Appunti minimi sull`evoluzione biologica (da un punto di vista

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Appunti minimi sull’evoluzione biologica (da un punto di vista filosofico)
Il fatto del cambiamento biologico
I fossili sono resti organici pietrificati
Verso il 1650 ci si chiede con più insistenza che cosa siano i fossili. Mentre i più parlano di
'giochi della natura', intendendoli come minerali simulanti gli esseri viventi (specie perché non
riconoscono una parentela fra i fossili e le specie attualmente esistenti), alcuni invece
cominciano a propendere per un'origine biologica.
Stenone (1667) indaga uno squalo gigantesco catturato nei pressi di Livorno nel 1660 e
portato a Firenze per essere dissezionato. Descrive, in particolare, l'anatomia della sua testa.
Rimane colpito dalla somiglianza tra i suoi denti e le glossopetrae, misteriosi oggetti a forma di
lingua, rinvenuti a Malta e nelle montagne italiane già noti da tempo e comunemente
considerati pietre cresciute nella terra come gli altri minerali, sorta di giochi della natura. Egli,
invece, ritiene che siano invece veri denti di squali andatisi via via pietrificando. Egli è fra i primi
(insieme a Hooke) a concepire il processo di fossilizzazione dei resti organici.
L'interpretazione minerale dei fossili termina con la beffa di Beringer, medico e naturalista
dilettante di Würzburg. Nel 1726 dei colleghi burloni gli fanno trovare dei fossili mai visti prima,
come fossero animali ancora vivi, incastonati in una lastra di pietra; gli fanno trovare perfino
una pietra con su scolpiti i caratteri ebraici per “Geova”, e lo studioso si ingegna ad escogitare
una spiegazione che renda credibili tali resti, pubblicando un libro eruditissimo sulle curiosità
che la natura produce a elevazione dell'anima umana. Il dubbio atroce lo colpisce quando su di
una pietra scopre incisi i caratteri del suo nome. Pare che si sia rovinato nel tentativo di
ricomprare tutte le copie del libro.
I fossili pongono problemi biologici e geologici
I problemi principali che si pongono, per chi assegna un'origine biologica ai fossili, sono:
1) come mai alcuni fossili si trovano in luoghi in cui le specie rappresentate non avrebbero
potuto vivere, p.es. resti di pesci sulle montagne: questo problema interesserà innanzi tutto
la geologia; per il momento, alcuni studiosi, rifacendosi alla Bibbia, ritengono che tale
dislocazione dei fossili sia una prova del Diluivio universale.
2) come mai alcuni fossili possiedono caratteristiche che non corrispondono a quelle di alcuna
specie attualmente esistente: questo problema interesserà innanzi tutto la biologia.
Problema: perché sono esistiti fossili estinti?
Alcuni fossili vengono giudicati come appartenenti a specie estinte. Ciò, però, solleva un
problema teologico: se la creazione divina è fatta per l'uomo, perchè Dio avrebbe creato degli
esseri che non hanno mai interagito con l'uomo? A che scopo sono stati creati? A questa
possibilità si opporrà Linneo stesso, il grande classificatore moderno degli esseri viventi..
Si noti come l’argomento “antropocentrico” (ogni cosa creata da Dio deve essere stata
concepita in funzione del suo ruolo nella vita umana) ricalchi quello che alcuni aristotelici
obiettavano a Galilei circa le stelle rimaste invisibili fino alla invenzione del cannocchiale.
Ipotesi trasformistiche, evoluzionismo settecentesco
Nel 1700 vengono avanzate ipotesi sulla trasformazione delle specie viventi
Nel pensiero biologico del 1700 appaiono, in modo sparso, svariati elementi che nel secolo
successivo comporranno il modello darwiniano. Eppure, è ancora assente l'idea di un principio
naturale di graduale sviluppo delle specie viventi a forme sempre più complesse. La
preoccupazioni principale è di accordare l'apparente stabilità del vivente con i mutamenti
geologici.
Si comincia ad ipotizzare una qualche pressione ambientale, in particolare dovuta a
trasformazioni dell’ambiente, come causa delle trasformazioni delle specie. Si specula che un
mutamento maggiore dell’ambiente sia dovuto all’approssimarsi graduale della Terra al Sole,
con il prosciugamento di porzioni sempre più ampie di superficie terrestre (Maillet, 1740).
