha l’obiettivo di aiutare la persona a capire l’ADHD, a gestirla,
a modificare l’ambiente per diminuire i problemi di
comportamento. Le fasi del trattamento sono costituite
17 Cfr R.J. Resnick, Impulsività, disattenzione e iperattività nell’adulto, McGraw – Hill, Milano
2002
43
44
Prognosi
dall’apprendimento, dai farmaci, dalla psicoterapia e dalla
modificazione dell’ambiente. Fondamentale è intervenire nel
momento e nel luogo in cui i sintomi interferiscono con un
aspetto della vita del paziente; nei casi più gravi, con il passare
degli anni, l’adulto con ADHD può richiedere più interventi.
Anche questo autore conferma che non c’è un esordio
dell’ADHD nell’età adulta, si tratta di un disturbo cronico, che
dura tutta la vita che è stato riconosciuto soltanto negli ultimi
anni.
Come clinici vorremmo aggiungere che, in fondo, in tutti i
disturbi psicologico – psichiatrici, l’obiettivo dei diversi
trattamenti non può, per definizione, essere la risoluzione di tutti
i problemi (la vita stessa pone continuamente di fronte a
situazioni nuove e/o stressanti che nessuno di noi è preparato a
risolvere!); piuttosto si tratta di individuare e perseguire, per i
nostri pazienti, quei livelli di competenza e benessere necessari
a garantire una migliore qualità della vita.
Tab.1
Riepilogo
44
Le comorbità significative in ambito scolastico
45
5. Trattamento clinico
Sono state individuati fino ad oggi tre approcci al disturbo: la
terapia farmacologica, il training di autoregolazione cognitiva e
l’educazione emozionale.
Terapie farmacologiche
Aspetti culturali sulla tematica “ farmaci e bambini”
in Italia
Il blocco relativo alla “liberalizzazione” del Ritalin e la lunga
discussione che ha diviso la comunità scientifica italiana in
merito alla vendita del farmaco stesso in Italia, ci portano a
compiere alcune specificazioni (derivanti dall’esperienza di
psicologi clinici che si occupano di disturbi neuropsicologici)
necessarie per affrontare questa tematica in una prospettiva
completa.
Il problema non è tanto l’ammissione o meno del farmaco in
Italia (che clandestinamente ha comunque un giro pur difficile
da quantificare) quanto la definizione dei criteri di
somministrazione. Un primo criterio coinvolge senz’altro il
fattore età. Sull’età migliore per la somministrazione, a fronte di
una diffusa tendenza americana che tende a inserire il farmaco
nei protocolli per bambini di tre anni, pensiamo si possa e si
debba contrapporre un lavoro educativo che coinvolga i
genitori, che li sostenga e che cerchi di trasmettere loro quegli
atteggiamenti di tolleranza e, insieme, di contenimento educativo
che ha, a nostro parere, maggiori possibilità di successo
all’interno dell’esperienza prescolastica.
Il contesto familiare, infatti, e almeno i primi due anni di scuola
materna sono facilitati da un setting che tende a privilegiare
il gioco piuttosto che l’impegno su attività che
richiedono un’attenzione sostenuta, di conseguenza risulta più
agevole per il bambino con ADHD adeguarsi ad attività di basso
impegno cognitivo. Il lavoro educativo, in questo senso
altamente preventivo, è quindi più libero di concentrarsi sul
rispetto delle regole del gioco; il contesto della scuola materna,
tuttavia, può senz’altro, se vi è un ‘attenzione tempestiva alle
problematiche comportamentali, porre le basi per un più
45
46
Trattamento clinico
funzionale impatto con il gruppo dei coetanei ed evitare così al
bambino inutili frustrazioni. Anche il genitore, inoltre, tanto più
bassa è l’età del bambino tanto più è portato ad accettare
quella che può essere definita una “vivacità eccessiva”, specie se
supportato in questo da un progetto educativo.
Questo significa che in questa fase più che mai vale la pena di
mettere le basi per lo sviluppo di un atteggiamento positivo del
bambino nei confronti delle regole, dell’organizzazione e
dell’apprendimento, utilizzando, per il raggiungimento di questi
obiettivi, quelle modalità ludiche e quei rinforzi affettivi che
possono essere più difficili da proporre con il passaggio alla
scuola elementare. Tale passaggio pone il bambino in un
contesto dove invece le richieste, le regole e, in generale, la
capacità di adeguarsi ad un contesto strutturato aumentano
repentinamente, mettendolo a confronto con quelli che sono i
suoi punti deboli, ovvero la capacità di stare seduti e di lavorare
su un compito cognitivo che facilmente rischia di essere
considerato da lui noioso, ripetitivo e faticoso. La competenza
richiesta aumenta ulteriormente nel caso in cui si presenti un
Disturbo di apprendimento in comorbidità. Un primo criterio di
cui tener conto nella somministrazione del farmaco, potrebbe
essere quindi il tasso di richieste che il contesto pone al
bambino che, nel suo caso, coincide con il passaggio alla scuola
elementare (e quindi con i 6 anni di età). In questo senso
consideriamo la scuola, per un bambino con ADHD, come uno di
quegli
“eventi
stressanti”
che
richiedono,
magari
temporaneamente, il supporto di un farmaco per essere
affrontati in modo da non dover successivamente subire
conseguenze che, in un rapporto benefici-effetti collaterali, si
concluda in perdita. Si pensi, ad esempio, ad un bambino con
ADHD che, incapace di adeguarsi al compito e alle modalità dei
compagni, sviluppi quel disagio, quel senso di ansia e di
demoralizzazione che abbiamo visto accompagnarsi con alte
percentuali a tale sindrome. Il criterio “età” andrebbe poi
integrato con il criterio di gravità della sintomatologia. Su
questo punto il DSM IV specifica che, per quanto riguarda
l’inquadramento dell’estensione e della gravità dei
comportamenti inappropriati, questo può essere reso più
preciso dall’uso della Scala di Inquadramento Globale (SIG).
Un’ultima variabile di cui tener conto è la presenza di disturbo
46
47
Trattamento clinico
specifico dell’Apprendimento facilmente in comorbidità con
l’ADHD.
Per quanto riguarda la scala SIG occorre tener conto che tale
strumento è ancora poco in uso nei nostri Servizi e, quindi,
sarebbe utile sperimentare e verificare in che misura possa
valutare i livelli di gravità dell’ADHD, tuttora non definiti dal
DSM che, invece, specifica (come segue) con precisione la
gravità nel disturbo della condotta:
-
-
Lieve: pochi o nessun problema di condotta al di là di
quelli richiesti per fare la diagnosi e i problemi di
condotta causano solo lievi danni agli altri (per es.
mentire, marinare la scuola, stare fuori la sera senza
permesso);
Moderato: numero di problemi di condotta ed effetti
sugli altrui intermedi fra lieve e grave (per es. rubare
senza affrontare la vittima, vandalismo);
Grave: molti problemi di condotta in aggiunta a quelli
richiesti per fare la diagnosi oppure i problemi di
condotta causano notevoli danni agli altri (per es.
rapporti sessuali forzati, crudeltà fisica, uso di armi,
furto con aggressione alla vittima, violazione di
proprietà, scasso).
Riassumendo sulla questione ADHD e farmaco, dunque
riteniamo che la questione si ponga quando si combinano il
criterio della gravità con l’inizio della frequenza
scolastica e l’eventuale associazione con un DSA:
47
48
Trattamento clinico
SCHEDA DI APPROFONDIMENTO
Gravità scolastica e farmaci
In diversi settori della Neuropsichiatria Infantile, da un punto di vista
semantico, gravità scolastica e clinica non coincidono: quello che per
gli operatori è un disturbo lieve, per es. un quadro mentale borderline
(capacità intellettive ai limiti inferiori della media), per la scuola si
trasforma facilmente in una situazione di grave problematica
scolastica. La relatività della gravità, in questo caso, è chiaramente
marcata dall’ambiente, al di fuori del contesto scolastico: il bambino,
infatti, potrebbe manifestare buone capacità pratiche e, al di fuori del
contesto clinico, potrebbe rivelare altre forme di intelligenza le cui
variabili non sono prese in considerazione dai test utilizzati ,come nel
caso dell’intelligenza musicale o motoria.
Per i ragazzi con ADHD, i cui sintomi sono prevalentemente
comportamentali, questa distinzione è ancora più importante in
quanto il concetto di “gravità” può variare a seconda delle variabili di
personalità e del credo pedagogico degli adulti in gioco. La tabella che
segue (pensata per bambini a partire dai sei anni) non vuole essere una
classificazione tecnica quanto piuttosto una semplice base di partenza
sulla quale scuola, famiglia e clinico possono confrontarsi per
accordarsi sul livello di gravità individuato e condividere, dunque, sia le
strategie educative che la decisione farmacologica in una prospettiva di
mediazione.
Disturbo
D.S.A.
Livello di gravità
scolastica
Livello di gravità
clinica
Attenzione e
Iperattività
combinato
Tipo Disattenzione
predominante
Presente
Grave
Moderata
Presente
Grave
Lieve
Tipo Iperattvità –
Impulsività
predominanti
Presente
Grave
Moderata
Sul criterio della gravità clinica potrebbe essere utile un’ulteriore
riflessione sui risultati alle Scale SDAI, valorizzando, in questo senso
l’osservazione degli insegnanti nell’idea (che vale anche per il Disturbo
della Condotta) che la gravità dell’ADHD possa essere valutata in base
agli effetti che i comportamenti – problema provocano al bambino
relativamente al concetto di Sé e agli altri in termini di difficoltà
gestionale.
48
49
Trattamento clinico
Il processo di liberalizzazione nella somministrazione degli
psicostimolanti ai bambini con ADHD sembra giustificato dai
risultati evidenziati dalla letteratura secondo la quale il 70 –
80% dei bambini con ADHD di scuola elementare, trattati con il
metilfenidato (commercializzato con il nome di Ritalin),
mostrano una riduzione dei sintomi uguale o superiore al 50%.
Va tenuto presente che, una volta sospesa la terapia, si
ripresentano tutti i sintomi caratteristici del Disturbo. Riguardo
a quel 20 – 30% di soggetti che non rispondono positivamente
al trattamento farmacologico si pone l’opportunità di verificare
l’esistenza di una componente depressiva, ansiogena o
aggressiva che può risultare la sintomalogia prevalente e, quindi,
di valutare l’utilizzo di altri farmaci.
Gli effetti collaterali (calo dell’appetito e del sonno e quindi
riduzione della crescita) si attenuano riducendo il dosaggio e
calibrando i momenti in cui somministrare i farmaci. Nessun
dato supporta l’opinione che gli psicostimolanti diano
dipendenza o necessitino di incrementare il dosaggio per
mantenere l’efficacia. Altri dati tenderebbero anzi a confermare
come il rischio di “tossicodipendenza” diminuisca nei soggetti
che hanno assunto metilfenidato rispetto a chi non l’ha assunto.
Di comune rilevazione e particolarmente interessante è l’effetto
che il farmaco produce nella relazione genitore – figlio: dal
momento in cui i bambini migliorano il proprio comportamento
anche i genitori riducono l’eccessivo controllo, il numero dei
rimproveri e dei richiami e, parallelamente, aumentano le
espressioni affettive nei confronti del figlio, diminuiscono le
critiche e aumentano gli atteggiamenti concilianti durante le liti
con i fratelli.
La questione farmacologica è culturalmente molto delicata.
Riviste a larga diffusione, come “Riza psicosomatica”, riportano
posizioni quantomeno discutibili, in un articolo recente18 si
parla di bambini molto vivaci, di crisi soprattutto della mamma
e si conclude che il farmaco viene dato per i problemi dei
genitori e non dei bambini. Oltre ad essere questa eventualità
scarsamente probabile in Italia, dove la vendita del farmaco
18 Cfr Riza psicosomatica, “Le mamme in tilt col bimbo iperattivo” n. 293 luglio 2005
49
50
Trattamento clinico
ancora non è stata liberalizzata, ci sembra che l’articolo
contenga una ambiguità di fondo. Il titolo “Le mamme in tilt col
bimbo iperattivo” sembrerebbe alludere ad un problema clinico
accertato (l’iperattività) ma, proseguendo nella lettura,
l’impressione è che si parli di normali bambini vivaci e delle
diffuse difficoltà degli educatori di oggi a proporre regole e
limiti. L’articolo prosegue offrendo una descrizione che si adatta
a molti bambini semplicemente "capricciosi" e conclude
mettendo in dubbio l’esistenza stessa della sindrome. Secondo
molti psicologi esiste una vera e propria Sindrome da Deficit di
Attenzione con Iperattività che colpisce alcuni bambini. In USA
spesso si ritiene giustificato in questi casi l’uso di psicofarmaci.
Inutile dire che si tratta di un vero e proprio abuso,
motivato più dai disturbi dei genitori (o dei medici)
che da quelli presunti dei bimbi”19. Si ha la netta
impressione che articoli come questo, se letti da madri che
hanno un figlio che presenta il vero e proprio disturbo,
ottengano come effetto proprio quello contrario all’assunto di
base, cioè di far nascere sensi di colpa e di inadeguatezza
laddove invece il genitore deve essere aiutato seriamente e
concretamente ad affrontare quello che è considerato da molti il
disturbo più grave in età evolutiva, se necessario, anche con il
farmaco che comunque ha comprovata efficacia nella
maggioranza dei casi. Certe posizioni, colpevolizzanti nei
confronti dei genitori ed in particolare delle madri, non è nuova
né in psichiatria né nel senso comune, basti pensare alle vicende
sociali della schizofrenia che, dopo un esordio di patogenesi del
tutto organicistica, vedeva, negli anni ’70, nella propria
eziolologia la madre schizofrenogenica, poi la famiglia
schizofrenogenica e, infine, la società schizofrenogenica. Un
analogo destino è stato quello seguito dalle vicende dell’autismo
e dell’anoressia. Per quanto riguarda quest’ultima abbiamo già
affrontato la storia della “colpa” materna. Molte scuole di
psichiatria, tuttavia, e la stessa Associazione degli psichiatri
americani unitamente a una vasta parte della psichiatria e della
neuropsichiatria infantile italiana, riconoscono ormai che esiste
un’interazione di fattori che vede intervenire, nella costruzione
del disturbo, fattori biologici, sociologici e psicologici con
19
pag. 31 dell’articolo citato in Riza psicosomatica
50
51
Trattamento clinico
incidenza che può variare ma che spesso arriva ad una incidenza
del 50% della variabile biologica. Questo depone a favore di un
approccio multidisciplinare ai disturbi mentali e, almeno in
Italia, ad un atteggiamento ideologicamente meno condizionato
riguardo l’approccio farmacologico, poiché rimane chiaro che,
trattandosi di bambini, la componente educativa non può che
rivestire un carattere assolutamente prioritario.
