Reciprocità
Dinamiche di cooperazione, economia e società civile
LUIGINO BRUNI
Mondadori, Milano 2006
pp. 224, euro 20
Presentazione del volume
Se tradizionalmente l’economia ha dato peso e dedicato analisi quasi esclusivamente ad
un tipo di socialità strumentale, che poneva, quindi, alla base delle scelte economiche i due
principi-base del self-interest e dell’anonimità, di recente le riflessioni di alcuni studiosi
hanno reso chiaro che è impensabile pretendere di innalzare paratie stagne tra gli ambiti
della vita umana che riguardano l’economia e le relazioni personali. Si è presa coscienza
del fatto che dimensione interpersonale e fattori economici si influenzano
vicendevolmente. Non solo, si è anche scoperto (o ri-scoperto) che gli aspetti relazionali
influenzano non soltanto le scelte che agli occhi di tutti appaiono al di fuori del mercato,
ma che questi agiscono anche all’interno delle ordinarie dinamiche di mercato, e
l’evidenza di questa influenza può aiutare a comprendere alcune scelte che, all’interno del
sistema, potrebbero apparire anomale, in quanto non giustificate dalla razionalità della
teoria economica. Tale apparato infatti inizia a mostrarsi troppo angusto per ospitare lo
studio delle dinamiche relazionali, che considerate all’interno di questa ottica, altro non
sarebbero che delle anomalie, delle incongruenze, e questa visione ha spesso giustificato,
finora, l’idea di una associazione necessaria, di una proporzione diretta tra genuinità delle
motivazioni e sacrificio dell’interesse personale (è questo il caso di settori del mercato del
lavoro caratterizzati dalla “vocazione”, come operatori della sanità ed accademici, a cui,
secondo tanta letteratura, è applicabile lo slogan “getting more by paying less”: in cui,
cioè, ci sono dei lavoratori che sostituirebbero la presenza di motivazioni materiali, le
retribuzioni economiche, con una forte dose di motivazioni intrinseche, la “vocazione”, e
questa caratteristica permetterebbe di individuare i candidati migliori, tramite una sorta di
autoselezione).
Questa teoria della socialità e della reciprocità in economia ha bisogno, secondo Bruni, di
essere arricchita.
Dopo aver accennato ad alcuni studi psicologici che affermano l’importanza delle
relazioni per la felicità e il benessere delle persone, Bruni prosegue introducendo le teorie
del “ragionamento di gruppo”, in particolare, la visione di Hollis e di Sugden: se il primo
propone di uscire dal dilemma che oppone la razionalità alla non-razionalità, mediante un
ripensamento della razionalità in modo che reciprocità e fiducia abbiano un senso al suo
interno, Sugden insiste sul concetto di team thinking e di membership, all’interno dei quali
agiscono meccanismi non necessariamente strumentali, ma che, piuttosto, danno posto al
senso di appartenenza, alla fiducia, alla reciprocità, appunto. Bruni passa poi a delineare
alcune visioni dei “beni relazionali”, riservandosi di esporre per ultime le caratteristiche
che secondo lui li definiscono. Queste sono: l’identità (non possono essere definiti
relazionali i beni scambiati in maniera anonima); la reciprocità (questi beni possono essere
goduti esclusivamente nella reciprocità; la simultaneità (questi beni vengono co-prodotti e
co-consumati allo stesso tempo dai soggetti coinvolti, e queste procedure di produzione e
consumo si differenziano da quelle dei comuni beni di mercato), le motivazioni
(motivazioni diverse portano alla creazione di beni relazionali o di beni “standard”), il
fatto emergente (più che essere prodotto, un bene relazionale “emerge” all’interno di una
relazione), la gratuità (con le parole della Nassbaum, il bene relazionale è un bene dove la
relazione è il bene, una relazione che è incontro di gratuità), bene, infine, è l’ultima parola:
il bene relazionale è appunto un bene, non una merce, ha un valore, ma non un prezzo.
