GS Gioventù Studentesca Catania, 20 aprile 2015 Presentazione, effettuata da don Carmelo Vicari, de “La conversione al cristianesimo nei primi secoli” di Gustave Bardy Canto introduttivo : Mi sei scoppiato dentro al cuore Introduzione del prof. Antonello Santoro «Nell’anno 29 o 30 della nostra era, in coincidenza con la pasqua dei giudei, tre croci furono innalzate alle porte di Gerusalemme. Su due di esse morirono dei criminali per diritto comune. La terza era invece stata riservata ad un agitatore politico, stando almeno alla scritta che portava il nome del condannato e la motivazione del suo supplizio: “Gesù di Nazareth, re dei Giudei”. Esecuzioni del genere erano allora frequenti e non vi si prestava attenzione. Storici e cronografi avevano ben altro da fare perché sentissero il dovere di registrare fatti e gesta di poveracci i quali, spesso per motivi futili, venivano condannati alla morte in croce. L’esecuzione di Gesù sarebbe quindi passata inosservata se, due giorni dopo, alcuni amici e discepoli non avessero visto apparire, pieno di vita, colui del quale avevano rispettosamente deposto il corpo in un sepolcro nuovo». Inizia così la prefazione che uno dei più grandi studiosi francesi di patrologia della prima metà del Novecento, Gustave Bardy, antepone al suo stesso libro e… ci ha già fatti entrare nel cuore di tutta la questione! E’ un libro che egli scrive nel 1945, 70 anni fa, appena terminata la Seconda guerra mondiale, quando il genere umano, segnato profondamente da morte e distruzione, provava a rialzarsi e ad affrontare la ricostruzione. Non era facile ricostruire, tra le ben visibili macerie materiali e tra quelle ancor più devastanti intellettuali, spirituali, morali. Gli uomini di buona volontà, e tra loro anche gli studiosi nei più vari settori di loro competenza, cercavano di offrire il proprio contributo perchè l’opera di ricostruzione avesse solide fondamenta, come, ad esempio, conoscere la propria storia. Non conoscere la propria storia significa, infatti, perdere la propria identità e un uomo o un popolo senza memoria della propria identità è in balia di qualsiasi potere. Con questa consapevolezza e in quel clima post-bellico quasi da fine del mondo, Gustave Bardy, appunto, ormai 65enne, offre anche lui il suo contributo a questa ricostruzione, scrivendo un saggio storico appassionato e appassionante su “La conversione al Cristianesimo nei primi secoli”, che è quasi il compendio di una vita di studioso e credente e nel quale colpiscono gli spunti che avvicinano il mondo di duemila anni fa al nostro presente. Bisognerà aspettare, poi, il 1975 perché questo lavoro sia pubblicato in lingua italiana dalla minuscola casa editrice Jaca Book, diventando, nei successivi 40 anni fino ad oggi, a suo modo, una specie di best seller o meglio un ever green, particolarmente caro al popolo di CL e non solo, proposto e riproposto a intere generazioni da don Luigi Giussani prima e don Julian Carron poi. Perché? Cosa c’era nel 1945, nel 1975, cosa c’è ancora oggi nel 2015 di tanto interessante in un saggio storico del genere? E’ un saggio storico, intanto: “storia” viene dal verbo greco “istoreo” che significa “fare un’indagine, indagare”. E di un’indagine sui primi cristiani si tratta, o meglio su quel fenomeno impressionante che fu la conversione al Cristianesimo nei primi secoli, un percorso affascinante e ricco di sorprese, perché Bardy non procede per tesi ma per testimonianze. Per esaminare un fatto, ci dice egli implicitamente, bisogna seguire un metodo ben preciso: bisogna raccogliere le fonti, i documenti, le testimonianze, il più possibile, e sulla base di questi documenti bisogna cercare di ricostruire ciò che è accaduto, per quanto è possibile. E cita un gran numero di fonti, che è una delle grandi ricchezze del suo libro, nomi e vicende ai più ormai sconosciuti perché di queste persone non si parla più né a scuola, né da nessun’altra parte, dato che – per inciso – sono ritenute conoscenze ormai superflue, riservate agli specialisti, ed invece la loro ignoranza ci priva – scusate – della possibilità di comprendere il passato e il nostro stesso presente. “Conversione”, eppure, tornando al libro, nota Bardy, “il mondo greco-romano non si è convertito a nessuna delle religioni orientali (…); non si è convertito alla filosofia (…); non si è convertito al giudaismo (…); ma si è convertito al Cristianesimo” (p.121). Com’è potuto accadere? E, notate, noi parliamo di conversione, ma la conversione stessa – nel senso di “volgersi, cambiare rotta” nella propria vita - era una categoria sconosciuta nel mondo pagano greco-romano. La religione greco-romana era una religione tradizionale, della quale si faceva parte in quanto cittadini, ed era inconcepibile abbandonarla. La religione, infatti, era parte integrante della città, quindi l’uomo era religioso già solo perché era cittadino, della polis greca o dell’impero romano. Questa religiosità garantiva l’equilibrio dello stato, riconoscendo un “pantheon” che governava la vita degli uomini e al quale, di conseguenza, si doveva assicurare una ritualità formale: era importante ripetere gli stessi culti e l’uomo doveva sottostare a questi culti. In una religione formale politeista di questo tipo, esisteva non la conversione, ma l’adesione: si accoglievano le nuove divinità, si collezionava un numero impressionante di