La legione araba di Mussolini

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La legione araba di Mussolini
La proposta di arruolare soldati provenienti da paesi arabi sotto controllo inglese fu
inoltrata ai vertici del SIM (Servizi informazioni militari) a partire dal giugno 1941.
Autore di questo rapporto era stato un ufficiale dello Stato Maggiore esperto di
questioni mediorientali, il tenente colonnello Massimo Invrea. Il progetto, giudicato
interessante, prevedeva di arruolare volontari arabi, istruirli in compiti di sabotaggio e
inviarli nei paesi d'origine per fomentare rivolte anti-britanniche.L'attuazione,
tuttavia, richiese quasi un anno. Il progetto infatti trovava forti dubbi in Mussolini,
preoccupato dell'impatto sulla popolazione italiana delle colonie, specie quella di
Libia, riguardo una simile unità di combattimento. A far accelerare i tempi furono le
mutate vicende internazionali di ordine politico e militare.
Il 10 ottobre 1941 era giunto a in visita a Roma il Gran Mufti di Gerusalemme Amin
al-Husseini, leader del nazionalismo arabo e capo della Nazione araba,
organizzazione che si prefiggeva l'indipendenza di Siria, Iraq, Palestina e
Transgiordania. Il Gran Mufti fece pressioni su Mussolini e Hitler per la creazione di
una legione araba che arruolasse volontari iracheni, siriani, palestinesi e magrebini da
utilizzare contro gli inglesi. Ma fu a partire dal maggio'42, in coincidenza con la
nuova offensiva italo-tedesca in Egitto che lo Stato Maggiore dell'Esercito, con il
nullaosta del Duce e di concerto col Ministero affari esteri presieduto da Costanzo
Ciano, incaricò il SIM di costituire una “legione araba”. L'incarico di istituire ex novo
e nel più breve tempo possibile un reparto che non aveva precedenti nella storia del
Regio Esercito fu affidato allo stesso Invrea. Il 2 luglio 1942 a Roma, nasceva
ufficialmente il Raggruppamento centri militari (RCM) costituito dal Centro “A”,
composto da volontari arabi e italiani già residenti in Egitto e Medio Oriente, con
sede a Villa Tellus lungo la Via Cassia, il Centro “I”, formato da ex prigionieri
indiani e volontari italiani residenti in Persia e India, di stanza al campo di Villa
Marina sulla Via Casilina, infine il Centro “T”, il quale raccoglieva solo volontari
italiani residenti in Tunisia e che fu posto di base sull'Appia nuova in località Ruderi
del Calice1. I numeri dei volontari/ex prigionieri all'atto della costituzione erano
piuttosto esigui: circa 300 uomini per il Centro “A”, 200 per quello “I” e 2-300 per il
“T”, tutti sarebbero stati addestrati per missioni di spionaggio e sabotaggio dietro le
linee nemiche e per compiti di infiltrazione e propaganda tra le popolazioni arabe.
Nell'agosto del 1942 il Raggruppamento adottò la denominazione Frecce rosse, nome
voluto dallo stesso Invrea, veterano della guerra di Spagna, prendendo a modello il
simbolo dei volontari fascisti. Questa fu la prima di diverse ridenominazioni che il
Raggruppamento subì nei due anni di vita. Il 23 ottobre '42 i tre centri vennero
trasformati in unità combattenti: Gruppo formazioni “A”, Battaglione AzadHindoustan (India libera) ex Centro “I”, e Battaglione d'assalto “T”.
