Corso di Laurea:
Operatori pluridisciplinari e interculturali d'area mediterranea
SCIENZA DELLE FINANZE
Docente: Gatto Antonino
Elaborazione: Dott.ssa Locantro Antonia Lucia
La spesa pubblica: funzioni e
finanziamento.
I Vincoli comunitari e il Patto di
stabilità
La politica fiscale nel modello keynesiano
Per politica fiscale intendiamo la capacità del
governo di utilizzare i flussi di spesa ed il
gettito fiscale per influenzare il livello di
reddito nazionale.
Si è soliti far risalire a J.M.Keynes la prima e
più completa teoria per l'utilizzo della spesa
pubblica al fine di stabilizzare le fluttuazioni
del reddito e ristabilire l'equilibrio economico.
Il pensiero di Keynes portava ad un'unica
conclusione: se l'equilibrio che si produce sul
mercato è un equilibrio di sottoccupazione è
necessario un intervento dello Stato a sostegno
della domanda aggregata.
Il modello reddito-spesa, nella determinazione
del livello del reddito, si serve di una
rappresentazione grafica che, con l'ausilio di
una retta a 45° nel primo quadrante, rende
uguali la spesa aggregata AD ed il reddito Y,
come si vede nella figura.
La retta AD è ottenuta come somma delle
funzioni del consumo C, degli investimenti
I e della spesa pubblica G che
costituiscono la domanda aggregata.
Di queste componenti della domanda, alcune
dipendono dal livello del reddito (Consumo) e
mentre altre (Investimenti e Spesa Pubblica) sono autonome ovvero possono variare indipendentemente dal reddito prodotto. Ciò implica
che in una situazione di recessione in cui gli
investimenti languono (per il prevalere di
aspettative economiche negative da parte degli
imprenditori) l’unica componente autonoma
della domanda che può stimolare l’economia,
per effetto del moltiplicatore, è la Spesa pubblica (politica fiscale).
Il principio del moltiplicatore stabilisce che
ogni incremento unitario della funzione AD sia
esso un euro aggiuntivo impiegato nei consumi
privati, negli investimenti, o nella spesa
pubblica, genera un aumento della produzione
più che proporzionale, secondo un valore di
moltiplicazione pari a 1/1-c dove per c si
intende la propensione marginale al consumo
che è il rapporto tra l'incremento del consumo e
l'incremento del reddito che ne è la causa.
Una volta inserito l'incremento unitario della
spesa aggregata nel circuito del reddito,
questo aumento innesca un meccanismo a
catena, per il quale chi ha percepito
l'incremento di reddito aumenta il suo
consumo di una proporzione pari alla
propensione marginale al consumo.
La funzione AD aumenta nel primo periodo di
(1+c), ma anche questo incremento genera un
aumento di AD più che proporzionale e pari a
(1+c)(1+c) e così via.
Il moltiplicatore è tanto maggiore quanto
maggiore è la propensione marginale al
consumo.
Se c= 0,50 il moltiplicatore è 2
Infatti :1/1-0,5 = 2
Se c= 0,80 il moltiplicatore è 5
Se c=0,90 il moltiplicatore è 10
Esempio: siano
ΔG=1000
la nuova spesa; c=0,80 la
propensione marginale al consumo. Il
moltiplicatore sarà: 1/1-c=5.
In effetti, possiamo considerare l’incremento
della spesa pubblica (così come di ogni altro
componente autonomo della domanda) come
un sasso che, cadendo in un lago, causa delle
onde concentriche che dilatano con intensità
sempre minore. Nel nostro caso, consideriamo
che all’inizio la produzione aumenti tanto da
colmare esattamente la nuova domanda; la
produzione, di conseguenza, aumenta di ΔG.
