LA CONFERENZA DI MOSCA TRA CHURCHILL E STALIN Alcuni

F ranco
C atalan o
LA CONFERENZA DI MOSCA TRA CHURCHILL E STALIN
Alcuni ritengono che « il vero punto di crisi della soluzione rivoluzionaria deila lotta di liberazione » sia stato determinato dall’accordo Badoglio-Togliatti dell’aprile 1944. Con tale accordo — si disse allora, soprattutto da elementi del partito d’azione — il partito comunista, che pur
aveva dichiarato, in una deliberazione del suo consiglio nazionale del 31 marzo di voler mantenere intatta e consolidare l’unità del fronte delle forze democratiche e liberali antifasciste, in realtà rompeva d’un tratto il C.L.N., i
patti che lo legavano alla politica italiana degli altri partiti del fronte di
liberazione, contribuendo, in ultima analisi, a rafforzare i centri reazionari
che facevano capo al Badoglio e alla monarchia (1).
Senza dubbio, la soddisfazione per il gesto del Togliatti dimostrata
dalle correnti moderate (basta leggere il « Diario di un anno » del Bono­
rili (2) per convincersene), parrebbe confermare questo giudizio : esse vi
scorsero un « inatteso capovolgimento della situazione » che aveva ridato
alle forze politiche di destra la possibilità di ricominciare a muoversi dopo
la stasi e l’immobilità a cui erano state costrette dal voto del congresso di
Bari dalla fine del gennaio. Ma quel gesto del Togliatti aveva elementi po­
sitivi per gli stessi partiti di sinistra, i quali si trovavano anch’essi — come
dice il Bonomi per il governo Badoglio — in « un cui di sacco » : insomma,
era una situazione che non consentiva libertà di movimenti nè agli uni nè
agli altri ed il compromesso comunista venne a ridare possibilità di movi­
mento alla lotta politica.
Del resto, si trattava di un compromesso, per così dire, attivo in
quanto, riflettendo, sul piano interno, il più vasto compromesso stabilito fra
gli Alleati occidentali e l’Unione Sovietica, era inteso ad intensificare lo
sforzo di guerra dell’Italia ed a permettere la formazione di un esercito che
si battesse sul serio contro i tedeschi. Non era, perciò, un compromesso po­
litico tale da indebolire o compromettere le posizioni autonome dei vari
partiti e neppure la funzione rinnovatrice del C.L.N.. Senza dubbio, l’ac­
cordo del Togliatti partiva dal presupposto di una tregua nelle contese tra
le varie forze politiche, sottoponendole all’unico scopo della guerra contro il
nemico, ma una simile tregua era stata stabilita anche sul piano internazio­
nale, dove nè la Russia combatteva per estendere il comuniSmo nè l’Inghil-12
Disegno della liberazione italiana, P is a , 19 5 4 ,
Diario di un anno (2 giugno 19 4 3 - i o giugno 1944),
(1) C fr . C . L . Ragghianti ,
(2) C f r . I . B onomi,
19 4 7 , p p . 17 4 -7 8 .
p. 12 2 .
M ila n o ,
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terra o gli Stati Uniti combattevano per il trionfo del regime democratico:
sia quella sia questi avevano di mira soprattutto la sconfitta del nazismo.
