Tesi di Dottorato di Ricerca in
“Fisiopatologia e clinica dell’apparato scheletrico”
Valutazione della salute scheletrica in pazienti affetti da HIV
Relatore:
Candidata:
Prof. S. Minisola
Dott.ssa J. Pepe
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
INDICE
Sindrome da immunodeficienza acquisita (HIV)
Epidemiologia…..………………………………………………………………pag. 2
Stadi di malattia……………………………………………………………… pag. 3-4
Terapia…………………………………………………………………………. pag. 5-8
HIV e sistema endocrino
HIV e ipogonadismo…………………………………………………………...pag. 9-11
Ipogonadismo e metabolismo minerale…………………………………….pag. 12
HIV e metabolismo minerale……………………………………………….. pag. 13-16
Lo studio
Background ……………………………………………………….………….. pag. 17
Scopo dello studio…………………………………………………………… .pag. 18
Materiali e metodi……………………………………………………………. pag. 18-22
Risultati……………………………………………………………………….. .pag. 23-25
Discussione…………………………………………………………………… .pag. 26- 29
Tabelle…………………………………………………………………….. . .. pag. 30-35
Figure………………………………………………………………………….. pag.36-38
Bibliografia…………………………………………………………………… pag. 39-46
Ringraziamenti…………………………………………………………… … pag. 47
1
SINDROME DA IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA (HIV)
Epidemiologia
Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV), responsabile della sindrome da
immunodeficienza acquisita, è un virus a RNA appartenente alla famiglia
Retroviridae, sottofamiglia Lentivirinae.
L’infezione può avvenire tramite tre modalità: per via ematica, (scambio di
siringhe fra tossicodipendenti, trasfusioni di sangue o derivati e trapianti), per via
sessuale (rapporti sessuali non protetti) o da madre a figlio durante la gestazione
o nel periodo perinatale. Attualmente secondo i dati della WHO 34 milioni di
individui risultavano sieropositivi (1). In Italia nel 2011 sono stati diagnosticati
5,8 nuovi casi di HIV positività ogni 100.000 residenti, nel 75% dei casi maschi
(2). L’età mediana è di 38 anni per i maschi e di 34 anni per le femmine. Nel 2011
continua a crescere la quota di nuove infezioni attribuibili a rapporti sessuali non
protetti, che costituiscono il 78,8% di tutte le segnalazioni. Nel 2011 quasi una
persona su tre diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera. Tra gli
italiani, l’incidenza è più elevata al nord, mentre tra gli stranieri si osserva
un’incidenza maggiore al sud. Nel 2011 più della metà dei casi segnalati con una
nuova diagnosi di HIV era già in fase avanzata di malattia. Dall’inizio
dell’epidemia nel 1982 ad oggi sono stati segnalati in Italia circa 64.000 casi di
AIDS, di cui quasi 50.000 deceduti
Figura 1: Adulti e bambini con infezione da HIV nell’anno 2011(WHO)
2
Stadi di malattia
L’infezione da HIV, in assenza di terapie, evolve senza soluzioni di continuità dallo
stato di malattia alla morte. È quindi ai soli fini pratici che l’infezione viene
suddivisa in tre stadi: l’infezione acuta, lo stadio di latenza clinica e lo stadio
sintomatico, espressione di immunodeficienza.
L’infezione acuta si caratterizza per la rapida e imponente replicazione virale.
Quando l’infezione è contratta per inoculazione di sangue infetto nel torrente
circolatorio di un soggetto suscettibile, il virus raggiunge direttamente i tessuti
linfatici, infettando le cellule CD4+ e moltiplicandosi.
Ove l’infezione è trasmessa per via sessuale, è probabile che siano inizialmente
infettate le cellule linfatiche presenti nelle mucose interessate, vaginale o rettale.
Qui il virus dell’ HIV compie i primi cicli replicativi, indispensabili per raggiungere
la carica virale sufficiente per abbandonare le mucose e raggiungere i linfonodi
corrispondenti. I fenomeni che caratterizzano l’infezione acuta sono pertanto
l’elevata replicazione virale, la corrispondente distruzione delle cellule CD4+
responsabili della replicazione e la costituzione del serbatoio di cellule
latentemente infette.
L’infezione acuta decorre clinicamente asintomatica in circa la metà dei casi;
quando evidente, è frequente un quadro poco specifico, facilmente confondibile
con una sindrome influenzale protratta. In un buon numero di persone HIV
positive, pertanto, l’infezione acuta decorre inosservata e non diagnosticata. Nel
20-30% dei casi, i quadri clinici sono più complessi. Tra i quadri più frequenti: la
febbre protratta e non altrimenti interpretabile, manifestazioni esantematiche
simil-morbillose, la comparsa di linfonodi ingrossati, quadri meningei espressione
di localizzazione di HIV nel sistema nervoso centrale.
La fase acuta cessa con la comparsa della risposta immunitaria, che richiede 2-8
settimane e interessa l’immunità sia umorale sia cellulo-mediata, con la
produzione di anticorpi anti-HIV e linfociti citotossici. La cessazione della fase
acuta si caratterizza pertanto per la importante riduzione della carica virale, il
recupero del numero dei linfociti CD4+ e la scomparsa dei segni clinici, quando
presenti. In virtù della risposta immunitaria, ha inizio la fase cosiddetta di
cronicità o di latenza. La presenza di anticorpi anti-HIV nel sangue è rilevabile
con esami sierologici specifici quali il test ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent
Assay). I soggetti positivi al test sono definiti sieropositivi per HIV. La fase di
cronicità ha una durata variabile da pochi anni sino a oltre 15. La latenza è solo
clinica e non virologica. La replicazione di HIV infatti persiste, in particolare nei
tessuti linfatici, seppure con tassi di replicazione contenuti e controllati dalla
risposta immunitaria. Il tessuto linfatico che ospita la replicazione virale va
incontro a un progressivo deterioramento che, nel tempo, compromette la
3
capacità di ripristinare le perdite dei linfociti distrutti per la persistente
replicazione virale. Nel contempo, le frequenti mutazioni del virus portano alla
comparsa di popolazioni virali antigenicamente distinte dal virus originale e alle
quali il sistema immunitario è continuamente costretto ad adeguarsi. Ne
consegue una crescente difficoltà a controllare l’infezione, ben evidenziabile dalla
ripresa della replicazione virale e dalla perdita progressiva e costante del numero
dei linfociti CD4+. Quando questo numero si riduce al di sotto di una soglia
critica, risulta compromessa la capacità di difesa nei confronti di microrganismi
scarsamente patogeni e definiti opportunisti. Appartengono a questo gruppo
virus, batteri, funghi e protozoi, per lo più nostri ospiti abituali del tutto innocui,
più raramente acquisiti occasionalmente, in grado di provocare malattia solo
quando è loro fornita l’opportunità. Nel caso dell’infezione da HIV, l’opportunità
consiste nel basso numero di linfociti CD4+.
Alcuni microrganismi opportunisti si trasformano in patogeni per gradi molto
limitati di immunodeficienza. Altre infezioni richiedono un grado di
immunodeficienza severo e si manifestano solo quando il numero dei linfociti
CD4+ è ridottissimo. Alcune infezioni opportunistiche e taluni limitati tumori,
come il sarcoma di Kaposi, sono ritenuti indicativi per la diagnosi di AIDS.
Categorie Cliniche
Categorie
suddivise per
numero di
linfociti CD4+
(B)
(A)
Infezione
(C)
Infezione acuta da
sintomatica,
Condizioni indicative di
HIV, Infezione
condizioni non (A) – AIDS
asintomatica
non (C)
> 500 mmc
A1
B1
C1
200-499/mmc
A2
B2
C2
< 200/mmc
A3
B3
C3
Tabella 1: Classificazione CDC dell’infezione da HIV (3).
4
Terapia
Highly Active Anti-Retroviral Therapy (HAART), ossia la terapia antiretrovirale
altamente attiva, è il termine che descrive l’uso contemporaneo di tre o più
farmaci antiretrovirali per il trattamento dell’infezione da HIV. L'obiettivo della
terapia antiretrovirale è l'abbattimento della carica virale e l'aumento dei linfociti
CD4.
Classi di farmaci antiretrovirali:
La maggior parte dei farmaci agisce dentro la cellula dei CD4 (azione
intracellulare) mentre, ad oggi, un solo farmaco agisce all’esterno della cellula
(azione extracellulare). I farmaci intracellulari, detti “inibitori enzimatici”,
inibiscono, cioè bloccano l’azione dell’enzima, mediante il quale avviene il
processo della replicazione virale.
In commercio ci sono quattro diverse tipologie di farmaci, dette “classi”:
- IF : inibitori della fusione, cioè inibitori di ingresso
- N(t)RTI : inibitori della trascrittasi inversa, nucleosidici e nucleotidici
- NNRTI : inibitori della trascrittasi inversa, non nucleosidici
- PI : inibitori della proteasi
Ancora in sperimentazione sono altre classi di farmaci che interferiscono con :
•
l’ingresso nella cellula, ma in modo differente rispetto agli IF;
•
nel processo di integrazione nucleare (inibitori dell’integrasi);
•
nella fase di maturazione, ossia prima dell’uscita dalla cellula CD4;
•
direttamente sulla presenza del virus libero circolante nel sangue, prima
che aggredisca la cellula linfocitaria
Tossicità dei trattamenti antiretrovirali
La disponibilità di trattamenti antiretrovirali potenti ha consentito ad un numero
sempre crescente di persone con HIV di vivere a lungo e di svolgere un’attività
sociale e lavorativa pressoché normale. Come era attendibile, tuttavia, l’utilizzo
“cronico” o comunque, prolungato, dei farmaci ha portato ad un parallelo
aumento degli effetti tossici ad essi associati.
5
Accanto alle manifestazioni già note da tempo e in parte prevedibili, negli ultimi
anni si sono andati delineando alcuni quadri di tossicità nuovi, i cui meccanismi
causali non sono ancora del tutto chiari, e che generalmente insorgono a una
distanza di tempo variabile dall’inizio della terapia antiretrovirale.