divinità, garantendosi che il divino fosse onorato e tenuto sotto controllo, secondo un rapporto di “do ut des”: ti garantisco i miei onori formali, affinchè tu divinità mi garantisca l’equilibrio formale della città. “Più dei si hanno, più si è sicuri della protezione celeste”, scrive lapidariamente Bardy. Una religione formale di questo tipo non comportava, ovviamente, un rapporto personale con la divinità. Si doveva soltanto garantire il culto esteriore e l’uomo-cittadino doveva far sacrifici, far processioni, insomma onorare gli dei, mantenere questo equilibrio. Ed era una religione che non aveva nessuna pretesa di verità. La ricerca della verità riguardava la filosofia; tant’è che i primi che entrano in contatto con il Cristianesimo lo definiscono una filosofia, inizialmente lo confondono con una filosofia! La vita degli uomini era guidata, in fondo, da un fato nemico, non interessato all’uomo, inconoscibile, un fato che terrorizzava il singolo uomo e lasciava un senso di inquietudine, a cui i greci, ad esempio, rispondono affermando se stessi, non accettando di sentirsi destinati ad una sorte incomprensibile: “i greci non hanno avuto gli dei che si meritavano”, esclamava sempre nel secondo dopoguerra un altro studioso francese Charles Moeller, in un’altra opera straordinaria, “Saggezza greca e paradosso cristiano”, che ci è anch’essa particolarmente cara… ma questo è un altro libro! Man mano prevale, quindi, l’insoddisfazione per il peso di un destino avvertito immodificabile e il desiderio di verità pervade tutta la cultura antica: la filosofia prova a rispondere a questa sete di verità. Ed esistono tanti casi di conversioni filosofiche: la filosofia risponde più della religione tradizionale al bisogno di avere una spiegazione chiara e sicura del mondo, delle sue origini, del suo destino. La filosofia insegna alcune pratiche di vita, come sopportare il dolore, disprezzare la morte, avere pazienza nella malattia, non lasciare che la propria anima si turbi, essere felici della sola virtù. Quando San Paolo parla ad Atene ricordando che i greci hanno sempre ricercato la saggezza, sono passati più di 400 anni dalla morte di Socrate: i filosofi sono stati apprezzati e hanno goduto di prestigio, ma dopo lunghi secoli la filosofia non ha veramente convertito nessuno. La predicazione dei filosofi è aristocratica, si rivolge a quelli che sapevano leggere e scrivere, agli intellettuali e agli uomini di classi sociali elevate. La filosofia antica non apporta il vero rimedio ai mali di cui soffre l’umanità: pone bene le questioni, ma queste rimangono senza risposta: “agire senza sapere a quale scopo (…), credere agli dei senza averne le ragioni decisive e quindi coricarsi aspettando la morte: ecco dove sfocia lo sforzo della filosofia antica” (pp. 93-94), sintetizza drammaticamente Bardy. Dopo il paganesimo, neanche la filosofia riesce, dunque, a rispondere pienamente al bisogno più profondo dell’uomo. E neanche il giudaismo, tra le religioni antiche assolutamente unica, riuscirà a conquistare davvero i pagani, che pure erano molto attratti dal monoteismo e da alcune pratiche religiose e rispettavano il fatto che gli ebrei osservassero la religione dei loro padri. Ma quando i pagani si accostano alla comunità di Israele, diventando “phoboumenoi ton Theon” o “sebomenoi ton Theon”, cioè i “tementi Dio”, scoprono di avere gli stessi doveri ma non gli stessi diritti degli ebrei, restano, insomma, inferiori e subordinati ad un popolo a sé stante – il popolo ebreo - del quale non si può veramente far parte. Ma allora quali furono i motivi che resero affascinante il Cristianesimo fin dal suo primo apparire, determinandone una rapida diffusione in gran parte del mondo di allora? “Perché - si chiede efficacemente Bardy - il Cristianesimo è riuscito là dove son falliti tutti gli altri tentativi di trasformazione o di conquista degli spiriti antichi (p.120)?” Stasera ci introdurrà alla lettura di questo libro e ci aiuterà a comprendere meglio questa svolta epocale nella storia dell’umanità don Carmelo Vicari, parroco della Chiesa Sant'Ernesto a Palermo, ma soprattutto appassionato di storia del Cristianesimo. Don Carmelo Vicari Ascoltando il prof. Santoro, mi veniva spontaneo chiedere: ” Ma perché avete invitato me?” Veramente l’ho apprezzato per la sua capacità di chiarezza e di sintesi. Complimenti! Grazie dell'invito. Tra le cose che volevo immediatamente dirvi è che, per apprezzare Bardy e il suo testo, è fondamentale avere consapevolezza di questo autore come di un uomo che vive quel tempo fantastico tra la fine dell'Ottocento e il Novecento che ha visto il rinnovarsi della vita cristiana, attraverso l'emergere dentro la Chiesa di movimenti, di novità, di rinnovamento. Famosissimo è il Movimento Liturgico e figura grandissima in esso è Romano Guardini . E’impressionante la rinascita della filosofia e della teologia cristiana che si sganciano dalla tradizione un po' razionalistico-dottrinale degli ultimi secoli e vengono offerte come pensieri e conoscenze che nascono da una esperienza rinnovata del popolo della Chiesa. Si tratta di uomini e donne che attraversano le vicende drammatiche e tragiche della Prima e della Seconda Guerra Mondiale e che porteranno poi la Chiesa nelle condizioni di dare vita al Concilio Vaticano Secondo. Scrivono testi che non sono meramente intellettuali, ma di gente