Il mondo miceneo Dispensa 2: Lezioni dell’autunno 2010 Miscellanea a cura di Sandro Caranzano , riservati ai fruitori del corso di archeologia presso l'Università Popolare di Torino 2010-2011 2.1 – Inquadramento storico – archeologico del mondo miceneo A titolo riassuntivo, ripropongo la traduzione di un importante contributo del famoso archeologo Lord Wiliam Taylor che in “I Micenei” ripropone un inquadramento schematico della cronologia e dei principali tratti storici della civiltà micenea: Quando i Micenei compaiono per la prima volta sulla scena, all'inizio del XVI secolo, i ritrovamenti delle tombe a fossa mostrano che la loro cultura era già ricca e complessa. Essa presenta segni evidenti di numerosi e svariati contatti con il mondo esterno: l'ambra proveniente dal Nord, l'avorio dalla Siria, l'oro presumibilmente dall'Egitto, e — apporto immateriale — l'impronta minoica sui tesori artistici sepolti nelle tombe L'influenza cretese è più notevole nelle tombe del Circolo A; in quelle più antiche del Circolo B sono in numero molto maggiore le ceramiche medio-elladiche. La figura di Danao, secondo alcuni studiosi, va collocata nel contesto della dinastia delle tombe a fossa. Se le cose stanno così, cagli cara un usurpatore. Si tratta dell'antenato eponimo dei Danai, uno dei nomi che Omero dà ai Greci. Narra la leggenda che Danao venne Fig. 28 – Ricostruzione grafica della cittadelle di Micene con, in primo dall'Egitto e si stabilì in piano, la Porta dei leoni e il circolo funerario A; in alto, il palazzo. Argolide, divenendone il re. Non era egiziano, ma di origine greca, forse addirittura divina. Per parte di madre può darsi che fosse imparentato con la famiglia reale degli Hyksos, che in quello stesso periodo (TE I) vennero scacciati dall'Egitto; a questo proposito, tornano in mente certi tatti egizi delle tombe del Circolo funerario A, sebbene nel complesso esse siano d'ispirazione minoica. Nessuna costruzione della Cittadella di Micene può essere attribuita con certezza a questo periodo. La successiva ricostruzione del palazzo ne ha fatto sparire qualsiasi traccia. Perseo, discendente di Danao, è secondo la tradizione il fondatore della città. Pausania dice «Perseo divenne il fondatore della città, i Greci lo sanno bene», ma egli naturalmente non ebbe nessun rapporto con le mura ciclopiche, che appartengono al TE III. In base alla ceramica del tardo ME venuta alla luce nella tholos di horyphasion è probabile che Pilo fosse già un centro fiorente nel TE I, e vi sono prove che dimostrano che anche Iolkos era un centro importante di quello stesso periodo. Secondo la leggenda, in questo tempo vi era un rapporto fra le due aree. Pelia e 22 Neleo erano due gemelli, la cui patria era Iolkos. Vennero a contesa, e Neleo fu costretto ad emigrare in Messenia dove fondò una dinastia. Suo figlio, Nestore, fu uno degli eroi della guerra troiana. Fratello di Pelia per parte di madre, fu Esone, padre di quel Giasone che salpò sulla nave Argo alla conquista del Vello d'oro. Questa fu probabilmente una spedizione verso il Mar Nero, ma per nostra sfortuna non ha lasciato alcuna traccia archeologica. In questo periodo, tuttavia, o poco prima, i Micenei navigavano già in lungo e in largo per il Mediterraneo. Si trovano vasi TE I e II a Troia e Mileto, e in Occidente nelle isole Eolie, dove i Micenei erano stati già preceduti dai loro antenati medio-elladici. Nel TE II viene fondata una colonia a Rodi e da questa base si sviluppò il commercio con i paesi levantini e con l'Egitto. Il potente regno di Minosse si trovava sulla rotta che collegava direttamente la Grecia con l'Egitto, e solo quando questo temuto rivale fosse stato sopraffatto, i reami micenei, fra cui possiamo annoverare in quel tempo Micene, Pilo, Iolkos, e probabilmente Tebe ed Orcomeno, avrebbero potuto dominare incontrastati sul Mediterraneo. Un evento naturale, inaspettato quanto catastrofico, offrì loro l'occasione per realizzare le loro ambizioni. Verso la fine del sedicesimo secolo, l'isola vulcanica di Thera (Santorino), appartenente alle Cicladi meridionali, esplose con ripercussioni devastanti sulle isole vicine, e specialmente su Creta. Vi sono buoni motivi per ritenere che gli effetti di questa esplosione abbiano causato un declino disastroso, anche se temporaneo, dell'economia locale, rendendo così l'isola facile preda per i suoi nemici; ed è appunto dalla metà del quindicesimo secolo che vi sono chiare indicazioni del fatto che Cnosso, capitale minoica, era ormai caduta sotto l'influsso miceneo, se non addirittura nelle mani di un principe pirata. Certo, gran parte delle prove a sostegno di questa affermazione derivano dal contenuto militare di alcune tavolette, la cui datazione è messa in dubbio da qualche studioso; ma oltre alle tavolette esistono altre prove. Si tratta delle grandi anfore nello stile di Palazzo venute alla luce soltanto a Cnosso e nella parte orientale dell'isola, mentre nella Grecia continentale sono diffuse quasi ovunque. L'alabastron, un tipo di recipiente diffusissimo sul continente, a Creta è raro; sembra peraltro che dopo la conquista abbia incontrato un maggiore favore. Si iniziano anche a produrre localmente copie della coppa efirea, tipica tipologia micenea. In diverse tombe di questo periodo (TM II) è ricalcata la pianta della Fig. 29 – Planimetria generale della cittadella di Micene. 23 tomba a camera micenea; per il corredo in esse rinvenuto queste tombe ben meritano l'appellativo di "Tombe dei Guerrieri". Infine vicino a Cnosso vi è una tholos che, per quanto riguarda la tecnica costruttiva e la forma, è tipicamente micenea; essa mostra poca affinità con le più antiche tombe a volta della parte meridionale dell'isola di Creta. I Greci che dominarono Creta alla fine del XV secolo, mentre imposero il loro gusto riguardo ai riti funebri e ad alcuni tipi di vasi, non influenzarono praticamente la cultura minoica, più antica ed evoluta, esistente nell'isola. Essi presero più che non dettero. Appresero l'arte della scrittura (lineare B) e i vantaggi che ne derivavano, compreso l'efficiente, anche se burocratico, sistema organizzativo. Chiunque sia stato colui che ereditò o usurpò il temuto nome di Minosse, egli fu indubbiamente un sovrano di cui non si poteva non tener conto nel mondo antico. È a questo periodo che dobbiamo far risalire la disastrosa spedizione di Minosse in Sicilia? Un greco irrequieto, ambizioso e dotato di spirito d'avventura potrebbe aver tentato benissimo una simile impresa. Il racconto riferisce che Minosse vi andò a pretendere la consegna di Dedalo, l'architetto del Labirinto di Cnosso, che si era rifugiato alla corte del re Cocalo nella Sicilia meridionale e che li aveva realizzato molte importanti opere d'ingegneria per il suo nuovo signore; evidentemente un Leonardo da Vinci, dei cui servigi si poteva difficilmente fare a meno. Minosse morì in Sicilia e i superstiti della sua infausta