Gli effetti collaterali sono “classe-specifici”, cioè legati all’assunzione di farmaci
appartenenti allo stesso gruppo.
NRTI
Molti eventi avversi associati all’uso di questi farmaci, che sono stati i primi ad
essere impiegati nel trattamento dell’infezione da HIV, sono noti da tempo:
l’anemia, la neutropenia e la miopatia da zidovudina, la pancreatite da
didanosina, la neuropatia periferica da didanosina e stavudina, la sindrome da
ipersensibilità da abacavir. A questi si aggiungono alcune manifestazioni comuni
ai vari NRTI, come nausea e altri disturbi dell’apparato digerente, cefalea, senso
di malessere generale. In linea di massima, tutte queste tossicità sono
abbastanza facilmente controllabili e, ad eccezione di rari casi di neuropatia
periferica, tendono a regredire con la sospensione del farmaco responsabile.
Molti effetti collaterali associati all’uso dei NRTI sono riconducibili ad un
meccanismo comune, rappresentato dalla cosiddetta “tossicità mitocondriale”,
cioè dal danno che essi esercitano sul DNA dei mitocondri. Questi ultimi sono
organelli cellulari essenziali per la sintesi di ATP e, quindi, per il rifornimento
energetico delle cellule.
Più recentemente, sono stati identificati altri effetti collaterali degli analoghi
nucleosidici, che suscitano particolare preoccupazione per la loro potenziale
gravità. In particolare, questi farmaci possono provocare un aumento, spesso
asintomatico, dei livelli di acido lattico nel sangue; per elevati livelli può
subentrare il quadro molto grave, anche se fortunatamente raro, dell’acidosi
lattica, i cui sintomi iniziali possono non essere riconosciuti in quanto aspecifici
(nausea, malessere generale, dolori muscolari, etc.). Stavudina e didanosina,
specie se associate, sono gli agenti che più frequentemente sono responsabili di
acidosi lattica.
6
NNRTI
Tre sono gli eventi avversi principali in corso di trattamento con NNRTI:
1.
Il “rash” e le altre reazioni cutanee da ipersensibilità causate dalla
nevirapina e, in misura minore, dall’ efavirenz.
2.
L’epatotossicità comune a tutti i farmaci di questa classe. La recente
segnalazione di alcuni casi di gravi alterazioni epatiche in corso di trattamento
con nevirapina sottolinea l’importanza di monitorare accuratamente la funzione
epatica durante la somministrazione di questo farmaco, soprattutto nel caso,
frequente, di coinfezione HIV/HCV.
3.
I disturbi neuropsichiatrici da efavirenz.
PI
I principali effetti collaterali associati all’uso di singoli PI sono: la diarrea da
nelfinavir, la calcolosi renale e l’iperbilirubinemia da indinavir, le parestesie da
ritonavir e amprenavir, il rash da amprenavir, i disturbi gastrointestinali da
ritonavir. Tutti gli inibitori delle proteasi, anche se in misura lievemente diversa,
possono poi produrre importanti alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico.
Accanto a queste manifestazioni specifiche, esistono poi alcune tossicità
complesse, per le quali non è sempre possibile individuare un unico meccanismo
causale.
Le alterazioni del metabolismo glucidico
In corso di terapia antiretrovirale il metabolismo glucidico può presentare vari
livelli di compromissione, dall’aumentata resistenza all’insulina (spesso con
glicemia normale) alla ridotta tolleranza al glucosio, al diabete conclamato. Sono
soprattutto gli inibitori delle proteasi ad essere responsabili di queste alterazioni,
sebbene siano state osservate anche con regimi non contenenti questi farmaci. Il
trattamento è quello abituale (misure dietetiche, esercizio fisico, ipoglicemizzanti
orali, insulina); il passaggio a combinazioni farmacologiche non contenenti PI
conduce generalmente alla regressione delle alterazioni.
7
Le alterazioni del metabolismo lipidico
Aumento dei trigliceridi, del colesterolo totale e del colesterolo LDL sono
abbastanza frequenti in corso di terapia antiretrovirale.
I farmaci responsabili sono soprattutto gli inibitori delle proteasi e, tra gli inibitori
della trascrittasi inversa, l’efavirenz (che può provocare ipercolesterolemia).
Non disponendo ancora di dati a lungo termine, è difficile stabilire se la
dislipidemia si associ ad un aumentato rischio di patologie cardiovascolari;
tuttavia si tratta di un’evenienza molto probabile, che quindi ne rende necessario
il trattamento farmacologico, quando essa non è controllabile con la sola dieta. I
farmaci di elezione sono i fibrati e le statine; tra queste ultime, è preferibile la
pravastatina, che non presenta interazioni farmacologiche con i PI. Il passaggio
ad un regime antiretrovirale senza PI può risultare vantaggioso; in presenza di
ipercolesterolemia, però, è controindicato l’impiego di efavirenz.
Le alterazioni della distribuzione del grasso (lipodistrofia)
Le modificazioni dell’aspetto fisico, presenti circa nel 20-60% dei casi,
rappresentano uno dei quadri di tossicità più peculiari della terapia
antiretrovirale. In generale si possono osservare 3 quadri: un accumulo di grasso
in alcune zone (regione dorso-cervicale, addome, petto); una lipoatrofia, cioè una
diminuzione del grasso nelle gambe, braccia, e volto; un quadro misto.
L’accumulo adiposo sembra più frequente nel sesso femminile ed è più
probabilmente dovuto agli inibitori delle proteasi, mentre l’atrofia si osserva più
spesso negli uomini e sembra in rapporto con l’assunzione di NRTI. Tuttavia le
cause della lipodistrofia sono complesse e in parte ancora oscure; non si esclude
che possa avere un ruolo anche la ricostituzione del sistema immunitario
conseguente ad HAART, attraverso la produzione di sostanze immunomodulanti
attive sul tessuto adiposo.
Poiché spesso la lipodistrofia coesiste con alterazioni metaboliche, la correzione di
queste ultime è sempre consigliabile.
Non esistono, invece, trattamenti farmacologici specifici che si siano dimostrati
efficaci; nei casi più gravi si può ricorrere alla chirurgia estetica. In alcuni casi il
passaggio ad un regime antiretrovirale senza PI è risultato vantaggioso.
8
HIV E SISTEMA ENDOCRINO
Le alterazioni endocrine nei pazienti affetti da HIV includono alterazioni
surrenaliche, gonadiche, ossee e metaboliche. L’infezione virale o le infezioni
opportunistiche associate ad HIV così come l’HAART possono alterare la funzione
endocrina in pazienti HIV positivi. Tuttavia proprio l’utilizzo di questa terapia con
il conseguente declino dell’incidenza delle infezioni opportunistiche, ha reso meno
frequenti le infezioni opportunistiche dei surreni, mentre negli ultimi anni risulta
aumentata l’incidenza delle alterazioni gonadiche e ossee.
HIV e ipogonadismo
L’ipogonadismo è un disordine endocrinologico piuttosto comune negli uomini
con infezione da HIV; colpisce tra il 20 ed il 30% degli uomini trattati con terapia
HAART (4,5) e risulta essere più frequente rispetto alla prevalenza nei soggetti
HIV negativi (6).
L’ipogonadismo nell’uomo è caratterizzato dall’incapacità da parte del testicolo di
produrre fisiologiche quantità di testosterone (deficit androgenico) e di produrre
un normale numero di spermatozoi dovuto all’interruzione ad uno o più livelli
dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Le linee guida raccomandano di porre una
diagnosi di deficit androgenico solo negli uomini con sintomi e segni consistenti e
con livelli sierici inequivocabilmente bassi di testosterone. La diagnosi di
ipogonadismo è basata quindi sul rilievo di concentrazioni sieriche di testosterone
libero al di sotto di 225 pmol/L e sulla presenza di sintomi individuabili
anamnesticamente (7).
Sintomi e segni di ipogonadismo sono rappresentati da:
- riduzione della massa magra con diminuzione del volume e della forza
muscolare;
- aumento della massa grassa con localizzazione viscerale; possibile ginecomastia;
- disturbi del sonno;
- modificazioni del tono dell’umore e/o delle funzioni cognitive con irritabilità,
affaticabilità, depressione, riduzione delle capacità di concentrazione
9
- riduzione del desiderio sessuale con peggioramento della funzione erettile;
- riduzione della densità minerale ossea (BMD), con significativo aumento del
rischio di fratture.
Sia l’ipogonadismo primitivo, dovuto ad alterazioni testicolari che l’ipogonadismo
secondario, dovuto ad alterazioni a livello ipotalamo-ipofisario di origine acquisita
o congenita, sono stati associati all’infezione da HIV e possono presentarsi
congiuntamente nello stesso paziente. Sono stati suggeriti numerosi meccanismi
eziopatogenetici per spiegare questo fenomeno come patologie sistemiche,
infezioni opportunistiche, malnutrizione, perdita di peso e cachessia (8).
L’ipogonadismo è stato comunque riscontrato in numerosi giovani pazienti in
condizioni cliniche stabili in assenza dei suddetti fattori di rischio suggerendo che
altri fattori, quali un eccesso di citochine come il TNF-α, l’interleuchina 1,
l’interleuchina 6, possano interferire con la steroidogenesi testicolare, con la
secrezione di gonadotropin releasing hormone, di FSH/LH, o con le loro azioni
periferiche e possano determinare un franco ipogonadismo in questi pazienti (9).
Anche la terapia antivirale potrebbe essere una concausa: infatti, gli inibitori delle
proteasi sembrano inibire alcuni citocromi epatici umani. In vitro, il citocromo
P450 (CYP3A4) coinvolto nel metabolismo del testosterone, risulta essere inibito
ma tale effetto non è stato riscontrato in vivo (10).
SHBG
La determinazione dei livelli di testosterone deve essere valutata sempre
considerando che il 60% circa del testosterone circolante è legato all’SHBG (sex
hormone binding globulin), il 38% circa all’albumina e solo lo 0,5-3% circa del
testosterone circolante è “libero”.