Si introduce l'idea di variazioni fortuite delle specie viventi, dovute ad ‘incidenti di percorso’
di vario genere subiti dalle ‘molecole organiche’ destinate a formare nuovi embrioni; a tali
variazioni si attribuisce anche l'origine di specie nuove (Maupertuis, 1745; Buffon, 1749).
La specie umana differirebbe solo quantitativamente dalle altre specie animali. Fra uomo e
animali vi sarebbe una transizione graduale, e anche le differenze nelle loro attitudini
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intellettuali sarebbero solo quantitative, non essenziali. La specie umana stessa avrebbe
percorso questa distanza, partendo da una primitiva condizione bestiale, modificandosi
progressivamente fino a giungere alla condizione civile (La Mettrie [1748]).
Si dà inizio alla descrizione dei regni della natura, abbandonando il metodo meramente
classificatorio di Linneo, che si reputa altrettanto arbitrario dell'ordine alfabetico, proponendo
invece l'osservazione e la descrizione dei processi, delle evoluzioni, degli adattamenti e delle
contiguità tra le specie. Si afferma la credenza nella trasformazione delle 'famiglie' animali e
vegetali e quindi si ritiene le suddivisioni di specie come puramente nominali (Buffon, 1749).
L’età della Terra comincia ad essere considerata sempre più lunga
Buffon affianca a questa tesi biologica la tesi geologica dei tempi molto lunghi della storia
terrestre, che tradizionalmente, in base a quanto scritto nella Bibbia, era invece calcolata in
poche migliaia di anni. Si noti che solo un secolo prima, nel 1650, un vescovo anglicano, James
Ussher, aveva calcolato, basandosi sul testo biblico, che la creazione del mondo fosse
avvenuta nel giorno di domenica 23 ottobre 4004 a.C., a mezzogiorno in punto; la maggior
parte delle persone colte accettava questa tesi.
Buffon, in un testo a stampa del 1778, parla di 74.800 anni, ma nei suoi appunti mostra di
pensare a un periodo molto più lungo, di 3 milioni di anni.
Si amplia l'evidenza di un rapporto fra animali e ambiente, basata sulle omologie strutturali
Alcuni studiosi, prescindendo dalle eventuali trasformazioni subite dalle specie viventi in
passato, osservano come al presente sussistano delle interessanti omologie fra di esse. Cuvier,
nei primi anni del 1800, suppone che esse dipendano dal fatto che le diverse specie, in cui tali
omologie si manifestano, condividano il medesimo ambiente. Ciò indica allora la possibilità che
l'ambiente, in qualche modo, possa essere responsabile di alcune caratteristiche degli esseri
viventi che lo popolano. Vengono in tal modo sollevate anche questioni che in seguito
costituiranno il nucleo problematico dell'ecologia (Humboldt).
Lamarck propone una prima ipotesi sul meccanismo dell'evoluzione
Il trasformazionismo segna un netto distacco con il fissismo tradizionale. Manca, però, ancora
un'idea di come le trasformazioni possano realizzarsi.
Lamarck nel 1809 propone un primo modello esplicativo dell'evoluzione, che conferisce un
ruolo centrale all'ambiente.
Esso si articola in due leggi principali:
1. l’uso di un organo lo fortifica
In ogni animale che non abbia superato il termine del suo sviluppo, l’impiego più
frequente e continuo di un organo qualsiasi fortifica a poco a poco quest’organo, lo
sviluppa, lo ingrandisce e gli conferisce una potenza proporzionata alla durata del suo
uso, laddove l’assenza costante dell’uso di tale organo lo indebolisce insensibilmente,lo
deteriora, diminuisce progressivamente le sue facoltà e finisce per farlo scomparire.
2. i caratteri acquisiti sono ereditabili.
Tutto ciò che la natura ha fatto acquisire o perdere agli individui per l’influenza delle
circostanze alle quali la loro razza si trova da lungo tempo esposta, e di conseguenza,
per effetto dell’uso predominante di tale organo o del suo costante non uso, lo conserva
attraverso la generazione ai nuovi individui che ne derivano, purché i cambiamenti
acquisiti siano comuni ai due sessi o almeno a quelli che hanno prodotto questi nuovi
individui.