spedizione si stabilirono in Apulia, nel tallone d'Italia, e vi fondarono delle colonie. Le testimonianze archeologiche per i periodi più antichi (XVI e XV secolo) non sono chiare, ma nel XIV secolo l'influenza in Sicilia è indubbiamente micenea e così pure chiaramente nell'Italia meridionale, dove è possibile riconoscere un elemento rodio. Vi è quindi il famoso episodio di Teseo e del Minotauro, il quale dimostra che Atene per un certo periodo di tempo fu tributaria di Cnosso; e questo forse è confermato dai recenti scavi effettuati nell'isola di Ceo, di fronte alle coste dell'Attica, dove sono stati rinvenuti molti vasi del TM I e II che corrispondono a questo periodo. La leggenda simboleggia la liberazione di Atene dal giogo minoico. Forse Atene capeggiò una rivolta che tentò di schiacciare un detestato rivale miceneo? Non era forse questo il momento opportuno, dopo il fallimento della spedizione di Sicilia? Nel periodo classico gli staterelli greci furono sempre in guerra l'uno contro l'altro, e sembra che siano stati ugualmente litigiosi in epoche più antiche. Tutto ciò che sappiamo è che Fig. 30 – Ricostruzione grafica del palazzo con i Greci di Cnosso nel XIV secolo soccombettero megaron di Micene. ad una potenza invidiosa, e che dopo di ciò esistono prove ancor più numerose dell'influenza micenea su di loro, anche se la cultura di base riesce sempre a conservare il tipico carattere minoico. Cadmo è un altro "straniero" che secondo la leggenda venne dalla Siria per stabilirsi nella fertile regione della Beozia, fondandovi la famosa città dalle sette porte. A questa città sono associati molti nomi illustri, e tra questi il più noto è forse quello di Edipo, egli stesso discendente di Cadmo. Tebe divenne una delle più potenti città della Grecia. Tra le regioni con cui intrattenne rapporti, ricordiamo il Vicino Oriente (sono venuti alla luce oggetti d'avorio, sigilli cilindrici, lapislazzuli) e Creta; è stato dimostrato che molte delle anfore a staffa non dipinte rinvenute nel palazzo provengono proprio dall'isola. I1 successo delle sue iniziative commerciali suscitò l'invidia e l'ostilità dei regni vicini, e diede origine alla famosa spedizione dei Sette contro Tebe, a cui parteciparono soprattutto le città dell'Argolide. Essa fallì, ma la generazione successiva, quella degli Epigonoi, riuscì nell'intento. Secondo Omero, si tratta della stessa generazione che combatté a Troia. Poiché 24 il sito dell'antica Tebe è occupato dalla città moderna, non è stato possibile compiere scavi sistematici; quelli effettuati ci hanno comunque consentito di stabilire che vi erano due palazzi, orientati diversamente. Sembra che il più antico, la "Casa di Cadmo", sia stato distrutto da un incendio nella prima metà del quattordicesimo secolo; alcuni studiosi tuttavia non sono d'accordo su questa datazione. Il "Palazzo Nuovo" venne distrutto, a quanto pare, nel 1250-1240 a.C.: questa data concorderebbe sostanzialmente con quella della tradizione. La distruzione di Cnosso si data generalmente intorno al 1400 a. C., anche se la ceramica potrebbe indurre a collocarla da 30 a 50 anni più tardi. Qualunque sia la data precisa, per la civilta micenea questo evento segna l'inizio del periodo della massima fioritura. Le navi da carico provenienti dalla Grecia continentale circolano indisturbate per tutto il Mediterraneo, giungendo in Occidente almeno fino ad Ischia. Le Cicladi, e Mito in particolare, recano l'impronta della civiltà micenea. Il commercio con l'Egitto raggiunge la sua punta massima durante il breve regno di Akhenaton. A Cipro vi sono colonie commerciali che sfruttano i mercati dell'Oriente. Rodi, colonizzata nel secolo precedente, raggiunge una posizione di semi-indipendenza, tant'è vero che possiede un proprio scalo commerciale nella lontana "Iàranto. A Micene assume il potere la nuova dinastia dei Pelopidi. Si dice che Pelope, il suo fondatore, fosse venuto dall'Asia Minore. Questo fatto è di per sé indicativo dello spirito dei tempi: nel reame miceneo qualsiasi Fig. 31 – Disegno ricostruttivo del cortile del palazzo miceneo di Pilo. principe avventuroso poteva reclamare qualche titolo fittizio, come farà molto più tardi in Inghilterra Guglielmo il Conquistatore, per crearsi un suo regno o meglio ancora per insediarsi stabilmente al vertice del comando; come infatti ci confermano i dati archeologici, quello di Micene era il più potente dei regni micenei, quantunque in teoria fosse semplicemente primo inter pares. Ma è proprio per questo periodo che le notizie storiche contribuiscono in qualche modo ad arricchire le scarne testimonianze fornite dall'archeologia e dalla leggenda. Negli annali degli imperatori ittiti del XIV e XI II secolo si parla del "regno di Ahhijava". Quantunque vi siano alcune difficoltà filologiche nell'equazione Ahhijava-Acaia, l'identificazione è accolta dalla maggior parte degli studiosi. In Omero, ai Greci viene spesso dato il nome di Achei e indubbiamente questo avveniva anche in età micenea. D'altra parte, nei loro documenti gli Ittiti si riferiscono a paesi piuttosto che a popoli. Nel caso di Ahhijava è chiaro che alludono ad una potenza marittima. Un importantissimo documento è costituito da una lunga lettera, nel complesso abbastanza conciliante, indirizzata dall'imperatore ittita al re di Ahhijava, che in quel tempo sembra fosse nelle vicinanze; e per questo alcuni studiosi hanno pensato che Ahhijava dovesse essere Rodi, uno dei più potenti regni micenei, come abbiamo già visto. Ma non c'è dubbio che il vero centro del potere fosse a Micene, come testimoniano i monumenti 25 dell'Argolide, che superano tutti gli altri monumenti della Grecia. Gli Ittiti, che erano una potenza continentale e non marittima, non potevano rendersi conto della reale estensione dell'impero acheo, né sapere dove si trovasse il suo centro di gravità. I contatti si limitavano alle aree contigue dei due regni. Nel nostro caso — cioè nella lettera di cui si è parlato — quest'area era Millavanda (o Milavata) che generalmente si suppone corrispondere a Mileto. Forse una questione di confini? Può anche darsi; dalla lettera tuttavia risulta che Mileto ed il suo entroterra in quel tempo facevano parte del territorio miceneo, anche se erano stati temporaneamente occupati dall'imperatore ittita. Questo fa pensare che la linea di demarcazione fra le due potenze fosse piuttosto fluida. Si è già notato che Micene ebbe per lungo tempo rapporti commerciali con Mileto e che in seguito vi stabili una colonia. Essa era anche in rapporto commerciale con Mersina, Tarso e Kazanli in Cilicia ed aveva una colonia a Ras Shamra. Tutte, ad eccezione di quest'ultima, si trovano appena dentro il confine ittita, e la stessa Ras Shamu a è vicinissima alla frontiera. I due regni quindi erano veramente contigui, ma possiamo desumere Fig. 32 – Pianta del palazzo di Pilo con indicazione della destinazione dei diversi ambienti