Training
cognitivo
autoregolazione cognitiva
comportamentale
o
di
Questi trattamenti uniscono all’utilizzo dei rinforzi positivi e
negativi, caratteristici dei primi training comportamentali,
l’insegnamento di alcune tecniche, che poi vedremo nel
dettaglio, quali autoistruzioni verbali, problem solving e
stress inoculation training (consapevolezza e controllo delle
emozioni in situazioni stressanti). Sono previsti anche colloqui e
riflessioni con cui l’operatore cerca di aiutare il bambino ad
apprendere uno stile di attribuzione interno, cioè imparare a
percepire i propri risultati come il frutto dell’impegno e delle
strategie adottate.
Per quanto riguarda il trattamento clinico dei disturbi da
ADHD, i percorsi più sperimentati riguardano i training di
autoregolazione, basati fondamentalmente sulle tecniche che
consentono di arrivare ad un miglioramento nell’autocontrollo
emozionale attraverso una riflessione metacognitiva. In tale
processo si fa riflettere il bambino su come il pensiero influenzi
le emozioni e su come, quindi, cercare di modificare i pensieri
attorno ad un evento può aiutarlo a gestire meglio le emozioni
negative: rabbia, tristezza, demoralizzazione (tutte, peraltro,
spesso collegate a questo disturbo). Secondo alcune posizioni il
percorso normale attraverso cui il bambino arriva
all’autoregolazione dei propri comportamenti sarebbe una
conseguenza diretta del dialogo interno in cui il soggetto riesce
ad imporsi una sequenza di ordini capaci di regolare l’azione,
competenza che in questo tipo di sindrome è tendenzialmente
assente. L’insegnamento dell’autoregolazione basato su
autoistruzioni verbali è stato largamente applicato nei bambini
con ADHD; il presupposto di questo approccio è che il
51
52
Trattamento clinico
bambino riesca a supplire ad un carente sviluppo
dell’autoregolazione attraverso l’interiorizzazione di
consegne. Si è notato che in generale il trattamento
metacognitivo riesce facilmente a sviluppare consapevolezze e
abilità nelle situazioni di training, le difficoltà intervengono
nella loro automatizzazione. Uno dei problemi con cui si scontra
la realizzazione completa del training è che, per automatizzare
un’abilità, è necessario ripetere molte volte le operazioni nei più
svariati contesti; la difficoltà è quindi di portare tale
trattamento al di fuori dell’ambulatorio applicando le
competenze apprese nella scuola, in famiglia e nei contesti di
socializzazione ludico-sportiva del bambino.
Il programma di autoistruzione viene utilmente integrato da
altre strategie di tipo cognitivo-comportamentale, quali le
tecniche di problem solving, che costituiscono comunque una
tipologia di autoistruzioni.
Tecniche di soluzione dei problemi
Diversi autori (Vio e coll. 1999)20 suggeriscono di imparare a
riconoscere quelle situazioni particolari che portano il bambino
a comportarsi in modo inadeguato; questo consente agli
educatori di evitare atteggiamenti punitivi perché li aiuta sia a
prevenire la comparsa dei comportamenti indesiderati sia ad
aumentare la capacità di valutare preventivamente come agire
in una situazione predefinita “a rischio”. In questo modo il
comportamento non risulterà influenzato dalle emozioni
negative che si scatenano quando il comportamento inadeguato
è già stato messo in atto.
Avere in mente un piano d’azione significa porsi in modo attivo
nei confronti del bambino cercando di offrirgli un modello per
pensare e pianificare le sue azioni evitando, in questo senso, di
reagire ad azioni che partono dal bambino stesso. Si pensi, ad
esempio, ad una situazione notoriamente a rischio come il momento
della mensa in cui il bambino, in un contesto poco strutturato,
tende ad avere comportamenti inadeguati come infastidire i
compagni o non rispettare le regole del pasto.
20
Cfr C. Vio e altri, Il bambino con deficit di attenzione/iperattività, op. cit.
52
53
Trattamento clinico
In questo caso l’adulto, che può già prevedere un
comportamento disturbato, può decidere come suo piano
d’azione di modificare il contesto tenendo il bambino seduto
accanto a sé, formulando con lui un contratto chiaro che preveda
una “conseguenza” nel caso in cui il bambino non rispetti la
regola.
Il costo non dovrà essere però la mancata ricreazione o il
mancato gioco dopo il pasto, perché risulterebbe inutilmente
penalizzante per questo tipo di bambino. Potrebbe invece
trattarsi di una punizione “costruttiva”, un’azione che lo
impegni in un’attività, per esempio riordinare lo zaino o il suo
banco, aiutare la bidella a pulire il corridoio, aiutare
l’insegnante a preparare i materiali. E’ palese che alcune di
queste mansioni prevedono una totale collaborazione e
condivisione tra tutti gli adulti che si occupano del bambino, in
particolare i genitori. In alternativa, nell’ambito di un contratto
che può regolare più di un’attività del bambino, si può utilizzare
il “costo della risposta” (per la spiegazione di questa tecnica si
rimanda a pag. 55).
In generale la pianificazione che l’adulto trasmette al bambino
deve prevedere un modello di soluzione formato da cinque
passaggi che costituiscono il modo migliore di procedere in
qualunque situazione. Tale piano corrisponde, a grandi linee ad
una delle procedure del problem solving scientifico e comporta:
-
comprendere la natura del problema e determinare
l’obiettivo;
immaginare tutte le possibili soluzioni per affrontare il
problema senza valutarle rispetto alla loro realizzabilità;
individuare tra le soluzioni immaginate quelle che
meglio si prestano nella specifica situazione;
formulare un piano specifico per risolvere il problema;
verificare se il piano è stato eseguito ed è stata raggiunta
la soluzione del problema.
Immaginiamo, ad esempio, un’attività in classe di piccolo gruppo
per realizzare un cartellone di geografia in cui l’insegnante
vuole trasmettere al bambino con ADHD il modo per riuscire a
53
54
Trattamento clinico
tenere l’attenzione sulla consegna rispettando nello stesso
tempo, le regole del gruppo. Il bambino in quel momento preciso
si sente stanco e avrebbe voglia di giocare con il compagno che
gli è vicino nel gruppo il quale, invece, vuole stare attento,
l’insegnante pensa per lui ad alta voce:
-
comprendere la natura del problema e determinare
l’obiettivo. “Il mio problema è che in questo momento ho
voglia di andare a giocare come posso affrontare questa
situazione senza mettermi nei guai? Rifletto: se infastidisco
Luca lui non riuscirà a finire il suo lavoro e si arrabbierà con
me, non ho molta voglia di ascoltare quello che dice la
maestra, però questo disegno non è una cosa difficile, se
ascolto riuscirò a fare quello che fanno i miei compagni
insieme a loro”;
-
immaginare tutte le possibili soluzioni per affrontare il
problema senza valutarle rispetto alla loro realizzabilità.
“Penso alle soluzioni: devo ascoltare l’insegnante almeno per
sapere qual è il mio compito; poi so che l’insegnante mi
chiede di ripeterle quello che lei ha detto; oppure posso
chiedere a Luca di ripetermi quello che l’insegnante ha detto
o copiare quello che fanno gli altri”; ;
-
individuare tra le soluzioni immaginate quelle che
meglio si prestano nella specifica situazione. “Se voglio
fare bene questo lavoro devo essere io a concentrarmi su
quello che sta dicendo l’insegnante, non posso né copiare né
chiedere a Luca”;
-
formulare un piano specifico per risolvere il problema.
-
verificare se il piano è stato eseguito ed è stata raggiunta
la soluzione del problema. “Ora so esattamente qual è la
“Mi isolo per 10 minuti dai compagni, mi concentro su quello
che dice l’insegnante ripetendole quello che ho capito e
chiedendole se è giusto”;
mia parte e l’ho eseguita insieme agli altri, l’insegnante non
ha dovuto richiamarmi e adesso possiamo andare giocare
tutti insieme”.
54
55
Trattamento clinico
I passaggi che riguardano le autoistruzioni, inizialmente sono
proposti come pensieri che l’adulto rivolge a se stesso che
servono a guidare il ragionamento verso la soluzione. La
necessità di proporre tali istruzioni attraverso il pensiero ad alta
voce dell’adulto può risultare una modalità piuttosto faticosa
per chi la sta proponendo, anche perché si tratta di proporre
quello che è solitamente un dialogo interno e silenzioso come
tappe di un dialogo esplicitato punto per punto. Inoltre, chi è
abituato a padroneggiare strategie di soluzione dei problemi
potrebbe preferire procedere in modo intuitivo o saltando
alcuni passaggi; occorre ricordare tuttavia che la
necessità di proporre modalità così strutturate nasce
da un’obiettiva carenza del bambino a strutturare il
proprio dialogo interno.
Di conseguenza l’adulto, compiendo questa operazione
sostituisce la propria mente competente e capace di procedere
per punti ai processi di pensiero ancora immaturi del bambino
al quale manca quel dialogo interno che sta alla base di tutte le
strategie di pianificazione.
Tecniche di rinforzo e di costo della risposta
Una delle tecniche utilizzate per far apprendere ai bambini con
ADHD le strategie adeguate alle diverse situazioni utilizza
sistemi a gettoni o a punti. Questo è possibile, in particolare,
all’interno di contesti controllati come la classe o l’ambulatorio
del terapeuta.
Il costo della risposta costituisce una forma di
punizione in base alla quale il bambino perde dei punti
se non rispetta alcune regole concordate.
I comportamenti che vengono rinforzati riguardano:
-
l’orientamento al compito;
l’esecuzione delle attività assegnate;
l’utilizzo di strategie cognitive competenti;
il controllo degli impulsi.
55
56
Trattamento clinico
I comportamenti che comportano la “perdita di punti”
riguardano gli atteggiamenti di oppositività, di distruttività
o di impulsività.
Se la persona che effettua il training vuole ottenere
miglioramenti nel comportamento del bambino deve sempre
dispensare più premi che punizioni. Problemi legati a questo
tipo di approccio sono costituiti dalla difficoltà del bambino di
mantenere nel tempo i risultati ottenuti e, soprattutto, di
generalizzarli ai diversi momenti e contesti di appartenenza;
in questo senso spesso i bambini migliorano durante l’orario
delle attività all’interno della classe o con l’eventuale insegnante
di sostegno ma, per esempio, non si controllano a casa o nei
momenti meno strutturati della scuola (ricreazione, gioco
libero, mensa). I miglioramenti inoltre sono spesso elevati
subito dopo la conclusione del trattamento ma, a detta dei
genitori, nel giro di breve tempo la situazione tende a riproporsi
tale e quale.
Tecnica del modellamento (presentare modelli che
illustrano i comportamenti richiesti)
La tecnica di modellamento prevede che l’adulto – educatore
riesca a proporsi, rispetto ad una situazione problematica, come
modello di una procedura corretta e meditata, finalizzato al
mantenimento di una condotta competente da parte del
bambino. In questo senso l’adulto non deve solamente
padroneggiare una tecnica di soluzione dei problemi ma anche
essere in grado di proporre agevolmente e sistematicamente un
nuovo stile di pensiero e di azione che fornisca al bambino un
modello positivo di comportamento. Chi lavora con il bambino
dovrà quindi aver ben sperimentato su se stesso le diverse
tecniche di autoregolazione in modo da esemplificarle con
chiarezza in situazioni operative.
Educazione emozionale
L’obiettivo dell’educazione affettiva è il riconoscimento delle
emozioni e l’apprendimento della gestione delle emozioni
negative.
56
57
Trattamento clinico
I presupposti della psicologia cognitiva indicano che è possibile
imparare a riconoscere le proprie emozioni e a valutarne
l’intensità attraverso processi metacognitivi di auto –
osservazione.
Pensieri, emozioni e comportamenti sono collegati da un
processo dinamico ed interattivo: il pensiero influenza
l’emozione la quale, a sua volta, determina il comportamento
(oppure il processo prende l’avvio direttamente dall’emozione).
L’emozione, tuttavia, risente di un insieme di credenze, pensieri e
opinioni che tutti noi elaboriamo su noi stessi, sugli altri e sul
mondo e che si trasformano in pensieri automatici che ci
condizionano negativamente nei comportamenti proprio nella
misura in cui sfuggono al nostro controllo consapevole.
I training emozionali si propongono di aumentare nei soggetti la
competenza a riconoscere le proprie emozioni, a riconoscere i
pensieri automatici che possono esserne alla base e a
modificarne i contenuti che possono essere eccessivi sia in senso
negativo che in senso positivo, orientandoli verso modalità più
realistiche. Per quanto riguarda i bambini sono stati predisposti
training emozionali in grado di aiutarli a gestire la rabbia, la
tristezza, l’ansia tutte emozioni che possono pesantemente
interferire con il loro modo di proporsi ad adulti e compagni e
con la stessa motivazione scolastica. È palese come le
caratteristiche del bambino con ADHD lo espongano più di altri
a situazioni conflittuali, frustranti e a difficili rapporti in tutti i
contesti di appartenenza a causa della pervasività del disturbo.
Di conseguenza l’aumento delle competenze emozionali può
diventare uno strumento importante per migliorare le abilità
relazionali del bambino. Anche per questo tipo di training è
indispensabile un lavoro multimodale che preveda un’attività
con l’intero gruppo classe, un intervento individuale con il
bambino e il coinvolgimento dei genitori. La famiglia sarà
essenziale sia per ottenere informazioni preziose sulla storia del
bambino, sui suoi comportamenti e su ciò che lo motiva e gli
interessa, sia per applicare anche in questo contesto strategie
educative mirate alla gestione del disturbo.