L’aumentata produzione origina un pari valore
del reddito che, considerando la propensione
marginale c, causerà un secondo ciclo di spesa
indotta pari a cΔG e, quindi, di produzione e di
reddito di pari valore. Nel terzo ciclo avremo
una spesa indotta pari al prodotto della
propensione marginale al consumo per
l’aumento del reddito del secondo ciclo : c(ΔG)
=c2ΔG… e cosi via.Con “onde” di domanda, di
produzione e di reddito via via decrescenti fino
ad esaurirsi.
Possiamo trascrivere la sequenza come segue:
ΔAD=ΔG+cΔG+c2ΔG+....+cn ΔG
ΔAD=Δ1000+0,80(Δ1000)+0,802(Δ1000)+0,803
(Δ1000)+ ......=
Δ1000+Δ800+Δ640+Δ512....=Δ5000
Δ1000x1/1-0,80=Δ1000x5=Δ5000
Un aumento della spesa autonoma, pertanto,
provoca un aumento più che proporzionale
della produzione di equilibrio.
L'incremento della spesa pubblica ΔG aumenta la
domanda aggregata (AD) generando una
traslazione della retta della domanda aggregata
verso l'alto. L'economia si sposta dal punto di
equilibrio iniziale E al punto 1, dove si verifica
una situazione di eccesso di domanda. Nel
modello reddito-spesa i prezzi, i salari e gli
investimenti sono considerati fissi e le imprese
possono reagire all'eccesso di domanda soltanto
incrementando la produzione (ΔY) per soddisfare
la maggiore domanda di beni, fino a raggiungere
il punto 2.
Pur essendo un punto di uguaglianza tra
reddito (Y) e domanda aggregata (AD), il
punto 2 non è l'equilibrio finale poiché
l'incremento del reddito (ΔY) spinge
ulteriormente al rialzo la domanda aggregata
tramite l'incremento della componente indotta
(cΔY).
Per aumentare la produzione le imprese hanno
dovuto incrementare il numero dei lavoratori o
delle ore di lavoro, distribuendo una maggiore
quantità di reddito alle famiglie.
Una parte di questo reddito aggiuntivo da lavoro
viene successivamente speso dalle famiglie in
consumo (cΔY) in proporzione alla propensione
marginale al consumo (c). L'ulteriore incremento della domanda riproduce una situazione di
eccesso di domanda (punto3) a cui segue un
nuovo incremento della produzione ΔY.
Il processo di aggiustamento continua per
incrementi di reddito e di consumo indotto in
una serie geometrica di infiniti incrementi,
sempre più piccoli, che converge al valore del
moltiplicatore del reddito.
Lo Stato può finanziare la spesa pubblica
attraverso l'imposizione fiscale o raccogliendo
risparmio (vale a dire, emettendo titoli del debito pubblico).
Nel caso di finanziamento della spesa pubblica
mediante ricorso al debito pubblico, lo Stato
dovrà offrire tassi d'interesse competitivi per
poter collocare i propri titoli presso gli operatori
privati. Ciò comporterà un aumento generalizzato della struttura dei tassi d'interesse e, di
conseguenza, una riduzione negli investimenti
privati.
Inoltre, gli elevati tassi interni attrarranno capitali esteri, rivalutando il cambio e riducendo le
esportazioni. Il tutto si tradurrà in una contrazione della domanda aggregata e, dunque, del
reddito.
Nel caso di finanziamento della spesa pubblica
mediante l'imposizione fiscale, il moltiplicatore
risulta modificato a seconda di come si applica
l'imposta. In particolare quest'ultima può essere
stabilita: in somma fissa, proporzionale,
progressiva.
Consideriamo un aumento della spesa pubblica
G finanziata da un'imposta in somma fissa
T=T0 , vale a dire che non dipende dal reddito.
Il moltiplicatore della tassazione diventa -c/1-c
Si tratta di un valore più basso di quello
che opera sulla spesa pubblica, che
continua ad es-sere pari a 1/(1-c), in altri
termini, l’eventuale aumento della spesa
pubblica
di
un
euro
pro-duce,
simultaneamente un incremento del reddito via moltiplicatore pari a 1/(1-c) e il
decre-mento del reddito via moltiplicatore
della tasazione pari a -c/(1-c), l'effetto
Esempio: supponiamo un aumento della spesa
pubblica di euro Δ1000 con una propensione marginale al consumo pari a 0,80.