Per proseguire nel suo percorso che si propone di complicare e arricchire l’idea di
reciprocità attualmente considerata, Bruni passa a chiedersi qual è la specifica forma di
relazione di mercato secondo la tradizione della scienza economica, e delinea una risposta
con l’aiuto di Adam Smith e Antonio Genovesi, che, contemporanei, si trovarono ad
affrontare il fenomeno della nascita dell’economia di mercato. La teoria di Smith ebbe
maggiore fortuna nel tempo e influenzò significativamente il modo di intendere il
rapporto tra mercato e socialità.
Entrambi lodavano il commercio come generatore di civiltà, come fattore che contribuisce
oggettivamente alla costruzione di una società più libera e più civile. A partire da questa
base condivisa, però, Smith e Genovesi continuano su strade diverse. Per Smith, infatti, è il
commercio che estendendosi produce fiducia, e non il contrario, libera gli uomini da
relazioni asimmetriche e consente loro, così, di sviluppare una socialità autentica che però
non si esplica all’interno del mercato stesso. Il mercato ha consentito di andare oltre i
rapporti e le gerarchie feudali, che erano ingiusti, e ha permesso agli uomini di stringere
forme di collaborazione che non prevedono il rischio dell’amicizia, troppo fragile e rara
per poter essere posta a fondamento di una società. Inoltre, la ricchezza e il benessere di
una società non nascono grazie alle azioni di singoli che si pongono come obiettivo il
perseguimento di un bene comune, e anzi, se costoro agiscono per i propri interessi
personali, la società intera ne risulterà provvidenzialmente avvantaggiata.
Genovesi propone una diversa idea della relazione tra la socialità e il mercato: se, infatti,
anche per lui la relazionalità è un elemento caratteristico dell’essere umano, ciò che la
distingue dalla relazionalità secondo Smith è l’essere reciprocità, non semplice socialità
finalizzata al baratto e allo scambio. Le relazioni economiche di mercato non sono,
secondo Genovesi, né impersonali, né anonime, in quanto si basano sulla reciprocità e
sulla fede pubblica che non si costruisce al di fuori del mercato per poi essere spesa al suo
interno, poiché il mercato è parte della società civile. Genovesi non concepisce alcuna
separazione tra la logica del mercato e la logica del resto della società: queste sono basate
sulla medesima logica, che è la reciprocità. Per Smith, invece, le due logiche alla base di
mercato e società sono di natura diversa, e nel corso dei secoli, la strada seguita dagli studi
economici ha preso le mosse proprio dalle sue indicazioni.
Nei capitoli successivi, Bruni passa all’analisi delle forme di reciprocità, servendosi anche
di modelli di teoria dei giochi.
La prima forma che presenta è quella tipicamente presa in considerazione dalle teorie
economiche, e si identifica, di fatto, nella cooperazione in cui ai soggetti è chiesto di
rischiare poco o addirittura nulla.
Bruni individua nella
condizionalità, nella
enforceability (esecutività) e nello scambio di equivalenti alcune caratteristiche tipiche di
questo tipo di reciprocità. Nello specifico, la condizionalità si spiega col dire che in questo
tipo di reciprocità non esiste gratuità, e le prestazioni di un soggetto A sono condizionali a
quelle di un soggetto B.
Questo tipo di reciprocità deve anche essere enforceable, vale a dire che deve esistere una
terza parte che garantisca e all’occorrenza applichi le sanzioni previste dal contratto.
Le prestazioni dei soggetti che stipulano un contratto, inoltre, devono essere equivalenti.
Questa forma di reciprocità, definita cauta, emerge anche in casi di interazioni ripetute,
dove non ci sono le garanzie delle sanzioni e non c’è anonimità. Il soggetto che opera
secondo una strategia di cooperazione cauta non coopera mai per primo. Per questo, una
società dove esistessero solo “giocatori” di questo tipo non vedrebbe mai l’insorgere di
cooperazioni. Affinché nasca la cooperazione, c’è bisogno di altri soggetti, che siano
“attivatori” di questi cooperatori “potenziali ma dormienti”. E’ necessaria, quindi,
l’interazione con logiche di tipo diverso.