57
58
Trattamento clinico
Nei Servizi di Neuropsichiatria Infantile è facile incontrare casi
multiproblematici rispetto ai quali, piuttosto che non svolgere
alcun tipo di intervento, si può rischiare di fare un intervento (per
esempio il training autoregolativo) col solo bambino, in questo caso,
a nostro parere, è preferibile optare per altre tipologie di lavoro
(centro educativo, supporto psicoeducazionale ai genitori,
inserimento in attività di interesse sportivo del bambino)
piuttosto che cedere al fascino dell’intervento molto tecnico e
mirato ma inutile, se non attivato in rete e stretta collaborazione
tra scuola famiglia e Servizi.
58
59
Trattamento clinico
6. Il funzionamento cognitivo nel bambino con
ADHD
E.A. Kirby e K. Grimley21 individuano l’importanza della
capacità di usare il pensiero per regolare la concentrazione e
mantenere l’attenzione e l’impegno durante la soluzione dei
problemi. Poiché, come abbiamo visto, gli eventi cognitivi sono
pensieri “automatici”, essi influenzano il comportamento con
modalità spesso non consapevoli: il bambino non li controlla e
non si rende conto di sperimentarli. Il pensiero automatico
trasmette immagini che influenzano in modo importante la
regolazione autonoma delle emozioni e dei comportamenti.
Poiché le difficoltà dei bambini con ADHD comportano carenza
nella regolazione dell’attenzione, delle emozioni e del
comportamento, risulta fondamentale analizzare il contributo
dei pensieri automatici nel determinare i sintomi di questo
disturbo. La psicologia cognitiva parla, a questo proposito, di
“difficoltà nel dialogo interno” ovvero di quella funzione del
pensiero che permette al bambino attento di guidare se stesso
nella definizione e nella comprensione del compito, nella
elaborazione delle soluzioni, nel controllo del e degli
errori e nella previsione dell’esito finale. Il bambino con ADHD fa
fatica a sfruttare il dialogo interno, perciò incontra
difficoltà in quei compiti e in quelle situazioni che richiedono
impegno continuato, autoregolazione e autocontrollo. Obiettivo
dei training cognitivi di autoregolazione è che il bambino
apprenda ad autosomministrarsi delle istruzioni, ad
automonitorarsi e valutarsi in situazioni scolastiche e sociali di
soluzione dei problemi.
L’osservazione ed il confronto con bambini ADHD, circa le loro
difficoltà, mettono in luce la mancanza di strategie cognitive. La
possibilità che tali strategie possano essere apprese ed applicate
è spesso sconosciuta sia dagli insegnanti sia dalle famiglie e
21 Cfr E. A. Kirby, L. K. Grimley, Disturbi dell’attenzione e iperattività, Erickson, Trento 1989
59
60
Il funzionamento cognitivo nel bambino con ADHD
costituisce l’oggetto dei diversi training di autoregolazione
proposti dalla scuola cognitiva.
60
61
Trattamento clinico
7. L’apprendimento scolastico
Sul piano degli apprendimenti e delle tecniche di insegnamento
dobbiamo rilevare come, sia nel caso del soggetto con ADHD
sia nel caso del bambino ansioso o depresso o comunque con
disturbo dell’umore, risultino funzionali strategie cognitive
adeguate a rendere l’apprendimento il più possibile meccanico
e schematico anche se le ragioni, per cui questo si rivela
funzionale, sono molto diverse. Nei disturbi dell’umore e
d’ansia in particolare, se il compito è reso più accessibile e
schematico, si riduce l’ansia che la complessità tende
naturalmente a suscitare in quanto maggiori sono le
componenti cognitive di un compito da tenere sotto controllo.
Anche per il bambino con ADHD la schematizzazione del
compito risulta funzionale e aderente al problema della caduta
nell’attenzione sostenuta (come ad es. lo studio di concetti
complessi) e in quella gratuita, ovvero dove non c’è motivazione
(come ad es. lo studio di una materia considerata noiosa); in
questo senso la complessità e la lunghezza del compito
comporta due diversi ordini di competenze:
- il problema di escludere gli elementi irrilevanti;
- la capacità di differire la gratificazione legata
all’assolvimento del compito (che pare invece
influenzare positivamente l’atteggiamento del bambino
con ADHD).
Un altro aspetto di cui l’insegnante potrà tener conto, nei
bambini in cui è presente, sarà la valorizzazione delle
componenti intuitive dell’intelligenza.
E’ comune esperienza incontrare nella scuola bambini che,
pur non avendo ricevuto una diagnosi di ADHD (anche per le
minori conoscenze diffuse nei servizi nello scorso decennio),
presentano tuttavia alcune delle loro caratteristiche come, per
esempio, l’intelligenza intuitiva e il bisogno di essere gratificati,
accompagnati da scarsa capacità attentiva. E’ spesso accaduto
che l’insegnante, più o meno consapevolmente, tendesse ad
ignorare il bisogno di intervenire (anche in modo pertinente) di
questi bambini in parte a causa della loro propensione alla
disattenzione (un po’ come se quest’ultima venisse considerata
intenzionale, ma non è possibile dirlo con certezza a distanza di
61
62
L’apprendimento scolastico
tempo) e in parte per l’aspettativa negativa ingenerata dai
numerosi interventi di disturbo attivati da questi soggetti.
Intenzionale o meno, questo atteggiamento tendenzialmente
sanzionatorio risulta in generale scarsamente funzionale e, in
particolare, decisamente negativo con i bambini con ADHD.
Va ribadito infatti che, mancando a loro l’attenzione con tutte le
componenti che ne abbiamo elencato, si ritrovino privi di uno
strumento fondamentale per il successo scolastico, in questo
senso richiedono quindi maggiori rinforzi rispetto a chi non
presenta questo disturbo. Il ruolo dell’insegnante è quindi
veramente cruciale rispetto alla propria disponibilità ad
accogliere e rinforzare ogni segnale di interesse dell’allievo
verso l’attività didattica, nonostante che in molte situazioni il
bambino possa metterne a dura prova la pazienza con la sua
difficoltà nell’adeguarsi alle richieste e o con comportamenti
provocatori. Occorre infatti tenere presente che l’attenzione
stessa dell’insegnante è forse il più potente dei rinforzi 22.
A questo proposito, nel manuale dell’AIDAI23 (Associazione
Italiana Disturbi da Deficit di Attenzione e Iperattività) nel
capitolo riguardante le linee guida per l’insegnante, vengono
specificati tre modalità di intervento: intervenire su di sé,
intervenire sul bambino ed intervenire sulla classe.
Viene sottolineato come la presenza di un bambino ADHD nella
classe può costituire un’occasione importante per valorizzare
le diversità di ciascuno e riflettere sulla capacità di accettare
l’altro con le proprie caratteristiche specifiche e uniche. La
scommessa educativa rispetto al gruppo classe è di costruire un
clima dove ognuno possa esprimere le proprie caratteristiche e
mettere in campo un apprendimento coinvolto. Nel caso del
bambino con ADHD risulterebbe fondamentale partire dal
principio secondo cui l’attenzione si può e si deve insegnare.
Secondo l’autore “nel caso specifico del bambino con disturbo
22 Si pensi al famoso effetto Pigmalione messo in luce da una delle prime ricerche di psicologia
sociale nella quale due gruppi identici di ragazzi avevano avuto esiti scolastici molto diversi a
seconda di come erano stati presentati agli insegnanti: il gruppo presentato come particolarmente
dotato era risultato alla fine dell’anno con risultati nettamente superiori, questo perché gli
insegnanti li sollecitavano di più, rivolgevano a loro più attenzioni, più spiegazioni ed interventi.
23 Cfr G. Perticone (a cura di), Deficit dell’attenzione iperattività e impulsività, Armando, Roma
2005. L’AIDAI è un’organizzazione senza scopi di lucro costituita da operatori clinici (medici e
psicologi) e addetti al mondo della scuola (insegnanti e pedagogisti) che si occupano di formazione,
ricerca, convegni e pubblicazioni sulla tematica. I clinici forniscono consulenza, diagnosi e terapie
alle famiglie coinvolte.
62
63
L’apprendimento scolastico
di attenzione si rende assolutamente necessaria l’assunzione di
un principio ormai pienamente sostenuto dalla pedagogia
scolastica, quello secondo cui l’attenzione si può e quindi si deve
insegnare. In altre parole, si deve superare l’equivoco secondo
cui questa abilità debba essere esclusivamente ricondotta:
- ad un repertorio di capacità innate immodificabili;
- ad un atto di volontà, da parte del bambino, che non
occorre insegnare così come si insegnano altre
abilità”.
Sulla base della nostra esperienza di psicologi che collaborano
con la scuola, queste convinzioni peraltro, risultano ancora
largamente diffuse e rischiano di ingenerare sfiducia e scarsa
motivazione ad intervenire con i bambini che presentano
disturbi comportamentale e attentivi. I costrutti cognitivi legati
alla volontà ci sembrano molto radicati nella cultura pedagogica
corrente e questo appare testimoniato anche dalla persistenza
nel linguaggio di espressioni legate all’indolenza del bambino,
alla pigrizia, alla scarsità di rispetto da lui mostrata piuttosto
che a questioni motivazionali24.
Le linee guida contenute nel manuale dell’AIDAI offrono schede
di lavoro operative e suggerimenti concreti e utili sia per
individuare precocemente il problema sia per intervenire
correttamente in classe. Insieme alle altre attività
dell’associazione, possono costituire un punto di riferimento
comune per insegnanti genitori e operatori.
7.1.
Strategie educative e approccio didattico
Il bambino con ADHD sul piano normativo necessita di poche
regole comportamentali chiare, ripetute, espresse
linguisticamente in forma positiva e semplice; sarà quindi
funzionale impiegare strategie che abbiano l’obiettivo di
costituire norme che in principio sono vissute come esterne. La
proposta prevede che l’adulto si costituisca inizialmente come
24 Anche quando sul piano degli obiettivi e dei progetti si invoca la necessità di una prospettiva
formativa e individualizzata per il bambino e l’opportunità di far leva sulle motivazioni e
sull’autonomia, nei fatti risulta ancora preponderante la tendenza a far riferimento a modelli
cognitivi ed educativi che riconducono in modo inconsapevole e automatico, per l’appunto, agli
schemi delle competenze innate e della cattiva volontà.
63
64
L’apprendimento scolastico
modello di autocontrollo, il passo successivo consisterà
nell’insegnare al bambino ad appropriarsi della norma
attraverso quell’autoregolazione cognitiva ed emotiva interna
che gli consente di modulare progressivamente le proprie
risposte e reazioni in modo congruo alle azioni e/o
“provocazioni” dei compagni (e cioè autocontrollato).
Sul piano del funzionamento didattico, la letteratura sulle
strategie di attenzione richiama spesso alla necessità di rendere
l’ambiente scolastico, anche sul piano fisico, adatto a prevenire
la distraibilità, per es, collocando il banco abbastanza vicino
all’insegnante che possa monitorare il bambino ma anche di
non lasciarlo troppo isolato e privo di stimoli: i rischi sarebbero
infatti o la caduta nell’apatia (specie per i più grandicelli) o la
tendenza del bambino ad autostimolarsi ricadendo così nel
comportamento problema.
Sul piano invece della relazione interpersonale e all’interno di
una concezione dinamica dell’apprendimento esistono modalità
di interazione didattico-educativa che si prestano
particolarmente a valorizzare gli aspetti intuitivi, creativi e di
curiosità tipici dei bambini con ADHD. La tendenza a porre
domande, per esempio è abbastanza tipica del bambino con ADHD,
in parte come strategia di evitamento del compito ma spesso
anche per reale curiosità verso ambiti del sapere non
precostituiti . In questo senso sarà utile all’insegnante disporre
di strategie in grado di neutralizzare le domande non pertinenti
o fuorvianti rispetto ai contenuti proposti ma nello stesso tempo
essere capace di valorizzare quelle domande che sembrano
risvegliare l’interesse del bambino verso l’apprendimento.
Dobbiamo ricordare che quello che è un tratto distintivo e
specifico dell’approccio del bambino con ADHD, ovvero l’essere
attratto da tutto ciò che è nuovo mentre lo annoia e non regge la
ripetitività, può essere nel contempo un limite o una risorsa.
Come spesso accade, un tratto cognitivo e temperamentale può
contenere al suo interno sia la parte costruttiva che distruttiva,
la parte distruttiva dell’essere attirati dal nuovo è il rischio della
dispersività, la parte costruttiva è l’interesse alla scoperta. Il
quesito è, allora, come valorizzare la propensione alla scoperta
del bambino con ADHD . Una proposta interessante ci sembra
quella contenuta nella “didattica delle domande legittime”
introdotta da Von Foerster, cibernetico austriaco, che definisce
64
65
L’apprendimento scolastico
con questo termine domande di cui non si conosce
anticipatamente la risposta, l’autore sostiene che un sistema
educativo, che non tiene conto e non valorizza gli aspetti di
imprevedibilità e novità della didattica, rischia di “controllare il
sapere”. A questo proposito D. Novara25 evidenzia l’importanza
di promuovere una dimensione creativa del sapere ampliando il
concetto di domanda legittima come “domande che non
presuppongono una risposta preconfezionata (o “esatta”) ma
che lasciano aperte varie ipotesi di risposta”. Successivamente
prende in esame le difficoltà e le barriere degli insegnanti (ansia
del nuovo, timori relativi al rapporto con gli alunni ecc...) di
fronte ad un metodo
caratterizzato dall’imprevedibilità
contrapposto ad una didattica articolata con indicazioni precise
e rassicuranti che consente di lavorare su contenuti
strettamente controllati. D’altra parte, prosegue Novara: “Il
cuore del processo didattico si situa nella caratteristica della
domanda che necessita di un lavoro di ricerca squisitamente
peculiare; ogni domanda ha un suo proprio sviluppo di ricerca.