Il moltiplicatore della spesa pubblica sarà 1/1-c
quindi 5 mentre quello delle imposte è -c/1-c quindi -4. Pertanto l’incremento della domanda
aggregata sarà:ΔAD=Δ1000x5-Δ1000x4=Δ 1000.
L'aumento delle imposte in somma fissa annulla
l'effetto moltiplicativo della spesa pubblica che
rimane; cioè per ogni euro speso in più di spesa
pubblica, il reddito aumenta di un solo euro e non
di 5 come accadrebbe se non venissero introdotte
le imposte.
Consideriamo ora il caso più realistico in cui la
spesa pubblica sia finanziata con una imposizione proporzionale sul reddito T=tY dove t è
l'aliquota fissa.
Il moltiplicatore del reddito in presenza di
un'imposta proporzionale sul reddito sarà
perciò pari a 1/1-c(1-t) mentre il moltiplicatore della tassazione sarà pari a -c/1-c(1-t).
Anche con la tassazione dipendente dal reddito
il moltiplicatore delle imposte risulta inferiore,
in valore assoluto, al moltiplicatore della spesa
pubblica ma con effetto sempre positivo.
Esempio: supponiamo un aumento della spesa
pubblica di euro Δ1000 con una propensione
marginale al consumo pari a 0,80 e una tassazione del 20% sul reddito.
Il moltiplicatore della spesa pubblica sarà 1/1c(1-t) quindi 2,78 mentre quello delle imposte è c/1-c(1-t) ,quindi -2,22
L’incremento della domanda aggregata, sarà, alla
fine:
ΔAD=Δ1000x2,78-Δ1000x2,22=Δ560
Quindi un aumento iniziale della domanda
pubblica (in seguito ad un aumento della
spesa pubblica) avrà in questo caso un
effetto complessivo minore, poiché le
imposte riducono quella parte di reddito
che gli individui possono destinare al
consumo.
Il deficit di bilancio
Il Disavanzo (deficit) pubblico è il saldo
negativo che si verifica nel Bilancio annuale
dello Stato quando le uscite superano le
entrate.
L'idea di un deficit di bilancio viene immediatamente associata ad una cattiva amministrazione della cosa pubblica.
L'opportunità di produrre o tollerare un disavanzo pubblico rappresenta un vecchio problema della politica economica.
Esistono tre diverse scuole di pensiero:
- i sostenitori del bilancio in pareggio che
ripongono scarsa fiducia nel «tempismo»
dell'intervento pubblico nell'economia.
Poiché le misure di politica economica
richiedono un lungo iter parlamentare ed
è probabile che taluni correttivi giungano
con eccessivo ritardo rispetto alla
congiuntura economica che ha reso
auspicabile la loro adozione, pertanto,
potrebbero avere l'effetto perverso di
peggiorare ancora di più le cose e di
ritardare la ripresa;
i detrattori del bilancio in pareggio, al
contrario, ritengono che la condizione del
pareggio limiti fortemente la politica
economica in cui ripongono fiducia. Essi
valutano efficace ed opportuno l'intervento
pubblico
nell'economia
ed
individuano nell'obbligo di pareggio un
mezzo per inficiare le diverse possibilità di
intervento.
Vi è poi una sorta di terza posizione, storicamente risalente a Ricardo, uno dei primi economisti ad occuparsi dell'argomento, nota
anche come teorema di equivalenza
–
Secondo questo teorema il disavanzo
pubblico non produce alcun effetto reale
sul
sistema
economico.