Una delle logiche che muovono dei cooperatori “coraggiosi” potrebbe essere quella che
Bruni inserisce come secondo tipo di reciprocità nel suo studio e che definisce reciprocitàphilìa. Questa seconda tipologia ha dei punti in comune con la prima (che Bruni trae a
partire dall’idea di amicizia espressa da Aristotele nell’Etica Nicomachea), e questi
consistono innanzitutto nell’equivalenza, che in questo caso non è l’equivalenza
monetaria, oggettiva, ma indica piuttosto la consapevolezza di ognuno dei soggetti in
gioco di non essere sistematicamente sfruttato dall’altro. E’ necessaria, inoltre,
l’uguaglianza degli agenti in gioco (laddove questa uguaglianza non ci sia, intervengono
le leggi e i controlli ad inserirla artificialmente) e la libertà, che nasce dall’esistenza del
mercato, il quale garantisce la possibilità di rapporti umani disinteressati (è grazie al
mercato, infatti, sostiene Smith, che gli uomini sono liberi di stringere rapporti di amicizia
con persone dalle quali non sono costrette a dipendere). Sia l’amicizia che la reciprocità
cauta, inoltre, godono della proprietà della non-transitività.
La condizionalità, infine, è un punto un po’ delicato del paragone tra reciprocità cauta e
reciprocità-philia: quest’ultima, infatti, non è propriamente né condizionale né
incondizionale, se è vero che il primo passo della reciprocità-philia è incondizionale, ma in
seguito la cooperazione continua solo se l’altro soggetto coinvolto risponde in maniera
positiva. Con le parole del sociologo Caillé, siamo davanti ad una “incondizionalitàcondizionale”.
La reciprocità-philia si distingue dalla reciprocità cauta perché per esplicarsi al meglio ha
bisogno di ripetizione (mentre un contratto può anche esaurirsi in una sola interazione);
viene definita in base alla disposizione (per questo, un amico è portato a perdonare la
defezione dell’amico in uno o più atti, a condizione però che la disposizione a collaborare
resti e si manifesti poi nel comportamento). Legate alla disposizione sono, ovviamente, le
intenzioni, cioè le motivazioni che spingono all’azione. Se nella reciprocità dei contratti del
primo tipo, le motivazioni, cioè i perché che spingono all’azione sono quasi del tutto
irrilevanti, nel caso della philia questi invece sono essenziali, soprattutto se si tratta
dell’amicizia di virtù, secondo l’Etica Nicomachea, un rapporto in cui l’amico non è un
mezzo ma un fine, in cui il rapporto di amicizia ha un valore in sé, un rapporto, infine, che
a differenza della relazione contrattuale non può essere anonimo.
Il terzo tipo di reciprocità è quello della reciprocità incondizionale, un tipo di relazione in
cui, a differenza delle prime due tipologie esposte, il soggetto agisce anche in mancanza di
aspettative positive riguardo la risposta degli altri. Questa logica di reciprocità può essere
ben sintetizzata dalla parola gratuità, che informa realtà come le virtù civili, l’agape e
l’arte. Questo terzo tipo di reciprocità ha in comune con i primi due solo la libertà, che
però in queste condizioni è una libertà ancora maggiore, in quanto originata da una
convinzione interiore. Sono molte le differenze rispetto a reciprocità-cauta e reciprocitàphilia. Innanzitutto, nella reciprocità incondizionale l’equivalenza perde senso, e lo stesso
accade per l’uguaglianza (la reciprocità incondizionale è infatti incontro di gratuità). La
gratuità, poi, si distanzia dall’elettività propria della reciprocità-philia, e non si esprime
neanche necessariamente nella ripetitività del gioco, ma può farlo anche in una situazione
one-shot. La gratuità, inoltre, non tiene conto della disposizione né delle intenzioni degli
altri soggetti in gioco. Inizia con un atto di reciprocità e coopera anche di fronte a chi non
coopera (adotta quindi la strategia del perdono, pagando a proprie spese la risposta
negativa degli altri in gioco).
Come riuscire, allora, a fare rientrare questo tipo di relazionalità, che rinuncia alla
condizionalità, in un contesto di reciprocità? Non si tratta, piuttosto, di altruismo, cioè di
un atto unilaterale? Bruni cerca di dimostrare che la gratuità è una logica che esce sì dalla
condizionalità, ma non si distacca dalla reciprocità. Secondo l’Autore, una azione è
gratuita se non è condizionata dalle risposte degli altri al momento della scelta, ma la cui
felicità (o utilità) dipende anche dal comportamento adottato dagli altri in risposta.
