le molteplici difficoltà delle famiglie monoparentali

AURORA – n. 19 – Anno III – maggio 2010
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LE MOLTEPLICI DIFFICOLTÀ
DELLE FAMIGLIE
MONOPARENTALI
di Claudia Cimini
P RAGA – Nei paesi membri dell’OECD, Organizzazione econo-
mica per la cooperazione e lo sviluppo, un bambino o una bambina
su 6 vivono in una situazione familiare monoparentale. Questo dato
sale in Paesi quali la Gran Bretagna ed il Canada, in cui il rapporto
arriva ad essere 1 su 4, per diminuire invece in Italia e Grecia, in cui il
rapporto è dell’11%.
Tornando all’Italia, l’11,3% delle famiglie è composta da un genitore
con uno o più figli.
Si considerano famiglie monoparentali quei nuclei costituiti da un
solo genitore con uno/a o più figli/e. Parliamo di persone
– separate,
– divorziate,
– mai coniugate,
– vedove.
Nella maggior parte dei casi il genitore che vive con la prole è la
mamma; parliamo per esempio in Italia dell’85% dei casi, dove più della
metà sono donne sotto i 54 anni.
Una delle difficoltà più grandi nell’organizzazione del proprio nucleo
monoparentale consta nel doversi costantemente confrontare con l’idea
“classica” di famiglia in cui ad un capo famiglia, solitamente uomo, spetta
il ruolo “strumentale” di lavoro extradomestico, e alla donna, prioritariamente, il ruolo ‘emotivo’ di occuparsi della prole e secondariamente
del lavoro extradomestico. Questo secondo ruolo è socialmente sempre
stato considerato di minor valore rispetto a quello strumentale. Parliamo
“del capo famiglia”, di colui che provvede materialmente al sostegno
della famiglia perché produce denaro. La complementarietà dei due
svolge nella nostra società il modello ideale di famiglia.
Il dover concentrare su di sé i due ruoli in un’organizzazione sociale
in cui aumentano sensibilmente i numeri di famiglie monoparentali,
non dà adito alla società a pensare a un tipo di famiglia diversa e a risolverne quindi le problematiche inerenti, comportando disagi a tutti
i membri del nucleo.
Le responsabilità quotidiane che il genitore di un nucleo familiare
monoparentale cui deve far fronte quotidianamente possono esser così
raggruppate:
– dimensione economica
– dimensione legale (rispetto a chi assume la custodia legale e pratica
della prole)
– dimensione strettamente pratica, ossia
• produzione, consumo e distribuzione di beni e servizi che si sviluppano in ambito domestico e extradomestico (alimentazione,
pulizie, mantenimento fisico della casa)
• controllo sociale dei membri a proprio carico (esercizio dell’autorità…)
• appoggio e assistenza nello sviluppo emotivo e sociale dei membri
a proprio carico (formazione, socializzazione, ecc.)
Questo articolo si può commentare
sul blog di AURORA all’indirizzo:
http://aurorainrete.org/wp/1919
Le difficoltà che incontrano le donne single a dover crescere uno o
più figli da sole, sono sia quelle comuni agli altri nuclei monoparentali sia
quelle specifiche alla loro situazione di donna non sposata senza accanto
un uomo. Assumere su di sé il peso del lavoro domestico, dell’educazione
dei figli e l’essere l’unica fonte economica per provvedere alle necessità
familiari, implica spesso una rinuncia alla propria vita personale, alle
proprie necessità di individuo. La mancanza di tempo per sé porta spesso
ad un isolamento rispetto alla vita sociale, causa sovente di un generale
senso di solitudine e abbondano.
Le difficoltà che si incontrano a dover crescere un figlio o una figlia
senza un o una partner aumentano sensibilmente quando la situazione
economica del nucleo familiare non permette un’autonomia finanziaria. Spesso il sostegno della famiglia di origine è l’unico sostegno a cui
è possibile ricorrere. La situazione si aggrava notevolmente quando ci
troviamo davanti a famiglie il cui genitore non appartiene al paese in cui
vive. Sono sicuramente le donne migrate a dover affrontare, spesso da
sole, le responsabilità e le difficoltà maggiori. In questo caso la lontananza
dalla famiglia d’origine rende la vita sensibilmente più difficile, specie
se l’integrazione nella nuova comunità stenta ad ingranare. Quando
sono donne single a crescere una figlio o una figlia, spesso, oltre alle
evidenti difficoltà economiche e pratiche, si aggiungono quelle sociali,
sia del paese di origine che di quello ‘adottivo’, se la donna è “straniera”.
Una stigmatizzazione silenziosa, non esplicita purtuttavia presente ed
ossessiva, pesa infatti sulle madri single, in modo maggiore se la donna
in questione è particolarmente giovane. In Paesi come la Svizzera, in
cui la situazione economica è sicuramente migliore che in molti altri,
la situazione non è da meno. Numerose le persone, per lo più donne,
dipendono da assegni familiari, se arrivano, o dalla benevolenza dei
propri familiari e amici. Per le donne straniere riuscire a lavorare come
badante o baby-sitter è comunque un qualcosa, se non fosse che,
paradossalmente, devono occuparsi di persone anziane o di bambini
di altre donne, lasciando i propri a qualcun altro. In Svizzera alcune
associazioni di genitori appartenenti a nuclei monoparentali si stanno
organizzando affinché possano godere del sostegno della comunità per
le esigenze specifiche a cui non riescono a far fronte, sempre mantenendo un’ottica di autonomia finanziaria, educative e professionale.
“Aneliamo ad un’economia che si sviluppi a sostegno della società e
dell’umanità, anziché come oggi accade, che la società, gli individui e
le famiglie debbano adeguarsi ad essa, e ad una politica che si occupi in
modo realistico del “bene comune”. Il concetto di “bene comune” è da
intendersi nei risultati, non solo negli intendimenti.” Poche le organizzazioni che lavorano affinché i servizi dello Stato arrivino a considerare
prioritario lo sviluppo umano in ogni ambito, rivalutando il concetto
di “buon senso” nella gestione interna, nell’erogazione di servizi o nelle
decisioni di finanziamento che in realtà non sono che piccoli passi per
migliorare la quotidianità delle famiglie, degli individui del presente e
degli uomini e delle donne di domani.