appassionata alla vita della Chiesa, alla vita del popolo e alla storia degli uomini. Non scrivono per erudizione, scrivono per passione. Sono interessati alla vita loro e dei loro fratelli uomini e desiderano dare un apporto a quell’ umanità dolente, perché si riprenda. Ci hanno lasciato come dono il Concilio Vaticano Secondo che è il tentativo di rendere visibile questa origine del Cristianesimo oggi. Per questo Bardy si interessa alla conversione al Cristianesimo nei primi secoli, perché ritiene che quelle modalità di esperienza cristiana dell'origine siano ancora presenti e possano ancora permettere l'incontro tra l'annuncio cristiano e l'avventura dell'uomo di oggi, in contesti storici, culturali e sociali evidentemente diversi. Come è stata possibile questa rapida diffusione nei primi secoli? Certo questo fatto è un grande enigma. Noi siamo ormai abituati all'Occidente cristiano ma quando parliamo dei primi secoli…… Intanto all'inizio non era conosciuto come Cristianesimo ma come fenomeno giudaico e quindi non era avvertito come una novità, ma come una variante del giudaismo. Gli inizi del Cristianesimo sono una lotta interna al giudaismo tra gli ebrei giudei che ritengono di dover rimanere nella fedeltà alla Torah, alla legge così come era stata data da Mosé, e questo gruppo settario che affermava di aver incontrato e aver riconosciuto il Messia atteso dai profeti e quindi il compimento della legge. Ma la novità non tardò a manifestarsi: che cosa caratterizzava questa setta, questo gruppo rispetto alla religiosità pagana, rispetto alla filosofia, rispetto alla religiosità giudaica? Qualcosa che fin da subito non l'ha resa setta. Io non leggo ora il libro, perché questo dovete leggerlo voi, la fatica va fatta da voi. Per la prima volta io l'ho letto nel ’75, quando Don Giussani l’ha fatto pubblicare; l'ho riletto quando è stato indicato una seconda volta e poi ancora adesso. Come il prof. Santoro ha giustamente fatto osservare, la religiosità pagana fondamentalmente consisteva in una serie di riti, di norme da rispettare, da cui magicamente aspettarsi l'equilibrio, il mantenimento dello status quo, ma che non davano soddisfazione rispetto alle ansie e alle questioni della vita. La proposta filosofica da che cosa era invece caratterizzata? Da un'ansia di conoscenza e di conoscenza della verità. La filosofia esprime l'inquietudine dell'uomo, greco prima e romano poi, l’ansia della conoscenza dell'origine, dello scopo, del senso della vita umana, del destino del mondo; ma come esperienza è stata molto elitaria. Certamente coinvolgeva, ma in modo selettivo ed inoltre non era in grado di dare risposta a tutta la realtà dell'uomo. Era dunque una risposta elitaria, selettiva e perciò parziale rispetto all'esperienza umana. Di fatto ha mostrato la corda: poi alla fine, per poter continuare, ha dovuto superarsi. La filosofia è diventata filosofia religiosa, quasi teologia col platonismo e il neoplatonismo. Il cristianesimo è venuto incontro a questa sete. La sete di conoscenza dei greci e dei romani è paragonabile come passione, come urgenza, alla sete che oggi gli uomini vivono per la libertà e per la sessualità; quello che gli uomini di oggi sono disposti a fare per la libertà e per la sessualità, gli uomini di allora lo facevano per la ricerca della verità. Non potevano vivere senza la verità. Socrate diceva ai suoi amici: ”Com'è bello quando possiamo studiare e non ci sono le donne”. Inoltre la filosofia non era un esercizio meramente intellettuale, era una proposta di vita e di vita comunitaria. Era una specie di movimento di Comunione e Liberazione di allora: quegli uomini amavano la vita, desideravano essere posseduti dalla verità e la cercavano e si spostavano, ma non la trovavano in modo soddisfacente. La proposta filosofica è stata una proposta insufficiente. La religiosità giudaica ha avuto certamente un fascino che ha conquistato tanti, perché il monoteismo e l'originalità del popolo ebraico, così radicato in un’ esperienza religiosa tanto antica, affascinavano. Aveva però un limite: non era per tutti. I profeti avevano detto che tutti i popoli avrebbero potuto un giorno essere parte di questo popolo, ma stranamente questo non si compiva .Certamente i giudei ammettevano l'accoglienza dei pagani, dei gentili, ma fino a un certo punto. C'era inoltre un ostacolo grande per poter partecipare a questa esperienza: che bisognava circoncidersi e questo i romani e i greci non lo amavano particolarmente, perché non lo capivano. Il fatto che il giudaismo implicasse una discriminazione è visibile anche nelle lettere di San Paolo: c'è ancora distinzione tra giudeo e greco, tra ebreo e gentile. Anche nei Vangeli c'è segno di questa discriminazione: non si può andare a mangiare con i pagani, anche se sono proseliti, anche se temono Dio. Quindi anche il giudaismo non è stato in grado di rivolgersi a tutti gli uomini e a tutto l'uomo ed è stata un'esperienza affascinante sì, ma settaria, incapace di aprirsi all'uomo intero. Il cristianesimo da questo punto di vista avuto il merito, pian piano, di manifestarsi come una presenza di uomini e donne che possedevano una capacità di aggregazione al di là di ogni distinzione. Era una proposta di vita che intanto rispondeva a tutte le istanze dell'uomo, che prendeva in considerazione la totalità dell'esperienza umana e quindi si rivolgeva a tutto l'uomo e a tutti gli uomini. La cosa che impressionava i pagani quando incontravano i cristiani è che quando questi si riunivano, pur non avendo templi, non avendo luoghi di culto - tutte quelle cose tipiche della religiosità - manifestavano una cosa: in qualsiasi luogo si si incontrassero, potevano incontrare tutti e accogliere tutti. Le assemblee dei cristiani vedevano insieme filosofi e ignoranti, ricchi e poveri, padroni e schiavi, uomini e donne. Questo ha impressionato: un'esperienza umana nuova, sui generis, che rendeva possibile e presente l'impossibile, ossia che l'ebreo si trovasse insieme al gentile senza nessuna discriminazione: “Non c'è più ebreo né gentile, non c'è più uomo né donna, non c'è più schiavo nè libero”. Questa esperienza umana non si era mai vista. Il cristianesimo si è presentato come una realtà umana talmente nuova che non sapevano come definirla: l'unica cosa che sapevano dire era che non erano ebrei ma non erano neanche romani o greci, e si chiedevano: ”Ma chi sono? Da dove vengono? Da dove spuntano fuori? Come è possibile?” . A Cartagine hanno creato un termine nuovo, hanno definito la presenza dei cristiani come “un terzo genere”, un genere nuovo, diverso. I cristiani, pur non contrastando questa definizione , non l’hanno fatta propria, perché loro non amavano definirsi una razza diversa, aliena, sbucata chissà da dove. Il termine che invece usavano per identificare se stessi era: ”Noi siamo un popolo nuovo”. Non un popolo fatto da gente strana, ma da persone di tutti i popoli, di tutte le lingue, di tutte le estrazioni, definite però da un'appartenenza precisa all'avvenimento di Gesù di Nazareth, morto e risorto. I pagani che venivano in contatto con la presenza cristiana incontravano un'esperienza umana nuova, affascinante e per tutti. Per certi versi sembrava che non cambiava niente: i padroni restavano padroni, gli schiavi schiavi, gli uomini uomini e le donne donne. Questo però apparentemente. Immaginate, in un mondo che non era abituato a ciò, dove i padroni si trovavano tra di loro e i servi con i servi, un'assemblea in cui il padrone partecipava col suo servo e non si sentiva diminuito e il suo servo non si inorgogliva all’inverosimile, ma si riconoscevano familiari nell'appartenenza al Signore. Tornavano a casa e il padrone era il padrone il servo restava servo, ma non era più come prima, erano cambiati la percezione, il sentimento dell'umano. Perciò, quando ho letto queste storie, queste testimonianze dei primi secoli del Cristianesimo, l'immagine che me ne sono fatta è quella del Big Bang . Qui non si tratta della teoria cosmologica, ma di un Big Bang antropologico; con l'irruzione cioè dell’avvenimento cristiano è emerso un fatto, un fenomeno che ha fatto venire a galla dei fattori di identità dell'umano che da quel momento in poi identificheranno per sempre l'uomo ; non sarà più possibile pensare l'uomo senza quest'evento . I fattori che ha suscitato si potranno oscurare e censurare per un po' di tempo ma ormai, come non esiste l'universo senza il Big Bang, non esiste la storia senza l'avvenimento cristiano, senza l'esperienza dei primi secoli. I romani e i greci soffrivano dell'esperienza della schiavitù: una cosa che li terrorizzava era la possibilità di finire schiavi, non solo dal punto di vista sociale . Per la sfortuna della vita, per le sconfitte in guerra, per la perdita dei beni: ecco il terrore della schiavitù sociale. Ma poi c'era il terrore della schiavitù dal destino, un destino che incombeva e che non si poteva assolutamente determinare o cambiare. C’era la schiavitù del peccato. Oggi noi non abbiamo più il senso del peccato, anzi ci sembra che non esista: tutto è bello, tutto è buono. Gli antichi invece avvertivano che la vita era minata da una imperfezione, da una insufficienza, da una possibilità di devianza, come ci testimonia il grande poeta Ovidio : “Video meliora proboque, deteriora sequor”, "Vedo le cose migliori e le approvo, ma seguo le peggiori". “Chi mi libererà?” dirà San Paolo “da questo corpo, da questa schiavitù di morte”. Gli antichi avvertivano in modo feroce la schiavitù dal male. Poi c’era , ultimamente, la schiavitù dalla morte, questo terribile destino che tutto inghiotte. Per loro la vita andava a finire non si sa bene dove; tutt'al più l'immagine più grande che avevano era quella dell' Ade, un regno di ombre. Cosa offriva il Cristianesimo a questo mondo, cosa ha offerto? Lo spettacolo di uomini liberi, lieti, creativi nella vita e quindi gioiosi. Liberi soprattutto. Offriva all'uomo pagano cose che l'uomo pagano non aveva mai avuto e che riteneva addirittura paradossali. Ora noi siamo abituati e l'abbiamo reso addirittura qualcosa di banale; ma sapete che cosa è stato l'annuncio del Dio Creatore? Per noi è una formuletta di catechismo che non incide più nella vita, non è contenuto di coscienza, non guida l'azione, non guida il sentimento della vita. La conoscenza del Dio Creatore è invece lo sconvolgimento del pantheon antico, perché si capirà che la Sua affermazione era l'annullamento degli altri dei. Chi è il Dio creatore? E’ un Essere, è una Presenza libera che pone in essere cose diverse da sé che hanno un inizio e una fine. Quelli erano abituati a pensare il mondo come qualcosa che era sempre esistito e che non avrebbe avuto mai fine: e gli dei cosa ci stanno a fare in un mondo che esiste da sempre e che non finirà mai? Amici, gli dei che ci stanno a fare? Sono dei pagliacci, giocano con la vita, ma non incidono, non cambiano. Sono eterni poveretti! Felici gli uomini che sono mortali, almeno finiscono! Una cosa terribile essere divinità nei tempi antichi, non lo sapevano poveretti! E san Paolo si chiederà cosa ci può essere di comune tra questi dei e il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che crea liberamente, per il quale la nostra vita ha un principio, uno scopo, c'è un disegno! C'è una ragione della vita e la sperimentavano! Quindi è entrata la libertà vera, i cristiani hanno portato la libertà vera, l'hanno fatta scoprire agli antichi: libertà dal destino e dalla morte. Poi annunciavano un fatto strano: un Dio che si è incarnato. Qui vi voglio dire una cosa: anche i greci e i romani credevano in divinità che prendevano forma umana, i poemi di Omero sono pieni di divinità che compaiono e scompaiono. Che differenza c'è tra la divinità omerica che entra nella vita di Achille, di Ulisse e l'annuncio di Cristo, del Verbo eterno che entra nel mondo? E’ che là le divinità prendevano un corpo apparente, non si incarnavano, non entravano per davvero, erano delle ombre, delle apparenze. I cristiani hanno detto che un Dio reale ha preso un colpo vero, nato da una vergine, da una donna reale della nostra stirpe. E quel corpo, che gli dei dopo che apparivano abbandonavano, questo dio una volta che l’ ha preso non l'ha abbandonato più, lo ha reso immortale. Questo ha dato agli antichi il senso che tutto l'umano è di Dio, tutto l'uomo è redento, fino al cappello del capo, all'unghia del piede. I greci al primo annuncio diranno a San Paolo: “Per l'amor di Dio, questo no, il corpo no, non lo vogliamo, ce ne dobbiamo liberare!” perché il corpo nella cultura greca era la prigione. Il greco desiderava uscire dal corpo, non desiderava starci dentro, attendeva di esserne sgravato, perché l'uomo vero per loro era l'anima, lo spirito. Quando San Paolo dice che Gesù è risorto e che risorgeremo, quelli gli rispondono “No, questo no! no schiavi per sempre no! Quando saremo finalmente liberi?” . E invece i cristiani hanno fatto percepire loro questa preziosità del corpo, che l'uomo è interamente uomo, lo spirito e la materia che lo costituisce, che tutto è bello, tutto è grande e quindi l'esperienza di un rapporto reale. Cristo realmente si è incarnato, realmente ha vissuto, realmente è morto, realmente è risorto e con Lui tutto questo accadrà per noi: e lo sperimentavano, lo sperimentavano come forma di vita, perché l'appartenenza al Dio Creatore, libero che crea gli uomini liberi, e l'appartenenza a Cristo incarnato realmente provocava poi un'esperienza nuova nella vita. Lo potevano verificare e lo verificavano come libertà. Ecco com'è che hanno convinto il mondo pagano. E’ importante che teniate presente che i cristiani di quei primi tempi non erano perfetti, il Cristianesimo non dobbiamo immaginarlo come un movimento unitario, organico, perfetto. Non so se possiamo fare l’analogia con l'esperienza del nostro movimento di Comunione e Liberazione, ma della Chiesa intera senz’altro sì: un'accozzaglia di gente varia, chi più santo chi meno, chi fedele ortodosso chi non ortodosso, etc. Ci sono state scissioni, lotte, divisioni, scismi gravi, grandi tradimenti. Tanti pagani aderivano e abbandonavano, per tanti motivi, non possiamo dilungarci troppo: dobbiamo però dire al riguardo che appartenere al Cristianesimo per esempio comportava aderire e portarsi addosso delle esigenze gravi: bisognava rompere con la tradizione religiosa del passato, con la propria storia religiosa, con il tipo di vita, con i costumi e le esperienza della religione pubblica. Ma allora, pur con queste paradossalità, con queste cose nuove, come mai sono riusciti a conquistare i romani, il cuore dei romani? Alla fine, quello che ha conquistato gli animi è quel Cristianesimo testimoniato dagli uomini che sono stati capaci di dare la vita per questa esperienza. E’ la testimonianza del martirio: erano uomini e donne che per il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe e per la presenza di Gesù morto e risorto erano capaci di donare in letizia e gioia la vita ed erano così gioiosi perché era un popolo che sapeva anche ridere e cantare. Questo libro mi è piaciuto perché mi ha messo nel cuore una cosa che mi ha sempre accompagnato e che fin dall'inizio ha segnato la mia vita. Amo dirla così: i cristiani hanno conquistato i romani perché sapevano cantare, avevano bravi cantautori ! E non hanno inventato solo canti liturgici, non solo la liturgia bella ha conquistato i pagani. I cristiani sono stati stati persone che hanno inventato i canti di strada, canti per i camionisti, i portuali, per quelli che andavano in trattoria, oggi diremmo per i giovani della discoteca. Ce n'erano per tutti! Cantavano. “… Accanto ai canti di chiesa, bisogna segnalare come strumenti di propaganda e mezzi di conversione le canzoni destinate al grande pubblico della strada, fatte per essere imparate da tutti. Questo genere di ritornelli e di strofe popolari hanno ottenuto un gran successo in alcuni momenti e in certi ambienti. Noi ne conosciamo in particolare due esempi: il primo è quello di Ario che, stando alla testimonianza di Filostorcio compose ,per rendere popolare il suo insegnamento, alcune canzoni ad uso dei marinai, dei battellieri, dei viaggiatori, in modo tale che il porto e il mercato di Alessandria risonavano di questi canti di un nuovo genere. Il secondo esempio è quello di Agostino che rispose ai salmi dei donatisti, composti da Farmeniano di Cartagine, con un salmo dello stesso genere composto da 22 strofe di 12 versi ciascuna e separate da un ritornello: “Voi tutti che trovate piacere nella pace, giudicate soltanto la verità”. Niente è più popolare di questo salmo abbecedario, i cui versi fortemente tagliati … e resi assonanti nella finale si imprimono da soli nella memoria. Esso non tardò ad essere cantato da tutti i cattolici per le strade di Ippona e servì fortemente alla causa della verità”. Ora ditemi se il momento di crisi della chiesa di oggi non è perché i canti sono un pochettino scadenti e la crisi del movimento non è perchè non abbiamo più cantautori rispetto all'origine, quando fiorivano i canti e i cantautori. Io stesso a Gallarate sono stato attratto per la prima volta dal sentire canti di un genere che non avevo mai sentito. Abituato a quelli strombazzati, voi non sapete che sobbalzo di spirito ho avuto nell’udire quei canti, quella semplicità, la sobrietà nel cantare le cose della vita. E io dicevo: “ Madonna! Questo è il canto!”. Mi hanno conquistato così, perché ero un po' vivo e avevo il gusto della vita, che si esprimeva nella bellezza, si esprimeva nel canto. Da piccolo sono stato un anno a Catania, nel collegio dei Salesiani alla Barriera e nel ’66 -‘ 67 ci facevano vedere tanti film, per esempio “Per un pugno di dollari” e altri del genere. Poi ho visto tra questi “Ben Hur”, non so se l'avete visto. La scena che mi ha segnato, mi ha impressionato e mi sono portato nel cuore è quando nel circo arrivano i cristiani e tutti gli spettatori, esaltati come nella finale Italia/Madrid, gridano: "Fuoco!" Si vede l'orgasmo dell'intera folla con l'imperatore, che aspettano di vedere bruciare quell'umanità dolente e disperata, angosciata. Mentre bruciano, si eleva un canto - non so se ricordate la scena - e il popolo pian piano diventa muto e si siede. “ Ma cantano? Cantano!” . Ma come possibile? E’ perché avevano sconfitto la morte. Un’altra caratteristica vincente dei cristiani dei primi secoli è stata anche questa: che era un popolo fatto di militanti! Non esisteva un movimento come Comunione e Liberazione, dove tre o quattro tirano la carretta e gli altri aspettano! Un tempo erano tutti in genere militanti: vecchi, giovani, bambini, donne, uomini, in tutti luoghi. Ma non per partito, per gusto e per desiderio! Era un intero popolo di persone afferrate dall'esperienza di Dio, liberante, e piene di gusto per la conoscenza di Cristo, che si sono lasciate amare e l'hanno amato fino a donare la vita. Questo alla fine ha conquistato il cuore dei romani e ha conquistato anche quello dell'imperatore Costantino; non sappiamo fino a che punto, sta di fatto che a un certo momento l’Impero è diventato cristiano e la prima legge che ha dato forma alla vita cristiana è stata di Costantino, che nel 321 ha istituito la domenica come giorno festivo. La domenica la dobbiamo a Costantino, non come giorno della Resurrezione del Signore, ma come giorno di festa, in cui non si lavora. Si era imposto precedentemente il sabato, perché gli ebrei erano tanti e il sabato non lavoravano; i pagani non facevano affari ed erano stati costretti ad osservare il sabato. Alla fine i cristiani hanno donato questa vita nuova e l’hanno resa attraente. E l’hanno offerta a tutti fino al punto da costringere l'imperatore ad istituire la domenica come giorno pubblico, con questa motivazione grandiosa (per cui vergognarsi della storia nostra è veramente un crimine): bisogna che ci sia la domenica perché i padroni possano permettere agli schiavi di partecipare alla messa. E’ per gli schiavi che l’ha istituita, non per i padroni che non ne avevano bisogno. Una cosa rivoluzionaria, che ha cambiato la società! L'uomo non è definito dalla condizione sociale, politica, economica, psichica ma dal fatto che appartiene al Dio di Abramo, di Isacco, a Cristo che è morto e risorto. Certo poi ci sono state tante vicende che conoscete meglio di me: c'è stata anche l'apostasia, c'è stato il tradimento, il tentativo di ritornare al paganesimo, ma non è riuscito. In realtà questa vicenda ha conquistato i romani, poi ha conquistato i barbari, poi ha conquistato i vichinghi, poi ha conquistato gli indios. Sta di fatto che è arrivata fino a noi e mi sa tanto che ha conquistato me e voi, che altrimenti non sareste questa sera ad ascoltarmi. E l’esito di quella vicenda dell'inizio della nostra era, del primo secolo di Cristianesimo, non è ancora finito, perché vi assicuro che se ci lasciamo afferrare dal Signore fino al punto di donare la nostra vita e di non accettare il pantheon moderno, noi riconquisteremo il cuore degli uomini. Non so come! Il mondo di Costantino non tornerà più, perché sono cambiate tante cose, ma la vicenda dell'avventura della riconquista del cuore umano è ancora tutta da scoprire: perché l'uomo di oggi grida il bisogno di conoscenza. il bisogno di verità. il bisogno di libertà. Quella di adesso è una libertà finta. Sapete qual è la tristezza più grande che mi tocca come prete, come parroco in questo momento? Sono i separati e i divorziati, ma non perché poverini avevano una moglie o un marito e l'hanno perduta/o, no, ma perché lo stato li incastra. Sapete come li incastra? Dà l'illusione che si possono liberare della moglie o del marito e invece pone tante leggi per cui si devono “annacare” la moglie o il marito per tutta la vita . Per giunta si fanno due famiglie e poi anche tre! Sono più schiavi di prima! E’ una libertà finta, e l'uomo di oggi, l'uomo europeo, anche l’italiano comincia a capire che forse c'è qualcosa di non corrispondente al desiderio. Si aprono quindi praterie per la testimonianza cristiana! Ma c'è bisogno di un popolo di uomini e di donne, tutti interi, affezionati, certi del rapporto con Cristo, della sua morte e della sua resurrezione e che lo mostrano con la bellezza della vita. Per questo io sogno un movimento e una Chiesa intera piena di cantautori, che facciano canti belli e che ridiano l'allegria all'intero popolo cristiano e al mondo intero, perché il mondo è triste, specialmente oggi. Una certezza di questo tipo libera dalla paura anche dell'Isis: ma ci possono tagliare la testa quanto a loro pare e piace, tanto siamo già morti nel Battesimo, siamo già vivi! Che ce ne frega! Noi non abbiamo il compito di vivere o di morire, ma di conquistare. Non è vivere novant'anni, cent’ anni, è la lotta per la vita che vogliamo! L'altro giorno ho ricevuto come ospite un vescovo del Kenya. In parrocchia ci sono con me due preti africani, di colore. Si parlava con tristezza dell'uccisione dei giovani nella facoltà del Kenya , uno dei miei due preti è di quelle zone. Il vescovo mi chiedeva: “E l’Europa, l'America, l'Occidente, che fate? Ma voi che fate?” E io gli ho detto: “Eccellenza, che cosa posso desiderare per l'Europa, per i miei amici? Magari venisse l’Isis e tagliasse qualche testa! Potrebbe essere l'occasione per risvegliarci finalmente e ridare la nostra vita a Cristo che ce l’ha data già e che ce la dà continuamente”. Termino quindi questa prima parte, lasciando eventualmente lo spazio per qualche intervento. Che cosa desidero? Che Dio ci faccio dono di un'esperienza così vera, così libera, così bella, così piena di gusto da poter di nuovo imparare a cantare. Io non so se a voi capita. Io non sono un cantautore, non ne ho gli strumenti, ma canto spesso. Ogni mattina mi alzo e canto e invento le parole, invento le note e mi rallegro, perché so che il mio Dio è vivo ed è con me ed io sono vivo e non devo temere nulla, neanche la morte. Per questo i cristiani hanno conquistato il cuore dei romani e noi conquisteremo quello degli uomini di oggi. Certo il mondo di oggi è diverso, il contesto non è come quello antico, il uomini di oggi non soffrono per la mancanza della conoscenza della verità, dicono che non c'è; tra l'altro non soffrono neanche per la mancanza dell'amore, dicono che non c'è l'amore . Ne parlano ma sono convinti che non esista. Ultimamente si stanno convincendo che non c'è neanche la libertà: insomma l'uomo di oggi è nel nulla, ma noi lo tireremo su e lo riconsegneremo a Colui a cui appartiene, al Creatore e Redentore. Grazie Dibattito Prof. Antonello Santoro Diceva don Carron, proponendo, alla fine dell’Assemblea di SdC del dicembre scorso, la lettura di questo libro: “Con l’inizio della nuova Scuola di comunità mi è sembrato che potesse essere di aiuto riproporre La conversione al cristianesimo nei primi secoli del Bardy. Anche se molti già lo conoscono, mi sembra che leggerlo adesso abbia un significato diverso, perché ci stiamo rendendo conto che proprio i processi di cui parlavamo prima sono molto più simili di quanto pensiamo ai momenti iniziali del cristianesimo di cui parla Gustave Bardy; ci troviamo, infatti, davanti a una società totalmente plurale, come quella dei primi secoli. Leggere il libro con questa coscienza può renderlo del tutto diverso rispetto a come lo conosciamo, perché adesso abbiamo delle domande che forse prima non erano così consapevolmente chiare in noi. Per questo mi sembra una bellissima occasione poterlo leggere o rileggere con questa prospettiva nuova”. Ti chiedo se la conversione al Cristianesimo nei nostri giorni può avvenire, e ancora accade, solo com’è avvenuta per i cristiani dei primi secoli; insomma, come si diventa cristiani oggi? Don Carmelo Vicari Evidentemente la domanda è posta non in modo restrittivo, cioè non come diventa cristiano l'europeo, l'italiano, ma come l'uomo di oggi diventa cristiano. L'esperienza è sempre a questo livello: soltanto rendendo possibile l'incontro con un'esperienza attraente, liberante. Quando ero parroco presso la chiesa Madonna Di Lourdes di Palermo ho avuto come aiuto un prete della Guinea Bissau, un giovane molto brillante e intelligente. Una persona così intelligente non l'avevo incontrata mai nella vita e infatti gli dicevo che chi l’aveva mandato in Italia sapeva il fatto suo, che sarebbe diventato vescovo e lui si schermiva; ora però è vescovo. Veramente una bella figura! Era l'unico cristiano di una famiglia interamente pagana di un villaggio. Gli ho chiesto: “Josè, ma perché sei diventato cristiano, perché hai voluto essere cristiano?” “Don Carmelo, nel mio villaggio c'era un professore di matematica nella scuola elementare. Non ha mai parlato del Cristianesimo, però a volte durante le lezioni lanciava qualche messaggio che ci lasciava sempre così, sorpresi, e io piano piano ho cominciato ad avere un'ammirazione particolare per lui. Ma la cosa che realmente ha permesso da parte sua la conquista del mio cuore è stato quando, durante uno dei riti tradizionali, magici e in qualche modo superstiziosi del mio villaggio (noi avevamo paura dei tabù), c’era un oggetto che non potevamo toccare (mi pare fosse uno scialle, non ricordo bene) e mettercelo addosso, perché altrimenti gli spiriti …. C'era una paura spaventosa … . A un certo punto sbuca quest'uomo dalla folla e davanti a tutti va verso il palo dove c'era questo oggetto, lo prende e se lo mette addosso. E non gli succede niente! Lì io ho desiderato essere libero come lui”. Questo! Ditemi se ci può essere un altro metodo. Nel 2011 sono andato in Africa, nel Benin. Al ritorno ho detto agli amici “Ora ho capito. Dobbiamo tenerci pronti: stanno arrivando. Là ci sono cento giovani e un vecchio, qua un giovane e cento vecchi! Non li potremo fermare, perchè hanno voglia di vivere, hanno una gran voglia di vivere e sanno dare la vita”. Ma ditemi una cosa: oggi non sta succedendo questo? In giro per il mondo, chi sta tenendo alta la testimonianza cristiana? Non sono forse i martiri, uomini sconosciuti del Pakistan, della Somalia, dell’ Egitto? Dio si sta servendo di questa gente sconosciuta, senza nome. Stanno facendo parlare del Cristianesimo perché sono capaci di morire con gioia per la loro fede. E’ l'origine che accade, che sta accadendo sotto i nostri occhi! Lo stesso accadrà nel nostro mondo, la stessa cosa certamente! Una reale esperienza di vita nuova, di uomini e donne: noi! Noi però se non viviamo la nostalgia del mondo! Noi invece siamo sottomessi, amici miei, noi andiamo a scuola perché ci aspettiamo una carriera che ci faccia vivere tranquilli, vogliamo il successo dei figli come gli altri, chiediamo semplicemente se vanno bene a scuola come lo chiedono tutti gli altri. Questo popolo che vive semplicemente conformandosi alla modalità del mondo non cambierà un tubo e non inciderà, non porterà il cuore degli uomini occidentali a Cristo. Ma uomini disposti a perdere carriera, a perdere dignità, a perdere la vita per amore del Signore e per la verità e la libertà dell'uomo conquisteranno anche l'uomo occidentale. Siccome gli uomini occidentali sono andati troppo avanti nella ribellione, troppo avanti nel gusto della presunzione (come ha detto Malroux: “Non c’è ideale al quale possiamo sacrificarci, perché di tutti noi conosciamo la menzogna, noi che non sappiamo cosa sia la verità”) saranno convinti da esperienze di pienezza di vita. Devono vederle. E allora io chiedo per me, per voi, dopo questa sera che possiamo ricevere questo dono grande di pienezza di vita e possiamo splendere in modo bello. Vi accorgerete che, come è successo a me e a voi, che gli uomini attendono questo. E ritorneranno al Signore. Non so come, non so quando. Non avremo la Res publica cristiana, mi spiego? Non l'imperatore cristiano, non uno stato confessionale o una costituzione che imponga la fede cristiana. Non ci sarà questo, siamo in una fase diversa; ma una vita civile, piena di gente lieta che ama la vita, che gusta la vita questo accadrà! Ricordate quando nel ‘90 don Giussani diceva che il mondo stava andando verso lo scontro, che ci sarebbe stata la guerra tra il mondo ateo e il mondo religioso e che gli islamici sarebbero arrivati con le scimitarre per tagliarci la testa, ma noi li avremmo accolti ridendo e cantando? Mi ci riconosco! Questo sta accadendo, ma non bisogna avere paura, perché il Signore è morto ed è risorto e quindi la vita ha vinto anche su questi strampalati. La differenza si capisce al volo tra il martire cristiano e il fanatico dell'Isis: è che loro uccidono gli altri, i martiri danno la loro vita senza bisogno di voler vedere morire gli altri. Per questo è falso, per questo è menzogna, non è religiosità: è fanatismo puro. Eppure bisogna amarli perché sono vittime della menzogna, menzogna che abbiamo costruito anche noi. Questa origine cristiana è l’urgenza. Se leggete l’enciclica di papa Francesco “Evangelii gaudium” e applicate i capitoli a questo libro, vi accorgerete che è fatto alla stessa maniera, che ripropone le stesse cose. Una delle cose più belle che dice Papa Francesco è proprio a proposito di noi: che una delle tentazioni più serie, che soffocano il fervore e l'audacia del cristiano, è il senso di sconfitta che ci trasforma in gente pessimista, scontenta, disincantata, dalla faccia scura, in uomini dalla faccia da funerale. Si capisce di cosa c'è bisogno: dell’ incontro con uomini lieti, che cantano non perché devono cantare o perché “canta che ti passa”. Oggi si dice “canta che ti passa” la malinconia, la crisi, la depressione: a questo si è ridotta la musica, ma questo non risolve. Vi invito a leggere il libro. Ne vale la pena; vi assicuro che ogni volta che l'ho fatto ho trovato un input ad andare avanti e se lo riproporranno tra 10 anni farò la fatica di leggerlo per intero. Sono grato a don Giussani che ce l'ha raccomandato, perché mi ridà la coscienza di appartenere a un popolo grande. Un'ultima cosa: leggendo vi accorgerete che appartenete a una grande storia, che siete della razza di Abramo, di Mosé; sono amici nostri. Apparteniamo a Pietro, a Giovanni, a Perpetua, a Felicità. Non vi sentirete soli e sarete baldanzosi, decisi. Anche equilibrati, senza essere fanatici. Grazie. Canto finale: Il popolo canta (il testo non è stato rivisto dagli autori)