Un vero e proprio compromesso politico fu, invece, l’accordo firmato a
Mosca da Churchill con Stalin nell’ottobre del ’44, e, pertanto, come tale
estremamente dannoso per i movimenti di liberazione, fra cui il più im­
portante era allora quello italiano. Come è noto, nei mesi precedenti le
truppe alleate avevano sferrato una vigorosa offensiva sul fronte italiano:
avevano iniziato l’attacco il 25 agosto, secondo il concetto strategico dei
« due pugni lanciati in avanti », per cui l’VIII Armata, nel settore adriatico,
gettò nove divisioni lungo la direttrice Rimini-Bologna-Ferrara e la V Ar­
mata, nel settore tirrenico, lanciò, a sua volta, cinque divisioni lungo la
direttrice Firenze-Bologna (3). L'importanza che i comandi alleati annette­
vano a questa offensiva era molto grande e soprattutto Churchill ne viveva,
con drammatica ansia, le fasi. Si trattava di cacciare i tedeschi al di là delle
Alpi in un tempo relativamente breve in modo da giungere a Trieste e all’Istria prima che vi giungessero i russi, i quali stavano penetrando in Jugo­
slavia e dirigendosi abbastanza rapidamente su Belgrado (dove giunsero il
20 ottobre). Se, poi, gli eserciti non avessero potuto giungere all’Istria, si
doveva tentare una eventuale operazione anfibia con mezzi da sbarco per
la conquista di quella regione, sempre, naturalmente, allo scopo di preve­
nire le armate russe (4).
Churchill, come si è detto, seguiva con particolare ansia le vicende
della guerra sul fronte italiano e nel Mediterraneo, dove la Grecia correva
il pericolo di sfuggire all’influenza occidentale per la preponderanza che vi
andavano acquistando gli elementi dell’E.A.M. e dell’E.L.A.S., i quali go­
devano dell’appoggio sovietico. Il maresciallo Smuts, in una sua lettera a
Churchill del 26 settembre, esprimeva questa preoccupazione del governo
inglese: « Va ormai delineandosi quello che sarà l’aspetto della futura siste­
mazione mediterranea, e in un modo non certo a noi favorevole » (5). Sem­
pre più urgente, pertanto, diventava portare a fondo l’offensiva sul fronte
appenninico ed a tal fine diventava indispensabile l’aiuto dei partigiani ita­
liani, che vennero, infatti, incoraggiati come mai per l'addietro era avve­
nuto. Si avvertiva una nuova atmosfera nei rapporti tra le forze della resi­
stenza e i comandi alleati e questo fece nascere la speranza di una non
lontana liberazione. Un proclama del C.L.N.A.I. del 30 agosto, cioè pochi
giorni dopo l’inizio dell’offensiva, incominciava con le seguenti parole : « Nel
rapido precipitare di storici avvenimenti, che lascia presagire ormai prossimo
l’accendersi dell’insurrezione nazionale popolare... ». Era tutto un nuovo,
intenso fervore di iniziative, di disposizioni, nell’Italia del Nord, per far
trovare agli anglo-americani un « potere politico e amministrativo capace di
un funzionamento organico ed efficace », tale da « meritare il rispetto delle
autorità alleate di occupazione ».345
(3) Cfr. R. J a r s , La campagne d’Italie (1943-1945), Paris, 1954, pp. 197 sgg.
(4) Cfr. W. C h u r c h i l l , La seconda guerra mondiale, parte VI, vol. I, Trionfo
tragedia, L ’onda della vittoria, Milano, 1953, p. 186.
(5) Ibid., p . 241.
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Ma l’offensiva non riuscì a raggiungere gli obiettivi che erano forse
stati fissati con una certa leggerezza, senza tener conto nè degli ostacoli
naturali del terreno, nè della resistenza, nè delje forti posizioni del
nemico. Ancora l’8 settembre il maresciallo Wilson, scrivendo a Washington, diceva di pensare che i tedeschi, scacciati dagli Appennini, si sarebbero
ritirati rapidamente verso le Alpi: in tal caso, mentre qualche unità avrebbe
liberato l’Italia nord-occidentale, il grosso delle truppe alleate si sarebbe
diretta in tutta fretta verso l’Italia nord-orientale per occupare l’Istria e per
tagliare i passi austriaci alle armate del maresciallo Kesselring. Il 25 set­
tembre questo piano si poteva considerare fallito e, in confronto alle spe­
ranze iniziali, erano stati compiuti soltanto progressi irrilevanti: in alcuni
punti non era stata nemmeno intaccata la linea gotica ed i tedeschi tene­
vano saldamente le posizioni che coprivano Bologna. Inoltre, piogge tor­
renziali rendevano penoso ogni movimento, sicché il maresciallo Alexander
era costretto a confessare che le sue forze erano troppo deboli in confronto
a quelle nemiche per provocare una infiltrazione decisiva e congiungere le
due morse della tenaglia (6).