Le specie viventi si trasformerebbero perché ogni individuo, nel corso della sua vita,
sforzandosi di adattarsi all'ambiente in cui vive, contrarrebbe delle abitudini e svilupperebbe
delle funzionalità le quali non solo ne modificherebbero in qualche misura la costituzione
organica, ma finirebbero anche per trasmettersi per ereditarietà alle generazioni successive.
Così le giraffe, essendosi sforzate generazione dopo generazione di tendere il collo verso le
fronde più elevate degli alberi nella savana, hanno finito per conseguire un collo sempre più
lungo, che fa parte dei tratti ereditati da ciascun nuovo individuo della specie.
Il lamarckismo conserva un’atteggiamento finalistico (prevalente nel pensiero classico,
ispirato ad Aristotele) in quanto attribuisce alla materia vivente una capace di orientarsi a
scopo, e di utilizzare l’informazione proveniente dall’ambiente quale indicazione su come
riorganizzarsi internamente. Si può dire che l’ambiente fornisce all’organismo un’informazione
“positiva”, in grado di “ammaestrarlo”. Si tratta di una concezione chiaramente incompatibile
con lo spirito meccanicistico allora prevalente entro la scienza empirica. Come riconosce
Lamarck stesso, è in gioco una "potenza della vita", che, simile ad una forza vitale, "tende
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incessantemente a creare l'organizzazione", producendo tutta l'armonia e la regolarità che
caratterizzano la scala progressiva della "massa" complessiva degli esseri viventi.
La spiegazione darwiniana della teleonomia
Meccanismo della selezione naturale
In una popolazione
1. esiste una trasmissione ereditaria pressoché fedele delle caratteristiche biologiche degli
individui;
2. esiste una variabilità genetica, ossia, una probabilità pur molto bassa che alcune
caratteristiche biologiche dei figli differiscano significativamente da quelle dei genitori;
3. tale variabilità genetica è casuale, nel senso che non è determinata da richieste funzionali
dell’organismo stesso;
4. le risorse disponibili alla sopravvivenza tendono sul lungo periodo ad essere inferiori rispetto
ai bisogni di tutti gli individui (principio di Malthus);
4. si determina una pressione selettiva da parte dell’ambiente, per la quale tendono a
sopravvivere e a riprodursi individui che possiedono certe caratteristiche biologiche piuttosto
che altre, e lo fanno proprio in virtù di tali caratteristiche.
5. Il maggiore tasso di sopravvivenza e di riproduzione degli individui portatori di certe
caratteristiche biologiche fa in modo che tali caratteristiche siano più rappresentate di altre nella
generazione successiva.
6. la popolazione si modifica di generazione in generazione.
La teoria darwiniana si fonda sulle variazioni casuali e sulla selezione naturale
Secondo il modello proposta da Darwin nel 1859, diversamente da quello di Lamarck, non vi è
alcuna possibilità che modifiche che riguardino il fenotipo individuale, ovvero che dipendano dal
peculiare comportamento di un singolo individuo, si riproducano per via ereditaria. Le
caratteristiche genetiche sono tutte determinate a livello genetico, e le loro modificazioni, che
pure si verificano, sono meramente casuali.
Per quanto l’evoluzione per selezione naturale contenga una componente casuale, non è
essa stessa un processo casuale. Non è casuale che certe caratteristiche biologiche, pur
comparse in modo casuale, abbiano successo.
È la successiva selezione naturale, che risulta dalla competizione dei diversi individui entro
una medesima specie, nonché dalla competizione delle diverse specie che condividono le
medesime risorse presenti nel loro ambiente vitale, a determinare la sopravvivenza di alcuni
individui e di alcune specie, e a consentire quindi che siano essi, piuttosto che i perdenti, a
trasmettere le proprie caratteristiche ereditarie ai nuovi esseri viventi.