Negli individui con infezione da HIV sono state riscontrate alte concentrazioni di
SHBG che inducono un incremento dei valori di testosterone totale; ciò induce ad
una sottostima delle diagnosi di ipogonadismo. In questi casi è fondamentale
valutare i livelli di testosterone libero o di testosterone biodisponibile.
Fisiologicamente la produzione di testosterone diminuisce dell’1% l’anno; come
mostrato dallo studio Massachusetts Male Aging questa riduzione è
accompagnata da un aumento annuale dei livelli di SHBG di circa l’1,2% (11).
Questo incremento dei livelli di SHBG appare accelerato nei maschi con infezione
da HIV, con un incremento di più del 50% delle concentrazioni di SHBG al di
sopra del valore atteso per la loro età. Questo significa che i livelli sierici di
testosterone totale si riducono con l’avanzare dell’età in misura minore rispetto ai
livelli sierici della frazione libera e biodisponibile. Ulteriori fattori di rischio per
l’ipogonadismo nei maschi HIV positivi sono rappresentati da bassi livelli di
cellule T CD4+, progressione della malattia, terapia HAART e perdita di peso con
riduzione notevole dell’indice di massa corporea (12,13).
10
Il recente interesse per l’SHBG nasce dalla scoperta del suo ruolo fondamentale
nella regolazione della disponibilità tissutale del testosterone e dell’estradiolo, per
cui non è escluso un ruolo modulatorio insieme agli ormoni sessuali sul
metabolismo dell’osso.
Gli elevati livelli sierici di SHBG, indipendentemente dai valori sierici di
testosterone, estradiolo, IGF-1 o insulina, sono risultati associati a maggior
spessore dell’osso corticale in uomini sani all’età del picco di massa ossea (13).
E’ stato inoltre ipotizzato che l’SHBG oltre ad essere una proteina di trasporto
eserciti essa stessa una funzione legandosi ad un recettore di membrana (il
recettore megalina), da cui risulta la formazione di una cascata di secondi
messaggeri, con differenti attività biologiche a seconda del tipo cellulare
implicato. Oppure il complesso SHBG-steroide potrebbe essere internalizzato
attraverso l’endocitosi e rilasciato all’interno della cellula. Questa ipotesi potrebbe
rappresentare una spiegazione dell’effetto indipendente svolto dall’SHBG sul
metabolismo osseo.
Comunque l’espressione di questo recettore di membrana nell’osso non è stata
ancora dimostrata e non è stato ancora elucidato come l’SHBG possa attraversare
la barriera endoteliale. Khosla et al. hanno ipotizzato quale possa essere la causa
della differenza degli effetti dell’SHBG nei giovani, in cui provoca un aumento
dell’apposizione periostea e negli anziani, in cui determina una perdita ossea.
Questo ipotetico modello è basato sull’opposta funzione dell’SHBG in base
all’esposizione agli steroidi sessuali. Quando sono presenti livelli sufficienti di
ormoni steroidei l’azione biologica degli steroidi sessuali sembra essere
amplificata dalla via del recettore megalina, mentre quando si ha un deficit di
steroidi sessuali il ruolo dell’SHBG come proteina legante rappresenta un fattore
limitante per gli effetti degli steroidi sessuali sull’osso. Questo modello ipotetico
deve essere ancora dimostrato (13), mentre è certa una significativa correlazione
inversa tra i livelli di SHBG e la BMD (14-17). Tuttavia lo studio MINOS non
riscontrava tale associazione negativa tra i due parametri dopo una correzione
per età e peso (18). Un recente lavoro ha rilevato un’associazione tra i livelli di
SHBG e il rischio di fratture, (19) confermando la necessità di indagare con
ulteriori studi il ruolo di questa proteina di trasporto nella regolazione del
metabolismo scheletrico nei soggetti di sesso maschile.
11
Ipogonadismo e metabolismo minerale
Fisiologicamente gli ormoni steroidei sessuali hanno un effetto sia sugli
osteoblasti che sugli osteoclasti (20).
In vitro, gli androgeni inibiscono l’apoptosi cellule osteoblastiche, mentre gli
androgeni inducono l’apoptosi degli osteoclasti e sopprimono la differenziazione
osteoclastica RANKL-indotta (21-23).
Inoltre il testosterone può essere convertito dall’enzima citocromo P 450
aromatasi nel 17 beta estradiolo. Quindi anche nell’uomo esiste una quota di
estrogeni coinvolta nel complesso equilibrio di regolazione del metabolismo osseo
(24).
E’ stato dimostrato come i livelli di testosterone libero, ma non quello totale
correlano con la densità minerale ossea (25) e sono risultati predittori di rischio
frattura da trauma minimo anche in studi in cui non correlano alla densità
minerale ossea (26). Questi risultati suggeriscono che gli effetti del testosterone
sul rischio di fratture in uomini adulti-anziani possa essere mediato da fattori
non scheletrici, come la forza muscolare ed il rischio di cadute (27).
L’associazione più consistente con il rischio di fratture è stata riscontrata negli
uomini con basse concentrazioni di entrambi gli steroidi sessuali ed alti livelli di
SHBG, suggerendo che l’effetto cumulativo degli steroidi sessuali con i livelli di
SHBG possa avere un’importanza fondamentale (19).
Questo studio conferma inoltre precedenti osservazioni secondo le quali gli
steroidi sessuali in forma biodisponibile o libera sono maggiormente associati con
i parametri ossei, in particolare con il rischio di fratture, rispetto alle
concentrazioni totali.
A parte i documentati effetti del testosterone sul tessuto osseo, gli androgeni sono
in grado di influenzare il metabolismo scheletrico attraverso anche altri
meccanismi. Per esempio aumentano l’assorbimento intestinale del calcio
attraverso l’aumento della sintesi della vitamina D attiva (28), oppure
aumentando il riassorbimento del calcio a livello renale (29).
I pazienti ipogonadici con osteoporosi sembrano quindi giovarsi di una terapia
con testosterone (30), tuttavia non esistono studi sulla riduzione del rischio di
frattura nei pazienti trattati con tale terapia.
12
HIV e metabolismo minerale
La letteratura più recente mostra come la genesi delle alterazioni ossee negli
individui HIV positivi sia un fenomeno multifattoriale riconducibile in parte
all’azione diretta del virus sulle cellule ossee o sul loro ambiente, in parte
all’azione dei farmaci e infine sia da ascrivere agli effetti che l’infezione può avere
sui sistemi endocrini. La possibilità che il virus infetti direttamente le cellule
costituenti l’osso è ancora argomento di discussione.
L’infezione da HIV provoca una serie di effetti che sono di per se fattori di rischio
per l’insorgenza di patologie del metabolismo osseo. Questi includono il basso
indice di massa corporea (BMI), l’inattività fisica, il malassorbimento; inoltre negli
individui sieropositivi spesso si associano stili di vita in cui è presente l’abuso di
alcolici e l’uso di droghe.
Infatti, è stata riscontrata una prevalenza di alterazioni ossee nei pazienti HIV
positivi maggiore rispetto a controlli sani: osteoporosi nel 26,8% ed osteopenia nel
53,7% dei casi (31). La riduzione della massa ossea in questi soggetti si associa
ad un incremento del rischio di frattura (32).
Nel precedente capitolo è stato valutato il ruolo dell’ipogonadismo nella genesi
delle alterazioni scheletriche dei pazienti HIV positivi. Verrà ora valutato il ruolo
dell’infezione del virus dell’HIV e il ruolo dei farmaci nell’induzione del danno
scheletrico.
Fattori di rischio per osteoporosi nei pazienti HIV positivi
Virus HIV
Terapia HAART
Basso indice di massa corporea
Tabagismo
Alcolismo
Droghe (oppioidi, metadone etc.)
Alterazioni endocrine (ipogonadismo)
Deficit di vitamina D
Figura 2: Fattori di rischio per osteoporosi nei pazienti HIV positivi
13
Il ruolo dell’infezione da HIV
I linfociti T CD4+ infettati dal virus HIV o esposti alla glicoproteina dell’envelope
gp120 del virus sono in grado di produrre il ligando del recettore attivatore del
fattore nucleare kB (RANKL), mediatore fondamentale dell’attività osteoclastica
(33). Infatti il RANKL è un mediatore specifico appartenente alla famiglia del
Tumor Necrosis Factor (TNF), che viene prodotto dagli osteoblasti a seguito di
svariati stimoli, che possono essere di natura ormonale, citochine o fattori di
crescita. Il RANKL è in grado di legarsi a un recettore specifico (RANK) espresso
sia sulle cellule progenitrici degli osteoclasti, sia sugli osteoclasti maturi.
L’interazione del RANKL con il RANK determina la trasformazione dei precursori
mononucleati in osteoclasti maturi. Questo meccanismo è essenziale per la
formazione, la funzione e la sopravvivenza dell’osteoclasta ed è una condizione
necessaria affinché gli osteoclasti possano svolgere l’attività di riassorbimento
osseo a cui sono deputati. L’osteoprotegerina (OPG) è un fattore solubile prodotto
dagli osteoblasti, strutturalmente simile al RANK. L’OPG agisce da recettore
“esca” legando il RANKL prima della sua interazione con il RANK e di fatto
bloccandone le attività biologiche.
In pazienti con infezione da HIV è stato descritto un significativo aumento dei
livelli di RANKL nel plasma con una alterazione del RANKL/OPG ratio. E’ stato
mostrato come l’aumento di RANKL correli con alti livelli plasmatici di RNA virale
indicando una diretta relazione tra lo stato di infezione da HIV e la sintesi di
RANKL (34).
E’ stata recentemente dimostrata una correlazione tra i livelli di RANKL elevati
negli uomini HIV positivi e una ridotta densità minerale ossea (34).
Anche altre citochine infiammatorie che stimolano il riassorbimento osseo, sono
aumentate in corso di infezione da HIV, anche durante la fase asintomatica come
l’interleuchina 1 (IL-1), l’interleuchina 6 (IL-6) ed il fattore di necrosi tumorale alfa
(TNFα) (35).
Il TNFα media, in vitro, l’apoptosi degli osteoblasti umani in risposta alla proteina
gp120 presente sulla superficie di HIV (36).