Al proposito vanno fatte alcune osservazione. Il ruolo
dell’educatore (insegnante o meno) è fondamentale sia per
selezionare la domanda più pertinente onde avviare una ricerca
che porti effettivamente a qualcosa, sia per aiutare il gruppo ad
organizzare il lavoro, nell’individuare bene i compiti e i luoghi
dove avviare l’esplorazione. È quindi un ruolo di regia, che sta a
significare la capacità di facilitare l’apprendimento più che
distribuire informazioni e contenuti. A livello scolastico, un
metodo del genere non significa affatto l’abolizione degli
obiettivi ossia delle concrete capacità a cui il ragazzo o la
ragazza devono pervenire. Essi però non vengono presupposti
anticipatamente in modo da organizzare per ogni obiettivo delle
attività corrispondenti, ma restano sullo sfondo dell’attività
didattica. Gli apprendimenti infatti avvengono sul concreto
percorso didattico e si attivano sulla base delle esigenze della
ricerca stessa”26.
Si rimanda chi fosse interessato ad una traduzione operativa
alla scheda di approfondimento che segue.
25 Cfr D. Novara, L’ascolto si impara, Gruppo Abele, Torino 1997
26
Cfr. D. Novara, L’ascolto si impara, cit. pag. 80
65
66
L’apprendimento scolastico
SCHEDA DI APPROFONDIMENTO
Didattica delle domande legittime
-
le domande legittime sono quelle che non presuppongono
una risposta preconfezionata (o “esatta”) ma che lasciano
aperte varie ipotesi di risposta;
le domnande legittime sono quelle che si pongono per
sapere e non per “controllare il sapere”.
sono domande di cui non si conosce anticipatamente la
risposta.
Didattica delle domande legittime: le possibili
applicazioni
Domande legittime di
opinione personale
Che sensazioni provi leggendo questa
lettera?
Cosa ne pensi di…?
Domande legittime di
ricognizione
Quanti fiori gialli ci sono in questo
prato?
Domande legittime di
ricerca vera e propria
su problemi
In che modo i ragazzi/e possono
contribuire alla vita democratica?
Perché gli zingari vivono così ai
margini della società?
È bene cambiare la Costituzione
italiana?
Come è nato l’universo?
Domande legittime su
questioni controverse
tratta da D. Novara, L’ascolto si impara, cit. pag. 81
66
67
L’apprendimento scolastico
Nell’ambito delle strategie che coinvolgono l’apprendimento del
bambino con ADHD ci si trova dunque a proporre da un lato
compiti strutturati, schemi di lavoro, prevedibilità e
organizzazione e, dall’altro, a ricercare strumenti che attingono
alla creatività e all’intuito come la tecnica delle domande
legittime.
Questi approcci, lontano dall’essere in contraddizione tra loro,
risultano invece funzionalmente complementari e rispondenti a
bisogni diversi del funzionamento del bambino. Il piano della
strutturazione e dell’autoregolazione risponde al deficit e va
quindi costruito per schemi e modelli; il piano della motivazione
e dell’investimento sull’apprendimento va invece costruito a
partire dalle risorse, da funzioni preservate che vengono
valorizzate dalla componente intuitiva e creativa dell’attenzione.
Tab.2
Motivazione e autoregolazione
67
68
L’apprendimento scolastico
La tabella cerca di portare ulteriori elementi di chiarezza ai
problemi che ci siamo posti in precedenza su come sia possibile
coniugare motivazione e attenzione nel bambino con ADHD.
Utilizzare la domanda nel senso sopra esposto è un'importante
forma di incoraggiamento ai comportamenti positivi e di
partecipazione del bambino che valorizza, anche all’interno del
gruppo, i suoi tratti personali più positivi quali l’intuitività e la
creatività. L’incoraggiamento dato al bambino con ADHD
assume anche la forma della gratificazione e quindi il valore
aggiunto in termini di rinforzo per qualcosa che il bambino ha
fatto, ha compiuto, ha svolto.
68
69
L’apprendimento scolastico
8. Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
8.1.
Atteggiamenti educativi: dalla posizione
“ingenua” alle strategie condivise
I sintomi connessi all’ADHD uniti talvolta ad altra
sintomatologia
in
comorbidità
(Disturbo
Oppositivo
Provocatorio, Disturbo Specifico dell’Apprendimento, Disturbo
della Condotta) rendono particolarmente difficoltoso per adulti
e coetanei trovare un modo funzionale di relazionarsi con il
bambino a causa della specifica natura comportamentale di
questo disturbo. La gestione di questi disturbi nella scuola
risulta, in questo senso, tradizionalmente basata su una
posizione “ingenua” che fa riferimento ad aspettative del tipo
che il bambino potrebbe migliorare “se solo lo volesse” che non
cambia perché “non vuole, o non capisce o vuole contrapporsi
premeditatamente alle richieste dell’adulto”
In questa
posizione sono frequenti i confronti con gli altri bambini e il
riferimento alla buona volontà di questi ultimi nell’accettarlo
nonostante i suoi comportamenti impulsivi.
È frequente anche il ribadire come si sia tentato di tutto,
dall’incoraggiamento al rimprovero, alla punizione, di solito
senza risultati; spesso nei casi più gravi l’unica soluzione per
lavorare con il resto della classe è l’allontanamento del bambino
con l’insegnante di sostegno, se questa è a disposizione, o
affidandolo a personale ausiliario se manca. Queste modalità
di solito non sono programmate, sono piuttosto basate
sull’emergenza e sulle risorse a disposizione in quel momento e
sono individuate come momento di “sfogo”, utile per il bambino
che “non regge il ritmo dell’attività”, ma anche come momento
necessario all’insegnante per poter recuperare lei stessa un po’
di energia.
Questa posizione, affidata alla spontaneità e quindi alle
valutazioni del momento, risulta sovente connotata da
sentimenti di impotenza, disperazione, difficoltà nel contenere
la propria reattività e quindi problemi nel
proporre
69
70
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
comportamenti basati sulla ragione piuttosto che determinati
dalla rabbia e dalla reattività.
Nella nostra esperienza di lavoro solo quegli insegnanti –
educatori dotati per loro natura di capacità di autocontrollo e di
autorevolezza riescono (sia pure pagandolo in termini di stress
nel lungo periodo) a gestire l’impulsività e/o l’oppositività
tipica dei disturbi comportamentali infantili.
Ricordiamo, a questo proposito, che l’educatore educa
innanzitutto con il proprio atteggiamento e le proprie
convinzioni profonde delle quali a volte nemmeno lui è
consapevole; quando queste convinzioni fanno riferimento ad
una profonda fiducia nelle capacità di cambiamento del
bambino sono certamente un punto di forza; a volte però
succede che a fronte di una convinzione esplicita che riguarda
per es. la propria capacità di accettare una situazione si
accompagni un implicita difficoltà nell’accettarla che agirà
negativamente e imprevedibilmente sul comportamento del
bambino27. A parziale giustificazione delle difficoltà incontrate
dagli adulti nella gestione del problema si è posto in passato e in
parte, si pone tuttora il problema di addivenire ad una diagnosi non
solo corretta, ma anche precoce e tempestiva. Gli studi più
sistematici compiuti dalla comunità scientifica hanno ampliato
le conoscenze sulla tematica ma hanno anche reso più
complesso definire come orientarsi nell’intreccio tra fattori
neurobiologici, familiari, educativi, sociali e scolastici. È
proprio per questa aumentata complessità che diventa più che
mai indispensabile la collaborazione tra tutti gli adulti che si
interfacciano con il bambino, in modo da arrivare insieme al
superamento delle posizioni ingenue e avviarsi verso un
progetto condiviso e sistematico. Il passo successivo è il
mantenimento del progetto: il trattamento dei disturbi inerenti
l’autoregolazione implica infatti la costanza nell’intervento
congiunto tra famiglia, scuola e clinico; diversamente ci si
scontra con la difficoltà dei bambini ad andare oltre la
autoconsapevolezza e le competenze ottenute nel contesto
clinico estendendo invece il controllo dei meccanismi imparati
27 Cfr. M. Esposito, C. Molinari, L’educazione inconsapevole, La Meridiana, Molfetta 1994
70
71
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
negli ambienti di vita. Diventa quindi fondamentale evitare una
negativa specularità di atteggiamenti nei quali, alla
discontinuità del bambino nel mantenere quanto acquisito,
faccia seguito una discontinuità educativa da parte dell’adulto.
Analogamente, in termini emotivi, allo sconforto del bambino
per le eventuali “ricadute” nei comportamenti – problema,
sarebbe auspicabile il mantenimento da parte dell’adulto della
fiducia e del sostegno.
8.2.
Barriere emotive e cognitive nel rapporto
educativo con il bambino con ADHD
(ovvero mille motivi per non dire “Siediti
e stai attento!”)
Qualsiasi tipo di disagio o disturbo nel bambino tende, per
definizione, a creare nell’adulto una reazione emotiva vuoi di
tipo difensivo (negazione che il problema lo riguardi) vuoi di
altro tipo: intolleranza, rabbia, depressione e demoralizzazione,
delega fino al rifiuto. Queste emozioni, secondo un approccio
psicodinamico, tendono a coincidere con quelle provate dal
bambino nei confronti delle proprie difficoltà e quindi il
bambino stesso, non tollerando il dolore che gli provocano, tende
inconsapevolmente a proiettarle dentro l’insegnante28. Le
emozioni negative dell’insegnante, in questo senso, sono un
interessante indicatore rispetto a quelle vissute dal bambino e
in questo senso l’auto – osservazione dei propri sentimenti può
costituire un canale privilegiato per favorire l’empatia verso
quelli del bambino: se l’insegnante sperimenta impotenza, è
possibile che anche il bambino la sperimenti, se è arrabbiato,
triste, stanco o deluso, gli, sarà utile prendere in considerazione
l’ipotesi che anche il bambino possa sperimentare un disagio
speculare al suo.
Le emozioni negative precedentemente evidenziate nascono
spesso da convinzioni (eredità educative del passato) tuttora
28 Cfr. Salzberger – Wittemberg, L’esperienza emotiva nei processi di insegnamento e
apprendimento, Liguori, Firenze 1987
71
72
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
molto diffuse anche se oggetto di fondati dubbi. Infatti è
molto difficile, se non si è aiutati, maturare una posizione di
accettazione che nasce, in gran parte, dalla sensazione che si sta
facendo il possibile all’interno di un progetto condiviso.
Per arrivare a questa posizione è necessario (anche se non
sufficiente) un percorso emozionale e di autoconsapevolezza
dell’educatore29.
La formazione è una via indispensabile da percorrere per tutti
coloro che si vogliono trovare alternative funzionali ai vincoli
dell’educazione formale e tentare la strada della comprensione
dei bambini, ma diventa vitale per la sopravvivenza stessa
dell’educatore quando si trova ad interagire con bambini che
presentino disturbi del comportamento. Sul piano educativo, in
realtà, discipline diverse, come la pedagogia, la psicoanalisi e le
scienze cognitive spesso propongono modalità che si adattano ai
bisogni di tutti i bambini a prescindere che trovino le loro radici
nell’approccio alla normalità o al disturbo.
I training di autoregolazione emozionale ( riconoscimento e
gestione delle emozioni negative), proposti dall’approccio
cognitivo, per non essere applicati come un ricettario e in
seguito rapidamente abbandonati, dovrebbero essere
sperimentati in prima persona dagli educatori . Il bambino con
disturbo comportamentale si trova, per definizione al centro di
situazioni conflittuali e, in questo senso, facilmente prova la
reattività dell’insegnante.
A questo proposito D.Novara scrive:
“Di fronte ad un bambino che fa i capricci ognuno di noi attiva
delle risposte che hanno ben poco di intenzionale, in genere
mutuate da propri personali apprendimenti, da copioni
infantili acquisiti senza una sufficiente rielaborazione , per cui
vi sarà chi molla al bambino un ceffone, chi gli urla, chi lo
lascia al suo destino, chi lo affronta sul piano del dialogo. Fino
a che punto le buone idee pedagogiche agiscono nei momenti di
29 Cfr.
D. Novara e M.B. Gnani Montelatici, “Le radici biografiche: educazione ricevuta e
gestione dei conflitti” in So – Stare nel conflitto, Edit Faenza, Ravenna 2002; D. Novara, “La
necessità di autoconoscenza in chi esercita compiti educativi” in L’ascolto si impara, Gruppo Abele,
Torino 1997
72
73
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
tensione educativa – relazionale?” e aggiunge più avanti “Il
prendersi cura, l’educarsi per raggiungere una maggiore
consapevolezza di sé come educatori non significa vincolarsi
ad un discorso puramente psicologico quanto ricostruire in
funzione dell’operare educativo i blocchi ed i nodi biografici
che possono impedire lo scorrere dell’intenzionalità e della
capacità di gestire correttamente il proprio potere educativo.
Formarsi, in uno sforzo di introspezione è il compito principale
di chi vuol essere a sua volta educatore” 30.
La formazione stessa ( specifica per i diversi ruoli e/o con
momenti comuni) diventa in questo senso, il terreno per favorire
l’incontro e il dialogo tra le parti.
La formazione del singolo insegnante, come si vedrà anche
dalla gestione del caso clinico riportata più avant, è risultata
incisiva nella costruzione di una relazione efficace anche per
l’apprendimento, ma non è sufficiente per incidere sui diversi
contesti di vita del bambino. Scuola e famiglia infatti sono
sistemi troppo complessi perché un disturbo comportamentale
possa essere affrontato da un singolo (anche se dotato di
propensione a questo tipo di lavoro); è quindi indispensabile il
ricorso ad un confronto tecnico e sistematico a cui
contribuiscono gli operatori di settore, gli insegnanti e i genitori,
ed è da questa posizione culturale che occorre partire per
riuscire ad incidere sulle numerose variabili del problema.
D’altra parte la carenza di informazioni obiettive e chiare sulla
diagnosi e l’intervento lascia spazio ad atteggiamenti che
riprendono
i
presupposti
educativi
basati
sulla
colpevolizzazione del soggetto “inadeguato”.