Una suggestione decisiva viene a Darwin dalla selezione artificiale operata dagli allevatori,
i quali agiscono secondo modalità analoghe a quelle della natura, consentendo a solo alcuni
individui dotati di caratteristiche differenziali vantaggiose di riprodursi. Si tratta, ovviamente,
solo di una analogia, in quanto in natura non vi è alcun selezionatore che dal di fuori decida
della sopravvivenza, e inoltre i criteri della selezione naturali sono interni alla natura stessa e
non estrinseci, come è invece il criterio della convenienza per gli interessi dell’allevatore.
Il problema della tautologicità della teoria selezionista
Se la selezione naturale è caratteizzata dallo slogan impiegato da Herbert Spencer: “la
sopravvivenza del più adatto [fittest]”, e se l’adattamento [fitness] è definita come “successo
riproduttivo differenziale”, ossia una maggiore produzione di prole vitale rispetto ai competitori
presenti nella popolazione, allora la selezione naturale finisce per essere una vuota tautologia:
hanno un maggiore successo riproduttivo differenziale gli animali che hanno un maggiore
successo riproduttivo.
Alcuni critici della teoria selezionista hanno fatto leva proprio su una siffatta considerazione,
che non è biologica ma solo logica.
Si tratta allora di trovare una definizione di “adattamento” che, pur fedele alla teoria di
Darwin, eviti il problema. Un difetto delle critiche anti-darwiniane è di confondere gli strumenti
per misurare l’adattamento (p.es. il numero di figli) con il significato di adattamento.
Resta il fatto che è a tutt’oggi molto difficile dare una definizione di adattamento che si
applichi in tutti i contesti.
La selezione naturale è resa necessaria dalla tendenza espansiva di ogni popolazione
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La competizione selettiva è prodotta dalla tendenza di ogni popolazione di esseri viventi ad
espandersi fino al punto di massimo utilizzo delle risorse, innanzi tutto alimentari, disponibili nel
proprio ambiente.
Questa tendenza era stata già illustrata, per quanto riguarda le società umane, da Malthus
nel 1798, che aveva messo in evidenza come ogni popolazione tenda naturalmente ad
accrescersi con un ritmo estremamente più rapido di quello con cui si possono accrescere i
mezzi di sostentamento. In linea di principio, le risorse potrebbe aumentare in base ad un tasso
semplice, quello della produttività (determinato a sua volta del progresso tecnologico), applicato
ad una quantità di base che rimarrebbe stabile (la quantità dei terreni coltivabili); la crescita
rientrebbe in quella che i matematici chiamano una progressione aritmetica. Nel caso della
popolazione, invece, il tasso di aumento (la fecondità con cui la popolazione mediamente si
riproduce) si applicherebbe ad una quantità di base che a sua volta crescerebbe (la
popolazione stessa): in questo secondo caso, dunque, si avrebbe una crescita determinata da
un tasso composto, secondo quella che in gergo matematico si chiama una progressione
geometrica.
La competizione selettiva non è un destino ineluttabile per gli esseri umani (“trappola
malthusiana”), giacché essi, attraverso sia un controllo della crescita della popolazione
(controllo demografico) sia uno sviluppo delle risorse basato sulla conoscenza (tecnologia)
sono riusciti, almeno in certi periodi della loro storia, a sottrarsi ad esso. La competizione
selettiva, comunque, è necessaria praticamente per tutti gli altri esseri viventi.
Con il modello darwiniano la teleologia è spiegabile in termini puramente meccanicistici
La sopravvivenza preferenziale degli individui che sono portatori delle caratteristiche che, in un
dato ambiente, consentono una maggiore affermazione di sé e della propria specie (p.es.
migliore uso degli alimenti, maggiore facilità riproduttiva, maggiore capacità di contrastare altre
specie competitrici), fa in modo che, con l'andare delle generazioni, quelle caratteristiche
compaiano con frequenza sempre maggiore. In questo modo la specie nel suo complesso
finisce per essere caratterizzata globalmente da quelle proprietà che, in quel dato ambiente,
possono essere considerate migliori. Per la specie, dunque, si ha un effettivo progresso.
Ma, dal punto di vista filosofico, è significativo che questo progresso, che è assolutamente
generale, riguardando ogni caratteristica biologica di ogni essere vivente, non sia il frutto di
alcuna deliberazione consapevole né la conseguenza dell'operare di alcuna causa finale. I
principi darwiniani dell'evoluzione, le variazioni casuali e la selezione naturale, sono
completamente riconducibili ad un ordine meccanicistico, in cui ad operare siano solo le cause
efficienti.