Recentemente è stata analizzata l’interazione tra proteine specifiche del virus
dell’HIV e le cellule mesenchimali in corso di differenziamento verso osteoblasti.
In particolare le proteine virali p55gag e gp120 causano un’alterazione di specifici
fattori di trascrizione coinvolti nella differenziazione e nell’attività degli
osteoblasti. La gp120 è, infatti, in grado di provocare l’attivazione del Peroxisome
Proliferator-Activated Receptor gamma (PPAR-γ) che determina uno switch
differenziativo da osteoblasti ad adipociti (37,38).
14
Il ruolo della terapia HAART
La terapia HAART tipicamente combina analoghi nucleosidici della transcrittasi
inversa (NRTI) con o un inibitore delle proteasi di HIV (PI) o un inibitore non
nucleotidico della transcrittasi inversa (NNRTI). Nonostante risultati controversi
riguardo l’utilizzo di antiretrovirali e perdita di massa ossea, esistono numerosi
lavori in letteratura che hanno tentato di analizzare i possibili meccanismi di
danno osseo causati dalle specifiche classi antiretrovirali.
L’inizio della terapia HAART determina una perdita di massa ossea di circa il 26% sia a livello della colonna lombare che a livello femorale come mostrato dai
valori densitometrici ottenuti in diversi studi randomizzati (39-42). La perdita
maggiore sembra esserci nei primi 6 mesi di terapia, con una stabilizzazione dopo
circa 2 anni inizialmente a livello lombare e poi a livello femorale.
Tra tutti i farmaci antiretrovirali i regimi che comprendono l’utilizzo del tenofovir
sembrano determinare una maggiore perdita di massa ossea rispetto ad altri
regimi terapeutici (43). Probabilmente perché il tenofovir determina una perdita di
fosfati urinari, causando un’ipofosfatemia ed una osteomalacia.
In un recente studio sono stati comparati gli effetti della terapia antiretrovirale
con regime continuato rispetto ad una assunzione intermittente dei farmaci. Dopo
un follow-up di 2,4 anni, la terapia con regime continuato è stata associata ad un
significativo aumento della perdita ossea a livello della colonna e del femore
rispetto alla terapia intermittente (44).
I meccanismi potenziali con i quali i farmaci antiretrovirali possono alterare
negativamente la densità minerale ossea sono stati identificati in vitro.
L’azidotimidina ed altri NRTI stimolano l’osteoclastogenesi in vitro e riducono la
BMD nei topi. Gli NRTI potrebbero provocare anche un danno ed una disfunzione
mitocondriale a causa della loro inibizione sulla polimerasi gamma mitocondriale.
Si pensa che questa alterazione causi un aumento dei livelli di lattato in alcuni
individui trattati con questo tipo di farmaci, fenomeno legato ad un aumento del
riassorbimento osseo (45-46).
Altri studi in vitro hanno valutato la possibile associazione tra l’uso degli inibitori
delle proteasi e ridotti livelli sierici della vitamina D. La vitamina D è essenziale
per il mantenimento di una normale struttura ossea. Gli effetti biologici sul
rimodellamento dell’osso sono consentiti dalla 1,25-diidrossivitamina D3
(Calcitriolo), un potente ormone calciotropico. L’attivazione della vitamina D in
calcitriolo necessita di una 25-idrossilazione nel fegato seguita da una 1αidrossilazione della 25 –idrossi vitamina D3 nelle cellule del tubulo prossimale
15
renale, mentre il catabolismo della vitamina D è principalmente determinato dalla
24-idrolasi.
Gli inibitori delle proteasi sembrano inibire l’1-α-idrossilasi portando ad una
riduzione dei livelli sierici di 1,25(OH)2D, compromettendo la salute scheletrica
(47-48).
Un’altra possibilità teorica riguarda l’inibizione da parte dei PI dell’aromatasi,
enzima cui spetta il compito di aromatizzare il testosterone in estrogeni, processo
essenziale ai fini di una corretta maturazione ossea. Questo enzima fa parte del
sistema del citocromo P450, e la sua inibizione da parte degli inibitori della
proteasi potrebbe pertanto creare, specie nei maschi, alterazioni a carico del
sistema endocrino.
Gli effetti molecolari dei farmaci utilizzati nei regimi HAART sembrano quindi
aumentare la fragilità scheletrica dei pazienti HIV positivi, ma una recente metaanalisi mostra come la terapia cronica sembra stabilizzare la densità minerale
ossea. La meta-analisi evidenzia alcune discrepanze tra i vari studi legate ad una
mancanza di stratificazione del campione per i principali fattori di rischio noti per
l’osteoporosi (49). In particolare in questi pazienti sembra necessario valutare
l’indice di massa corporeo e l’ipogonadismo. Inoltre i dati riguardanti la relazione
tra infezione da HIV e fratture rimane incerto. Alcuni studi mostrano un
incremento, mentre altri dopo aver corretto i dati per i fattori di rischio, negano
un tale evidenza (50-52).
Un’ipotesi che spiegherebbe la discordanza dei dati presenti in letteratura
potrebbe essere la complessità della terapia HAART, che non permette un’analisi
del ruolo di un singolo farmaco perché usato sempre in sinergia con altre classi
farmacologiche. Inoltre manca in molti studi un gruppo di controllo con gli stessi
fattori di rischio del gruppo dei pazienti HIV positivi.
16
LO STUDIO
Background
Nonostante la copresenza di numerosi fattori di rischio per osteoporosi nei
pazienti HIV positivi, la Fondazione nazionale degli Stati Uniti dell’Osteoporosi
(NOS), così come le linee guida europee, non raccomandano di effettuare come
screening la densità minerale ossea in tutti i pazienti HIV positivi. Entrambe
affermano che solo le donne in post menopausa e gli uomini di età superiore ai 50
anni dovrebbero effettuare la misurazione della BMD se sono presenti fattori di
rischio (53). Per la valutazione di fattori di rischio nella popolazione generale uno
strumento utile, è l’algoritmo FRAX. Si tratta di un algoritmo che valuta la
probabilità del rischio di frattura a 10 anni in uomini e donne sulla base di
classici fattori, come l’età, il sesso, il peso e l’altezza, le pregresse fratture, le
familiarità positiva per frattura di femore, l’abitudine tabagica, l’utilizzo attuale di
corticosteroidi, l’artrite reumatoide, la presenza di osteoporosi secondarie, l’ alcol
(>3 unità/die), da soli o integrati con la BMD (54). Tuttavia il FRAX non è stato
validato per i pazienti HIV positivi, e si ipotizza che il FRAX possa sottostimare il
rischio di frattura in questa popolazione (55). Infatti, sebbene l’algoritmo FRAX
permetta l’inclusione dell’osteoporosi secondaria come fattore di rischio, non
prende in considerazione la combinazione di fattori multipli in un singolo
paziente. Per esempio, il FRAX non è in grado di inserire contemporaneamente la
presenza di sieropositività per il virus HIV e l’ipogonadismo come cause
secondarie di osteoporosi (56).
L’importanza dell’individuazione dei pazienti a rischio è legata alla progressiva
riduzione della BMD nei pazienti HIV positivi come mostrato da studi
longitudinali (57). Purtroppo questi studi non prendono in considerazione
l’ipogonadismo, sottovalutando il suo ruolo non solo nell’eziopatogenesi, ma
anche nella risposta alla terapia per l’osteoporosi. Ad oggi i bisfosfonati sono
l’unica terapia utilizzata per l’osteoporosi nei soggetti HIV positivi. Alcuni studi
hanno mostrato come lo zoledronato e l’alendronato aumentino la BMD senza
considerare però il ruolo dell’ipogonadismo (58-60).
Tra i bisfosfonati, il risedronato riduce l’incidenza di fratture vertebrali e non
vertebrali, aumenta la BMD a livello femorale e lombare (61), ed ha la
caratteristica di aver minore gastrolesività e una buona compliance legata alla
somministrazione mensile (62). Inoltre, si è dimostrato efficace nei pazienti con
tumore della prostata trattati con terapia anti-androgenica (63).
17
Scopo dello studio:
- Valutare la prevalenza di osteoporosi, fratture da fragilità e ipogonadismo nei
soggetti HIV positivi trattati con HAART
- Valutare se l’algoritmo FRAX sia in grado di stabilire il rischio di frattura a dieci
anni, e se sia possibile implementarlo aggiungendo anche il valore di un
questionario che valuti i sintomi dell’ipogonadismo (AMS) nei pazienti HIV positivi
trattati con HAART
- Valutare l’effetto del risedronato sulla BMD e sui marker di rimodellamento
osseo dividendo il campione dei soggetti HIV positivi trattati con HAART in
soggetti ipogonadici e non ipogonadici.
Materiali e metodi
Soggetti
Sono stati arruolati 50 pazienti maschi consecutivi affetti da HIV di tipo 1, di età
compresa tra i 35 ed i 70 anni, seguiti presso l’ambulatorio dell'Istituto di
Malattie Infettive della Università "La Sapienza" di Roma nel 2009 e 27 pazienti
maschi di controllo HIV negativi.
Nel mese di settembre, mediante un contatto telefonico, si è proceduto
all’arruolamento del campione che è stato convocato tra il mese di settembre e di
dicembre dello stesso anno presso il Servizio di Malattie del Ricambio Minerale
della Università "La Sapienza" di Roma. Previo consenso informato, ogni soggetto
è stato inizialmente sottoposto ad un esame medico generale ed esami
ematochimici di routine al fine di escludere eventuali cause di osteoporosi
secondaria e patologie endocrine tra le quali: pregressa diagnosi di ipogonadismo,
iper- o ipotiroidismo e alterazioni note dell’ asse ipofisi-surrene.
Criteri di esclusione comprendevano l’utilizzo pregresso o attuale di sostanze
stupefacenti e/o uso corrente di metadone, clearance della creatinina <60
ml/min., diagnosi di neoplasia, e precedente diagnosi di positività per HCV e
HBV. Nessun paziente aveva una pregressa diagnosi di osteoporosi involutiva né
assumeva farmaci attivi sul turnover scheletrico (ad es. bisfosfonati, calcitonina e
supplementi farmacologici di calcio e vitamina D). Nessuno dei soggetti studiati
assumeva farmaci in grado di interferire con il metabolismo minerale (cortisonici,
diuretici, levo-tiroxina, antiepilettici, litio, testosterone.) Nessun paziente
assumeva inibitori delle fosfodiesterasi.