Questi approcci tradizionali e poco efficaci stimolano nell’adulto
una risposta punitiva o, al contrario, totalmente permissiva,
entrambe derivate da una posizione emotiva di sostanziale
impotenza; in alternativa scattano quei richiami che rispondono
spesso a degli automatismi educativi del tipo “siediti e stai
attento!” “sei sempre il solito!” “torna immediatamente al tuo
30 Cfr D. Novara, L’ascolto si impara, op. cit. pag. 88
73
74
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
posto!” “adesso vai fuori!” “smetti di dare fastidio ai tuoi
compagni!”.
Tipicamente poi, l’educatore entra nel circuito dell’impotenza
effettiva; il ripetersi di questo tipo di reazione infatti, di solito,
peggiora i comportamenti del bambino, finendo per aumentare
il senso di fallimento dell'insegnante.
Un altro aspetto scarsamente valorizzato da parte degli adulti –
educatori è l’interazione tra motivazione/gratificazione e
volontà/capacità di impegno. Il concetto d’altra parte è
complesso ed i meccanismi non ancora chiariti a causa del modo
in cui interagiscono le variabili personali, sociali ed educative e
sul disturbo in esame.
Pur tenendo conto dei diversi livelli di gravità della sindrome da
ADHD e quindi degli interventi modulari che vanno da
funzionali modalità educative ai training di autoregolazione
fino all’intervento farmacologico, occorre tenere presente
che un atteggiamento educativo appropriato svolge
sempre una funzione “terapeutica” o quantomeno di
importante fattore di protezione contrapposto al
fattore di rischio, in qualunque tipo di disagio o
disturbo infantile.
In particolare per il bambino con ADHD la motivazione gioca
un ruolo centrale in quanto le sue difficoltà riguardano
l’attenzione sostenuta o più specificamente gratuita.
8.3.
Interazioni tra motivazione e attenzione
Per poter comprendere verso quali attività il bambino si mostra
più motivato, è necessario stabilire con precisione i compiti che è
in grado di svolgere; partendo da questi, si potrà condurre
l’osservazione in diversi contesti al fine di rilevare i tempi
minimi e massimi di attenzione.
74
75
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
È molto difficile stabilire dei punti di forza generici per i
bambini con ADHD, ogni soggetto infatti, oltre ad essere dotato
di una sua unicità personale, presenta anche un diverso intreccio
di “sintomi” (compresi la presenza o l’assenza di altri disturbi
in comorbidità).
La letteratura riporta comunque, come caratteristiche cognitive
tipiche, la capacità intuitiva, la creatività, la molteplicità degli
interessi; a livello emozionale, la generosità, la spensieratezza,
l’allegria.
Una delle attività regolative più importanti si attua proprio
insegnando al bambino a prendere coscienza delle proprie
emozioni, comprese quelle positive, a contestualizzarle e a
mirarle.
Il bambino potrà per esempio comprendere, prima sul piano
concettuale e poi su quello emotivo, le differenze tra
un’emozione positiva generica (la serenità con cui incomincia la
giornata) e diversi sentimenti specifici (la gioia per la vittoria
conquistata in un gioco, la soddisfazione per un compito ben
riuscito o, ancora, la gratificazione affettiva per le attenzioni
ricevute da un compagno).
Il passaggio successivo sarà quello, ancora più importante, di
insegnare il più precocemente possibile al bambino (già dalle
prime classi di scuola elementare) non solo a conoscere, ma
soprattutto a modulare le proprie reazioni emotive: imparare la
differenza tra un comportamento di esultanza e una
manifestazione di eccitamento priva di controllo, apprendere
come non abbattersi troppo e/o come non reagire
provocatoriamente e aggressivamente nel caso di una sconfitta.
Comportamenti congrui andranno “insegnati” al bambino in
tutti i contesti di appartenenza con strumenti metacognitivi e di
modellamento.
Occorre distinguere questa modulazione attenta dalla
repressione. Non si tratta infatti di sgridare il bambino con le
inevitabili connotazioni moralistiche che questo atteggiamento
assume, soprattutto quando si tratta di comportamenti che noi
75
76
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
riteniamo per definizione non controllabili dal soggetto e
quindi parzialmente indipendenti dalla sua volontà, si tratta
piuttosto di accettare inizialmente le sue manifestazioni per
quello che hanno di positivo in termini di entusiasmo o
passione per qualche attività, offrendogli però, nel contempo,
gli strumenti per comunicare agli altri, in modo adeguato, tale
entusiasmo.
Un’osservazione spesso riportata dai genitori riguardo alle
vacanze e al tempo libero, momenti che consentono a tutta la
famiglia una gestione più rilassata dei tempi e delle attività
rispetto al tempo della scuola, mette ulteriormente in evidenza
come i ragazzi con ADHD risultino in questa situazione più
facilmente gestibili grazie ad una serie di fattori protettivi che si
attivano in tale contesto quali:
-
maggiore disponibilità dei genitori a tollerare eventuali
comportamenti
dovuti
all’impulsività
e
alla
disattenzione;
presenza di richieste legate ad aspetti motivanti quali
attività sportive e ludiche;
tempi più rilassati per l’assolvimento di incombenze
pratiche che i genitori possono richiedere al bambino;
maggior rilassamento nel bambino dovuto alla caduta
delle richieste scolastiche.
8.4.
Difficoltà motivazionali nel bambino con
ADHD
Le teorie cognitive sulla motivazione31 sottolineano come le
convinzioni, le credenze, le opinioni di sé e delle proprie abilità
determinano il tipo e la durata dell’impegno dei soggetti e,
quindi, il risultato delle loro azioni. Numerose ricerche ed
osservazioni provano come la curiosità spinge non solo gli
adulti ma anche i bambini alla ricerca di ulteriori informazioni
qualora una situazione di esplorazione preveda risposte
31 Cfr. C. Pontecorvo (a cura di), Manuale di psicologia dell’educazione, Il Mulino, Bologna 1999
76
77
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
conflittuali. Un altro costrutto importante delle teorie sulla
motivazione è la motivazione alla competenza (White,
1959) in base al quale il bisogno degli esseri umani di
controllare il proprio ambiente è fondamentale per la
sopravvivenza della specie. La motivazione alla competenza in
questo senso è legata alla pianificazione necessaria per il
raggiungimento di un fine. White sottolinea che questo tipo di
motivazione che va oltre gli impulsi (che ad esempio spingono
l’essere umano alla ricerca di cibo e di un riparo), è un desiderio
che permette ai soggetti di impegnarsi anche in attività
faticose al solo fine di sentirsi padroni del proprio
destino. Sviluppando questo concetto in altri studi (Harter,
1981) è stato evidenziato come le esperienze di successo seguite
da rinforzi producono l’interiorizzazione di un sistema di
ricompense. Tale interiorizzazione aumenta la percezione di
competenza nel soggetto e di controllo sull’esito delle proprie
azioni, producendo soddisfazione e accrescendo così la
motivazione alla competenza. È palese come il bambino con
disturbo di attenzione risulti fortemente penalizzato in questa
tipologia di funzioni essendo per lui molto difficile sviluppare
l’attività di pianificazione necessaria al raggiungimento di un
fine. È difficoltoso infatti per lui isolare dall’ambiente tutti
quegli elementi che non hanno attinenza con lo scopo
dell’attività. In riferimento poi alla funzione svolta dalle
esperienze di successo diventa ancora più chiaro come attorno
al bambino con ADHD, che sperimenta frequenti insuccessi
scolastici e relazionali, si sviluppi un contesto in cui si tende a
diminuire piuttosto che confermare la motivazione di
competenza. In questo senso nell’apprendimento risulterà
particolarmente funzionale partire da situazioni e da modalità
stimolanti (ludiche), capaci di portare il bambino al livello di
arousal (attivazione) necessario per portare a termine il
compito.
77
78
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
8.5.
Atteggiamenti educativi dei genitori:
comportamenti da adottare e
comportamenti da evitare
Comportamenti da evitare:
-
reagire con prediche e stigmatizzazioni rispetto a quei
comportamenti di impulsività che il bambino non riesce
a controllare;
-
pretendere dal bambino tutti quei comportamenti
organizzativi e di pianificazione che sono invece
normalmente il frutto di un lavoro sistematico:
preparare lo zaino, scrivere i compiti sul diario, gestire
l’occorrente per la scuola, pianificare il tempo necessario
per i compiti e lo studio con pause calibrate alla fatica
che il compito richiede;
-
fare confronti con fratelli o con compagni di scuola più
“studiosi” o più “adeguati” del soggetto.
Comportamenti da adottare:
Dato che il bambino con ADHD può avere bisogno di rinforzi
più frequenti, i genitori possono imparare a costruire occasioni
in cui avrà alte probabilità di successo.
Un momento particolarmente delicato risulta essere quello della
gestione dei compiti scolastici a casa, rispetto ai quali sarà
importante adottare alcune specifiche strategie:
-
aiutare il bambino a suddividere il compito da svolgere
in piccole parti ricompensandolo per ogni parte
completata;
-
allenare il bambino alla lettura della consegna e
verificarne la comprensione;
78
79
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
-
verificare che il bambino abbia a disposizione tutto
l’occorrente per svolgere i compiti;
-
valutare l’impegno richiesto da un compito specifico sia
riguardo i tempi di esecuzione sia al grado di fatica che
questo comporta al bambino;
-
dopo aver osservato i tempi di attenzione del bambino,
concordare con lui momenti di pausa con l’obiettivo di
allungare progressivamente i tempi di lavoro (partendo
magari da pochi minuti in più ogni giorno);
-
ritualizzare il più possibile i momenti e le incombenze
che regolano la giornata al fine di aiutare il bambino ad
interiorizzare quelle regole e quella pianificazione delle
attività che in modo spontaneo non è in grado di darsi:
orari precisi riguardanti i tempi da dedicare allo studio,
al gioco, alla tv, al sonno;
-
rinforzare positivamente, prima con ricompense
materiali e poi emotive, tutti i comportamenti che si
desidera promuovere nel bambino;
-
se esiste un concomitante problema di apprendimento
(es. una dislessia), ricordarsi che tale problema deve
essere tenuto distinto dalla sindrome dell’ADHD e fatto
oggetto di un intervento specifico.
8.6.
Atteggiamenti educativi degli insegnanti:
comportamenti da adottare e comportamenti
da evitare
Comportamenti da adottare:
Poiché la capacità di prevedere le conseguenze del proprio agire
rappresenta una grossa difficoltà per il bambino con ADHD, sarà
importante fare in modo che la sua giornata sia il più possibile
79
80
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
strutturata e regolata; ovvero tanto maggiore è l’instabilità del
bambino e più numerose sono le sue confusioni organizzative, tanto
più importante diventa la stabilità e la prevedibilità del contesto
e delle richieste che quest’ultimo pone.
In questo senso l’insegnante avrà a disposizione alcuni
strumenti quali:
-
Offrire frequenti informazioni di ritorno; il bambino
con ADHD infatti, così come non cerca di prevedere
altrettanto, è poco capace di riflettere sulle conseguenze
dei suoi atti. È dunque importante spiegargli quanto il
suo comportamento sia corretto o scorretto e assicurarsi
(verificare) se il bambino ha capito veramente i motivi
per cui è stato penalizzzato o premiato.
-
Instaurare delle routine; le routine, come tutte le
abitudini, aiutano il bambino a tenere presenti i suoi
impegni e a pianificare i suoi tempi e gli consentono di
evitare quello stress in più che si crea dovendosi
adeguare ad una situazione nuova, si tratta cioè di
utilizzare il risparmio energetico consentito da tutte le
abitudini.
-
Adottare alcuni accorgimenti specifici per far
rispettare le regole della classe anche ai bambini con
ADHD quali:
ƒ utilizzare proposizioni positive e non divieti (es.
“essere rispettosi”, “non essere maleducati”);
ƒ proporre regole semplici e chiare;
ƒ descrivere le azioni da svolgere in modo concreto
evitando formulazioni generiche (es. “lascia che
Luca finisca di parlare senza interromperlo” e
non “non disturbare in tuoi compagni”);
ƒ quando possibile affiancare immagini di
richiamo al concetto espresso dalla regola.
-
Stabilire tempi di lavoro; il bambino con ADHD ha
particolarmente bisogno di essere abituato a lavorare
con tempi preordinati in quanto questo lo aiuta ad
80
81
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
imparare, a pianificare e organizzare meglio le proprie
attività. Inizialmente l’insegnante potrà cercare di
fornire lei stessa alcune indicazioni sul tempo necessario
per lo svolgimento dei compiti, in seguito potrà invece
invitare il bambino (anche sotto forma di gioco) ad
indicare autonomamente il tempo necessario per
svolgere i compiti.
-
Appendere in aula un cartellone dei materiali necessari
per affrontare le varie competenze scolastiche; la
pianificazione necessaria per questo tipo di
organizzazione,
infatti,
risulta
particolarmente
difficoltosa al bambino con ADHD sia perché spesso
non ricorda le attività sia perché, quando dovrebbe
riporre in ordine il materiale, può essere facilmente
distratto da stimoli per lui più interessanti. Per aiutarlo,
anche in questo caso, l’insegnante può appendere in aula
un cartellone dei materiali necessari e uno stesso
cartellone può essere appeso nella camera del bambino.
I genitori potrebbero utilizzare un tabellone analogo che
preveda i giorni della settimana, le materie di studio ed i
materiali relativi alle materie stesse32.
L’obiettivo della tipologia di questi interventi è che il bambino
impari a ricordare quello che gli serve, a tenerlo in ordine e a
portata di mano nella propria postazione di lavoro sia a casa
che a scuola.
Comportamenti da evitare:
Ci sembra di poter sintetizzare gli atteggiamenti da evitare con
quel complesso di modalità procedurali lasciate all’iniziativa del
momento da parte dell’insegnante e che fanno affidamento sulle
capacità organizzative dei bambini. Tali modalità talvolta
presuppongono tassi di autonomia di cui spesso non
dispongono neanche i bambini senza ADHD. Ci rendiamo conto
32 Cfr. C. Cornoldi, Iperattività e autoregolazione cognitiva, op. cit. pag. 49
81
82
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
che queste indicazioni rischiano di essere sentite come dei limiti
rispetto alla gestione organizzativa dell’insegnante, in quanto le
procedure ne risultano effettivamente condizionate. Ciò non va
tuttavia ad influire su quelle iniziative che l’insegnante avverte
la necessità di adottare e che possono consistere appunto nella
variazione imprevista di un’attività. Un esempio tipico può
essere la proposta di un’attività lieve o di una breve pausa per
interrompere un’ora di matematica densa di concetti
particolarmente pesanti. Strategie abituali queste, e ben
conosciute dalle insegnanti, che risultano funzionali al
mantenimento dell’attenzione di tutta la classe.