In questo modo il darwinismo è alleato dell'istanza positivistica, allargando i confini della
spiegazione scientifica.
Il darwinismo promuove il caso a determinante storico
Il caso, richiesto dall’evoluzionismo selezionistico, non è opposto al determinismo
meccanicistico; esso, piuttosto, va concepito 'aristotelicamente' come frutto dell'incontro storico
(in un dato luogo in un dato momento) di catene causali distinte, ma separatemente spiegabili
in termini totalmente deterministici. In altri termini, le mutazioni sono casuali non perché non
siano spiegabili medianti proprie cause, ma perché tali cause non sono correlate secondo alcun
meccanismo strutturale all’effetto che tali mutazioni producono.
I meccanismi non casuali della selezione e della trasmissione ereditaria hanno la capacità di
fissare in modo stabile le variazioni casuali, trasformandole in una costante strutturale del
mondo biologico. Il caso che riesce a “superare l’esame” della selezione cessa di essere un
rumore di fondo ed è promosso al rango di elemento strutturale.
Leggi naturali non più direttamente utilizzabili per la previsione
Con l’intervento del fattore casuale così inteso, pur entro un quadro teorico di riferimento
sempre costituito da leggi metatemporali e universali, cessa la prevedibilità solitamente
associata all’utilizzo di leggi di tal genere. Che un cambiamento evolizionistico debba esserci
può essere previsto sulla base dello schema universale presentato sopra; ciò che invece non
può essere previsto sono gli specifici percorsi che il cambiamento evoluzionsitico di volta in
volta prenderà. Questi percorsi potranno essere spiegati solo retrospettivamente.
Le specie viventi sono realtà storiche uniche e irripetibili
La storia, allora, cessa di essere concepita come il mero inveramento di regolarità universali
(casi particolari che riflettono un ordine costante della natura), e diventa invece costitutiva della
stessa ontologia fondamentale della natura
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Le sole leggi universali, a cui è riconducibile il modello darwiniano di base, non bastano per
prevedere l’esistenza delle specie viventi (quelle che sono esistite, quelle che esistono ora, e
quelle che esisteranno). Da questo punto di vista le specie viventi sono un poco come le opere
d’arte, frutto di una combinazione di fattori che le rende uniche e irripetibili. Se per ipotesi il
processo evolutivo potesse ripartire da condizioni più o meno analoghe a quelle che si
verificarono in passato, potrebbero saltar fuori, emergere ed affermarsi forme viventi assai
diverse rispetto a quelle che abbiamo conosciuto.
Non è possibile suddividire nettamente i fattori evolutivi in casuali e necessitanti
Nella formulazione classica il ruolo del caso è giocato dalle mutazioni; esse, per ripetere quanto
già detto, sono considerate casuali non perché prive di proprie cause, ma perché la loro
produzione non è connessa in modo strutturale con le caratteristiche e i bisogni dell’organismo
vivente. La selezione, al contrario, gioca nell’evoluzione il ruolo deterministico, setacciando le
variazioni genetiche la cui sorgente fondamentale è la mutazione.
Si tratta, però, solo di una prima approssimazione, poiché caso o necessità sono più
intimamente intrecciati e mescolati. La mutazione è casuale solo in rapporto alle esigenze vitali
dell’organismo, mentre è determinata dalle circostanze in cui l’organismo vive. La selezione,
d’altra parte, risulta deterministica solo se considerata sul mero versante statistico, mentre in
ciascun caso particolare è il risultato un’intricata interazione fra le caratteristiche fenotipiche
dell’individuo e i fattori ambientali: un individuo meno competitivo può trovarsi in modo del tutto
fortuito in una situazione più protetta, e salvarsi, nel momento in cui i suoi compagni più
performanti soccombono ad un agente selttivo.
Oppure, si possono verificare estinzioni di massa causate da eventi ambientali globali (per
esempio, collisioni di oggetti extraterrestri col nostro pianeta) che vanno ben oltre la capacità
che gli organismi hanno di adattarsi e sopravvivere, e in questo modo reimpostano in modo
casuale l’orologio evolutivo, annullando i vantaggi competitivi fino ad allora conseguiti da alcune
specie rispetto ad altre.