18
Disegno dello studio
Dopo una prima visita medica, in ciascun paziente veniva effettuato un prelievo di
sangue per la determinazione del metabolismo calcio-fosforico, per la valutazione
endocrinologica e per la stadiazione immunologica dell’ infezione da HIV.
Per la valutazione del metabolismo calcio-fosforico abbiamo dosato: la calcemia, il
calcio ionizzato, la fosforemia, la 25-idrossi-vitamina D, il paratormone,
l’isoenzima osseo dalla fosfatasi alcalina, il telopeptide C terminale del collagene
di tipo I, la creatinina, la calciuria delle 24 ore.
Per la valutazione endocrinologica abbiamo dosato: il testosterone totale,
l’albumina, l’SHBG, l’LH. Per la stima della stadiazione di malattia (solo nei
pazienti con infezione da HIV) abbiamo considerato il livello dei linfociti T CD4 e
l’HIV RNA. Ciascun paziente è stato sottoposto alla radiografia della colonna
dorso-lombare con valutazione morfometrica secondo Genant. Inoltre tutti i
soggetti arruolati sono stati sottoposti a densitometria ossea (DEXA) a livello
lombare (L1-L4) e femorale.
Il campione dei soggetti con infezione da HIV (gruppo A) è stato suddiviso in due
sottogruppi in base alla presenza di fratture osteoporotiche vertebrali e/o a valori
densitometrici osteoporotici ad almeno uno dei siti esaminati L1-L4 e/o collo
femorale in base ai criteri WHO (64). Al primo gruppo con fratture o valori
densitometrici di osteoporosi è stato aggiunto il gruppo dei pazienti con fratture
con osteopenia e fratture vertebrali o periferiche, causate da trauma di lieve
entità occorse dopo la diagnosi di HIV (gruppo A1, n= 23). La restante parte del
campione aveva valori densitometrici normali o osteopenia senza fratture (gruppo
A2, n=27).
Per i primi 12 mesi, i gruppi A1 e A2 sono stati trattati con colecalciferolo 800
UI/die e calcio 1 gr/die per os. Dopo 12 mesi, il gruppo A1 ha assunto
risedronato 75 mg per os per due giorni consecutive al mese, 30 minuti prima di
colazione per altri 12 mesi. Il gruppo A2 ha continuato lo stesso trattamento con
calcio e colecalciferolo per altri 12 mesi.
Ogni sei mesi, ogni paziente è stato sottoposto a valutazione biochimica come
descritto per la prima visita, e ha completato il questionario AMS. Inoltre, i
pazienti ogni 6 mesi sono stati sottoposti a densitometria lombare e femorale.
All’arruolamento e a 24 mesi è stata effettuata una radiografia della colonna
dorso lombare. Nel gruppo A1 e A2, il campione è stato suddiviso in base alla
presenza di ipogonadismo quando il free testosterone stimato risultava ≤ 225
pmol/L e/o quando il valore dell’AMS risultava >37.
19
Metodiche di laboratorio
In ciascun soggetto è stato effettuato un prelievo di sangue la mattina a digiuno
utilizzando tre provette di tipo Vacutainer con il tappo rosso (per il siero), una per
l’esame elettroforetico delle proteine e la determinazione della creatinina, una per
la determinazione dei principali parametri del ricambio calcio-fosforico e dei
marker del turnover scheletrico e una per la determinazione endocrinologica
ormonale. Un'ulteriore provetta con il tappo viola addizionata con EDTA (per il
sangue in toto) è stata utilizzata per la stima dei CD4 e dell’HIV RNA.
A parte gli esami di routine effettuati in giornata, i campioni di sangue sono stati
immediatamente centrifugati e separati in aliquote, quindi conservati in un
congelatore a – 80 °C fino al momento della determinazione, che è stata effettuata
entro e non oltre i tre mesi dal prelievo.
La determinazione dell’HIV RNA è stata effettuata su plasma con tecnica
branched DNA con Kit versant HIV 1, Rna 3.0 assay ( bDNA), Siemens (65). I
coefficienti di variazione intra- ed interdosaggio sono risultati, inferiori a 23 % e
19 % rispettivamente. I livelli di CD4 sono stati determinati su plasma con
tecnica di citoimmunofluorescenza (Facscalibur, Becton, Dickinson, SanJose, Ca,
USA) (66). I coefficienti di variazione intra- ed interdosaggio sono risultati,
inferiori a 3,7% e 4 % rispettivamente.
Il calcio ionizzato è stato determinato attraverso l’utilizzazione di un elettrodo
selettivo (Nova 8 ion selective electrode; Nova, Biochemical, electrode, Waltham,
MA), come descritto precedentemente (67). Il valore della clearance della
creatinina (ClCr) è stato calcolato secondo la formula di Cockcroft e Gault che
tiene conto dell’età (espressa in anni), del peso corporeo (espresso in Kg) e del
sesso: clearance della creatinina stimata = (140 – età) x peso corporeo /creatinina
sierica x 72 (68). La calcemia, la fosforemia e I livelli sierici di 25 - idrossi vitamina D [25 (OH) D] sono stati determinati con metodo radioimmunologico
(DiaSorin Inc., Stillwater, MN, USA) come descritto precedentemente (69). I
coefficienti di variazione intra- ed interdosaggio del metodo sono risultati
rispettivamente dell’8,1 % e del 10,2 %. I livelli circolanti di paratormone sono
stati determinati con metodica immunoradiometrica (N-tact PTHSP, DiaSorin
Inc., Stillwater, MN, USA)(70). I coefficienti di variazione intra- ed interdosaggio
del metodo sono risultati rispettivamente del 3,0 e del 5,5%, rispettivamente. I
livelli sierici del telopeptide C terminale del collagene di tipo I (bCTX) sono stati
determinati con metodica ELISA (SerumCrossLaps ELISA, Nordic Bioscience
Diagnostic A/S, Herlev, Denmark) (71). I coefficienti di variazione intra- ed
interdosaggio sono risultati, nel nostro laboratorio, inferiori a 5,1% e 5,4%,
rispettivamente. L’isoenzima osseo della fosfatasi alcalina (BALP) è stato misurato
mediante una metodica immunoenzimatica (Metra Bap Eia Kit, Quidel
20
Corporation, San Diego, CA, USA); i coefficienti di variazione intra- ed
interdosaggio sono risultati, inferiori a 5,6% e 7,8% rispettivamente (72).
L’albumina sierica è stata determinata con apparecchio Hydrasys system (Sebia,
Italia).
La determinazione dei valori di LH e testosterone ed della SHBG è stata effettuata
su siero con apparecchio Architect (Abbott)(74). I coefficienti di variazione intradosaggio sono risultati rispettivamente del 2,5% per l’LH e del 1,9% per il
testosterone, e quelli inter-dosaggio del 2,9% per l’LH e del 3,7% per il
testosterone.
Il testosterone libero è stato calcolato come precedentemente descritto (73).
Esami strumentali
In ciascun paziente è stata misurata la densitometria minerale ossea con tecnica
DEXA a livello lombare (L1-L4), femorale a livello del collo (neck) e totale (total)
con apparecchio Lunar, (GE, iDXA, Madison, WI). L’ errore di precisione delle
misurazioni a livello lombare e femorale è stato di 1,3 e 1,7% rispettivamente.
Ciascun paziente è stato inoltre sottoposto ad una radiografia laterale standard
del tratto toracico e lombare della colonna centrato su T8 ed L3, rispettivamente,
con una distanza dal film di 105 cm. Mediante la morfometria vertebrale sono
state indagate deformità vertebrali secondo il metodo di Genant da almeno due
osservatori indipendenti con esperienza specifica (74) .
Aging Males’ Symptoms (AMS) scale
Aging Males’ Symptoms (AMS) scale è un questionario anonimo creato per
valutare e categorizzare la severità dei sintomi che valutano la qualità della vita
associata allo stato di salute. La scala AMS consiste di 17 domande ognuna delle
quali prevede una risposta con 5 gradi di severità (da 1 a 5 punti per ogni
domanda). I sintomi sono generalmente valutati attraverso la somma dei punti
attribuiti ad ogni domanda, considerando uno score totale e/o 3 subscores (
psicologico, somatico e sessuale). Il sub score psicologico è dato dalla somma dei
punteggi delle domande: 6, 7, 8, 11 e 13; il sub score somatico è dato dalla
somma dei punteggi delle domande da 1 a 5, 9 e 10, il sub score sessuale è dato
dalla somma dei punteggi delle domande 12 e dalla 14 alla 17. La severità dei
sintomi valutata attraverso il punteggio totale è classificata come:
21
assente/minima (da 17 a 26), lieve (da 27 a 36), moderata ( da 37 a 49) e severa
(uguale o superiore a 50)(75).
FRAX
Per ogni paziente è stato calcolato l’algoritmo FRAX per le fratture osteoporotiche
maggiori (frattura clinica della colonna, del polso, del femore e prossimale dell’
omero) e per la sola frattura di femore, senza la BMD (FRAX: WHO fracture risk
assessment tool, http://www. shef.ac.uk/frax/).
Analisi statistica
I dati sono presentati come medie ± una deviazione standard. Per valutare le
differenze tra le frequenze nei gruppi è stato utilizzato il test del chi quadro. Sono
utilizzati test non parametrici per il confronto delle medie tra i gruppi in esame,
quando appropriato (test di Mann- Whitney). Per identificare quale variabile
identificasse meglio i pazienti con osteoporosi e fratture è stata costruita una
Receiver Operating Characteristic (ROC) per ogni variabile, valutando la
sensibilità e la specificità di ciascuna di esse (95% intervallo di confidenza). Per
valutare le differenze tra le variabili nel tempo è stato utilizzato il test di
Friedman. I risultati sono stati considerati significativi quando si è ottenuta una
probabilità inferiore a 0,05. L’ analisi statistica è stata condotta con SPSS
software (release 10, SPSS Inc., Chicago, IL, USA).