Questa
affermazione è dimo-strabile in quanto si
ipotizza che le famiglie, a fronte di una
riduzione delle imposte, e di un aumento
del debito pubblico corrispondente, non
utilizzano il maggior reddito disponibile in
consumi, in quanto sono coscienti che
prima o poi dovranno scontare il deficit di
bilancio consolidatosi in debito pubblico,
con un nuovo inasprimento delle tasse.
La presenza di un debito pubblico pone il
problema sulle cosiddette condizioni di
sostenibilità del debito pubblico.
Il processo di copertura parziale o totale di
debito e relativi interessi è detto finanziamento
del debito ed è comunque in dipendenza dell'andamento del rapporto debito/PIL.
Tipicamente questo avviene attraverso:
-tagli alla spesa pubblica (es.spending review), tassazione dei contribuenti (cioè portando in
attivo il bilancio annuale dello Stato)
-emissione di nuovi titoli di stato;
col rischio, in quest'ultimo caso, di alimentare
le dimensioni del debito totale fino a richiedere
nel tempo un aumento delle prime due misure o
arrivare a una quota di titoli superiori alla
domanda effettiva del mercato con aumentato
rischio insolvenza su parte delle scadenze.
L'esigenza di tenere sotto controllo l'espansione
del debito pubblico ha quindi due principali
motivazioni.
La prima è di carattere finanziario e attiene
alla difficoltà di finanziare il debito pubblico
quando questo cresce troppo velocemente
rispetto al PIL. Come in tutti i casi di prestito
di denaro se il debito è elevato o cresce
velocemente cala fisiologicamente la fiducia
dei creditori nel riacquisire i propri capitali
ceduti scoraggiando l'ulteriore credito con
possibile effetto di mancata copertura del
debito stesso da parte dello Stato.
In queste condizioni, se diminuisce la fiducia dei
sottoscrittori dei titoli sulla capacità del debitore
di pagare gli interessi e di restituire il capitale, il
finanziamento del debito può avvenire allora solo
corrispondendo interessi più elevati cioè offrendo
rendimenti più alti dei titoli di Stato.
Se la spesa per interessi aggrava il disavanzo
(deficit) pubblico, facendo ulteriormente
aumentare il debito, può innescarsi un circolo
vizioso in cui all'aumento vorticoso del debito
corrisponde un aumento della spesa per interessi,
dei deficit e quindi del debito pubblico.
La seconda motivazione riguarda il cosiddetto
"effetto spiazzamento". Se una parte dei
redditi o risparmi privati finisce col finanziare
il debito pubblico tramite imposizione fiscale,
si sottraggono risorse ai consumi e agli
investimenti privati, con conseguenze
negative sulla crescita economica. È l'effetto
spiazzamento.
L'Unione Europea e il «Patto di Stabilità»
Il Patto di stabilità e crescita, in sigla PSC, è
anche chiamato Trattato di Amsterdam.
Stipulato nel 1997 è entrato in vigore con
l'adozione dell'euro all’inizio del 1999.
Il PSC è un accordo formalizzato dai paesi
membri dell'Unione Europea per il controllo
delle loro politiche di bilancio, allo scopo di
garantire la stabilità delle condizioni
finanziarie e monetarie nell'area definita come
Unione Economica e Monetaria (UEM).
Il Patto di stabilità e crescita si concretizza
attuando un’attenta vigilanza sui deficit e sui
debiti pubblici degli Stati membri che, rendendosi inadempienti, subiscono prescrizioni e
sanzioni.
L’Unione Europea con il PSC ha voluto dotarsi
di un importante strumento che le consentisse di
monitorare no stop le politiche di bilancio degli
Stati che hanno adottato l’euro per controllare
se, i medesimi Stati, con lo scorrere degli anni
continuavano ad applicare le regole del rigore di
bilancio previste nel Patto di stabilità e crescita.
In attuazione del PSC, gli Stati membri che
adottano l’euro debbono conservare i cosiddetti
parametri di Maastricht, ovvero:
- un deficit pubblico non superiore al 3%
del Prodotto Interno Lordo (PIL);
- un debito pubblico inferiore al 60% del PIL.