La divergenza evolutiva produce la speciazione
Una popolazione è costituita da individui della medesima specie che popolano un medesimo
ecosistema. Consideriamo le diverse popolazioni in cui una specie può dividersi, per esempio i
branchi di lupi presenti sulla faccia della Terra.
Una popolazione che rimanga isolata dalle altre della sua specie per un tempo abbastanza
lungo finirà per sviluppare alcuni cambiamenti evolutivi che la differenzieranno dalle altre
popolazioni sorelle. L’isolamento può essere geografico (vivere in diversi territori) o anche solo
comportamentale (sviluppare usanze particolari). È qualcosa che è chiaramente successo
anche al genere cui appartiene la nostra specie umana.
Se i cambiamenti evolutivi differenziali si approfondiscono può anche verificarsi il caso che
un maschio e una femmina di due diverse popolazioni non siano più capaci di dare vita a una
prole feconda attraverso la riproduzione sessuale. In tal caso le due popolazioni sono diventate
due specie distinte. Di recente, solo poche migliaia di anni fa, questo è successo per i lupi e i
cani.
Il fenomeno della speciazione rende possibile un'origine comune per tutti gli esseri viventi
Ai tempi di Darwin, il geologo Lyell, che Darwin stesso aveva letto con attenzione da giovane,
aveva sostenuto che il passato della Terra va compreso supponendo che i processi
attualmente osservabili siano stati all'opera anche in epoche precedenti.
Se applichiamo questa ipotesi uniformitaria agli eventi evolutivi, possiamo ipotizzare che,
come una specie può biforcarsi producendo due specie figlie, così ciascuna specie attuale può
essere considerata il frutto di una serie di biforcazioni avvenute in precedenza.
Secondo il modello evolutivo, allora, tutte le specie possono essere pensate come derivanti
da un'origine comune. Le diverse specie attuali sarebbero foglie alle estremità dei rami di un
unico albero filogenetico, in cui ogni biforcazione sarebbe costituita da un fenomeno di
speciazione.
Il darwinismo fornirebbe così anche un criterio per una classificazione ‘oggettiva’ degli esseri
viventi, fondata sui loro rapporti di derivazione all’interno di un tale albero (un approccio alla
classificazione biologica che oggi è indicato come cladismo).
Importanza della diversità
Da un punto di vista statistico, le caratteristiche meno capaci di assicurare la sopravvivenza
presenti entro una specie tendono a diventare meno frequenti, ma a non scomparire del tutto.
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Lo stesso vale a livelli più elevati del singolo individuo: per la popolazione, per la specie.
L’evoluzione selezionista non sopprime la biodiversità.
Questo fatto ha una conseguenza molto importante. I tratti meno adattativi in un certo
contesto ambientale possono diventare più adattivi nel caso in cui l’ecosistema, per cause
accidentali, si trasformi.
Persino alcune caratteristiche fisiologiche che oggi sono considerate patologiche (p.es.
talassemia), in diversi ecosistemi hanno consentito ai portatori una maggiore probabilità di
sopravvivenza.
Questo fatto deve farci riflettere sulla dubbia accettabilità, e non solo per motivi morali, delle
ideologie dell'uomo o della ‘razza’ perfetta: esse non possono darsi in senso assoluto. In questa
messa in discussione sono coinvolte tanto le ideologie razziste quanto le pratiche eugenetiche,
prospettate già da Platone.
È interessante fare un parallelo con il fallibilismo critico di Mill: i perdenti di oggi possono
essere i vincenti di domani.
Dopo Darwin
Problema per la teoria darwiniana: scarsità di tempo
Un problema per la teoria darwiniana discende dalla scarsità di tempo.
Lo scienziato Kelvin, nel 1862, considera il tempo di
 raffreddamento della Terra: tenendo conto del calore specifico della Terra e delle sue
attuali variazioni di temperatura, l'età della Terra ammonterebbe a circa 50 – 400 milioni di
anni.
 riscaldamento del Sole: tenendo conto del combustibile disponibile, è probabile che il Sole
abbia emesso calore per non più di 100 milioni di anni.