22
Risultati
Sono stati studiati cinquanta maschi HIV-positivi (età media 48,6±9,4 anni, range
40-69 anni), gruppo A, e 27 maschi HIV-negativi (età media 49,1±8,3 anni, range
40-69 anni), gruppo B. La media degli anni di diagnosi dall’ infezione dell’ HIV era
10,1±5,8 anni. Tutti i pazienti erano trattati con HAART con soppressione della
replicazione virale (Tabella 1). Infatti 88% dei pazienti HIV positivi aveva valori di
HIV RNA <50 copie/ml.
Nel gruppo A è stata riscontrata una maggior prevalenza di osteoporosi
rispetto al gruppo B (24% vs 3.7%, p = 0,05), considerando entrambi i siti
lombare e femorale (Tabella 2), in accordo con i criteri diagnostici della
organizzazione Mondiale della sanità [normale (T-score ≥1 SD), osteopenia (Tscore tra -1 e < -2,5 SD) e osteoporosi (T-score ≤ -2,5 SD)]. Sono state riscontrate
9 fratture radiologiche vertebrali (moderate, secondo Genant) nei pazienti HIV
positivi, mentre nessuna frattura è stata riscontrata nel gruppo B (p = 0,04). Sono
state escluse, grazie alla anamnesi, le fratture traumatiche.
Sono stati valutati i fattori di rischio per osteoporosi, come: l’indice di massa
corporea, l’abitudine tabagica, l’utilizzo di alcolici, familiarità per fratture e le
fratture periferiche. L’introito di calcio è stato valutato mediante la
somministrazione di un questionario (76), la dieta è stata considerata carente per
un introito giornaliero inferiore a 1000 mg (Tabella 3).
Per ciò che concerne i fattori di rischio per osteoporosi non vi è differenza tra i
due gruppi, l’unica differenza è rappresentata da un maggior numero di fratture
periferiche nei pazienti HIV positivi (p = 0,03).
I parametri biochimici nei due gruppi sono riportati nella tabella 4. In particolare,
nel gruppo A è stata riscontrata un’elevata prevalenza di ipovitaminosi D, infatti il
58% dei pazienti avevano valori di 25(OH)D inferiori a 50 nmol/L (20 ng/mL), il
valore soglia proposto dall’ Institute of Medicine (IOM) (77), rispetto al 29% dei
controlli (p = 0,03). Considerando il profilo endocrino, non vi erano significative
differenze tra i pazienti HIV positivi e i controlli. I pazienti HIV positivi avevano
valori elevati di SHBG (73,5±37,5 vs 38,4±11,3 nmol/L, p = 0,001), rendendo
falsamente normali i livelli circolanti di testosterone totale, con ridotti valori di
testosterone libero calcolato, con livelli lievemente aumentati di LH (4,0±1,7 vs
2,4±1,0 mUI/mL, p = 0,001). Quindi è stata riscontrata una maggior prevalenza
di ipogonadismo biochimico (free testosterone ≤ 225 pmol/L) nei pazienti HIVpositivi rispetto ai controlli (26% vs 4%, p = 0,04). La diagnosi biochimica è
supportata da un’elevata prevalenza di sintomi correlati all’ipogonadismo; come si
evince dall’AMS, con valori patologici (≥ 27) nel 62% dei soggetti nel gruppo A
rispetto al 41% del gruppo B (p = 0,04).
23
Il calcolo del FRAX senza BMD (considerando l’HIV come una causa secondaria di
osteoporosi) ha mostrato valori per le fratture maggiori di 5,2% ± 2,6% e di 3,9% ±
1,3% nel gruppo A e B, rispettivamente (p = 0,01). I valori corrispondenti di FRAX
per le fratture di femore non differivano statisticamente tra i due gruppi (0,7% ±
0,7% vs 0,5 ± 0,6%, p = 0,2). Inoltre è stato calcolato il FRAX anche nel gruppo di
pazienti HIV con fragilità scheletrica, includendo sia pazienti con T-score <-2,5
sia pazienti con T-score tra -1 e -2,5 con fratture periferiche. Il FRAX per le
fratture femorali è risultato 0,9% ± 0,8% vs 0,2% ± 0,2% (p = 0,003); per le
fratture maggiori 5,7% ± 2,8% vs 3,9% ± 1,4% (p = 0,03). Nessun paziente con
fragilità scheletrica aveva un FRAX maggiore del valore soglia del 20% per le
fratture maggiori e solo 4 pazienti avevano un FRAX per le fratture femorali ≥ 3%.
Sono state costruite delle curve ROC per valutare se il FRAX senza BMD potesse
predire la fragilità scheletrica nei pazienti HIV positivi. Abbiamo considerato il
valore soglia di 7% per le fratture osteoporotiche maggiori, poiché questo valore
soglia è quello indicato come cost-effective, da Kanis et al. per il trattamento con
alendronato generico (78). Considerando questo valore soglia, il FRAX per le
fratture maggiori ha una sensibilità del 23% e una specificità del 100% (AUC
0,76, p=0,002). Le curve ROC per il FRAX per le fratture di femore non sono
risultate statisticamente significative. L’AMS si è rivelato in grado di individuare i
pazienti ipogonadici con una buona sensibilità (71,4%) ma con una bassa
specificità (40,5%), con un valore predittivo positivo del 31,3% e negativo del
79,0%. Abbiamo costruito una curva ROC per valutare la capacità dell’AMS di
identificare i pazienti con fragilità scheletrica. Abbiamo notato che per un valore
patologico ≥ 27, la sensibilità nell’identificare pazienti con fragilità scheletrica era
dell’82,6% mentre la specificità risultava del 42,9%, (AUC 0,67, p=0,04). Infine
abbiamo costruito una curva ROC considerando sia il valore patologico dell’AMS
(>27) che il valore soglia del FRAX per le fratture maggiori del 7%. Abbiamo
osservato un significativo miglioramento della sensibilità (77,3%) e della
specificità 69,0% (cut-off: 34, AUC= 0,71, p = 0,02).
Durante l’intero periodo di osservazione (24 mesi), 1 paziente è stato perso nel
follow-up per una nuova diagnosi di neoplasia prostatica, altri 2 pazienti per una
nuova co-infezione con la sifilide. Tre pazienti sono stati esclusi per una nuova
co-infezione da HCV e altri 3 per epigastralgia dopo somministrazione di calcio
per via orale per cui hanno deciso di non continuare lo studio. L’elaborazione
statistica è stata effettuata solo nei pazienti che hanno terminato lo studio.
Durante il periodo dello studio, la terapia HAART è rimasta immodificata e non si
è osservata nessuna alterazione statisticamente significativa sia per i CD 4 che
per l’HIV RNA così come per l’indice di massa corporea.
Nella tabella 5, sono mostrati il trattamento farmacologico e i valori
densitometrici dei pazienti HIV positivi che hanno terminato lo studio a 24 mesi,
divisi in base alla presenza di osteoporosi (gruppo A1, n = 20) e non osteoporotici
24
(gruppo A2, n= 21). Non si è osservata alcuna differenza tra i gruppi in esame tra
età, anni dalla diagnosi, indice di massa corporea, CD 4 e HIV RNA.
Nella tabella 6, sono riportati i valori biochimici e AMS score in entrambi i gruppi.
I livelli di free testosterone così come l’AMS score sono rimasti stabili durante
tutto il periodo. Durante 24 mesi, non sono state riscontrate nuove fratture
cliniche o radiologiche. Nel gruppo A1 non è stata riscontrata alcuna differenza
per i parametri esaminati eccetto che per valori di testosterone libero e l’AMS, così
come nel gruppo A2.
In tutti i pazienti, è stata effettuata una correzione della insufficienza vitaminica
D con colecalciferolo nei pazienti con livelli inferiori a < 20 nmol/l seguendo le
linee guida Europee (79).
La figura 3, mostra nel gruppo A1 le modificazioni percentuali rispetto ai valori
basali della densità minerale ossea a livello lombare. Per i primi 12 la BMD è
rimasta stabile, mentre dopo 12 mesi di terapia con risedronato, si è osservato un
incremento significativo a livello lombare nei soggetti non ipogonadici,
significativamente maggiore rispetto agli ipogonadici (5,2% ± 1,0 SE vs 3,1% ± 0,8
SE, p<0,05).
Le modificazioni della BMD femorale non sono risultate
statisticamente significative in entrambi i gruppi. Un decremento si è osservato
anche per la BALP in entrambi i gruppi come mostrato nella figura 4, sebbene
non ci siano differenze tra i soggetti ipogonadici e non ipogonadici a 24 mesi, ma
solo a 18 mesi. La figura 5 illustra nel gruppo A1 la modificazioni percentuali
rispetto ai valori basali del ß-CTX. Dopo l’inizio della terapia con risedronato, si è
osservato un decremento significativo che persiste per tutto il periodo di studio,
significativamente maggiore nei soggetti non ipogonadici rispetto agli ipogonadici.
Nel gruppo A2, la BMD a livello lombare e femorale è rimasta stabile. Si è
riscontrato un significativo decremento del ß-CTX per tutto il periodo in studio
nei pazienti ipogonadici (-11,2% ± 2,8 SE rispetto ai valori di base, p<0,05); e un
minor decremento della BALP (-5,4% ± 2,3 SE rispetto ai valori di base, p<0,05).
Anche nei pazienti non ipogonadici si è osservato un decremento del ß-CTX (13,1% ± 2,6 SE rispetto ai valori di base, p<0,05); e un minor decremento della
BALP (-8% ± 4,5 SE rispetto ai valori di base, p<0,05). Non si è osservata nessuna
differenza tra le modificazioni dei markers del turnover nel gruppo A2 tra i
pazienti ipogonadici e non ipogonadici.