1 Stefano Fabei, Il fascio, la svastica e la mezzaluna, Mursia, Milano, 2002, pag.389
Gruppi formazioni “A”
Costituito il 1° maggio del '42, il Gruppo comprendeva volontari arabi in gran parte
provenienti dall'Iraq, dalla Palestina, dalla Transgiordania e dalla Persia, oltre che da
italiani che a vario titolo avevano vissuto in quei paesi. Si trattava soprattutto di
studenti e rifugiati politici la cui consistenza non superava i 60 uomini, affiancati da
68 volontari italiani 8 ufficiali e 9 sottufficiali. 2 In occasione dell'avanzata delle
truppe dell'Asse in Egitto, nell'autunno del 1942, si pensò di creare, affiancandolo al
Gruppo “A”, un reparto missioni speciali denominato MS,costituito da circa 90
uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa italo-araba da inviare in zona di guerra. Il
fallimento dell'offensiva e la tragica controffensiva inglese a El-Alamein fecero
desistere lo Stato Maggiore. Alla fine del 1942, il Centro “A” insieme al MS avevano
raggiunto la cifra complessiva di 251 uomini tra italiani e arabi. L'unità era costituita
da 5 plotoni, è venne ufficialmente inaugurata l'11 ottobre 1942 giorno della festività
islamica del Id al-fitr. (festa per la fine Ramadan) In quell'occasione, alla presenza dei
vertici dello Stato Maggiore e della Wehrmacht oltre che di tutta la popolazione
musulmana di Roma, Il Gran Mufti consegnò al Centro “A” la bandiera di guerra
davanti alla quali gli uomini dell'unità giurarono, a seconda della propria fede, o sul
Corano o sul Vangelo. Il 23 ottobre il Centro “A” cambiò nuovamente nome, questa
volta in Gruppi formazioni “A”.
Consegna della Bandiera di Guerra al Centro Militare "A". All'estrema destra il Gran Mufti di Gerusalemme
2 Piero Crociani, Pier Paolo Battistrelli, Repati di élite e forze speciali dell'esercito italiano, 1940-43, Libreria editrice
libreria goriziana, Gorizia, 2012, pag.112.
La nuova denominazione non cambiava di molto la precedente organizzazione, l'unità
era ora articolata in: un comando, una compagnia fucilieri “A” (tutti arabi), una
compagnia esploratori dotata di camionette sahariane, una compagnia assaltatori, un
reparto complementi e il reparto missioni speciali (MS), in tutto circa 550 uomini. Di
questi, 110 volontari arabi, 347 volontari italiani, 43 ufficiali e 51 sottufficiali 3. Il
battesimo del fuoco avvenne agli inizi del '43 in Tunisia, dove un plotone del Reparto
Esploratori, composto da italiani, dapprima impiegato in operazioni di
pattugliamento nel deserto e di contrasto agli inglesi, poi, con il crollo del fronte
tunisino nel gennaio '43, affiancato dai restanti 440 uomini del Gruppo formazioni
“A” e dai 250 del Gruppo “T,” impiegato come truppa di fanteria in appoggio alla
divisione Superga, si scontrò nella zona di Chakeur con la 1° Divisione americana ,
riportando 87 caduti, 161 feriti e 76 dispersi. Dopo la caduta della Tunisia, nel
maggio '43, e il rientro a Roma di quanto restava del Gruppo formazioni “A” , lo
stesso Gruppo venne nuovamente riorganizzato e rinominato Battaglione d'assalto
motorizzato, ora costituito da due compagnie di assaltatori e una compagnia
camionettisti mista formata da 24 camionette AS 42 di 16 AS43, oltre che di autocarri
e automobili varie. Il battaglione fu dislocato a Monterotondo, presso il Centro
Marte, ovvero la sede di guerra dello Stato Maggiore ad eccezione della Compagnia
Complementi, di stanza nell'area addestrativa di Centocelle. Il Battaglione d'assalto
motorizzato conoscerà le sue giornate più gloriose all'indomani dell'8 settembre '43,
durante le confuse fasi della difesa di Roma dall'occupazione tedesca.