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Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
9. Aspetti metacognitivi nella risoluzione dei
problemi: strategie di pianificazione da
insegnare ai ragazzi
Ogni apprendimento o compito o ostacolo da affrontare deve
essere preceduto da un’attività di pianificazione metacognitiva
che comporta la capacità di parlare a se stessi in modo
produttivo.
Il training di autoregolazione riportato in “Impulsività e
autocontrollo. Interventi e tecniche metacognitive”33, illustra le
autoistruzioni e la loro applicazione:
-
la prima cosa da dire è:
“Cosa devo fare?”
Ci chiediamo ciò per essere sicuri di sapere esattamente
quello che dobbiamo fare
-
la seconda cosa da dire:
“Considero tutte le possibilità”
Dobbiamo prendere in considerazione tutte le differenti
soluzioni in modo da individuare quella migliore per
dare poi la risposta più adeguata
-
la terza cosa da dire è:
“Fisso l’attenzione”
Dicendo ciò, ricordiamo a noi stessi: mi concentro,
faccio attenzione a pensare attentamente solo al
compito. Non devo guardare in giro o pensare ad altre
cose
-
la quarta cosa da dire è:
“Scelgo una risposta”
33 Cfr. C. Cornoldi e coll., Impulsività e autocontrollo, op. cit.
83
84
Aspetti metacognitivi nella risoluzione dei problemi
-
la quinta cosa da dire è:
“Controllo la mia risposta”
Se la risposta è giusta, ci dobbiamo complimentare con
noi stessi affermando che abbiamo fatto proprio un buon
lavoro. Se invece abbiamo sbagliato, è una buona idea
ricordare a noi stessi di andare più lentamente e di fare
maggiore attenzione la prossima volta.
84
85
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
10.
La relazione dell’insegnante
bambino con ADHD
10.1.
con
il
Problemi istituzionali
I percorsi fin qui suggeriti trovano spazio con difficoltà
nell’attuale setting scolastico che preveda una
divisione
prefissata e vincolante del tempo e dello spazio. Questa
strutturazione si adatta scarsamente alle esigenze degli alunni e
contrasta l’eventuale motivazione dell’insegnante a cambiare le
sue prospettive.
Un cambiamento di prospettiva, d’altra parte, è indispensabile
per affrontare la panoramica sempre più complessa che la
società riflette oggi nella scuola: il problema della
multiculturalità che già da solo, richiederebbe un grosso
rinnovamento strutturale e pedagogico, a questo si aggiunge
una miglior precisazione e gli studi sempre più specifici
inerenti i disturbi dell’apprendimento e del comportamento
nell’età evolutiva.
Come in parte abbiamo visto nel corso di questo lavoro, la
problematica psicologica più grave in età evolutiva, ovvero la
sindrome da ADHD, riflette una complessità di posizioni. Da
un lato si evidenzia il tentativo di uscire dall’impotenza clinicoterapeutica (pur con tutti i limiti connessi a una comprensione
ancora parziale della sindrome e delle sue comorbidità)
attraverso percorsi integrati casa-scuola-ambulatorio, dall’altro
le difficoltà inerenti ad ogni singolo percorso rischiano di far
percepire ai diversi soggetti un senso di impotenza. Nel
contempo si ripropongono difficoltà storiche di collaborazione
che solamente in poche privilegiate realtà ( o in situazioni
sperimentali) sembrano aver trovato ricomposizioni e
mediazioni produttive. L’analisi di queste realtà spesso mette in
luce come il buon esito di un progetto integrato tra scuola e
famiglia, pur comprendendo pari responsabilità educative dei
due soggetti per quanto riguarda i processi di apprendimento,
pone indubbiamente la scuola in primo piano. Apprendimento
85
86
La relazione dell’insegnante con il bambino con ADHD
e comportamento sono strettamente interdipendenti nei
bambini con ADHD, tuttavia, a seconda del contesto in cui
questi ultimi si trovano, cambierà l’accento su cui è posta
l’attenzione educativa. Se la relazione diventa, all’interno della
scuola,
uno strumento anche motivazionale al servizio
dell’apprendimento, in una qualche misura, nel contesto
familiare, l’apprendimento scolastico, con tutte le competenze
di autoregolazione che comporta, diviene l’occasione per una
maturazione comportamentale e relazionale. Pur in
un’interazione costante e flessibile occorre che le diverse figure
educative non perdano di vista il ruolo e il fine principale, alla
scuola viene quindi rimandata la necessità di una revisione e
riorganizzazione degli aspetti procedurali e tecnici della lezione,
e ai genitori spetta il ruolo di utilizzare lo svolgimento dei
compiti come pretesto per imparare a contenere con fermezza le
reazioni del bambino innanzitutto con il controllo della propria
emotività e reattività. Si tratta, cioè, di sapersi proporre come
modelli di autoregolazione cognitiva ed emozionale. D’altra
parte ogni tecnica suggerita risulterebbe poco efficace se non
accompagnata da quello stile educativo e relazionale definibile
come autorevole. L’autorevolezza, con l’assetto emotivo che
comporta, ha a che fare più con il modo di essere
dell’insegnante stesso piuttosto che con una buona acquisizione
delle tecniche di autoregolazione, ma è formata da tratti ( come
la chiarezza relazionale, l’assertività comunicativa, la fiducia in
sè stessi, la chiarezza dei propri obiettivi educativi, la capacità di
osservare gli alunni) che si possono sviluppare e rafforzare con
una formazione costante e continuativa e il confronto nel
gruppo di lavoro.
86
87
Il bambino iperattivo tra scuola e famiglia
11.
Due casi clinici
Come abbiamo visto, i sintomi dell’ADHD sono aspecifici e
possono ritrovarsi in associazione con altri sintomi che
qualificano il Disturbo prevalente oppure l’ADHD è la diagnosi
principale e si presenta in comorbidità con altri disturbi. Per
chiarificare concretamente come tale aspecificità renda la
diagnosi più complessa presentiamo due casi clinici l’uno
esemplificativo delle dificoltà della diagnosi differenziale e
presentante comorbidità con un Disturbo dell’Umore, l’altro
rappresentativo di una ADHD in comorbidità con D.S.A. e, in
gran parte, risoltosi con la somministrazione di metilfenidato.
11.1.
Il caso di Giovanni
Ripercorrendo la storia di questo soggetto e l’evoluzione del
disturbo, ci proponiamo di evidenziare le potenzialità (risorse
disponibili) e le criticità rispetto alla nostra capacità di
intervenire attivamente sulla situazione.
Al momento della segnalazione al servizio di neuropsichiatria
infantile Giovanni ha 5 anni e 8 mesi ma frequenta già la prima
elementare quando viene segnalato al Servizio di
Neuropsichiatria in quanto la madre, avendo il bambino
difficoltà di inserimento alla scuola materna a causa del
suo comportamento “agitato”, ha preferito toglierlo da
quell’ambiente e mandarlo a scuola un anno prima. Il bambino
viene segnalato, dopo circa un mese e mezzo di frequenza
scolastica, con la seguente motivazione:
“Secondo gli insegnanti presenta una situazione di disagio che
manifesta con comportamenti inadeguati alla vita scolastica. In
classe il suo lavoro è fortemente condizionato da momenti in cui
si estranea concentrandosi compulsivamente su attività
inappropriate (disegni, posture a terra, rotolamenti…). Non
partecipa ai giochi collettivi, non si relaziona con i compagni,
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88
Due casi clinici
necessita di una costante attenzione verso se stesso e i propri
bisogni. Spesso manifesta il bisogno di uscire dalla classe.”
Al primo colloquio la madre riferisce che il bambino è molto
contento e frequenta volentieri la scuola, ma conferma, nel
contempo, che Giovanni si relaziona con difficoltà: non sta
seduto, si butta a terra, sbatte la porta, non riesce a stare fermo.
Allo stesso tempo “è orgoglioso di andare a scuola e riporta tutto
quello che fa”.
La mamma è convinta che il rendimento risulti compromesso
dal suo comportamento non per mancanza di interesse verso le
proposte della scuola ma proprio per la sua incapacità di
prestare attenzione; ritiene però che le manifestazioni di
iperattività si siano lievemente ridotte a casa, quando sono
presenti solo lei e la sorellina; basterebbe tuttavia la presenza di
un estraneo perché Giovanni riproponga i comportamenti di
iperattività (ad esempio buttare i giochi). Secondo la madre “E’
sempre di buon umore, fa tante cose contemporaneamente”.
Dall’anamnesi personale del bambino emerge un ricovero
verso i due anni con la diagnosi della sindrome di Sky a causa
della quale ha trascorso due settimane in ospedale.
Dall’anamnesi patologica della famiglia paterna : i nonni
paterni hanno sofferto entrambi di forme depressive, la zia di
Giovanni ha sofferto di anoressia mentre il padre soffre di una
forma depressiva che tuttavia, ad un’indagine più approfondita
svolta con la madre, sembra configurarsi più come un Disturbo
Bipolare. In seguito alla separazione dei genitori il padre è
diventato molto assente, i bambini non lo vedono e non lo
sentono da circa cinque mesi.
La gravidanza è stata regolare, il parto a termine e il decorso
neonatale nella norma; con l’introduzione delle pappe sono
iniziate le prime intolleranze alimentari, la mamma riferisce
uno sviluppo psicomotorio e linguistico nella norma.
88
89
Due casi clinici
Indagine testistica
L’esame cognitivo colloca il livello intellettivo (rilevato
attraverso la Scala W.P.P.S.I.34) nella fascia medio – alta con un
punteggio verbale di 110 e performance di 120, pari ad un
punteggio totale di 116. Vengono somministrate le prove CP1,
CP2, CP3 e due scale di descrizione comportamentale (SDAI e
SDAG35, rispettivamente compilate dagli insegnanti e dalla
madre) che mettono in luce valori fortemente positivi
soprattutto sulla componente di Iperattività. Il Test delle
Campanelle36 fornisce un risultato nella media anche se al di
sotto di una deviazione standard. Alla Torre di Londra ottiene
un punteggio totale di 24, rispetto ad un range di 24.1.
significativo per la patologia ipotizzata.
Tali risultati, che collocano le competenze del bambino
relativamente all’attenzione in un range così al limite, ci
inducono ad attribuire maggior peso alle osservazione
comportamentali degli insegnanti e della madre. Il
comportamento iperattivo si manifesta anche nel contesto
ambulatoriale, anche se Giovanni si mostra disponibile e
desideroso di collaborare.
In relazione all’anamnesi familiare (separazione dei genitori,
Depressione dei nonni, Disturbo dell’Umore del padre,
anoressia della zia paterna) si ipotizza una probabile
associazione di ADHD con un Disturbo Distimico caratterizzato
dalla presenza dei sintomi: iperfagia, insonnia, bassa autostima
e difficoltà di concentrazione. Nel corso del primo anno
scolastico, tuttavia, la dimensione assunta dall’Iperattività e la
sottolineatura da parte della madre del buon tono dell’umore
del bambino fanno propendere per una prevalenza della
sintomatologia ADHD in comorbidità con il Disturbo
dell’Umore.
34 La scala W.P.P.S.I. è il test d’intelligenza maggiormente utilizzato con i bambini al di sotto dei 6
anni di età.
35 Vedi Allegati A, B e C tratti da C. Cornoldi et al., Eickson, Trento 1996.
36 Il Test delle Campanelle e la Torre di Londra sono tra le prove maggiormente in uso per una
prima valutazione neuropsicologica delle capacità attentive dei bambine.
89
90
Due casi clinici
Data la rilevanza della problematica comportamentale e le gravi
difficoltà da parte della scuola a gestire autonomamente la
situazione, si decide che nel prossimo anno scolastico il
bambino verrà affiancato da un insegnante di sostegno, sia con
funzioni di mediazione relazionale rispetto ai momenti in cui
Giovanni, lasciato a se stesso, non è in grado di tenere un
comportamento adeguato sia per recuperare il ritardo che si è
nel frattempo accumulato anche rispetto all’apprendimento.
Viene quindi formulata una diagnosi di ADHD ipotizzando una
comorbidità con un disturbo ansioso – depressivo. La
pervasività del comportamento iperattivo, specialmente a
scuola, ci spinge tuttavia a porre l’accento sull’ADHD e quindi
vengono forniti agli insegnanti alcuni materiali (riportati anche
in questo studio) contenti indicazioni comportamentali,
pedagogiche e didattiche utili nell’intervento sull’ADHD. Si
ritiene invece, data la situazione di obiettiva difficoltà della
madre (recente separazione dal marito, difficoltà a gestire da
sola due figli di cui uno particolarmente impegnativo) e l’ansia
da lei verbalizzata sulla sua situazione di oggettiva solitudine,
che il sostegno psicologico e sociale a lei assicurato possa avere
una ricaduta positiva sia sulla gestione educativa dei bambini
che sul Disturbo Distimico presentato da Giovanni.
Evoluzione del Disturbo
All’inizio del secondo anno scolastico interviene una variabile
emozionale significativa: il padre incomincia a riallacciare i
rapporti con i bambini; tuttavia la frequentazione è scarsa e
disorganizzata: il padre, anche a causa del proprio trasferimento
in altra città, incontra i bambini all’incirca una volta al mese. La
relazione con quest’ultimo, a detta della madre, sembra incidere
su un progressivo precipitare della sintomatologia depressiva,
rilevata anche dagli insegnanti che notano un aumento
dell’attenzione durante le lezioni, ma alternati a momenti di
isolamento da tutta l’attività. Le insegnanti rilevano anche
cambi d’umore, frequenti pianti di rabbia dovuti ad insuccessi
scolastici a volte preceduti da più tentativi fallimentari per
raggiungere il risultato desiderato; sottolineano inoltre che
l’inserimento dell’insegnante di sostegno ha mutato
radicalmente i rapporti di Giovanni all’interno della classe, gli
90
91
Due casi clinici
ha consentito infatti di essere più contenuto e più finalizzato nei
momenti di apprendimento e di avere una figura che funziona
da punto di riferimento relazionale nei momenti di difficoltà.