Invece, i russi continuavano ad avanzare, e ciò creava problemi com­
plessi per gli alleati e soprattutto per Churchill, interessato alla sistema­
zione dell’Europa molto più di Roosevelt. Così, nacque nel primo ministro
inglese il proposito di avere un colloquio con Stalin, i cui temi indicava, in
una lettera aj presidente americano, nel modo seguente: « 1) definire il suo
[di Stalin] intervento contro il Giappone; 2) cercare di raggiungere un
accordo amichevole con la Polonia. Vi sono anche altri punti relativi alla
Jugoslavia e alla Grecia, di cui pure vorremmo discutere » (7). Tanto im­
portante e urgente ritenne Churchill questo colloquio con Stalin da rinun­
ciare ad avere in precedenza uno scambio di idee approfondito con Roosevelt,
cosa di cui Stalin si meravigliò in una lettera al presidente americano dell’8 ottobre, in cui gli disse anche di non sapere quali avrebbero potuto es­
sere gli argomenti che il premier inglese intendeva affrontare (8).
Il pomeriggio del 9 ottobre Churchill atterrava a Mosca, accompagnato
da Attlee, e la sera stessa aveva un primo colloquio con Stalin e con Mo­
lotov. Affrontò subito il problema principale, che era quello che lo aveva
deciso al viaggio, il problema cioè dei Balcani, e concretò il suo pensiero a
tale proposito in alcune proposte che mise per iscritto su un foglietto. Alla
Russia sarebbe stata riconosciuta una maggioranza del 90% in Romania,
agli altri del 10%; in Grecia l’inverso, cioè 90% alla Gran Bretagna d’intesa
con gli Stati Uniti e il 10% alla Russia; in Jugoslavia e in Ungheria una
perfetta parità; cioè il 50% alla Russia e il 50% all’Inghilterra; in Bulgaria
il 75% alla Russia e il 25% agli altri. Passò il foglietto attraverso il tavolo
a Stalin, il quale vi tracciò un grosso segno di « visto ». « La faccenda —
conclude Churchill — fu così completamente sistemata in men che non si678
(6) Cfr. J ars , op. cit., pp. 200 e 203.
(7) Cfr. C h u rch ill , op. cit., p. 245.
(8) Cfr. La seconda guerra mondiale nel carteggio
velt, A ttlee e Trum an, Roma, 1957, vol. II, p. 177.
di Stalin con Churchill,
Roose-
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dica » (9). Ma Churchill si illudeva se pensava di avere ormai deciso ogni
cosa: Stalin si trovava in una posizione favorevole sia dal lato militare sia
dal lato politico-diplomatico, perchè il primo ministro inglese era andato a
trovarlo a Mosca per discutere di problemi che, evidentemente, gli stavano
molto a cuore.
Così, nei giorni seguenti, Molotov diceva a Eden che i russi si interessavano molto dell’Ungheria, di cui parlavano come di un paese un tempo
confinante, mentre Tito si recava a Mosca, mostrando di volersi sottrarre
all’influenza occidentale. Pertanto, Churchill scriveva il 12 ottobre ai suoi
colleghi di gabinetto di ritenere naturale che ai russi spettasse una posi'
zione predominante in Ungheria, di cui essi stavano occupando il territorio
ed il 22 ottobre finiva con il riconoscere giusta la richiesta di zio' Joe (come
scherzosamente chiamava Stalin) che la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria costituissero una serie di Stati indipendenti, antinazisti e filorussi. Il
suo successo si riduceva ad avere ottenuto l’impegno di una politica comune
su base paritetica in Jugoslavia, successo dato il comportamento di Tito e
l’arrivo di truppe russe e bulgare in quel paese.