25
Discussione
Lo studio mostra come i pazienti di sesso maschile HIV-positivi trattati con
HAART abbiano una elevata prevalenza di osteoporosi, come mostrato dalla
misurazione DEXA, e un incremento significativo di fratture vertebrali
radiologiche rispetto ai soggetti sani di controllo. Inoltre abbiamo osservato una
prevalenza significativamente maggiore di fratture periferiche. Questi rilievi sono
in linea con la maggior parte degli studi presenti in letteratura che indicano un
aumento della fragilità ossea nei pazienti HIV positivi (80,81).
Un altro rilievo interessante del nostro studio, è l’elevata prevalenza di
ipovitaminosi D in questi pazienti, rispetto ai controlli sani. Questo potrebbe
essere un altro cofattore che contribuisce alla ridotta resistenza ossea. Tale
risultato è simile a quello recentemente ottenuto in una popolazione italiana
anche più giovane (82). Oltre alle tradizionali cause di ipovitaminosi D che
conducono ad insufficienza vitaminica D, nei pazienti HIV positivi si aggiunge
anche l’effetto negativo dell’HAART sul metabolismo della vitamina D (83).
Il nostro campione era caratterizzato da una elevata prevalenza di ipogonadismo
significativamente maggiore rispetto ai controlli sani, come si può osservare sia
dai valori biochimici che dai valori dell’AMS. Abbiamo calcolato il testosterone
libero, poiché questo risulta l’unico modo corretto di valutarlo, soprattutto nei
pazienti HIV positivi, per gli elevati livelli di SHBG in questa popolazione (84).
Tuttavia, la diagnosi di ipogonadismo non può basarsi solo sulla valutazione
biochimica. L’AMS è stato proposto come strumento per valutare accuratamente i
sintomi clinici secondari alla deficienza di testosterone (85). Nel nostro studio,
l’AMS non correla con i livelli di free testosterone (dati non riportati) in accordo
con studi precedenti nella popolazione generale (86); tuttavia come dimostrato
precedentemente, è in grado di individuare un numero diverso di soggetti con
deficit androgenico rispetto alla sola valutazione con valori biochimici. L’elevata
prevalenza, anche in soggetti normali, di anormali valori di AMS è in linea con la
letteratura (85) e riflette la sensibilità individuale agli androgeni, il polimorfismo
dell’SHBG e la non specificità dei sintomi correlati all’ipogonadismo. Per la prima
volta abbiamo testato l’ AMS per identificare la fragilità scheletrica, mostrando
come il questionario abbia una buona capacità di identificazione e suggerendo
una più vasta applicazione nella valutazione della fragilità di popolazioni
selezionate.
Tutti i dati raccolti sin ora evidenziano il problema della fragilità ossea in larga
parte di pazienti affetti da HIV. Conseguentemente, è necessario individuare
questo gruppo di pazienti per iniziare una terapia. Abbiamo quindi utilizzato il
FRAX per le fratture maggiori e per le fratture di femore sia nel gruppo A che nel
B, considerando solo i fattori di rischio; poiché sono notizie che possono ottenersi
26
facilmente tramite la raccolta anamnestica. Anche se i valori medi di FRAX per le
fratture maggiori erano significativamente più elevati nei pazienti HIV positivi, i
valori assoluti erano molto bassi. Infatti, nessun paziente raggiungeva con il
FRAX la soglia del 20% per le fratture maggiori. A nostra conoscenza, ci sono solo
due studi che hanno testato l’utilizzo del FRAX nei pazienti HIV positivi,
mostrando analoghe limitazioni di questo strumento, con una sottostima del
rischio (87,88). Anche le ultime linee guida Europee dell’AIDS dubitano circa
l’appropriatezza dell’utilizzo del FRAX nei pazienti HIV positivi a causa di una
sottostima del rischio, anche considerando l’HIV come causa secondaria di
osteoporosi (79).
L’incapacità del FRAX di identificare i pazienti HIV a rischio di frattura potrebbe
essere correlato alla presenza di multipli fattori di rischio che contribuiscono alla
fragilità ossea in questi pazienti, ma che non sono inclusi nel FRAX. Per esempio
il FRAX potrebbe sottostimare la probabilità di frattura in un soggetto con una
storia di fratture periferiche, come abbiamo mostrato nella nostra popolazione
(89). Un altro fattore che potrebbe contribuire alla ridotta resistenza scheletrica
nei pazienti HIV positivi è l’insufficienza vitaminica D. Anche se tale parametro
non è incluso nel FRAX, determina una ridotta resistenza scheletrica con un
conseguente aumento del rischio di fratture sia in maniera diretta (qualità
dell’osso) che indiretta (l’insufficienza vitaminica D aumenta il turnover osseo e la
propensione alle cadute).
E’ essenziale individuare i pazienti HIV positivi a rischio specialmente se
consideriamo l’aumentata aspettativa di vita che li predispone alle sequele della
malattia come per esempio le fratture. Quindi, abbiamo testato il FRAX
considerando un valore soglia del 7% per le fratture maggiori, come proposto da
Kanis et al. (78); che corrisponde al valore soglia per cui la terapia con
alendronato è considerata cost-effective. È importante notare che la letteratura ha
dimostrato che il trattamento con l’alendronato aumenta significativamente la
densità minerale ossea in questa popolazione (90). Utilizzando la soglia del 7%
per il FRAX, abbiamo ottenuto una bassa sensibilità e un ottima specificità.
Abbiamo quindi costruito una curva ROC con l’AMS, poiché si tratta di un
questionario semplice, che si somministra in pochi minuti. Abbiamo quindi
combinato un test specifico come il FRAX con uno sensibile come l’AMS,
raggiungendo così una buona sensibilità e specificità nell’identificare soggetti con
fragilità scheletrica. Dato l’obiettivo del nostro studio di identificare i pazienti HIV
positivi a rischio di osteoporosi, questa combinazione ci offre maggiori possibilità
che non avremo ottenuto solo con il FRAX. Sfortunatamente, l’AMS non può
essere utilizzato nella popolazione femminile che quindi resta esclusa da questa
nuova implementazione. La sensibilità e la specificità del FRAX per le pazienti di
sesso femminile affette da HIV dovrà essere valutato da altri studi.
27
Abbiamo quindi dimostrato che utilizzando poche domande relative ai fattori di
rischio clinici insieme con un semplice questionario sull’ipogonadismo, abbiamo
migliorato la sensibilità del FRAX, riducendo leggermente la specificità
identificando i pazienti che necessitano di trattamento farmacologico per
l’osteoporosi (91) .
Il nostro studio ha il merito dopo aver identificato i pazienti a rischio di frattura,
di valutare la terapia con bisfosfonati tenendo conto del ruolo dell’ipogonadismo
nella risposta al trattamento per l’osteoporosi. La nostra popolazione ha la
caratteristica di essere rimasta stabile per ciò che concerne lo stato immunologico
della malattia con valori di HIV RNA e di CD 4 che sono rimasti invariati per i 24
mesi dello studio. Anche la terapia HAART e il BMI sono rimasti stabili durante il
periodo di 24 mesi di studio. Date queste premesse abbiamo valutato la risposta
alla terapia sia della BMD che dei marker di turnover senza altri fattori
confondenti, ma valutando la presenza dell’ipogonadismo. L’incremento nel
gruppo affetto da osteoporosi e ipogonadismo a livello lombare dopo terapia con
risedronato è simile a quello osservato in una popolazione di soggetti affetti da
ipogonadismo iatrogeno, come i pazienti affetti da neoplasia prostatica (92). Il
risedronato riduce anche i marker di turnover nei pazienti osteoporotici, con una
riduzione significativamente maggiore del ß-CTX nei pazienti non ipogonadici
rispetto agli ipogonadici. I pazienti non affetti da fragilità scheletrica non hanno
mostrato variazioni di BMD durante il periodo di studio, come già mostrato in
studi dove era c’era una buona compliance alla terapia HAART (49), anche se in
questo gruppo si è osservata una riduzione dei marker del turnover grazie alla
supplementazione con calcio e vitamina D. Inoltre non abbiamo osservato
nessuna frattura incidente clinica o radiologica durante il periodo in studio.
I pazienti affetti da ipogonadismo e fragilità scheletrica hanno beneficiato della
terapia con risedronato in misura significativamente minore rispetto ai pazienti
non ipogonadici. Per quanto riguarda la BMD a livello femorale, non si è
osservata alcuna variazione probabilmente per il periodo relativamente breve di
osservazione e per la giovane età media del campione studiato.
Infatti, uno dei limiti del nostro studio consiste nel periodo di osservazione di 24
mesi e della numerosità campionaria relativamente piccola. Tuttavia questo
periodo di tempo sembra sufficiente per mostrare un incremento della BMD con
un buon profilo di sicurezza anche in pazienti con ipogonadismo iatrogeno (93).
Un altro limite dello studio è l’inclusione come ipogonadici anche di pazienti HIV
con un free testosterone normale ma un AMS score > 37. Tuttavia questa soglia
per l’AMS indica un ipogonadismo moderato e probabilmente predittivo
d’ipogonadismo franco.
In conclusione data l’elevata prevalenza d’ipogonadismo nei soggetti di sesso
maschile HIV positivi trattati con terapia HAART e di fragilità scheletrica, uno
screening per l’ipogonadismo in questa popolazione dovrebbe essere preso in
28
considerazione. Questi pazienti dovrebbero essere avvisati del relativo beneficio
che possono trarre dalla terapia con bisfosfonati (95). In questi pazienti
dovrebbero essere valutati anche altri schemi terapeutici. Nei soggetti di sesso
maschile HIV negativi la terapia con testosterone aumenta la BMD quando siano
presenti bassi livelli di testosterone. Non ci sono trials che abbiano valutato
l’effetto del testosterone sulle fratture. Una recente meta-analisi di otto trials, per
un totale di 365 maschi, ha mostrato come l’utilizzo di terapia intramuscolare con
testosterone sia associata ad un incremento dell’ 8% a livello della BMD lombare
rispetto al placebo (95% CI, 4-13%)(98). Ad oggi la terapia con testosterone è stata
studiata solo per la wasting syndrome nei pazienti HIV positivi (96). Sono
necessari ulteriori studi per valutare il ruolo del testosterone come strategia
terapeutica nei soggetti ipogonadici affetti da HIV e fragilità scheletrica, con o
senza l’ aggiunta di una terapia antiriassorbitiva con bisfosfonati.