Battaglione Azad-Hidoustan
Il Centro militare “I”, venne costituito tra l'aprile e il maggio 1942. Inizialmente
raccoglieva,data la pressoché assenza di rifugiati politici presenti in Italia, volontari
indiani reclutati nei campi di prigionia, La composizione etnica dei volontari, non
appartenendo infatti a nessuna etnia considerata “marziale”, come ad esempio i Sikh,
i Gurkha, i Garhawali, ecc...4 condizionò fin da subito la fiducia e l'impiego di queste
truppe. Malgrado la propaganda alla fine di settembre del '42 il numero di volontari
raggiunse e non superò mai più, la cifra di 266 uomini. Ribattezzato Battaglione
Azad-Hindoustan (Libera India), l'unità fu posta sotto il comando del maggiore
Vismara con un organico comprendente una compagnia fucilieri, un plotone di
paracadutisti (tutti indiani) e un plotone di italiani che avevano vissuto in India. Il
battaglione, di stanza a Tivoli, per l'addestramento non mostrò tuttavia mai vera
attitudine al combattimento. Il 10 novembre 1942, alla notizia della sconfitta italotedesca a El Alamein i militi indiani, temendo di essere inviati in Africa
settentrionale, si ammutinarono. Subito disarmati, il battaglione venne sciolto due
giorni dopo e gli indiani rinviati nei campi di prigionia5.
3 Ibidem,
4 Piero Crociani, Pier Paolo Battistelli, op.cit.,pag. 114
5 Stefano Fabei, op.cit., pag.394
Volontari indiani
Centro Militare “T”
Costituito, nel luglio '42, da soli volontari italiani provenienti dalla numerosa
comunità residente in Tunisia, inizialmente comprendeva 374 soldati, 51 ufficiali e 39
sottufficiali, numero che nel dicembre dello stesso anno, dopo lo sbarco alleato in
Tunisia, nell'ambito dell'Operazione Torch, aumentò fino a 588 militari. Posto sotto
il comando del maggiore Ricciardi, i volontari furono addestrati a compiti di
infiltrazione e sabotaggio, tuttavia questa loro specificità non verrà mai sfruttata.
Ridenominati, nel dicembre'42, Battaglione d'assalto “T”, e articolati in tre
compagnie assaltatori, vennero aggregati, insieme al Raggruppamento Frecce Rosse
e ad un'unità della MVSN (Milizia volontaria sicurezza nazionale) alla Divisione di
fanteria Superga e impiegati in Tunisia contro gli Alleati, subendo, come si è detto
gravi perdite. Nel maggio '43 con la caduta della Tunisia quello che rimaneva del
Battaglione d'assalto “T” fu rimpatriato e integrato nel Battaglione d'assalto
motorizzato di stanza a Roma con compiti di presidio della capitale.
Il Battaglione d'assalto motorizzato a difesa di Roma
Nei giorni che succedettero l'annuncio dell'armistizio il Battaglione d'assalto
motorizzato trovò impiego nella disperata quanto velleitaria difesa di Roma
dall'occupazione tedesca. Nel clima di sbandamento dell'esercito italiano, della
mancanza completa di ordini e dell'abbandono della capitale da parte del re e dei
comandi militari, unità autonome, di presidio alla città, cercarono di opporsi alla
Wehrmacht schierata a sud e a nord di Roma secondo le direttive stabilite dallo stesso
Hitler in caso di defezione italiana (Operazione Achse). La capitale in realtà era
presidiata da un numero consistente di truppe, il Corpo d'armata di Roma contava
circa 88.000 uomini e 381 mezzi corazzati, e fra questi vi erano ottime unità
(12°Divisione fanteria Sassari, Battaglione d'assalto motorizzato, 10°Divisione
fanteria motorizzata Piave, 136° Divisione corazzata Centauro, 21° Divisione
fanteria Granatieri di Sardegna, solo per citare le maggiori). Tuttavia, tranne rare
eccezioni al dissolversi dei vertici militari molte di queste unità sbandarono non
reggendo l'urto tedesco.6
Camionette AS42 Metropolitana durante gli scontri di Porta San Paolo a Roma
6 Si veda: Silvio Bertoldi, Apocalisse italiana. Otto settembre 1943: fine di una nazione, .Rizzoli, Milano,1998,
Pagg.93-96.