La vaga impressione di avere proposto uno scambio che poteva essere
considerato « indice di superficialità e persino di cinismo » attraversava,
per un momento, la mente Churchill (io), ma egli si consolava con il pen'
siero che il « metodo delle percentuali » non voleva essere niente più di
un orientamento che non impegnava gli Stati Uniti e che con esso non si
cercava affatto di stabilire un sistema rigido di sfere d’interessi. Perciò, se
Roosevelt non avesse accettato i risultati dei colloqui di Mosca, la suddivi'
sione in sfere d’influenza avrebbe potuto venir rimessa in discussione, ma
Roosevelt stesso in alcuni dispacci si dimostrò anzi lieto dell’accordo rag'
giunto nelle questioni di politica internazionale, a cui, diceva, « siamo tutti
interessati, in virtù dei nostri comuni sforzi di oggi e di domani per preve'
nire le guerre» (11). Ed il sistema poteva essere dichiarato non rigido da
Churchill solo per il desiderio di trovare una certa consolazione, ma la
verità era che alla Russia veniva riconosciuta una predominante influenza
in alcuni paesi ed alle potenze occidentali in altri.
La validità dell'accordo di Mosca fu ben presto dimostrata dagli avve'
nimenti della Grecia, dove la repressione dei partigiani comunisti voluta dal
gabinetto inglese ed attuata dalle truppe britanniche fu dura e rigida, tanto
da sollevare proteste nella grande maggioranza dei giornali americani e
perfino nel « Times » e nel « Manchester Guardian » : questi ultimi espres'
sero il loro biasimo per quella che definirono una « politica reazionaria ». Ma
Stalin si attenne « strettamente e fedelmente » all'accordo dell’ottobre e,
scrisse con soddisfazione Churchill, « durante tutte le lunghe settimane di
combattimento con i comunisti per le vie di Atene neppure una parola di
rimprovero apparve sulla Pravda o sulle Isvestija » (12).
(9) Cfr. C h u r c h ill ,
op. cit.,
p. 257.
(10) Ib id ., p p . 2 5 7 -2 7 3 .
( 11) C fr.
La seconda guerra mondiale, ecc.,
op. cit., p. 326.
(12) Cfr. C h u r ch ill ,
v o l. II, p . 17 9 .
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Questo voleva dire che il primo ministro inglese poteva stare tran­
quillo: i russi non avrebbero oltrepassato la linea loro fissata e, di conse­
guenza, Churchill si era messo al sicuro da ogni temuta minaccia delle truppe
sovietiche avanzanti dalla Jugoslavia nell’Istria verso Trieste e l’Italia. Tutta
la situazione militare nella penisola perdeva d’un tratto importanza e non
era più necessaria una offensiva che, cacciando i tedeschi oltre le Alpi,
raggiungesse il più presto possibile il confine orientale. La lotta dei parti­
giani non aveva più valore e interesse agli occhi degli Alleati, e in parti­
colare degli inglesi, i quali ripresero a domandarsi se fosse opportuno aiutare
concretamente }a Resistenza italiana e consentire così alle più attive correnti
di sinistra di assumervi un deciso predominio.
Il proclama Alexander del 13 novembre fu l’applicazione pratica di
questo nuovo atteggiamento delle sfere dirigenti inglesi, ed esso rese sen­
sibile agli uomini del nostro movimento di liberazione quel mutamento.
Ma proprio da tale proclama scaturì quella che si potrebbe definire la pole­
mica più viva della Resistenza, fra le correnti moderate di destra che erano
propense ad accettare l’invito alla smobilitazione invernale e quelle di sini­
stra che, invece, lo respingevano con decisione. Per il momento, l’unità
venne ricreata con un proclama approvato da tutti, che condannava ogni
posizione rinunciataria e di compromesso con il nemico nazifascista. Ma
l’unanimità in seno al C.L.N.A.I. era stata infranta e si poteva dire che
avesse ormai inizio la lotta politica post-liberazione.