dagli archivi ittiti che le loro relazioni fossero nel complesso amichevoli, poiché ciascuno riconosceva i propri limiti: uno era più potente in terra, l'altro aveva il controllo dei mari. Al tempo della guerra di Troia la potenza di Micene si estendeva su tutto il Mediterraneo centro-orientale, ma abbiamo le prove del fatto che era già in fase discendente. Verso la metà del XIII secolo la capitale subì alcune incursioni che distrussero le case fuori della Cittadella; queste non furono più ricostruite. Anche la Cittadella in questo periodo ebbe probabilmente a risentirne. In ogni caso, dopo questo disastro si ampliarono le mura di fortificazione e si costruì la cisterna segreta. Non siamo assolutamente in grado di dire se questo attacco alla Cittadella debba essere attribuito alla discordia tra i due fratelli Atreo e Tieste, figli di Pelope e ambedue pretendenti al trono. In altre parti della Grecia si lavorava a rafforzare le fortificazioni, e verso la fine del TE IIIB venne costruita sull'istmo di Corinto mia grande muraglia in opera ciclopica di cui restano alcune parti all'estremità sudorientale dell'istmo. Non sappiamo quale fu la causa della guerra di Troia, poiché il rapimento di Elena da parte di un principe troiano fu semplicemente un pretesto. Christopher Mee ha 26 Fig. 33 – Foto del focolare appartenente al megaron del palazzo di Nestore a Pilo avanzato un'ipotesi interessante: la guerra può essere stata causata da un conflitto riguardo ai diritti di pesca. Alla fine della primavera, infitti, sgombri e tonni dal Mediterraneo vanno a deporre le uova nel Mar Nero. Alla fine dell'estate percorrono il cammino inverso, e vengono “catturati da reti gettate negli stretti del Bosforo e dell'Ellesponto”. Anche in tempi recenti, del resto, i diritti di pesca sono stati all'origine di crisi internazionali. Troia godeva da secoli di una prosperità ininterrotta. La sua ricchezza è stata attribuita a vari fattori; forse il commercio vi contribuì in gran parte. Nonostante confinasse con il grande impero ittita a nordovest, essa a quanto pare non importava nessun prodotto ittita; i suoi rapporti riguardavano esclusivamente l'Occidente. La città, tuttavia, non doveva la sua ricchezza solo al commercio. A differenza della sterile e montuosa patria dei Micenei con le sue poche vallate fertili, Troia era circondata da ricche, fertili pianure che provvedevano largamente al nutrimento della popolazione, e fornivano anche prodotti per l'esportazione. La regione, conce risulta dai poemi omerici, era famosa per i suoi cavalli. Troia per di più aveva una prospera industria di filatura e forse anche di tessitura. Vi si rinvenne infatti un numero di fusi molto superiore a quello scoperto in qualsiasi altra località. Perciò può anche darsi che essa rappresentasse una temibile concorrente dei Micenei nel commercio dei tessili. Contro questa rivale ritenuta formidabile, si raccolsero tutte le forze di Grecia con a capo Agamennone, <,signore di uomini» come lo chiama Omero. L'imponente schiera di re e principi che lo seguirono è ricordata nel Catalogo delle Navi (vedi cap. 2). La guerra andò per le lunghe. Molti eroi caddero e molti di coloro che ritornarono in patria incontrarono infiniti disagi lungo il cammino. Fu probabilmente una vittoria di Pirro. Comunque si dati la caduta di Troia VI la (la Troia di Priamo), che alcuni vorrebbero far risalire al 1270 a. C., essa si verificò prima della fine del TE IIIB, perché quando la città fu rioccupata dopo la sua distruzione s'importavano ancora vasi di quello stile. Anche se lo stile caratteristico del TE IIIB durò più a lungo, come può benissimo essere accaduto in alcune aree, c'è un altro motivo che rende inaccettabile la data greca tradizionale del 1184 a. C., e cioè il fatto che altri avvenimenti contemporanei del Mediterraneo orientale, che sono in qualche modo in rapporto con questo periodo e sono documentati sia dalla ceramica che da fonti egizie, non ammettono una datazione così recente. Intorno al 1225 a. C. continue ondate migratorie di genti armate, ricordate negli annali egizi come "Popoli del Mare", minacciarono il Delta occidentale. Esse furono sconfitte dal faraone Merneptah, successore di Ramsete II. Sono elencati i nomi dei popoli che ne facevano parte e fra di essi alcuni studiosi identificano i Danai e gli Achei, nomi usati entrambi da Omero per indicare i Greci. Queste interpretazioni presentano delle difficoltà dal punto di vista filologico. Comunque sia, i "Popoli del Mare" ricompaiono circa 30 0 40 anni più tardi, molto forti, e questa volta attaccano l'Egitto da est. Possiamo seguire la traccia del loro cammino, caratterizzato da azioni di saccheggio lungo la costa meridionale dell'Asia Minore e il litorale levantino. In questo periodo Cipro fu devastata per la seconda volta. Alalakh (Teli Atchana) e Ras Shamra nella Siria settentrionale caddero nelle mani degli invasori (circa 1 190 a. C.). Ma ancora una volta essi furono respinti ai confini dell'Egitto, e questa 27 Fig. 34 – Disegno didattico ricostruttivo del megaron del Palazzo di Nestore a Pilo volta per sempre, da Ramsete III nel 1191 a. C., o nel 1186 secondo altri. (Le date egizie per questo periodo presentano un divario massimo di dieci anni). Fra le tribù sconfitte vi erano i Peleset (i Filistei), che da questo momento si stanziarono in Palestina. Poco dopo che essi si furono stabiliti nella loro nuova sede appare la ceramica "filistea", la quale presenta grande affinità con la ceramica micenea IIIC prodotta a Cipro dopo il passaggio dei "Popoli del Mare". Questo tipo di ceramica nacque a Micene dopo le calamità che colsero di sorpresa la Grecia continentale e che non possono essersi verificate molto dopo il 1200 a. C., dal momento che una versione modificata di questo nuovo stile di ceramica (IIIC) raggiunge la Palestina attraverso Cipro poco dopo il 1191 a. C. In base a queste considerazioni, quindi, è preferibile datare la caduta di Troia al 1220-1210 a. C. Se il racconto fatto appare confuso, questo è inevitabile, perché i tempi stessi erano confusi e agitati. Molte tribù erano in movimento, forse spinte dalla carestia lontano dalle loro terre. Quella dei "Popoli del Mare" fu una migrazione in massa. I guerrieri si portavano appresso le loro famiglie e i loro beni, e così sono raffigurati nei monumenti egizi. L'impero ittita si disintegrò al loro passaggio. L'Egitto riuscì a stento a respingere gli invasori, e i Micenei stessi non furono risparmiati. Per loro tuttavia il pericolo non sembra che sia venuto dal mare, ma sia stato piuttosto dovuto a problemi interni. Il mare dopo tutto era il loro elemento, e si deve tener presente tra l'altro che né le Cicladi né il Dodecanneso sembrano essere stati toccati dal sommovimento. Infatti Rodi in questo periodo continuava il suo commercio con la lontana Taranto ed esportava i suoi prodotti in Attica e nell'Anatolia occidentale (l'odierna