Se la Terra risalisse a solo qualche centinaio di milioni di anni, non ci sarebbe stato
abbastanza tempo per consentire ai processi evoluzionistici di produrre la diversità biologica
che oggi si osserva.
Darwin da questa difficoltà è indotto a rivedere la propria teoria, rendendola pluralistica,
ammettendo la possiblità di meccanismi evolutivi supplementari e alternativi rispetto alla
selezione naturale. A tal fine ricorre anche ad un meccanismo lamarckiano basato sull'uso e il
disuso. In ciò percorrerà un vicolo cieco.
La soluzione, invece, verrà, per quanto riguarda la prima critica, da ulteriori studi relativi alla
geologia terrestre, in particolare ai fenomeni radioattivi che si producono al suo interno, che
autorizzeranno a prolungare l’età della Terra fino a più di 4 miliardi di anni.
Per la durata del Sole, poi, bisognerà aspettare lo sviluppo della teoria delle reazioni
nucleari.
La teoria selezionista è stata sviluppata nella moderna ‘nuova sintesi’ o ‘neodarwinismo’
Darwin ha fornito lo schema esplicativo di base per i fenomeni dell’evoluzione biologica,
lasciando però molti dettagli ancora indeterminati.
Successivamente, a tale base sono state aggiunte alcune parti fondamentali, che hanno
prodotto la cosiddetta ‘nuova sintesi’; fra di esse si possono menzionare:
1. la teoria mendeliana dei caratteri ereditari (anni 1880, resa nota nel 1900);
2. la teoria statistica della genetica delle popolazioni, che concerne la distribuzione e
l'equilibramento nel tempo dei caratteri ereditari (Hardy e Weinberg, 1908);
3. la teoria sul ruolo dei cromosomi quali agenti dei processi mendeliani (Morgan, 1915);
4. l’analisi dei dati della paleontologia (i ritrovamenti fossili).
Coronamento di questo sviluppo, poi, è stato l’accertamento del meccanismo genetico
offerta da Watson e Crick nel 1953, disvelando la struttura e funzione del DNA.
Selezione naturale: ipotesi o fatto?
Ogni teoria delle scienze empiriche, in quanto universale, conserva sempre lo status di ipotesi.
Ma comunque esistono ipotesi assai congetturali, e invece ipotesi così ben fondate
sull’evidenza empirica da poter essere considerate come, allo stato presente delle conoscenze,
assodate oltre ogni ragionevole sospetto.
La teoria della selezione naturale, intesa nel senso lato della nuova sintesi, svolge un ruolo
pervasivo nella biologia, in quanto quasi nulla in questa ha senso se non alla luce del
selezionismo. Da questo punto di vista, la teoria neo-darwiniana è fra le teorie più solidamente
confermate in circolazione.
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Ci sono esempi di fenomeni evoluzionistici che possono essere prodotti quasi in tempo reale
(rispetto ai tempi geologici!). Un esempio è dato dalla resistenza dei batteri agli antibiotici.
Ancora più evidente (perché non sospetto, come il precedente, di una lettura lamarckiana) è
l'esempio del melanismo industriale della Bistun bitularia, con tutto il seguito di critiche e
risposte.
O ancora il recento studio dei fringuelli delle Galàpagos ad opera dei coniugi Grant. Si è
osservato che popolazioni di “fringuelli di Darwin” nelle isole Galàpagos si sono differenziate
sempre di più per il fatto di occupare isole diverse (con condizioni ecologiche diverse e mutevoli
anche nel corso di pochi anni, specialmente per la composizione del cibo), andando incontro ad
un conseguente adattamento evolutivo dei caratteri del becco (trasmissibili ereditariamente) in
funzione della nuova dieta. Questa divergenza ha gradualmente creato una barriera
riproduttiva, in quanto la forma del becco è risultata essere un carattere per la ricerca del
partner.
La selezione sessuale
È interessante il collegamento che Darwin [1871] compie fra selezione naturale e scelta
sessuale, giacché a prima vista parrebbe che la selezione sessuale non sia adattativa. In effetti,
il dimorfismo sessuale che la accompagna parrebbe in contrasto con l'assunto dell'adattamento
fisiologico e comportamentale all'ambiente: se conducono la stessa vita, perché maschi e
femmine sono così diversi? Ponendosi questo problema, e cercando di risolverlo, Darwin
giunge ad un'intuizione corretta e importante.