Non essendo, all’interno del Servizio, possibile attuare in questo
periodo un intervento psicoterapico la mamma si rivolge ad uno
psicologo privato.
Nel mese di dicembre muore il nonno paterno e la madre nota
un ulteriore cambiamento nell’umore e negli atteggiamenti del
bambino che le sembra più triste, più riflessivo e più incline alla
comunicazione. Sempre nello stesso periodo si intensificano
una serie di problemi e di situazioni conflittuali, dovute
all’organizzazione degli incontri con il padre che fanno pensare
alla madre di ricorrere alla autorità giudiziaria, data la difficoltà
a gestire tempi e modi delle visite paterne. Verso febbraio le
insegnanti rilevano un rapporto con il cibo caratterizzato da una
costante voracità che si traduce, oltre che in frequenti eccessi
alimentari durante la mensa e la ricreazione, anche in reazioni
di rabbia se il bambino non ottiene quello che chiede; notano,
inoltre una regressione comportamentale rispetto all’inizio
dell’anno scolastico: vedono il bambino più distratto, più
disattento e molto geloso dell’insegnante di sostegno; rilevano,
tuttavia, in lui una maggiore consapevolezza di se stesso e
capacità di essere “presente” nell’ambiente che si accompagna
ad aumento nella capacità di relazionarsi con i compagni.
In questo periodo quindi il Disturbo dell’Umore sembra
precipitare verso una Sindrome Ansioso – Depressiva, sindrome
che viene verbalizzata e comunicata agli insegnanti durante
l’incontro di verifica e che viene confermata da un ulteriore
controllo specialistico attuato dalla madre in accordo con il
Servizio. Molte delle indicazioni valevoli per la prevalente
sintomatologia di iperattività valgono a nostro parere anche
rispetto alla diagnosi attuale, in particolare, il fatto che
l’apprendimento debba essere reso più semplice, meccanico e
accattivante sia per un bambino depresso sia per un bambino
con ADHD. Cambia invece l’atteggiamento richiesto agli
insegnanti a cui si chiede di porre l’accento su una disponibilità
maggiore alla relazione, e allo spazio concesso all’espressione da
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92
Due casi clinici
parte del bambino delle proprie emozioni. Inoltre diventa
importante lavorare sul ridimensionamento realistico delle
difficoltà che Giovanni si prefigura con dimensioni catastrofiche
e se si rendesse necessario, adottare un atteggiamento di
incoraggiamento ad affrontare gradualmente le situazioni
interpersonali che possono indurre ansia (es. l’ area della
competitività nel gioco).
L’intervento a scuola
A nostro parere l’intervento svolto a scuola, a partire dal secondo
anno di frequenza alla scuola elementare, si è rivelato efficace
sul comportamento del bambino specialmente per quanto
concerne l’intervento individualizzato con l’insegnante di
sostegno. Abbiamo già avuto modo di segnalare come
costituisca un limite di tutti gli interventi comportamentali e
quindi educativi la difficoltà di trasferire acquisizioni di
competenze da un contesto ad un altro e anche in questo caso ci
troviamo di fronte allo stesso limite. D’altra parte il
contenimento possibile in un contesto individuale è spesso
molto difficoltoso rispetto a quello proponibile nel gruppo. Altre
difficoltà riguardano l’inevitabile diversità degli stili educativi
che coinvolgono le differenze personali tra chi si occupa del
bambino e che hanno una ricaduta spesso determinante sul suo
comportamento.
Il resoconto che segue è il frutto di un confronto diretto svolto
con l’insegnante di sostegno di Giovanni al termine dell’anno
scolastico. L’insegnante ha messo a disposizione i verbali degli
incontri e le programmazioni individuali di tutto l’anno. Quindi
la sintomatologia prevalentemente presentata dal bambino,
come abbiamo anticipato, ha riguardato molto di più l’aspetto
ansioso depressivo piuttosto che quello iperattivo – aggressivo.
Impostazione dell’attività di sostegno
L’insegnante di sostegno è diplomata al Conservatorio dove
insegna musica. Ha svolto attività, per molti anni, con non
vedenti utilizzando spesso nel suo lavoro la terapia musicale,
valorizzando quelle componenti dell’apprendimento della
musica che possono servire a sviluppare competenze
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Due casi clinici
neuropsicomotorie: il lavoro sulla voce, per conoscere la
respirazione, i tasti del pianoforte per migliorare la
psicomotricità fine. Al fine di poter affrontare meglio sia lo
studio dello strumento sia l’attività pedagogica e terapeutica con
i bambini, l’insegnante ha svolto training formativi di sviluppo
personale e conoscenza di sé.
Il primo quesito su cui ci si è confrontati riguarda i presupposti
necessari per attivare una relazione costruttiva con i bambini in
generale e, in particolare, con bambini con disturbi.
L’insegnante sottolinea l’ opportunità di essere disponibile ad
accogliere il modo in cui il bambino si propone, nel caso di
Giovanni ha ritenuto importante il riconoscimento dei suoi
timori dell’esterno e dell’estraneo percepiti come minacciosi e
che determinavano una situazione di tensione da gestire con
empatia.
L'insegnante riporta che all’inizio (primi 15 giorni di scuola) il
bambino, quando la vedeva, tendeva a rifugiarsi dentro
l’armadio o sotto la cattedra e, a suo parere, si aspettava che
qualcuno lo andasse a prendere, lo sgridasse e lo tirasse fuori.
Lei aveva deciso di seguirlo e, senza sgridarlo, di mettersi a
lavorare sotto la cattedra con lui. Dopo un certo periodo di
tempo di lezioni in questo modo in cui il bambino sembrava
sentirsi protetto, Giovanni accettava di seguirla e di continuare
la lezione in un luogo più congruo, a meno che non
intervenissero fattori esterni come una sgridata dell’insegnante
di classe.
Per quanto riguarda l’instaurarsi e il consolidarsi di una buona
relazione con il bambino, l’insegnante ritiene che sia stata
fondamentale l’attenzione ai messaggi e alle emozioni che ci si
trasmette a vicenda, quindi non solo ai messaggi del bambino
ma anche ai propri. Altro aspetto sottolineato è la necessità di
identificarsi con il bambino, provando ad immaginare come si
può sentire e quindi come si reagirebbe al suo posto. Un
ulteriore aspetto riguardava la capacità di prevenire le reazioni
negative utilizzando la conoscenza delle reazioni del bambino e
una certa prevedibilità dei suoi meccanismi di reazione (es. alla
frustrazione). Un ultimo elemento riguarda l’utilizzo
93
94
Due casi clinici
dell’atteggiamento protettivo che Giovanni aveva nei suoi
confronti: ha scelto, in alcuni momenti, di lasciar agire il
bambino per consentirgli di svolgere un ruolo importante –
gratificante ed evitare di porsi sempre nella posizione
dell’adulto in grado di controllare tutto e che non sbaglia mai.
Ha preferito, invece, assumere una posizione di insegnante più
“umano” che accetta di avere delle debolezze. Tra gli elementi
positivi del lavoro svolto con Giovanni l’insegnante sottolinea
che le conquiste didattiche sono state significative in quanto il
bambino si trovava nella situazione di dover recuperare buona
parte del lavoro dell’anno precedente: assistere allo “sblocco”
dell’energia necessaria e vedere i risultati che questo ha
prodotto è stato perciò molto gratificante. Sul piano emozionale
l’elemento che ha favorito un’adeguata gestione del bambino è
stato lo sforzo di “staccare” completamente dalla situazione
quando terminava l’attività lavorativa e, in parallelo, “l’esserci
intensamente” in presenza del bambino. Tra le criticità
emozionali l’insegnante sottolinea lo sforzo psichico per
mantenersi concentrata sul bambino, per pensare sempre alla
modalità migliore per proporre le cose e “non scomporsi mai”.
Ancora tra le criticità sono da citare i momenti di sconforto
quando le colleghe raccontavano gli episodi successi in sua
assenza e la difficoltà di rielaborare con lui le motivazioni dei
comportamenti più problematici come, ad esempio, nella
situazione in cui Giovanni aveva cercato di buttarsi giù da una
ringhiera e in risposta alla richiesta di fornire una motivazione
le rispondeva: “Eh, non c’eri”, mettendo in evidenza in questo
senso sia l’obiettiva difficoltà a trovare una ragione dei suoi
atteggiamenti impulsivo – distruttivi, sia l’eccessiva dipendenza
dalla sua figura.
Queste modalità generavano nell’insegnante dubbi sulla
efficacia del proprio lavoro (“Mi sembrava di non avergli
insegnato niente”) e preoccupazione per questa mancanza di
autonomia; la sensazione era che nel passaggio dal contesto
individuale a quello di gruppo non venissero trattenute né le
competenze comportamentali né le competenze didattiche
acquisite (questo a riprova dell’importanza di adottare strategie
condivise in ogni contesto).
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Due casi clinici
Per quanto riguarda la collaborazione con il team delle docenti
di classe, l’insegnante sottolinea che solo una collega era di ruolo
e quindi la collaborazione maggiore si è svolta con lei: all’inizio
di ogni lezione ci si confrontava su come procedere sia a livello
di modalità che di contenuti. Con questa collega c’è stata
condivisione di ruolo anche per quanto riguardava
l’impostazione di alcuni lavori con il resto della classe. Il vissuto
dell’insegnante rispetto a questa collaborazione è stato quindi
del tutto positivo. Sono state invece sottolineate difficoltà di
collegamento con l’assistente comunale che non aveva alcuna
preparazione nell’ambito delle discipline educative e per la
quale talvolta era difficile attenersi al rigore e ai limiti della
programmazione necessaria con Giovanni e all’utilizzo dei
materiali predisposti.
Si è poi chiesto all’insegnante di tentar di definire da quali
aspetti o da quali specifici atteggiamenti – strategie derivava la
sua autorevolezza su Giovanni: nei primi mesi della relazione
sono stati utilizzati il rinforzo degli aspetti positivi, le conferme
sistematiche relative ai compiti svolti, l’assegnare un ruolo
attivo e responsabile nei confronti dell’insegnante rendendosi a
lei utile.
Altri aspetti segnalati come centrali, soprattutto nella seconda
parte dell’anno scolastico (dopo la morte del nonno),
riguardano il dialogo tra insegnante e bambino, l’ascolto
costante, la rassicurazione rispetto alle paure e ai timori di
essere abbandonato. L’insegnante inoltre ritiene che anche
l’averlo responsabilizzato facendolo muovere autonomamente
negli spazi scolastici, dando a Giovanni piccoli compiti, sia
servito a testimoniare al bambino un sentimento di fiducia nei
suoi confronti e che questo abbia attivato e rinforzato una
fiducia reciproca. Anche per quanto riguarda le modalità di
richiamo sulle difficoltà organizzative o di mantenere l’ordine
da parte di Giovanni (peraltro specifiche del suo Disturbo) è
stata utilizzata una modalità rassicurativa rispetto al fatto che
erano inconvenienti che potevano capitare a tutti e, d’altra parte,
motivazioni molto concrete e pratiche inerenti le conseguenze
negative del disordine (es. “Raccogli le matite altrimenti non sai
dove metti le cose e quando ti servono non ce le hai”). Un’altra
95
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Due casi clinici
modalità utilizzata è stata di rinforzare le abilità specifiche (per
esempio Giovanni ha rivelato un’ottima predisposizione
naturale verso il canto e la musica) e, allo stesso tempo, di offrire
conferme realistiche su tutti i suoi progressi individuali;
Giovanni infatti si mostrava molto consapevole di non essere al
livello della classe e questo gli scatenava spesso sentimenti di
disistima e frustrazione che talvolta si manifestavano con il
rifiuto a lavorare esprimendo sentimenti di incapacità. Di fronte
a tali atteggiamenti l’insegnante utilizzava la modalità di
evidenziargli il percorso svolto e tutto quello che aveva
imparato, mostrando, a conferma, i vecchi quaderni37.
L’ultimo aspetto analizzato riguarda la gestione degli
atteggiamenti di fuga e di rabbia messi in atto da Giovanni.
Quando il bambino mostrava atteggiamenti di rabbia
determinati dalla frustrazione rispetto agli inevitabili confronti
inerenti le situazioni sociali (rapporto con l’insegnante di classe
e con i coetanei) l’insegnante cercava di trattenerlo fisicamente
ma nello stesso tempo di trasmettergli un messaggio affettivo.
Di fronte alla sua richiesta al bambino di motivare le proprie
reazioni Giovanni rispondeva “Perché io sono un bambino
cattivo”. In seguito alle rassicurazioni dell’insegnante il
bambino passava ad una reazione di pianto e spiegava “Mi viene
la rabbia, ammazzerei tutti, spaccherei tutto”.
Da queste descrizioni è possibile mettere in luce come nel
bambino il passaggio dalla rabbia alla depressione faccia parte
di un unico circuito nel quale la rabbia, da emozione rivolta
verso l’esterno, si trasforma in emozione interna, rispetto alla
quale è possibile tentare una prima elaborazione.
Secondo l’insegnante si è verificata una situazione differenziata
del bambino rispetto alla relazione individuale con lei e al
comportamento in classe; nel rapporto con lei è prevalsa
l’espressione degli aspetti depressivi, mentre nel rapporto
37 Le modalità che ci sono state riferite ci ricordano molto i concetti espressi da T. Gordon sulla
tematica del potere e dell’influenza in base ai quali esisterebbero due tipi di potere, uno basato
sull’autorità e sulla differenza di potere tra adulto e bambino e l’altra basata sull’autenticità della
relazione e sulla rinuncia al potere, concezione in base alla quale Gordon conclude che se si vuole
avere una reale influenza sulla relazione occorre rinunciare al potere.