Turchia). Ma per la Grecia continentale quello successivo alla caduta di Troia fu Un periodo molto triste. Nell'alissea siamo in grado di seguire il destino di molti degli eroi che erano sopravvissuti alla guerra. Agamennone tornò a Micene solo per essere assassinato a tradimento dalla moglie Clitennestra. Ulisse fu costretto a vagabondare per dieci anni prima di raggiungere la sua patria, Itaca. Altri eroi fecero naufragio e dovettero stabilirsi in terra straniera. Coloro che fecero ritorno in patria ripresero ben presto il mare per andare a cercar fortuna altrove. Nella tradizione letteraria si citano la Libia, la Sicilia, l'Asia Minore e Cipro, e per quanto riguarda queste ultime vi sono testimonianze archeologiche che sembrerebbero dare una conferma, soprattutto a Cipro. Nestore e Menelao furono più fortunati; una tradizione più tarda narra che al primo successero sul trono il figlio e il nipote. Ciò pone un problema cronologico, a meno che essi non abbiano regnato per un periodo assai breve, in quanto secondo Blegen il palazzo di Nestore venne completamente distrutto da un violentissimo incendio verso la fine del TE IIIB, ossia intorno al 1200 a. C. È un periodo che vide la distruzione e la devastazione di molti insediamenti. Furono distrutte da spaventosi incendi le grandi cittadelle del continente: Micene, Tirinto, Midea e Pilo. Altre, tra le quali Gla, Koraku, Zygouries, Prosymna e Berbati vennero abbandonate o distrutte più o meno nello stesso periodo. Un destino analogo sembra essere toccato a Iolkos nel TE IIIC. Soltanto Atene fra tutte le rocche micenee resistette, e gli Ateniesi in seguito si 28 vantarono con orgoglio di essere un popolo autoctono che aveva respinto tutte le invasioni straniere; l'archeologia sembrerebbe confermare questo loro vanto. Ma sebbene sull'acropoli di Atene non vi siano tracce di distruzione risalenti a questo periodo (1200 a. C. circa), le abitazioni più antiche che si trovano ai piedi dell'Acropoli vennero abbandonate e il periodo seguente mostra chiari segni di impoverimento. Non si deve immaginare che questi eventi catastrofici abbiano avuto luogo contemporaneamente; essi possono essere avvenuti nell'arco di una decina d'anni o anche più. Riguardo alle loro cause, gli studiosi non hanno ancora trovato un accordo. Alcuni le individuano nell'invasione dei Dori, ma secondo una tradizione greca su cui le fonti concordano le tribù doriche non invasero il Peloponneso che due generazioni dopo la caduta di Troia. Altri attribuiscono i disordini a guerre senza quartiere tra i vari staterelli. Altri ancora li spiegano con un peggioramento del clivia che avrebbe portato siccità e carestie. Ma anche precedentemente alla caduta di Troia l'inquietudine serpeggiava in tutto il Vicino Oriente. La potenza ittita stava perdendo la presa sugli stati vassalli, e le migrazioni dei "Popoli del Mare" sconvolgevano le regioni dell'Egeo orientale, ostacolando il regolare svolgimento di quelle attività commerciali che tanta importanza avevano avuto nel creare la ricchezza della Grecia continentale. Nel XII secolo vi fu una dispersione generale della popolazione. Alcuni attraversarono il mare per iniziare una nuova vita a Cipro; altri giunsero fino a Tarso. Sembra che in questo periodo l'insediamento di Lefkandi nell'Eubea abbia visto un aumento della sua popolazione. Molti abitanti dell'Attica emigrarono a Perati, sulla costa orientale; gli scavi ivi condotti da Iakovidis mostrano che essa diventò un centro fiorente. L'Acaia, sulle rive settentrionali del Peloponneso, venne ora occupata, e forse per la prima volta in forma massiccia, perché la ceramica rinvenuta nelle tombe (che costituisce in pratica l'unica testimonianza) è preminentemente del tipo TE IIIC. Dopo il saccheggio di Pilo, molti abitanti della Messenia si rifugiarono nelle vicine isole ionie e soprattutto a Cefalonia. In tutte queste aree ora si produceva esclusivamente ceramica del tipo TE IIIC. Micene continuò a ispirare i nuovi stili, tra i quali il più elegante è il cosiddetto Stile Serrato (vedi capitolo 1). Dopo la catastrofe generale Micene infatti recuperò parte della sua potenza, anche se non tornò mai più quella di prima. La sua sfera d'influenza quasi coincideva con quella del periodo precedente, ma il controllo esercitato era meno stretto, e le risorse della comunità erano più scarse. A testimonianza del primo fatto abbiamo le differenze di stile nella ceramica prodotta nelle varie località, in particolare a Cefalonia, nell'Acaia e a Lefkandi; per quanto riguarda il secondo, abbiamo l'abbandono di vari insediamenti nell'Argolide, e l'abbassamento degli standard produttivi in ogni settore delle attività artigianali. Non si conoscono per questo periodo tavolette in lineare B ed è probabile che il vecchio sistema di registrazione e di controllo fosse stato abbandonato per far posto ad una forma di governo più primitiva. È evidente un progressivo deterioramento della qualità e della decorazione della ceramica, e si diffonde sempre più lo stile semplice e rozzo del Granaio. Questo stile fu in gran voga a Cipro dopo che l'isola subì una seconda e più grave distruzione, più o meno intorno al 1190 a.C. Questa, a sua volta, fu seguita da un vero e proprio insediamento, giacché ora per la prima volta vengono introdotte nell'isola le tombe a camera di tipo miceneo. Lo sconvolgimento e l'inquietudine tornarono ancora una volta nel mondo miceneo. La prova negativa di questo fatto è data dall'abbandono di molti sepolcreti prima della fine del periodo. I seppellimenti di ciste sostituirono le tombe a camera in Attica, nell'Argolide e in Beozia. Le deposizioni singole e doppie presero il posto di quelle multiple. E difficile spiegare la ricomparsa della tomba a cista, anche se il suo uso non era mai completamente scomparso, ma la suppellettile del sepolcro, a parte la ceramica che riflette l'antica tradizione, non è più micenea. Vanno ora di moda i lunghi spilloni di bronzo e le fibule (un tipo elaborato di spilla di sicurezza), mentre le onnipresenti figurine micenee, che erano diventate meno frequenti nel periodo TE IIIC, ora scompaiono. Ma questi mutamenti furono preceduti da catastrofi che segnarono la fine della potenza micenea e della sua civiltà. Esse non furono così disastrose come le precedenti, forse perché c'era meno da distruggere. A nord, Iolkos, capitale del regno di 29 Tessaglia, fu sopraffatta. Al confine orientale del reame, Mileto fu incendiata e, proprio al centro di esso, Micene fu finalmente distrutta. Tutte queste calamità si datano approssimativamente intorno al 1 120 a. C. Alcuni studiosi attribuiscono la caduta della civiltà micenea all'invasione dei Dori, evento a cui le fonti antiche fanno riferimento col termine pittoresco di Ritorno degli Eraclidi (i discendenti di Ercole), che si sarebbero messi alla testa delle tribù doriche. Secondo la leggenda, Illo, figlio di Ercole, uccise Euristeo, l'ultimo