Per quanto riguarda il Battaglione d'assalto motorizzato, alcune sue unità furono tra
le protagoniste della resistenza all'occupante tedesco. La Compagnia camionette era
stata posta a difesa del Ministero della Guerra in via XX settembre, mentre la 1°
Compagnia d'assalto si trovava dislocata in diversi punti della città, tra cui la sede
dell'EIAR (Ente italiano per le audizioni radiofoniche) posta in via Asiago. La
Compagnia Complementi insieme ai Granatieri di Sardegna era a presidio della via
Casilina. Il 9 settembre la Compagnia Camionette, insieme ai Granatieri di
Sardegna e ad alcuni reparti di fanteria della Sassari, oltre a centinaia di comuni
cittadini, tenterà, per alcune ore, di fermare l'entrata in città dei tedeschi, negli scontri
passati alla storia come Battaglia di Porta San Paolo. Il medesimo giorno, la 2°
Compagnia d'assalto araba, rimasta, con altri reparti dell'esercito, di presidio al
Comando dello Stato Maggiore in zona Monterotondo, fronteggiò l'assalto di 800
paracadutisti tedeschi impedendo la cattura dello stesso Stato Maggiore. Nelle
settimane successive alla completa occupazione di Roma, ora passata sotto la
Repubblica sociale italiana di Mussolini, il Battaglione d'assalto motorizzato fu
ufficialmente sciolto. Gran parte degli ufficiali e della truppa italiana aderiranno alla
RSI, i volontari arabi, invece, sbandarono seguendo le sorti di larga parte delle forze
armate italiane .7
Uniformi del Raggruppamento Centri Militari e Frecce rosse
L'uniforme dei volontari dei tre Centri Militari “A”, “I”, “T” era costituita da una
sahariana di tipo coloniale e da pantaloni da paracadutista, di tela d'estate in panno in
inverno, il tutto color cachi. I volontari italiani del Centro “A” avevano in dotazione
come copricapo la bustina coloniale mod.42 con visiera e coprinuca, gli arabi
musulmani non potendo, in quanto vietato dalla loro fede, coprire la fronte,portavano
una bustina mod.35 senza visiera, mentre gli indiani del Centro “I” indossavano il
tradizionale turbante color cachi8. Per quanto riguarda i fregi e le mostrine, queste
differivano a seconda dei reparti. Centro “A”: gli ufficiali, tutti italiani, usavano il
fregio dell'arma d'origine, mentre la truppa quello dei Granatieri , gli arabi uno
scudetto con i colori della bandiera nazionalista araba (rosso, nero, verde e bianco),
così come le mostrine. La truppa italiana alle mostrine con la bandiera araba
aggiungeva le stellette. Centro “I”: ufficiali e truppa italiana fregi del corpo
d'origine, mentre i volontari indiani erano dotati di mostrine e scudetto omerale con i
colori del Congresso nazionale indiano (arancione, bianco e verde). Centro “T”:
composto solo da italiani, il fregio era uguale sia per gli ufficiali che per la truppa, la
granata nera dei granatieri e le mostrine con il tricolore italiano. Quando i Centri
militari furono trasformati nel Raggruppamento Frecce rosse mutò anche il fregio. Il
nuovo, voluto dallo stesso Invrea, era una serto d'alloro che cingeva un fascio
composto da tre frecce, a indicare i tre ex reparti, il tutto in filo di rayon
7 Stefano Fabei, op.cit., pag. 395
8 Piero Crociani, Pier Paolo Battistelli, op.cit., pag. 110.
rosso.Immutate rimasero le mostrine che continuarono ad essere quelle coi colori dei
rispettivi centri di provenienza.9
9 Idem.
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