29
Tabella 1 Trattamento farmacologico e profilo immunologico nei pazienti affetti da
HIV.
Soggetti in trattamento (%)
Durata del trattamento (anni)
PI
74%
6,3±5,4
NRTI
96%
8,3±4,7
NNRTI
44%
4,2±5,2
CD4 (cells/µl)
625,9±266,3
HIV RNA (copie/ml)
55,4±25,9
Legenda: I risultati sono espressi come media ± 1SD e come percentuali.
PI= inibitori della proteasi,
NRTI= inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa,
NNRTI= inibitori non nucleosidici della transcriptasi inversa.
30
Tabella 2 Densità minerale ossea nei maschi HIV positivi (gruppo A) e HIVnegativi (gruppo B)
Gruppo A (n=50) Gruppo B (n=27)
Osteoporosi (% soggetti)
24%
3.7% *
L1-L4 (g/cm2)
1094±127
1152±107*
L1-L4 T-score
-0,93±1,1
-0,46±1,0*
Collo femorale (g/cm2)
890±110
957±125*
Collo T-score
-1,26±0,9
-0,83±1,0
Femore Total (g/cm2)
951±115
1011±149
Total T-score
-0,90±0,9
-0,49±1,1
Legenda: I risultati sono presentati come medie ±1 SD e come percentuali.
L1-L4 = colonna lombare.
* p ≤ 0,05
31
Tabella 3 Fattori di rischio per osteoporosi nei maschi HIV positivi (gruppo A) e
HIV-negativi (gruppo B).
Gruppo A (n=50)
Gruppo B (n=27)
Indice di massa corporea (Kg/m2)
24,5±2,7
25,0±2,2
Abitudine tabagica (%)
48,0%
40,7%
Alcool (%)
12%
11%
Introito di calcio con la dieta
32%
22%
Familiarità per fratture (%)
20%
22%
Pregresse fratture periferiche (%)
46,0%
7,4% *
(< 1000 mg/giorno) (%)
Legenda: I risultati sono presentati come medie ±1 SD e come percentuali di
pazienti o controlli con specifici fattori di rischio. * p ≤ 0,05.
32
Tabella 4 Parametri biochimici in maschi HIV positivi (gruppo A) e HIV negativi
(gruppo B).
Gruppo A (n=50)
Gruppo B (n=27)
Calcio (mmol/L)
2,32±0,09
2,38±0,07 **
Calcio ionizzato (mmol/L)
1,19±0,04
1,24±0,05***
Fosforo (mmol/L)
1,04±0,16
1,27±0,19 ***
Creatinina (µmol/L)
82±18
83±7
Clearance
della
(ml/min1.73 m2)
Creatinina 109,7±30,7
107,6±17,1
PTH (ng/L)
42,12±17,95
36,73±13,95
25(OH)D (nmol/L)
49,24±25,78
62,89±27,08*
25(OH)D < 50 nmol/L
58%
29% *
Calcio urinario (mmol/24h)
56,52±28,26
39,46±25,36*
LH (mUI/mL)
4,0±1,70
2,40±1***
SHBG (nmol/L)
73,50±37,50
38,40±11,30***
Testosterone totale (nmol/L)
22,80±7,62
16,90±4,50**
Albumina (g/L)
45,20±7,10
47,50±2,20
Free testosterone (pmol/L)
2,70±0,69
3,20±0,69*
(% di pazienti e di controlli)
Free testosterone < 225 pmol/L 26%
4% *
(% di pazienti e controlli )
Legenda: I risultati sono presentati come medie±1 SD. PTH = ormone
paratiroideo, 25(OH)D = 25- OH - vitamina D, LH = ormone luteinico, SHBG =
globulina legante gli ormoni sessuali.
* p ≤ 0,05; **p ≤ 0,01; *** p ≤0,001
33
Gruppo A1 (N= 20)
Ipogonadici
(N=12)
Non
ipogonadici
Group A2 (N=21)
Ipogonadici
Non ipogonadici
(N=7)
(N=14)
(N=8)
PI
11/12
5/8
5/7
9/14
PI anni
8,81±5,6
8,4±4,33
9,6±3,6
6,7± 3,8
NRTI
11/12
7/8
7/7
14/14
NRTI anni
8,45±5,71
6,28±3,68
9,28±2,62
8,35±4,18
NNRTI
4/12
4/8
5/7
8/14
NNRTI anni
6,5±3,4
6,5±4,04
9,4±2,6
9,5±4,92
L1-L4 (g/cm2)
1019,0±77,85
1008,5±110,32
1131,57±52,48*+ 1218,85±119,58++**
L1-L4 T-score
-1,5±0,64
-1,6±0,97
-0,71±0,46+
0,12±1,06++
823,33±116,31
845,37±100,96
952,28±81*+
957,07±95,51++
Collo T-score
-1,91±0,9
-1,5±1,06
-1,0±0,75+
-0,8±0,8++
Femore Total
(g/cm2)
872,16±125,09
905,37±81,44
1020,28±66,06*+ 993,0±81,03++**
Total T-score
-1,4±-0,92
-1,28±0,82
-0,55±0,51+
Collo femorale
(g/cm2)
-0,50±0,56++**
Tabella 5: Trattamento farmacologico e densità minerale ossea nei maschi HIV
positivi nel gruppo A1e A2. Legenda: I risultati sono espressi come media ± 1SD
e come percentuali. PI= inibitori della proteasi, NRTI= inibitori nucleosidici della
transcriptasi inversa, NNRTI= inibitori non nucleosidici della transcriptasi
inversa. Ipo A1 vs Ipo A2,+ p ≤ 0.05; Ipo A1 vs Non ipo A2,++ p ≤0.05; Non ipo A1
vs Ipo A2,* p ≤0.05; Non ipo A1 vs Non ipo A2, ** p ≤ 0.05.
34
Tabella 6 Parametri biochimici in maschi HIV positivi osteoporotici (gruppo A1) e
non osteoporotici (gruppo A2).
Gruppo A1 (n= 20)
Gruppo A2 (n= 21)
Ipogonadici
Non ipogonadici Ipogonadici
Non ipogonadici
(N=12)
(N=8)
(N=7)
(N=14)
Calcio (mmol/L)
2,32±0,07
2,31±0,09
2,29±0,08
2,35±0,09
Fosforo(mmol/L)
1,07±0,15
0,99±0,26
1,15±0,23
1,16±0,24
Cl.Creatinina
(ml/min1.73 m2)
105,38±41,52 123,0±26,66
122,77±26,0
106,9±21,96
PTH (ng/L)
49,85±18,52
45,15±19,46
35,87±10,41
38,36±12,27
25(OH)D (nmol/L)
41,5±27,47
52,65±24,4
42,8±22,75
53,92±26,32
BALP (U/L)
29,87±9,04
33,83±12,83
29,71±11,17
25,25±7,09
B ctx (ng/ml)
0,84±0,25
1,03±0,14
0,60±0,23
0,65±0,28
Calciuria (mmol/24h)
50,67±25,13
72,62±30,89
49,92±12,52
50,17±9,7
LH (mUI/mL)
4,16±2,36
3,92±1,63
4,21±1,91
4,21±2,24
SHBG (nmol/L)
78,68±37,49
64,66±21,17
84,87±43,61
78,22±23,77
Testosterone (nmol/L)
20,13± 7,14
17,7±4,86
17,67±7,53
22,44± 7,8
Albumina (g/L)
4,13± 0,15
4,1± 0,19
4,17±0,14
4,2±0,12
Free testosterone
(pmol/L)
1,8±0,03
2,7±1,2°
1,8±0,03§
2,7±0,09++
AMS score
39,36 ± 10,2
22,5 ± 3,8°
37,5±10,1 §*
26,5 ± 8,37++
Legenda: I risultati sono presentati come medie±1 SD. PTH = ormone
paratiroideo, 25(OH)D = 25- OH - vitamina D, LH = ormone luteinico, SHBG =
globulina legante gli ormoni sessuali. Gruppo A1:° p<0.05 Ipo vs Non ipo,
Gruppo A2: § p<0.05 Ipo vs Non ipo; Ipo A1 vs Ipo A2,+ p ≤ 0.05; Ipo A1 vs Non
ipo A2,++ p ≤0.05; Non ipo A1 vs Ipo A2,* p ≤ 0.05.
35
Figura 3: Variazione percentuale media ± SE della BMD a livello femorale dall’
arruolamento a
24 mesi nei pazienti che assumono risedronato con
ipogonadismo (linea tratteggiata grigia) e senza ipogonadismo (linea nera); * p
≤0.05 tra i gruppi ,° p≤0.05 verso il valore di base.
36
Figura 4: Variazione percentuale media ± SE della Balp dall’ arruolamento a 24
mesi nei pazienti che assumono risedronato con ipogonadismo (linea tratteggiata
grigia) e senza ipogonadismo (linea nera); * p ≤0.05 tra i gruppi ,° p≤0.05 verso il
valore di base, § p≤0.05 12 mesi versus 24 mesi,
37
Figura 5: Variazione percentuale media ± SE del ß CTX dall’ arruolamento a 24
mesi nei pazienti che assumono risedronato con ipogonadismo (linea tratteggiata
grigia) e senza ipogonadismo (linea nera); * p ≤0.05 tra i gruppi ,
valore di base, § p≤0.05 12 mesi versus 24 mesi,
.
p≤0.05 verso il
38
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Ringraziamenti
Dott. Angelozzi
Dott.ssa Cilli
Dott.ssa Cipriani
Dott.ssa D’Angelo
Dott.ssa De Lucia
Dott. Del Fiacco
Prof. Diacinti
Inf. Fagiolo
Prof. Falciano
Dott.ssa Fassino
Prof. Iaiani
Inf. Inferrera
Prof. Isidori
Inf. Mancinelli
Prof. Minisola
Dott.ssa Piemonte
Dott.ssa Romagnoli
Dott.ssa Sbardella
Sig.ra Scarpiello
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