96
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Due casi clinici
all’interno della classe hanno avuto la prevalenza l’espressioni
di aggressività e di rabbia. A suo parere il rapporto individuale,
rispetto a queste differenze emozionali, ha un’incidenza molto
elevata stimabile attorno all’80%.
Considerazioni sugli aspetti funzionali dell’intervento
di sostegno
I due diversi contesti (individuale con il sostegno, di gruppo
con la classe) hanno un’incidenza minore rispetto ad altre
variabili che riguardano gli aspetti emotivi dell’apprendimento
messi in gioco nelle due situazioni. All’interno del rapporto
individuale è stato utilizzato un approccio educativo che, pur
mantenendo modalità specifiche della didattica e della
pedagogia, ha avuto una valenza terapeutica per il bambino.
Non rileviamo infatti atteggiamenti “maternalistici” fondati su
modalità relazionali emotive e poco consapevoli, ovvero quegli
atteggiamenti “istintivi”, che spesso comportano che le emozioni
vengano espresse senza filtri sia in positivo sia in negativo.
Solitamente queste posizioni si esprimono con rimproveri –
prediche, ricatti – minacce, alternati a modalità affettivo –
protettive. Nell’ambito della classe, invece, le difficoltà
gestionali hanno determinato il ricorso a modalità protettive e
comunque istintive.
Gli atteggiamenti protettivi, notoriamente, non promuovono
l’autonomia del bambino ma svolgono, piuttosto, il compito di
recuperare in qualche modo una relazione con lui e di gestire i
sensi di colpa dovuti al dispiacere che comunque l’insegnante
prova nel rimproverare e punire il bambino. Talvolta si è reso
necessario per poter proseguire l’attività di far uscire il bambino
dalla classe; purtroppo questa modalità, essendo attuata come
reazione ad una situazione vissuta come ingestibile, era
fortemente a rischio di essere vissuta dal bambino come una
posizione di rifiuto.
97
98
Due casi clinici
Gli aspetti che ci sembrano aver funzionato nel caso di Giovanni
riguardano:
-
-
la programmazione sistematica della didattica e l’utilizzo
della relazione in funzione del compito;
la capacità di osservare e di concentrarsi sui messaggi
verbali e non verbali del bambino;
la possibilità offerta al bambino di esprimere e di
rielaborare insieme quelle emozioni che diversamente lo
avrebbero bloccato rispetto all’esecuzione del compito;
l’ascolto delle paure e delle ansie del bambino finalizzato
alla rassicurazione necessaria a ripristinare un livello di
equilibrio emotivo che consentisse di affrontare
l’apprendimento;
modalità didattiche centrate sulla schematicità, sulla
ripetitività, sulla prevedibilità e soprattutto su richieste
adeguate alle competenze in possesso del bambino;
il confronto e la programmazione congiunta con almeno
una delle insegnanti di classe.
Ci sembra opportuno sottolineare come in questi atteggiamenti
ci sia un’attenzione a restare entro i limiti dell’intervento
pedagogico. Può essere difficile infatti lavorare sulle emozioni e,
a livello individuale, concentrarsi sulla semplice espressione e
legittimazione dei sentimenti evitando di lasciarsi coinvolgere
emotivamente. Il coinvolgimento emotivo eccessivo può portare
infatti o a inconsapevoli modalità di sostituzione dei reali
riferimenti affettivi o a meccanismi di rifiuto.
I limiti rilevabili in questa esperienza riguardano invece la
difficoltà di trasferire analoghi criteri pedagogici all’interno del
gruppo classe; a tale proposito rimandiamo alla trattazione
svolta nel capitolo 8 in cui vengono dati suggerimenti molto
articolati che prevedono, però, la necessità di programmare
attentamente e con approccio tecnico la giornata scolastica sia
nei suoi momenti didattici che ludici e, nei limiti del possibile,
di prevenire i comportamenti più problematici di rabbia –
opposizione e aggressività.
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99
Due casi clinici
11.2.
Il caso di Marco
Maschio, nato a Piacenza nel Novembre 1995.
Padre in buone condizioni cliniche, proveniente dalla Calabria.
Madre in buone condizioni cliniche, originaria della Sicilia.
Fratello di 6 anni in buone condizioni cliniche.
Nato da parto eutocico, pretermine alla 35 esima settimana, kg
2,850, nessuna complicanza neonatale.
Allattato al seno fino ai 18 mesi per la difficoltà del bambino ad
adattarsi all’alimentazione solida.
Ritmo sonno-veglia regolare.
Controllo sfinterico precoce, intorno ai 18 mesi.
C.e.i., tonsillectomia a 4 aa.
Alimentazione poco regolare e varia, rifiuto assoluto per carne e
verdure.
Viene descritto dalla madre come bambino molto vivace,
sebbene tale vivacità venga riferita dalla stessa come elemento
di vitalità caratteristico della propria famiglia e non come
clinicamente rilevante.
Anche la madre all’osservazione appare piuttosto compressa, ha
un eloquio velocissimo, è ipermimica, ha una gestualità molto
rappresentata.
Marco giunge alla nostra osservazione nell’ottobre 2002,
all’inizio della II° elementare, inviato dalla scuola, per la
difficoltà persistente di portare a termine i compiti assegnati,
sebbene le capacità cognitive appaiano decisamente buone,
anche il comportamento appare disturbato e disturbante.
Altri elementi significativi emergono dalla valutazione, durante
l’osservazione, della capacità di lettura e scrittura che appare
piuttosto compromessa.
La somma dei dati rilevati dall’anamnesi, dalla famiglia e dalla
scuola, sembrano indirizzarci verso un quadro di ADHD
sebbene si ritenga necessario sottoporre il bambino ad una
valutazione logopedica per accertare una eventuale
problematica a tipo D.S.A.
99
100
Due casi clinici
Indagine testistica
W.I.S.C.-R
Q.I. tot
Non verbale
Verbale
142
146
130
Protocollo D.S.A.
Lettura
Scrittura
Calcolo
Comprensione
da -2 a –3,5 d.s. sia per velocità e
correttezza
evidenti tratti disgrafici
ortografia da –2 a –3,5 d.s.
tutte le prove inferiori alla media, positive
per un quadro di Discalculia di media
gravità
prove non suff.
La diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento posta,
rende necessario un piano di trattamento logopedico,
naturalmente con la finalità di recupero ma anche per la
possibilità che questo influisca su un riequilibrio dei
comportamenti e delle capacità attentive.
Durante il trattamento il bambino appare più adeguato
nell’esecuzione del compito, ma sembrano permanere le
difficoltà di attenzione, concentrazione e l’iperattività.
Si spiega alla famiglia, che manifesta qualche resistenza
(ritenendo che il problema principale sia la scarsa tolleranza
delle insegnanti alla vivacità del bambino) la necessità di
proseguire gli accertamenti atti ad individuare un eventuale
disturbo a tipo ADHD.
Approfondimento testistico
Colloquio clinico
Test del disegno
Scale SDAI – SDAG – SDAB
TEST DELLE CAMPANELLE
positive e correlate
- 3 ds
100
101
Due casi clinici
Le risultanze psicodiagnostiche fanno propendere per la
conferma dell’ipotesi posta, sebbene la famiglia abbia difficoltà
ad accettarla.
Si propone un consulto presso la N.P.I. di S.Donà di Piave dal
dr. Maschietto.
I genitori accettano e il mese successivo tornano dopo la visita
con la conferma della diagnosi di invio e la prescrizione di
metilfenidato che, non accettato in quel momento dalla famiglia,
viene sostituito in prova con Catapresan.
Il follow up della terapia non appare soddisfacente, il bambino
solo parzialmente sembra aver modificato gli elementi
disfunzionali del comportamento. La famiglia appare in grave
crisi nella necessità di dover ridecidere sulla terapia
farmacologica e sulla proposta di certificazione secondo i criteri
della legge 104, legata alla necessità di far recuperare al
bambino, con l’aiuto di un insegnante di sostegno, il disavanzo
scolastico ormai pesante.
Solo nel Febbraio 2005 Marco passa all’assunzione di Ritalin
con effetti positivi immediati, nel Maggio 2005 viene emessa
certificazione L.104.
All’incontro di fine anno scolastico il quadro appare
decisamente migliorato; Marco partecipa con buoni risultati a
tutte le attività scolastiche, i suoi rapporti con i compagni, in
precedenza condizionati dai suoi comportamenti, sono
decisamente più funzionali, le ottime capacità cognitive del
bambino gli permettono un veloce recupero.
Nel corso dell’incontro a scuola si puntualizzano i
comportamenti strategici da effettuare da parte delle insegnanti
per contenere e strutturare i comportamenti in classe di Marco,
in parte già attuati in precedenza.
101
102
Due casi clinici
Note sulla gestione del caso
L’analisi del caso descritto mette in evidenza quanto sia
possibile che più fatti diagnostici si rappresentino durante l’iter
di valutazione, con peso clinico proprio ma correlabile.
La diagnosi di D.S.A., qui presente, abbiamo visto risultare in
alta comorbidità con la diagnosi di ADHD.
Va sottolineata anche un’altra variabile interveniente, data dalla
capacità della madre di “tenere” nei confronti dei
comportamenti iperattivi di Marco, e di non rappresentarli
come patologici, possibilità che va sempre ben indagata anche
dopo il percorso anamnestico.
Proprio alla luce di questo si evidenzia come le indicazioni
emerse dall’osservazione e dalla valutazione delle insegnanti
siano
state
preziose
nell’organizzazione
diagnostica,
considerando che Marco, durante i colloqui in studio, è sempre
apparso motivato e collaborante, con pochi elementi di
iperattività manifesta.
In ultimo va evidenziato quanto l’assunzione del metilfenidato
abbia impresso una modificazione sostanziale al quadro clinico,
permettendo al bambino di aderire alle richieste dettate dai
normali standard di apprendimento scolastico, e gli abbia
permesso anche di migliorare la propria vita di relazione. Il caso
qui esposto consente solo una breve analisi in quanto
rappresenta le fasi iniziali ( diagnosi e impostazione del
trattamento farmacologico) di un percorso che deve ancora
svilupparsi soprattutto nei suoi aspetti psicopedagogici e
relazionali; sarà importante, in questo senso, poter valutare gli
sviluppi consentiti dall’introduzione dell’insegnante di sostegno
e l’evoluzione delle dinamiche della classe rispetto alle relazioni
che il bambino instaurerà con i compagni e gli insegnanti.
102
103
Due casi clinici
Conclusioni
Trattando dell’ADHD, che oggi presenta il problema di essere
una diagnosi un po’ abusata, ci è parso utile collocarla nel
panorama più ampio dei Disturbi Comportamentali in età
evolutiva che presentano sintomi somiglianti.
Ci interessava, infatti, offrire un contributo a chiarire (per
quanto lo consente la letteratura disponibile sul problema) gli
indicatori che più caratterizzano la sindrome; lo scopo era di
consentire ai docenti, ai quali il testo è rivolto, di rendere più
precise le loro osservazioni e offrire, in questo modo, un
contributo alla diagnosi e alle strategie di intervento.
La rassegna delle tecniche di intervento che abbiamo presentato
(certamente non esaustiva) fa capo in prevalenza alle teorie
della psicologia cognitiva. Ci siamo anche proposte di offrire
un’immagine realistica (né demonizzata né idealizzata) sull’uso
del farmaco di elezione per questa problematica
comportamentale; l’intento è di presentarlo come uno degli
strumenti possibili da valutare in base alla gravità dei sintomi e
alla specificità di ogni situazione, nella convinzione che
l’intervento farmacologico raggiunge la massima efficacia in
associazione (e non certo in alternativa) ad un adeguato
approccio educativo.
Restiamo comunque del parere che la “formula” più potente
per affrontare più efficacemente il Disturbo Comportamentale
consista in un’alleanza e confronto sistematici tra scuola,
famiglia e clinici: solo la mediazione tra i diversi saperi e modi
di operare può facilitare la comprensione dell’unicità del
bambino che vogliamo aiutare.
L’approccio psicopedagogico e le tecniche che abbiamo
riportato potrebbero essere utilmente applicate, non solo ai
bambini con ADHD ma all’intera popolazione scolastica. Se non
viene però raggiunto l’obiettivo di una solida condivisione di
obiettivi e modalità operative tra gli adulti che educano le
tecniche più innovative e le teorie pedagogiche più efficaci,
corrono il rischio di essere “bruciate” prima ancora di essere
seriamente sperimentate.
103
104
Conclusioni
Il bambino con Disturbo comportamentale (ADHD o altro)
diventa dunque il pretesto e l’occasione affinché gli adulti
educatori colgano l’ennesima opportunità per sperimentare
l’efficacia della collaborazione. Questo significa, in termini
cognitivi, che gli adulti educatori per primi comincino ad
abbandonare costrutti mentali poco funzionali sul problema
della collaborazione stessa (come ad esempio il pensare che
questa non sia possibile solo perché è complessa) e comincino
invece a costruire insieme nuovi e positivi costrutti su una
collaborazione possibile.
104
105
Due casi clinici
Bibliografia
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Software
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Di Nuovo S., Attenzione e concentrazione, Erickson, Trento
2000
106
107
Due casi clinici
Allegati
Allegato A_ SCALA SDAI
Scala per l’individuazione di comportamenti di
disattenzione e iperattività (1994)
107
108
Allegati
Allegato B_ SCALA SDAG
Scala diretta ai genitori per l’individuazione di
comportamenti di disattenzione e iperattività del
bambino (1995)
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Allegati
Allegato C_ SCALA SDAB
“Come sono?”
Intervista rivolta al bambino(1994)
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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI
Area 01 – Scienze matematiche e informatiche
Area 02 – Scienze fisiche
Area 03 – Scienze chimiche
Area 04 – Scienze della terra
Area 05 – Scienze biologiche
Area 06 – Scienze mediche
Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie
Area 08 – Ingegneria civile e Architettura
Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione
Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche
Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Area 12 – Scienze giuridiche
Area 13 – Scienze economiche e statistiche
Area 14 – Scienze politiche e sociali
Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su
www.aracneeditrice.it
Finito di stampare nel mese di marzo del 2006
dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma