La natura multiforme del condominio negli edifici 1. La natura multiforme del condominio negli edifici. 1.1. Il lento processo di “entificazione” del condominio. Il condominio è la comunione che si realizza negli edifici composti da più unità abitative in proprietà esclusiva [Bianca, Diritto civile, 6. La proprietà, Milano, 1999, 500]. Nel condominio le proprietà individuali dei condomini coesistono con le parti comuni, strutturalmente e funzionalmente connesse con le unità abitative. Tale connessione spiega la specialità del condominio, che pur essendo disciplinato dalle norme sulla comunione, si qualifica come una comunione speciale, in virtù della coesistenza di proprietà individuali e comuni, soggetta a norme particolari che si affiancano a quelle sulla comunione ordinaria, integrandole o derogando ad esse. In particolare, la disciplina del condominio si caratterizza, rispetto a quella della comunione ordinaria, per l’obbligatorietà del regolamento negli edifici con più di 10 condomini, per la disciplina analitica dei poteri e del funzionamento dell’assemblea e per la presenza necessaria dell’amministratore negli edifici con più di 4 condomini. La distinzione tra la contitolarità dei diritti e l’organizzazione dei contitolari, centro di imputazione di diritti e doveri, risulta netta nel condominio, struttura dotata di organi aventi competenze esclusive. La giurisprudenza, invece, definisce il condominio come mero ente di gestione, rifiutandosi di prendere atto del lento processo di entificazione che sta subendo il condominio [Basile, Condominio negli edifici, in Enc. Giur. Treccani, VIII, Roma, 1988, 8]. 1.2. Il condominio sul piano statico: coesistenza di proprietà comune e proprietà solitarie. Negli edifici in condominio, ciascun condomino ha la proprietà esclusiva di un piano (o pozione di piano) ed è, comproprietario, insieme agli altri condomini, di alcune parti dell’edificio considerate, per legge, comuni, se dal titolo non risulta il contrario (art. 1117 c.c.). In particolare, accanto a beni necessariamente condominiali, quali il Beni suolo, le fondazioni, i muri maestri ecc., ve ne sono altri la cui destina­ necessariamente zione al servizio collettivo si pone in termini di mera eventualità, come condominiali accade, ad esempio, per i locali della portineria e per gli altri beni elencati dall’art. 1117, n. 2, c.c., rispetto ai quali si parla (impropriamente) di “presunzione di comproprietà” per evidenziare che la loro qualificazione normativa come beni comuni può essere derogata da un titolo dal quale risulti il contrario. In tal caso, occorrerà accertare se l’atto che li sottrae 19 LE CONTROVERSIE DA ASSEMBLEA CONDOMINIALE alla presunzione di proprietà comune contenga anche la risoluzione del vincolo di destinazione al servizio collettivo o se, invece, ne preveda il mantenimento: nel secondo caso, si configura un vincolo obbligatorio propter rem suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti (Cass. 5167/1986). Secondo la tesi tradizionale, il condominio è soltanto la “proprietà comune” di alcune parti dell’edificio poste a servizio di altre (i piani o le porzioni di piano, cioè gli appartamenti), legate a queste ultime da un rapporto necessario e perpetuo di accessorietà/complementarietà [Fragali, La comunione, I, Milano, 1973, 137]. Il condominio costituisce, cioè, una struttura servente rispetto all’esercizio, da parte dei singoli condomini, dei loro diritti sugli appartamenti di proprietà esclusiva, i quali seguirebbero un proprio destino autonomo rispetto alle parti comuni. A questa tesi, ispirata a una concezione spiccatamente individualistica del fenomeno, se ne è però affiancata un’altra, più rispettosa del dato normativo, che qualifica il condominio come una situazione mista di comproprietà e di proprietà solitarie, l’una legata alle altre da un intimo nesso di complementarietà [Natoli, La proprietà. Appunti delle lezioni, Milano, 1976, 265]. Infatti, se da un lato la comproprietà delle parti comuni è funzionale a un miglior godimento delle proprietà individuali, queste ultime, a loro volta, vanno incontro a una serie di limiti ricavabili dalla normativa condominiale, che rispondono all’esigenza di armonizzare l’esercizio delle proprietà solitarie con la destinazione delle parti comuni, destinate a essere utilizzate, da parte di tutti i condomini, in conformità con le caratteristiche naturali dell’edificio. Ad esempio, deve ritenersi illegittima la trasformazione in autocarrozzeria di un garage situato in un edificio signorile, oppure la trasformazione di un appartamento in un night club all’interno di un condominio situato in una zona prestigiosa. 1.3. Il condominio sul piano dinamico: ente di gestione o collettività di utenti che gestiscono insieme i servizi comuni? Ente di gestione 20 Il condominio è una struttura organizzativa che riproduce, a livello embrionale, il modello delle associazioni, poiché si caratterizza per un’attività di gestione affidata a organi dotati ex lege di poteri essen­ zialmente inderogabili (art. 1138, co. 4, c.c.) che attribuisce all’interesse del condominio una rilevanza preminente, distinguendolo dagli interessi individuali dei singoli condomini. Per evidenziare la tendenziale oggettivazione di un interesse proprio del condominio, la giurisprudenza tradizionale lo definisce come ente di gestione, sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass. 7300/2010). La natura multiforme del condominio negli edifici Si tratta, però, di una definizione problematica, poiché non può attribuirsi al condominio una soggettività paragonabile a quella degli enti collettivi: nel condominio, come nella comunione ordinaria, manca l’autonomia patrimoniale, e la collettività dei condomini non esprime un’entità distinta dalle persone fisiche che la compongono. Inoltre, il condominio si presenta come organizzazione sui generis sul piano soggettivo, che abbraccia fenomeni di utenza di parti comuni il cui titolo non poggia necessariamente sul diritto di proprietà: ad es., l’art. 10 l. 392/1978 attribuisce al conduttore la legittimazione a partecipare, con diritto di voto, alle assemblee condominiali relative alla gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento dell’aria, e a intervenire, senza diritto di voto, nelle assemblee relative alla modificazione degli altri servizi comuni. Il condominio, quindi, non si configura come organizzazione di comproprietari di un edificio, ma come collettività di utenti i quali gestiscono insieme i servizi comuni [Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 2. Diritti reali, Torino, 1988, 323 s.]. La non assimilabilità del condominio agli enti di gestione è stata confermata anche dalla giurisprudenza (Cass. S.U. 9148/2008), facendo leva, tra l’altro, sulla considerazione che il condominio non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune fa capo ai singoli condomini, ai quali sono anche attribuite le obbligazioni per le cose, gli impianti e i servizi comuni con la relativa responsabilità; le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti. Resta ferma, in ogni caso, la preminenza dell’interesse collettivo Preminenza sugli interessi individuali dei singoli condomini, che si ricava soprattutto dell’interesse dal ristretto ambito di rilevanza delle iniziative individuali: ad esempio, collettivo il singolo condomino non può cedere a terzi il godimento delle parti comuni nei limiti della propria quota senza cedere contemporaneamente il godimento dell’appartamento di sua proprietà esclusiva., così come non avrebbe alcun effetto l’atto con cui il singolo condomino trasferisse a terzi la proprietà o il godimento di una parte comune dell’edificio. Inoltre, la preminenza dell’interesse collettivo emerge dall’importanza delle decisioni adottate dalla maggioranza in sede assembleare, soprattutto in materia di innovazioni. Infatti, le innovazioni finalizzate al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni possono essere disposte con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, co. 5, c.c. (art. 1120, o. 1, c.c.), anche se ne deriva un pregiudizio al godimento di qualche condomino (purché le parti comuni dell’edificio non vengano rese inservibili all’uso al godimento anche di un solo condomino: art. 21 LE CONTROVERSIE DA ASSEMBLEA CONDOMINIALE 1120, co. 2, c.c.). In materia di condominio, le deliberazioni assembleari non sono, di regola, irrevocabili e possono, perciò, essere modificate o revocate da una valida deliberazione successiva; le nuove deliberazioni infatti, purché approvate con la maggioranza prescritta dalla legge, sono valide ed obbligatorie ed hanno lo stesso valore di quelle approvate all’unanimità in base alla loro natura di atti promananti da un organo (assemblea dei condomini) legalmente costituito per la rappresentanza degli interessi della comunione. 1.4. Il potere di controllo dei condomini. Rapporto Dalla disciplina, articolata e puntuale, dell’organizzazione predisposta di mandato per amministrare le cose, gli impianti e i servizi comuni deriva il quadro complessivo dei rapporti intercorrenti tra l’amministratore (mandatario) e i singoli condomini (mandanti), ai quali spettano poteri di vigilanza e di controllo sulla base dell’art. 1713 c.c., sempre che la vigilanza e il controllo non si risolvano in un intralcio all’amministrazione, non siano contrari al principio della correttezza, che deve stare alla base dei rapporti interpersonali (art. 1175 c.c.), e che delle attività afferenti alla vigilanza ed al controllo i condomini si addossino i costi. Presa visione della Il potere dei condomini di vigilare e controllare la gestione dell’am­ documentazione ministratore, eventualmente in funzione del ricorso all’assemblea contro i provvedimenti dell’amministratore o della richiesta di revoca, ben si armonizza con la circostanza che l’amministratore, per ragioni del suo ufficio, detiene i registri e i documenti contabili riguardanti la gestione e gli stessi condomini, ai quali tali documenti appartengono in proprietà comune. Pertanto, in attuazione del loro potere di vigilanza e controllo, i condomini possono prendere visione dei registri e dei documenti che li riguardano. Non è necessario che i condomini indichino la ragione per la quale vogliono prendere visione o estrarre copia dei documenti: sarà l’ammini­ stratore a dover dimostrare l’insussistenza di un interesse effettivo in capo ai condomini (ad esempio, perché i documenti non li riguardano personalmente), o l’esistenza di motivi futili o contrari alla correttezza. 1.5. L’indivisibilità relativa delle cose comuni. 22 L’art. 1119 c.c., in deroga alla disciplina della comunione ordinaria, stabilisce la regola dell’indivisibilità delle parti comuni, salvo che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a cia­ scun condomino. Pertanto, anche nell’ipotesi in cui una cosa comune, pur se divisa, non cesserebbe di servire all’uso cui era destinata, la divisione non può, comunque, ritenersi consentita qualora, attraverso il La natura multiforme del condominio negli edifici raffronto fra le utilità che i singoli condomini ricavavano da essa ai fini del godimento dei loro rispettivi appartamenti (utilità non esclusa dal fatto che si tratti di parte comune dell’edificio non direttamente utilizzata dai condomini, ma data in locazione a terzi) e le utilità che agli stessi fini ricaverebbero dopo la divisione, emerga che il godimento anche di un solo condomino ne risulterebbe pregiudicato (Trib. Roma 21/3/2006, in Giur. merito, 2007, 645). Difatti, poiché l’uso delle cose comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di uso cui fa riferimento l’art. 1119 c.c. ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata, oltre che con riferimento alla originaria consistenza ed estima­ zione della cosa comune, considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione. Ad esempio, la divisione non è consentita se il progetto di divisione di una terrazza comune priverebbe il condominio, assegnatario di una porzione, della veduta sul mare consentitagli nella permanenza dello stato di indivisione (Cass. 7667/1995). Per indicare questa situazione di indivisibilità si parla di comunione forzosa, che impedirebbe di attribuire al singolo condomino la disponi­ bilità di una quota sulle parti di proprietà comune. Tale conclusione, tuttavia, viene respinta da quanti ritengono che le parti comuni dell’edificio sono necessariamente e stabilmente destinate al servizio degli appartamenti, e la quota che a ciascun condomino spetta sulle parti comuni rappresenta un accessorio inseparabile della proprietà esclusiva sul singolo appartamento. 1.6. La “dittatura” della maggioranza. La preminenza dell’interesse collettivo sugli interessi individuali dei singoli condomini si desume, anzitutto, dal perimetro ristretto riservato alle iniziative dei singoli condomini. Ciascun condomino non può cedere a un terzo il godimento delle parti comuni nei limiti della propria quota, senza cedere in godimento, alla stessa persona, l’immobile di sua pro­ prietà. Inoltre, il singolo condomino non può trasferire in proprietà o cedere in godimento a terzi una parte comune dell’edificio. Inoltre, il singolo condominio non può, se non in casi eccezionali, intraprendere iniziative individuali di gestione diretta delle parti comuni: egli può ottenere il rimborso delle spese sostenute soltanto se si tratta di spese necessarie (art. 1110 c.c.) e urgenti (art. 1134 c.c.). Inoltre, le decisioni della maggioranza assumono, com’è ovvio, un’importanza preminente in ambito condominiale, soprattutto in materia di innovazioni. Queste, quando sono dirette al miglioramento o all’uso 23 LE CONTROVERSIE DA ASSEMBLEA CONDOMINIALE più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120, co. 1, c.c.), possono essere adottate con la maggioranza qualificata ex at. 1136, co. 5, c.c., anche se ne derivi un pregiudizio al godimento di uno più condomini, purché le parti comuni dell’edificio non vengano rese inservibili all’uso o al godimento anche id un solo condomino (art. 1120, co. 2, c.c.). Inoltre, sono consentite e le innovazioni che comportino una spesa molto gravosa o abbiano carattere voluttuario, purché la maggioranza dei condomini che le dispongono ne sopporti integralmente le spese. Ovviamente, il carattere vincolante delle decisioni dell’assemblea non si traduce in coercibilità assoluta, poiché le deliberazioni assembleari non sono, di regola, mai irrevocabili e possono, perciò, essere modificate o revocate da una valida deliberazione successiva; le nuove deliberazioni infatti, purché approvate con la maggioranza prescritta dalla legge, sono valide ed obbligatorie ed hanno lo stesso valore di quelle approvate all’unanimità in base alla loro natura di atti promananti da un organo (assemblea dei condomini) legalmente costituito per la rappresentanza degli interessi della comunione. 1.7. Il regolamento come espressione dell’autonomia organizzativa. Regolamenti I condomini, nell’esercizio della loro autonomia organizzativa, pos­ adottati a sono fissare le regole della gestione delle cose comuni e della ripartizione maggioranza delle spese (art. 1128 c.c.). Tali regole, discusse in assemblea e deliberate dall’assemblea a maggioranza, vincolano anche gli assenti e i dissenzienti, nonché gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti (art. 1107, co. 2, c.c.). Tale autonomia organizzativa incontra, però, due limiti: – il regolamento non può derogare le norme, che valgono maggior­ mente a individuare i caratteri distintivi del condominio e a delinearne il modello tipico di organizzazione, quali gli artt. 1118, co. 2, 1119, 1129, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c.; – il regolamento non può ledere il diritto di ciascun condomino di usare, godere e disporre iure dominii del proprio appartamento. Ad esempio, è riduttivo del contenuto normale della proprietà esclusiva dei singoli condomini la clausola del regolamento che vieti di destinare gli appartamenti a uso diverso dall’abitazione. Dai regolamenti di condominio previsti dall’at. 1138 c.c. si distinguono Regolamento contrattuale i regolamenti contrattuali, mediante i quali, con il consenso unanime 24 dei condomini, si possono introdurre limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva spettanti ai condomini. Tali limitazioni possono consistere, ad esempio, nel divieto di dare alle singole unità immobiliari La natura multiforme del condominio negli edifici una determinata destinazione, oppure nell’obbligo di preservare la desti­ nazione originaria per l’utilità generale dell’edificio. Mentre i regolamenti di condominio sono adottati a maggioranza dall’assemblea, i regolamenti contrattuali richiedono un accordo tra tutti i condomini. Inoltre, mentre il regolamento di condominio opera diretta­ mente nei confronti degli eredi e degli aventi causa dai singoli condomini senza bisogno di trascrizione nei registri immobiliari della relativa deli­ bera, il regolamento contrattuale ha efficacia tra i soli contraenti che lo hanno stipulato e deve essere trascritto nei registri immobiliari per essere opponibile erga omnes. Occorre precisare, peraltro, che la contrattualità del regolamento è determinata esclusivamente dalle clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l’immobile a studio radiologico, a circolo, ecc.) o comuni (limitazioni all’uso delle scale, dei cortili ecc.), ovvero da quelle clausole che attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri (Cass. 3733/1987). Pertanto, il regolamento predisposto dall’originario proprietario o dai condomini con il consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue clausole si limitano a disciplinare l’uso dei beni comuni pure se immobili. Dunque, mentre è necessaria l’unanimità dei consensi dei condomini per modificare il regolamento convenzionale, avendo questo la medesima efficacia vincolante del contratto, è invece sufficiente una delibera mag­ gioritaria dell’assemblea dei partecipanti alla comunione per apportare variazioni al regolamento che non abbia tale natura. E poiché solo alcune clausole di un regolamento sono di carattere contrattuale, l’unanimità dei consensi è richiesta per la modifica di esse e non delle altre clausole per la cui variazione è sufficiente la delibera assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, co. 2, c.c. 1.8. Il regolamento è obbligatorio se i condomini sono più di dieci. L’art. 1138 c.c. stabilisce che quando in un edificio il numero dei Regolamento condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento di obbligatorio condominio (regolamento obbligatorio). Il numero di dieci riguarda l’elemento oggettivo del numero dei piani (o porzioni di piano) di cui si compone l’edificio e non al numero dei proprietari. Pertanto, è irrilevante che un appartamento sia in compro­ prietà tra più soggetti, così come che un solo soggetto sia proprietario di più appartamenti. Se l’assemblea non provvede all’adozione del regolamento obbliga­ torio, o se il regolamento adottato è incompleto (art. 1138, co. 1, c.c.), cia- 25 LE CONTROVERSIE DA ASSEMBLEA CONDOMINIALE scun condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria per la formazione o il completamento del regolamento (art. 1138, co. 2, c.c.). Il regolamento condominiale adottato coattivamente dal giudice ha efficacia vincolante per tutti i condomini, ai sensi dell’art. 2909 c.c., a seguito del passaggio in giudicato della sentenza (Cass. 1218/1993). Il regolamento, obbligatorio o facoltativo, deve essere approvato, ai sensi dell’art. 1138, co. 3, c.c., con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136, co. 2, c.c.). Il regolamento obbligatorio deve contenere (art. 1138, co. 1, c.c.) norme sull’uso delle cose comuni, sulla ripartizione delle spese, sulla tutela del decoro dell’edificio e sull’amministrazione. Se il regolamento è incompleto, ciascun condomino potrà prendere l’iniziativa per l’inte­ grazione ex art. 1138, co. 2, c.c. Uso delle Per quanto riguarda l’uso delle cose comuni, ossia le modalità di cose comuni utilizzazione delle cose comuni, l’organizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, il regolamento condominiale deve assicurare il diritto all’identico uso delle cose comuni da parte di tutti i condomini, ossia lo stesso utilizzo e il rapporto di equilibrio che deve essere potenzialmente mantenuto fra tutte le possibili concorrenti utilizzazioni del bene comune da parte dei condomini (Cass. 12873/2005): si pensi, ad esempio, alla delibera adottata a maggioranza che preveda l’uso a rotazione tra quattro condomini dei tre posti auto disponibili. I divieti di utilizzo della proprietà contenuti in un regolamento condominiale contrattuale, proprio perché si riferiscono al più pieno dei diritti reali, hanno carattere tassativo e non sono applicabili analogamente né appaiono suscettibili di interpretazione estensiva. Ad esempio, non costituisce una violazione regolamentare la destinazione di un locale condominiale all’esercizio di un ristorante in mancanza di uno specifico divieto volto a colpire l’attività di ristorazione in quanto tale e in presenza di una clausola che vieti soltanto l’esercizio di attività che arrechino concretamente disturbo o pregiudizio (Trib. Milano 31/12/2005, in Arch. locaz., 2006, 430). Interpretazione Come ogni atto avente rilevanza giuridica, il regolamento condomi­ del regolamento niale deve essere interpretato indagando l’effettivo senso della volontà 26 negoziale in esso espressa, senza limitarsi al tenore letterale delle parole impiegate. Ad esempio, nel caso di un vecchio regolamento che vieti di adibire gli appartamenti a «usi industriali», è difficile ipotizzare che la mancata, espressa previsione del divieto di utilizzo delle singole unità immobiliari per attività del settore terziario avanzato (tecnologia, informa­ tica) sia dipeso dal voler consentire questo utilizzo, quanto piuttosto dal La natura multiforme del condominio negli edifici fatto che tale attività all’interno di un palazzo non fosse concepibile per lo scarso sviluppo di tale settore all’epoca dell’approvazione del regolamento (Trib. Cagliari 27/9/2006, in Riv. giur. sarda, 2008, 45). 1.8.1. Il regolamento deve essere redatto per iscritto a pena di nullità. Il regolamento di condominio (contrattuale e non) deve essere redatto per iscritto a pena di nullità. È evidente che un regolamento di condominio che non sia contenuto in un atto scritto è inconcepibile, perché l’ap­ plicazione delle sue disposizioni – a volte di incerta interpretazione – e la sua impugnazione sarebbero impossibili in assenza di un riferimento documentale. Del resto, a favore della necessità della forma scritta militano le seguenti osservazioni: – l’art. 1138 c.c. prevede la trascrizione del regolamento nel registro di cui all’art. 71 disp. att. c.c. depositato presso l’associazione professionale dei proprietari di fabbricati; questa previsione rivela la volontà del legi­ slatore di richiedere il requisito formale anche se la norma è divenuta inap­ plicabile, presupponendo la sua operatività l’esistenza dello ordinamento corporativo non più in vigore; – per l’art. 1136, co. 7, c.c. deve redigersi un verbale, da trascrivere in un registro conservato dall’amministratore del condominio, di tutte le deliberazioni dell’assemblea e, quindi, anche della delibera di appro­ vazione del regolamento a maggioranza; stante l’identità di ratio, deve essere depositato presso l’amministratore anche il documento contenente il regolamento; – la tesi secondo cui la forma scritta sarebbe richiesta solo ad proba­ tionem non merita adesione poiché, se il regolamento deve essere rac­ chiuso in un documento, la scrittura costituisce un elemento essenziale per la sua validità, in mancanza di una disposizione che ne preveda la rilevanza solo probatoria; – la forma scritta è necessaria per la validità del regolamento contrat­ tuale poiché le clausole regolamentari incidono sui diritti che i condomini vantano sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva o comune. Se il regolamento di condominio, per essere valido, deve risultare da Modificazioni un atto scritto, è indubbio che la forma scritta è richiesta anche per le sue modificazioni, perché queste, risolvendosi nell’inserimento di nuove clausole in sostituzione di quelle originarie, non possono non avere i medesimi requisiti. La forma scritta è indispensabile anche se le variazioni riguardino le clausole di un regolamento contrattuale che impongono limitazioni ai diritti immobiliari dei condomini, in quanto queste integrano 27 LE CONTROVERSIE DA ASSEMBLEA CONDOMINIALE oneri reali o servitù prediali da trascrivere nei registri immobiliari ai fini della loro opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti del condominio (Cass. 882/1970). Per quanto riguarda le modifiche del regolamento, il consenso di tutti i condomini per la validità e l’efficacia delle modifiche delle clausole dei regolamenti contrattuali non può essere manifestato con comportamenti concludenti, poiché le variazioni del regolamento di condominio richie­ dono che il consenso dei partecipanti alla comunione sia espresso nella forma scritta a pena di nullità. Pertanto, per la modifica di clausole del regolamento di condominio contrattuale è richiesto il consenso manife­ stato in forma scritta ad substantiam (Cass. S.U. 943/1999). 1.9. La giurisprudenza ammette il condominio parziale. Destinazione A fronte delle critiche della dottrina in ordine alla configurabilità all’uso o servizio del condominio parziale, in giurisprudenza prevale la tesi favorevole al esclusivo solo di riconoscimento di questa fattispecie, che ricorre quando in uno stesso alcuni condomini 28 edificio alcune parti o servizi comuni possono appartenere soltanto ad alcuni condomini. Esistono, in queste ipotesi, comunioni parziali su cose o servizi regolate dalle disposizioni sul condominio. Il condominio parziale si costituisce, pertanto, quando un bene, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, è destinato all’uso o al servizio esclusivo di una parte soltanto del condominio e forma oggetto di un autonomo diritto di proprietà, per cui viene meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene. In tale situazione, la destinazione particolare del bene vince la presunzione legale di contitolarità di tutti i condomini (Cass. 8136/2004). Infatti, i presupposti per l’attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per le oggettive caratteristiche materiali e funzionali, sono necessari per l’esistenza e per l’uso (ovvero sono destinati all’uso o al servizio) non di tutto l’edificio ma soltanto di una parte o di alcune parti di esso. Dalle situazioni di condominio parziale derivano implicazioni relative alla gestione e all’imputazione delle spese: in particolare, non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea relativamente alle cose, ai servizi e agli impianti da parte di coloro che non ne hanno la titolarità, per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle parti comuni che formano oggetto della delibera (Cass. 7885/1994). Con riferimento al corridoio comune di accesso a più appartamenti, il condominio parziale, che per le sue caratteristiche strutturali e funzionali è destinato al servizio e al godimento di una parte soltanto dell’edificio La natura multiforme del condominio negli edifici condominiale, non è configurabile nella parte finale del corridoio posta a servizio di più di un appartamento, non dotata di autonomia rispetto alla parte anteriore, quantomeno come volume di spazio e aria nonché dal punto di vista estetico; infatti, poiché del volume, degli spazi, dell’aria e dell’estetica dell’ultimo tratto del corridoio beneficiano anche i pro­ prietari degli appartamenti che si aprono sul primo tratto di esso, non può affermarsi che la parte finale del corridoio sia suscettibile di godimento esclusivo da parte dei soli proprietari degli appartamenti che su tale parte di corridoio si aprono (Cass. 21246/2007). 1.10. Il supercondominio, figura di creazione pretoria. Il legislatore non dà la definizione di “supercondominio”. Si tratta, Definizione infatti, di una fattispecie elaborata dalla giurisprudenza per dare veste giuridica a quei complessi immobiliari caratterizzati da una pluralità di edifici costituiti in distinti condomini e compresi in una più ampia organizzazione condominiale. Il supercondomino è disciplinato dalle norme sul condominio e non da quelle sulla comunione in generale, con la conseguenza che si applica la presunzione legale di comunione di talune parti stabilita dall’art. 1117 c.c., purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all’uso o al godimento di tutti gli edifici: ad esempio, deve ritenersi comune a tutti gli edifici che lo compongono l’impianto dell’acqua fino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici stessi la conduttura dell’acqua si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni sono destinate a ciascun edificio (Cass. 13883/2010). Tale lettura dell’art. 1117 c.c. rispetta la ratio della disposizione nell’ottica del supercondominio e non lede alcun principio ermeneutico, né comporta l’applicazione analogica di una norma dettata a fini diversi, ma applica l’art. 1117 c.c. a una realtà che presenta connotazioni proprie alla quale, per ius receptum, si applicano le norme sul condominio, con i necessari adattamenti. In presenza di edifici separati da un muro verticale (dalle fondamenta al tetto) si profila una situazione di supercondominio qualora gli edifici usufruiscano, per la loro utilizzazione e il loro godimento, di opere comuni (ad esempio, i locali di portineria, l’impianto di riscaldamento, i punti luce, la rete di distribuzione dell’acqua, ecc.) (Cass. 2987/1984). I proprietari possono considerare più fabbricati, costituenti un unico Unica tabella corpo e aventi in comune tetto, fognature, tubature ecc., un solo com­ millesimale plesso immobiliare e un unico condominio, predisponendo e approvando un’unica tabella millesimale alla stregua della quale ripartire fra tutti i condomini le spese per la verifica delle fondazioni e opere di consoli­ 29 LE CONTROVERSIE DA ASSEMBLEA CONDOMINIALE damento del muro perimetrale quale parte comune dell’intero complesso (Cass. 185/173). Il supercondomini può esistere soltanto di fatto oppure avere anche una veste giuridica (Trib. Savona 17/11/1980, in Giur. merito, 1981, 1240). Se il supercondominio esiste non solo nella realtà fattuale ma anche in quella giuridica, con un amministratore, un regolamento e un’assem­ blea, l’amministratore può chiedere ai condomini morosi il pagamento delle quote condominiali. Se, invece, il supercondominio costituisce solamente un’entità di fatto, senza assumere veste giuridica, le questioni relative al pagamento delle quote condominiali coinvolgono, come legittimi contraddittori, il condominio in regola con i pagamenti, da una parte, e il condominio moroso, dall’altra, mentre l’amministratore del condominio in regola con i pagamenti, non essendo amministratore del supercondominio, non può rivolgersi al singolo condomino del condominio moroso per chiedere il pagamento della quota. Il criterio da seguire per verificare la regolare costituzione dell’assemblea e la validità delle deliberazioni di un supercondominio si fonda sull’identico valore che, ai fini del riparto delle spese, è attribuito dapprima ai singoli edifici condominiali (c.d. lotto) e successivamente al valore che ha la proprietà di ciascun condomino all’interno di ciascun lotto (Trib. Monza 25/5/1991, in Arch. locaz., 1992, 148). Un criterio diverso, che attribuisse uguale forza rappresentativa a ciascun lotto, nonostante la diversa quota di comproprietà delle cose supercondominiali, introdurrebbe una deroga al principio fissato dagli artt. 1118 e 1136 c.c., che solo una norma contrattuale potrebbe giustificare e che, se ammessa, si rifletterebbe necessariamente sui diritti spettanti a ciascun condomino nelle deliberazioni supercondominiali, alterando il rapporto tra obblighi (di partecipazione alle spese) e diritti (di parteci­ pazione all’assemblea supercondominiale) che rappresenta un principio cardine dell’istituto condominiale e del senso comune di giustizia. Se dopo lo scioglimento del condominio, conseguente alla divisione di un edificio o di più edifici autonomi, tra gli originari partecipanti restano in comune alcune delle cose indicate dall’art. 1117 c.c., a queste si applicano le norme sul condominio e non quelle sulla comunione. Questa tesi è valida anche quando non si è in presenza dello scioglimento del condominio, ma vi siano beni o servizi originariamente comuni a più edifici o condomini separati. 30