dei re perseidi di Micene (lo stesso che aveva costretto Ercole a compiere le Dodici Fatiche); Illo tuttavia venne ucciso a sua volta nel corso di una battaglia tra gli Eraclidi e un esercito peloponnesiaco condotto da Atreo, figlio di Pelope, salito nel frattempo sul trono di Micene. Gli Eraclidi si ritirarono, e l'oracolo di Delfi proibì loro di far ritorno per cento anni. Se si data la fine del TE IIIC e del periodo miceneo approssimativamente al 1 120 a. C., l'introduzione nel racconto di Euristeo e di Atreo costituisce un anacronismo. Se invece l'invasione dei Dori ebbe luogo più di un secolo prima, come ritengono alcuni studiosi, allora questo racconto risulterebbe più verosimile. Qui l'archeologia non ci può essere di alcun aiuto, poiché i Dori non hanno lasciato di sé nessuna traccia. Non esistono ceramiche, gioielli, armi o riti funebri che si possano loro attribuire. La loro cultura era praticamente inesistente, o una forma corrotta di quella micenea. Una ipotesi stimolante, che preferisce ignorare la tradizione dell'invasione dorica, è quella che vede nei Dori una classe fino ad allora sottomessa della società micenea, una classe "sommersa" che parlava un dialetto differente, e che a un certo punto si ribellò. II successo finale dell'invasione o ribellione che dir si voglia, ammesso che essa abbia avuto per protagonista una classe inferiore e oppressa, può essere stato dovuto alla connivenza di una nobilita scontenta e ambiziosa: le fortezze ciclopiche, infatti, potevano essere conquistate solo per fame o col tradimento. L'ultima fase rappresenta un periodo molto triste. Lo stato miceneo in realtà non si riprese più dalle calamità, qualsivoglia ne fosse l'origine, sofferte alla fine del XIII secolo. La complessa amministrazione che aveva sorretto la sua potenza si disintegrò e il tessuto della sua società decadde verso una fine ingloriosa. Siamo giunti alle soglie del medioevo ellenico. 2.1 – Palazzi, mura e riserve d’acqua Secondo la datazione di Eratostene, la guerra di Troia ebbe luogo nel 1183 a.C. e re Minosse visse tre generazioni prima. Quindi, per i Greci, il regno di Minosse conobbe il suo apice intorno al 1260 a.C., circa cento anni dopo la data in cui, come sostengono la maggior parte degli archeologi, fu abbandonata la Cittadelle, palazzi e case Origine del megaron: La pianta del nucleo centrale di un palazzo miceneo deriva da un prototipo molto semplice del periodo medio elladico: una stanza di forma allungata, preceduta, su uno dei lati brevi, da un vestibolo. Davanti al vestibolo di questa costruzione primitiva c'era, senza dubbio, un portico di tipo molto semplice, come si trova ancora oggi in molte case dei villaggi greci, fatto cioè di una graticciata sorretta da due pali con una vite o un'altra pianta rampicante a dare ombra. Nel palazzo miceneo tali elementi presero la forma di un portico colonnato che conduceva in un vestibolo e da qui nella sala principale, detta megaron. Assai spesso le case medio-elladiche avevano un altro ambiente sul retro, usato come magazzino, con un ingresso indipendente, come ritroviamo nel palazzo di Nestore a Pilo. Nelle camere delle case del ME e del TE si trova di solito un focolare fisso, talvolta circolare. Nei palazzi micenei questo è di grandi dimensioni ed occupa la parte centrale del megaron. Attorno al focolare rotondo erano disposte, simmetricamente, quattro basi circolari per colonne, spesso di duro calcare azzurro. Data la loro grandezza, si ritiene che dovessero sostenere colonne di legno alte e robuste che reggevano la parte centrale del tetto sopra il resto della stanza, come avviene nella navata centrale di una chiesa. A Pilo si sono rinvenuti sopra il focolare i resti di due condotti appartenenti ad un grande camino di terracotta, ma nelle case più modeste è probabile che ci fosse una semplice apertura per l'uscita del fumo. Non rimane nessun palazzo del periodo TE I/II. Il più antico edificio che si conosca con lo stile di un palazzo è stato scoperto in Laconia presso Menelaion: è un 30 santuario dedicato a Menelao e ad Elena che si trova sopra una collina a 2,9 km a est/sud-est di Sparta. II sito era già stato scavato, in parte, dalla scuola britannica nel 1910. Qui si sono scoperti i resti di una casa del TE IIIB distrutta da un incendio. La sua pianta ricorda quella del palazzo di Nestore: un megaron con una stanza sul retro e vani su entrambi i lati, separati da un corridoio. Il palazzo di Micene, cioè della città che stava a capo di tutti i principati della Grecia, doveva essere la più splendida di tutte le residenze regali; ma la sua magnifica posizione dominante sulla sommità dell'acropoli l'ha esposta infatti Fig. 35 – Ricostruzione assonometrica della planimetria del Menelaion all'inclemenza degli agenti atmosferici, che non l'hanno risparmiata. Ne restano tuttavia parte delle fondazioni (del megaron, del vestibolo, del portico e ciel cortile), ma abbiamo solo qualche parvenza di edifici importanti posti più in alto sulla collina, che costruttori di epoche più tarde spogliarono di tutti i blocchi fino alla nuda roccia per edificare un tempio arcaico o una casa ellenistica. Per illustrare più compiutamente un impianto residenziale e amministrativo dobbiamo rifarci al palazzo di Nestore a Pilo. Attualmente a Pilo si possono vedere solo le assise inferiori, ma nell'antichità le mura maestose del palazzo dovevano vedersi fin da lontano. Per entrarvi si attraversava una costruzione non dissimile nella pianta da un propileo di età classica, un ingresso con portico sulla facciata e portico verso l'interno, sorretti l'uno e l'altro da una sola colonna. Come in lutti i palazzi e gli edifici pubblici e privati micenei, le colonne erano in genere di legno, perciò non ne è rimasta traccia; se ne conosce però la forma. A Micene erano di vari tipi. Le semicolonne litiche delle tholoi sono scanalate, come nella Tomba di Clitennestra, o decorate con un motivo a zig-zag, come nel Tesoro di Atreo. Nel rilievo della Porta dei Leoni il fusto è liscio e rastremato verso la base (a differenza della colonna di età classica). A Pilo, qualunque fosse il tipo di capitello, il fusto della colonna è quasi sempre scanalato, e le scanalature sono in numero variabile da 32 a 64. Le prove di questo le abbiamo dal fatto che nell'antichità il collarino che si trovava alla base della colonna veniva ripetutamente intonacato per cui, scomparsa la colonna, ne è rimasta l'impronta sull'intonaco. Entrando dall'ingresso principale, s'incontra sulla destra un ambiente riservato presumibilmente al corpo di guardia; una bassa piattaforma subito a sinistra della porta indica il posto della sentinella. Gli ambienti a sinistra dell'ingresso erano adibiti ad archivi. Qui si conservavano i registri degli affari quotidiani: la parte dei prodotti dovuti come tassa alla casa reale o agli dei, la distribuzione dei materiali e della manodopera per i vari compiti di governo. L'ingresso al palazzo permetteva un facile controllo delle pratiche quotidiane. Così anche il Granaio di Micene, presso la Porta dei Leoni, aveva probabilmente la medesima funzione di ufficio amministrativo. 