Basata su caratteri sessuali che possono valere come ornamenti o come armi, la selezione
sessuale dipende dal vantaggio che certi individui hanno su altri dello stesso sesso e della
stessa specie esclusivamente in relazione alla riproduzione. Le armi danno un vantaggio nella
lotta contro gli altri maschi, mentre gli ornamenti danno un vantaggio attirando le femmine. La
scelta è quasi sempre operata dalle femmine. I maschi si caratterizzano per il fatto di essere
ardenti, disposti ad avvalersi di ogni occasione di accoppiamento, ed il loro comportamento è
alla base della selezione intrasessuale. Le femmine, invece, si caratterizzano per il fatto di
essere schizzinose [choisy], ed il loro comportamento è alla base della selezione intersessuale.
La femmina, che si suppone si riproduca comunque, ha successo riproduttivo, e può esercitare
la scelta delle qualità: in parte premia i caratteri vantaggiosi per i maschi (le armi), in parte i
caratteri vantaggiosi per la prole (con gli ornamenti, privilegiando in generale la vigoria e la
salute). In un harem, per altro, la femmina non ha la capacità di esercitare una propria scelta.
Nel corteggiamento i maschi mostrano spesso sia la bellezza sia la capacità atletica.
Da notare che la congettura di un senso estetico negli animali, per cui la qualità della
bellezza conta nella scelta sessuale, fu così male accolta che per lungo tempo non è stata
nemmeno sottoposta a controllo.
Darwin anticipatore dell'etologia
Darwin, come studioso dell'espressione dei sentimenti, è fra gli anticipatori dell'etologia. Indaga
quanto è determinato ereditariamente e quanto invece socialmente.
Interessante è il metodo di studio impiegato:
 osservazione dei fanciulli, in particolare ciechi e sordi;
 osservazione degli alienati;
 galvanizzazione dei muscoli facciali;
 studio dell'arte figurativa;
 studi transculturali.
Selezione, comportamento, natura dell'uomo
La teoria dell'evoluzione naturale influisce sull'antropologia filosofica
La teoria dell'evoluzione naturale è rilevante per la filosofia perché induce a pensare alla natura
umana in termini che non sono compatibili con alcune opzioni filosofiche, oltre che con alcune
credenze religiose. In tal modo, ripropone la questione del rapporto fra scienza e filosofia.
Inoltre, è fonte di suggestioni metodologiche, e quindi di interesse per la filosofia della scienza.
L'uomo origina dalle scimmie antropomorfe
Come rileva Darwin nel 1871, anche la specie umana va considerata il frutto di un'evoluzione
procedente da specie precorritrici non umane, in particolare dalle scimmie antropomorfe. Gli
uomini avrebbe una comune origine con tutti gli animali vertebrati, condividendone quindi un
certo tratto del percorso evolutivo, attraversando gli stessi stadi di sviluppo e conservando
anche certi tratti comuni.
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Anche le facoltà più elevate dell'uomo sono spiegabili evoluzionisticamente
La teoria evoluzionistica è comprensiva, nel senso che non può fare a meno di comprendere
tutti gli aspetti del vivente. In particolare, per quanto riguarda l'essere umano, tutte le facoltà
umane, e tutte le esperienze da esse rese possibili, comprese quelle che metterebbero l'uomo
in relazione oggettiva con aspetti del reale e quelle che realizzerebbero i suoi valori più elevati,
vanno spiegati come esiti del processo di adattamento all'ambiente.
Questione della epistemologia naturalistica.
Possibile anche un'etica naturalistica.
Il darwinismo ha due esiti filosofici opposti: lo spencerismo e il pragmatismo
La filosofia di Spencer sottolinea l'inevitabilità del processo storico come competizione
dominata dal più forte.
La filosofia pragmatista, viceversa, trae dal modello darwiniano l'idea dell'ambiente come
insieme di possibilità che si offrono al controllo e alla manipolazione al fine della
sopravvivenza. Per il pragmatismo la selezione non è un principio esplicativo del cosmo, ma è
un metodo di analisi degli usi e delle possibilità della facoltà umane, comprese quelle cognitive.