Tornando alla teoria dei giochi, un giocatore sceglie questa strategia perché spinto da forti
motivazioni intrinseche, che gli forniscono delle ricompense sostitutive delle ricompense
materiali che avrebbe se anche gli altri cooperassero. Un soggetto che gioca questa
strategia ne ricava un risultato migliore se incontra un soggetto che usa la stessa strategia
di gratuità: in questo senso, questa logica mantiene il senso di reciprocità.
Bruni prosegue poi col mitigare l’idea di strategie o tecniche fisse, sottolineando che
diversi soggetti possono adottare varie strategie nel corso di giochi ripetuti, e che
l’adozione dell’una o dell’altra dipende da una variabile: la presenza e la forza della
motivazione intrinseca in rapporto alla situazione che il soggetto si trova ad affrontare.
Oltre a questa spiegazione, accenna anche alla teoria secondo la quale alla base della scelta
di una strategia di gratuità (che sarebbe espressione di una etica deontologica) ci sarebbero
logiche razionali diverse da quelle che spingono a scegliere uno degli altri due tipi di
strategie, che sarebbero invece espressione di un’etica utilitaristica.
L’Autore decide di concludere il suo studio con uno sguardo alla responsabilità sociale
d’impresa (RSI), alla microfinanza, al commercio equo e solidale, e ribadisce ancora una
volta come sia importante l’interazione dei diversi tipi di reciprocità per un sano sviluppo
della società civile. In particolare, si sofferma sulle diverse motivazioni che spingono le
imprese ad adottare pratiche di RSI: alcune imprese lo fanno perché costrette dalla
pressione civile o politica, o per calcolo economico in termini di profitto: queste adottano
una reciprocità “cauta” in quanto non iniziano per prime ad adottare una cultura di
responsabilità, ma vi si adattano se il contesto lo richiede. Esistono anche imprese che
usano la RSI come mezzo di marketing. Queste scelgono autonomamente di fare RSI, ma
se non trovano risposta da parte di altri, possono abbandonare queste pratiche: per questo
è possibile classificarle come cooperatori coraggiosi.
Ci sono, infine, imprenditori che scelgono di porre in essere la RSI per motivazioni
intrinseche, in quanto aderiscono a dei precisi codici identitari che li spingono ad adottare
comportamenti responsabili nel loro fare impresa. Queste imprese svolgono spesso il
ruolo di attivatore in contesti con bassa cultura civile, tuttavia sarebbe sbagliato
considerarle le uniche davvero “socialmente responsabili”. Un consiglio simile è quello
che Bruni rivolge a certi operatori del commercio equo e solidale che rischiano di
suddividere il mondo (e il mercato) in “imprese buone”e “imprese cattive”: buone
sarebbero solo quelle mosse da una vocazione, nate quindi non con l’obiettivo primario
del profitto, mentre cattive sarebbero tutte le altre. Andare oltre questa visione manichea
è, secondo Bruni, una strategia che sul lungo periodo potrebbe risultare vincente: se gli
operatori incondizionali iniziassero a cooperare con imprese di tipo brave (coraggioso) o
cauto, potrebbero, sul lungo periodo, persino riuscire a vedere l’equità e la solidarietà che
hanno posto a fondamento delle loro azioni, come nuova cultura, normale, dei mercati.
Molte reciprocità, dunque, e tutte da attivare e fare interagire tra loro se si aspira ad una
società che non si fermi sulla non-reciprocità e che possa almeno sognare di godere di
quella “civile felicità” immaginata da Vico.
L’autore
Luigino Bruni è Professore Associato di Economia Politica presso la Facoltà di Economia,
Università di Milano-Bicocca e incaricato sulla cattedra di Economia Politica presso
l’Istituto Universitario “Sophia” di Loppiano. Vicedirettore del Centro interdisciplinare e
Interdipartimentale CISEPS. E' vicedirettore del centro interuniversitario di ricerca
sull'etica d'impresa Econometica e membro del comitato etico di Banca Etica.