31 A Pilo l'ospite di riguardo veniva condotto attraverso il cortile fino ad una sala d'aspetto che si trovava immediatamente a sinistra dell'ingresso porticato dell'appartamento reale. Qui vi era, in un angolo, un sedile di stucco bianco con la parete verticale decorata con motivi ornamentali, ora per lo più svaniti. Vi erano, inoltre, due grandi pithoi, che probabilmente contenevano vino poiché nella porta accanto c'era un dispensa ben fornita di coppe (kylikes). Nella sala d'aspetto, che vi si servisse o no il vino, doveva aver luogo una specie di preparazione rituale dell'ospite prima di ammetterlo nella sala di ricevimento. Nella cerimonia dovevano essere comprese probabilmente abluzioni e libagioni. La disposizione delle sale di rappresentanza dimostra che erano adatte sia alle grandi occasioni che agli affari quotidiani. Il portico ed il vestibolo erano riccamente adorni di affreschi, e forse un ospite di particolare riguardo poteva essere invitato a trascorrervi la notte. «Nestore di Gerenia invitò Telemaco, il caro figlio del divino Ulisse, a dormire su un letto intrecciato di corde sotto il portico risonante». Il contrasto che si avvertiva passando dal vestibolo largo ma poco profondo all'ampia sala colonnati del megaron doveva suscitare una profonda impressione. Lo sguardo era subito attirato dalle quattro alte colonne scanalate che sorreggevano la lanterna rialzata nel soffitto sopra il grande focolare rotondo dal bordo dipinto. Il fuoco, ardendo lentamente, doveva aggiungere movimento alle numerose spirali colorate che si svolgevano ininterrottamente sul fusto delle colonne. Le pareti della sala ciel trono sono ora conservate per un'altezza massima di 91 cm., ma in origine le loro superfici rivestite di stucco e dipinte a vivaci colori dovevano narrare molte gloriose imprese e leggende eroiche, quali il re amava udire nel corso delle feste dalle labbra del cantore di corte; ed è anzi giunto fino a noi un frammento di affresco che forse rappresenta lo stesso cantore con la lira, forse Orfeo che incanta con la sua musica le fiere e gli uccelli. Alle spalle del trono era rappresentato un altro soggetto, cui motivo anche questo dell'iconografia regale: due grifi accovacciati e disposti l'uno di fronte all'altro ai lati del trono, la testa eretta e le ali spiegate: la testa adorna di un pennacchio ingioiellato, le spalle forti coperte di penne di pavone, le code protese in alto e terminanti in forma di ricciolo quasi a salutare il re. Dietro i due grifi era rappresentata, a mo' di scorta, una coppia di leoni che nell'araldica micenea dovevano forse raffigurare un'altra casata principesca legata al re da vincoli matrimoniali. Nel corso della giornata il vestibolo, ossia l'anticamera della sala reale, diventava un luogo di grande movimento, essendo il passaggio più facile e diretto alle altre parti del palazzo. Oltre alle due grandi porte situate al centro dei lati lunghi ve ne erano altre due sui lati brevi. Quella a sinistra, guardando verso il megaron, dava direttamente accesso alle dispense e ai depositi di stoviglie, ed una scala di fronte alla porta conduceva al primo piano. Le dispense erano una parte importante del palazzo. In una sono stati ritrovati gli steli di non meno di 2853 kylikes, erano state ammassate in origine su scaffali. Il consumo di vino nel palazzo sembra essere stato Fig. 36 – Pianta della cittadella di Tirinto. 32 notevole. Omero ci parla della coppa d'oro di Nestore che nessuno all'infuori di lui poteva sollevare quando era piena. D'altra parte è possibile che una provvista così grande di kylikes fosse destinata ad altri centri del regno. La porta che si trova all'altra estremità del vestibolo immetteva in un corridoio ed aveva di fronte loia scala di cui sono ben conservati i primi otto gradini di pietra. Voltando a sinistra in questo corridoio si raggiungono alcuni vani-magazzino ed una grande stanza divisa in due, dietro al megaron, che conteneva grosse provviste di olio d'oliva. Il sistema di immagazzinare l’olio era differente da quello usato nella Casa del Mercante d'Olio a Micene. A Pilo i pithoi sono parzialmente affondati nel terreno: la metà superiore che si trova al di sopra ciel livello del pavimento è incassata in uno zoccolo d'argilla ricoperta di stucco così da evitare la dispersione dell'olio versato durante il travaso e facilitare la pulizia. I pithoi sono disposti lungo le pareti della stanza cosicché, con la loro incassatura d'argilla, sembrano quasi racchiusi in un lungo e largo bancone. Erano molto profondi, e quando il livello dell'olio si abbassava si dovevano usare lunghi mestoli per vuotarli. Ripercorrendo il corridoio in direzione del vestibolo, ma proseguendo poi in linea retta attraverso un portico colonnato aperto sulla corte principale, si giunge all'appartamento della regina. Questo era formano da un megaron più piccolo con un focolare dipinto al centro, ma senza colonne, e da due stanzette separate da un corridoio, una delle quali, a giudicare dalla decorazione, potrebbe essere considerata come un salottino privato. Accanto al megaron della regina, a nord-ovest, ma non direttamente accessibile da questo, c'era una grande stanza da bagno. La vasca di terracotta è racchiusa, come nei bagni moderni, in un cassone rettangolare di argilla rivestita d'intonaco bianco. Una raffinatezza che non si trova in molti bagni moderni è costituita da un ampio gradino, anch'esso intonacato, che permetteva di entrare più comodamente nella vasca, a metà della quale c'era una sporgenza su cui deporre qualche oggetto da toeletta. In un angolo della stanza vi sono due grandi pithoi dalla bocca larga, anch'essi incassati in una massa d'intonaco. In fondo ai pithoi vi erano delle coppe a stelo (kylikes) in frammenti. Altre due coppe furono rinvenute dentro la vasca. La somiglianza tra tali coppe e le odierne coppe da champagne potrebbe indurci a trarre conclusioni affrettate, sulla base di un metro di giudizio moderno. Ancor oggi in Turchia in alcuni bagni si versa l'acqua sul corpo con vasi poco fondi, non dissimili da una kylix micenea, e certamente non più capaci. È un fatto, ciel resto, che nell'antichità si usava, per la pulizia del corpo, oltre all'acqua, anche l'olio di oliva. Così, secondo un racconto di Omero nell'Odissea, quando la bella Policaste, figlia minore di Nestore, fece il bagno a Telemaco, «quando l'ebbe bagnato e poi unto con l'olio d'oliva ... egli emerse dal bagno simile nella persona a uro degli immortali». La posizione di questa stanza da bagno entro il palazzo farebbe pensare che fosse riservata non ad uso privato ma pubblico; non a caso essa poteva essere raggiunta più facilmente dal cortile centrale e dalle stanze che gli stanno intorno piuttosto che dall'adiacente megaron della regina. È facile pensare perciò che Telemaco venisse condotto per il suo bagno rituale proprio in questa parte del cortile. Fino ad oggi nessuna località micenea ci ha restituito qualcosa di simile. A Tirinto rimane soltanto il pavimento che è costituito da un grande lastrone monolitico che ha, lungo il perimetro, una serie di fori trapanati per le caviglie con cui si fissavano le pareti lignee; queste ultime dovevano essere naturalmente intonacate. Il pavimento è un poco inclinato per permettere all'acqua di fluire verso il canale di scolo. A Pilo la vasca da bagno non aveva scarico e l'acqua doveva essere tolta perciò con dei secchi e versata in una canaletta di scolo che passava attraverso il muro. Nel cortile centrale di un palazzo miceneo doveva regnare sempre una grande animazione. A Pilo il cortile è più piccolo di quelli di Micene e di Tirinto, ma la diversità dei portici e delle logge gli conferiva un aspetto più vario e meno convenzionale. II cortile del palazzo di Tirinto, che è il più grande di tutti, era di tipo più tradizionale, ma i suoi lunghi colonnati dove si alternavano pilastri e colonne dovevano conferirgli grande dignità. La Grande Corte di Micene aveva il pavimento di stucco, diviso in riquadri dipinti con musivi geometrici, mentre quelli di Pilo avevano una superficie piana di conglomerato cementizio, ogni tanto interrotta in modo quasi impercettibile dalla bocca di un canale di scolo per l'acqua piovana, costituita generalmente da una lastra di pietra con tre fori. Sotto il palazzo vi è un 33 labirinto di fognature non ancora del tutto esplorato. Quelle più piccole, con le pareti laterali formate da lastroni di pietra e una serie di lastre per copertura, erano abbastanza grandi da permettere ad una persona di corporatura snella di strisciarvi dentro; esse si vuotavano in canali più grandi costruiti allo stesso modo, dove un uomo poteva stare quasi in piedi. Un analogo sistema di fognature si può vedere a Micene, Giove però la copertura è formata da due lastroni inclinati che formano un arco appuntito, la cosiddetta tecnica "a modiglioni”. I canali micenei servivano in primo luogo a raccogliere l'acqua piovana e tutti i rifiuti che questa trascinava con sé. Tutto ciò che potrebbe avvicinarsi in qualche anodo ad un moderno impianto igienico doveva essere molto raro. Struttura della città: La città di Agamennone, come tutte le altre città-stato dei regni micenei, era formata infatti da un insieme di villaggi tribali situati ciascuno su una delle numerose colline che circondavano la Cittadella, o almeno così si presume dallo forma plurale dei nomi delle città più importanti (Mikenai, Thebai, Athenai). Ciascun villaggio sembra aver costituito un'unità a sé stante con la necropoli nelle immediate vicinanze. Nei dintorni della Cittadella vi erano alcuni imponenti edifici, ritenuti botteghe del re o, secondo alcuni, case di mercanti. Tre di queste case si trovano allineate proprio accanto alla strada moderna e distano circa 150 metri dall'acropoli. Sulla base degli oggetti più importanti qui rinvenuti sono state chiamate (a partire da quella più settentrionale) Casa degli Scudi, Casa del Mercante d'olio e Casa delle Sfingi. … All'interno della Cittadella di Micene sono state scavate diverse case di cui le più note sono il Granaio accanto alla Porta dei Leoni e la cosiddetta Casa del Vaso dei Guerrieri vicino al Circolo funerario. Questi edifici sono stati completamente saccheggiati, cosicché non è più possibile stabilirne la funzione, ad eccezione forse del Granaio. Un'altra casa all'estremità orientale della Cittadella, chiamata da Wace Casa delle Colonne, sembrerebbe essere l'ala orientale del palazzo stesso. Quantunque sia molto rovinata e la sua pianta sia difficile da ricostruire, aveva però Fig. 38 – Passaggio che conduce alla sicuramente un cortile colonnato da cui si passava in un cisterna segreta di Micene. ambiente a forma di megaron, e, a un livello inferiore, a una serie di magazzini. I muri di fondazione erano costruiti solidamente con pietre conce o grezze, e il loro spessore variava secondo la grandezza e il peso dell'alzato. Il muro veniva spesso costruito con un'intelaiatura in legno, una specie di rinforzo, almeno così si crede, contro i terremoti. Essa consisteva in una serie di pali rizzati a intervalli regolari sulle due facce del muro e collegati fra loro da travetti trasversali collocati nello spessore del muro. C'erano anche travi orizzontali inserite a varie altezze nelle due facce del muro. Tale struttura "semilignea" non era per lo più visibile. Nelle stanze al pianterreno era coperta da uno strato d'intonaco fangoso, nelle stanze di soggiorno o di ricevimento da una decorazione più accurata. In questo caso la superficie era di solito finemente stuccata e spesso dipinta con affreschi. Il piano sopra a quello di fondazione è quasi invariabilmente costruito in mattoni crudi. Impianti per la captazione dell’acqua: Quello dell'approvvigionamento dell'acqua era un serio problema in estate, cotte lo è ancor oggi, e assumeva particolare importanza durante gli assedi. Furono perciò inventati molti sistemi ingegnosi per superare questa difficoltà. A Micene fu costruita alla fine del XIII secolo una cisterna segreta (erroneamente citata talvolta come Fonte Perseia) che è un miracolo di ingegneria. Le rampe di scale scendono al serbatoio. La prima è costruita all'interno ciel muro di fortificazione, le altre due sono scavate nel sottosuolo e fuori delle mura. La cisterna era alimentata dalla fonte detta Perseia (dal nome dell'eroe Perseo), che ancor oggi sgorga circa 200 metri più a monte della Cittadella. Si presunte che l'acqua fosse incanalata in un condotto sotterraneo di cui non si è rinvenuta alcuna traccia, fuorché alcuni tubi di terracotta che arrivano fino 34 all'apertura del tetto sopra la cisterna. Quest'ultima non è molto grande, ma la sua capacità era enormemente accresciuta se si permetteva all'acqua di occupare tutta la rampa inferiore di scale, il cui soffitto scavato nella roccia era alto più di tre metri e mezzo. Onde evitare perdite d'acqua, questa parte della scala era ricoperta da uno strato di conglomerato cementizio impermeabile, che si conserva tuttora. La posizione o anche l'esistenza di questa cisterna potevano essere conosciute dal nemico solo grazie a una delazione: ma quand'egli l'avesse conosciuta la sorte della Cittadella sarebbe stata segnata. A Tirinto gli scavi hanno portato alla luce due sorgenti sotterranee vicine, situate proprio all'esterno delle mura della fortezza inferiore. A queste sorgenti si giunge attraverso due camminamenti in discesa che passano sotto il muro, costruiti in opera ciclopica e dalla copertura a modiglioni. I frammenti di ceramica dimostrino che erano ancora in uso nel periodo TE IIIIC. Mura micenee: Ai Greci dell'età successiva la costruzione di queste mura sembrò essere stata al di sopra delle possibilità untane. Solo dei giganti, i Ciclopi, potevano aver trasportato quelle pietre, e "ciclopiche" è infatti l'aggettivo usato finora per queste mura e per tutte le costruzioni ugualmente grandiose. Uno dei sistemi impiegati consisteva nel costruire una grande rampa di terra su cui i blocchi venivano fascinati fino all'altezza desiderata e poi messi in opera. Quanto più s'innalzava l'edificio, tanto più si elevava la rampa, che veniva allungata perché l'inclinazione del piano non divenisse eccessiva. E difficile credere che tale sistema possa essere servito per la costruzione delle mura ciclopiche, ma dev'essere stato possibile per sollevare e mettere in opera gli enormi architravi sulle porte d'ingresso delle tombe a tholos (il blocco più intento dell'architrave del "Tesoro di Atreo pesa circa 120 tonnellate). In questi casi era il fianco della collina a servire da rampa. I grandi blocchi di pietra usati nelle mura ciclopiche erano lavorati solo in parte, e molti non lo erano affatto. Lo stato di fondazione posava su una massicciata di sassi. Le altre assise erano costruite a secco, mentre gli interstizi venivano riempiti con argilla e pietre più piccole. Nelle mura di fortificazione lo spessore era in Fig. 37 – Fotografia di archivio realizzata ad media di m. 4,60; a Micene esso raggiunge talvolta i m inizio ‘900 in occasione dei restauri della 6,70. I blocchi ciclopici sono usati però soltanto per le Porta dei Leoni di Micene. due facce del muro; l'intercapedine è riempita di terra e pietre. Un'alta tecnica costruttiva, che si ritrova particolarmente a Micene e a Pilo, era quella a blocchi squadrati (grossi blocchi simmetrici venivano lavorati col martello e tagliati con la sega). Gli allineamenti erano più regolari e più orizzontali che nelle costruzioni ciclopiche. Ritroviamo questa tecnica nelle mura e nei due bastioni ai lati della Porta dei Leoni; essa conferisce senza dubbio all'ingresso un aspetto più nobile. Fu usata anche in alcune tholoi e soprattutto in quelle più recenti a Micene. Gli esempi più grandiosi sono il "Tesoro di Atreo e la 'Tomba di Clitemnestra. 35 2.3 – Le tombe a fossa e le tombe a tholos: Le più antiche tombe dell'età micenea non presentano grandi differenze rispetto ai tipi già sviluppati nel periodo medio elladico. Ve ne sono di due forme: un pozzetto poco profondo scavato nella roccia tenera e appena sufficiente a contenere il corpo di un defunto, deposto su un fianco in posizione contratta; e una tomba rettangolare limitata da lastroni di piega, nota come tomba a cista. In quest'ultima talvolta i lastroni e la roccia sono sostituiti da pareti costruite in muratura, e vi può essere una copertura formata da lastroni. Il corredo funebre consisteva di solito in un unico vaso, ma molto spesso mancava anche quello. Vari studiosi pensano che il tipo molto più grande di "tomba a fossa" che seguì alla tomba ciel tipo a cista, sia semplicemente uno sviluppo di quest'ultima. Gli esempi migliori si trovano nei due Circoli funerari di Micene. La fossa poteva raggiungere una profondità di tre o quatto metri. Sul pavimento era steso uno stato di ciottoli su cui era deposto il cadavere; le pareti lunghe del sepolcro erano rivestite di bassi muretti di pietre grezze che sorreggevano il tetto ligneo. Dopo che questo era stato messo in opera, la profonda fossa veniva riempita di terra. Tavolta si poneva come segnacolo una stele scolpita o un lastrone. Alcune di queste tombe erano individuali ma altre erano molto più grandi (la più grande di tutte misura m 6,40x4,50) e contenevano più deposizioni, che si presume appartenessero tutte ad una sola famiglia. Per la ricchezza del loro corredo sono state denominate tombe "reali". Nel Circolo funerario di Schliemann (ora noto come Circolo A) vi erano sei tombe di questo tipo che contenevano ciascuna da due a cinque scheletri. Solo la tomba II conteneva una singola deposizione. All'interno del Circolo si trovavano anche altri sepolcri a pozzetto. Nel Circolo B vi erano 24 tombe di cui 14 si possono definire tombe a fossa. Il loro corredo, per quanto notevole, non era così ricco come quello delle tombe del Circolo A; d'altra parte il Circolo B è un po' più antico di quello A, e risale all'inizio ciel XVI secolo. Nei due Circoli vi sono esempi di deposizioni con cadavere disteso, un uso che sembra iniziare proprio alla fine del medio elladico o poco dopo, contemporaneamente all'ampliamento delle tombe. Oggetti insoliti, che non si trovano né prima né dopo, sono le maschere d'oro poste sul viso di alcuni morti. Ne sono state scoperte cinque nelle tombe del Circolo A e undici nel Circolo B. I due Circoli funerari facevano parte di un unico grande sepolcreto che si estendeva fino a raggiungere i piedi dell'acropoli. In seguito, quando nel XIII secolo si ampliarono le mura di fortificazione della Cittadella, le tombe del Circolo A erano ancora oggetto di tale pietà religiosa da parte degli abitanti da venir separate dal resto della necropoli e incorporate nel circolo delle nuove mure ciclopiche, con non pochi inconvenienti per la difesa. Contemporaneamente si costruì, ad un livello più alto, un nuovo e più importante muro di recinzione, che ancora si conserva. L'ultimo seppellimento nelle tombe del Circolo A è datato intorno al 1500 a.C., ma l’uso di seppellire in tombe a fossa continuò sino alla fine del TEII ( circa 1400 a.C.). Tombe a fossa del TE I si conoscono anche a Heusi e a Lerna. Nel frattempo un tipo completamente diverso di tomba regia si sostituì alle tombe a fossa reali diMicene: è quello molto più grande della tholos. A pianta circolare e a forma di cupola ogivale, è costruito di solito (sempre a Micene) nel fianco 36 di una collina. Alla tholos si accedeva mediante un lungo corridoio (dromos) tagliato in piano nel pendio della collina. I costruttori di queste tombe a Micene sono indicati comunemente come "dinastia delle tombe a tholos". A Micene sono state scoperte nove tombe di questo tipo, che si datano tra il 1500 circa e il 1200 a.C. La loro struttura mostra un notevole progresso tecnico che raggiunge l'apogeo nei magnifici monumenti noti come Tesoro di Atreo e la Tomba di Clitennestra. Recenti ricerche hanno dimostrato che la tomba del tipo a tholos è molto più antica di quanto si supponesse all'inizio. L'esempio più antico che si conosca si trova presso l’attuale centro di Korvphasion in Messenia. La maggior parte della ceramica rinvenutavi appartiene all'ultima fase del ME; si può datare quindi alla prima metà del XVI secolo a.C. Le tombe a tholos si trovano in tutta la Grecia, e in misura minore nelle regioni più lontane dei domini micenei. Ne sono state scavate ben più di cento, ma si pensa che ce ne siano molte di più. Appaiono particolarmente concentrate in Messenia. Non si è ancora raggiunto un pieno accordo sul problema dell'origine della tomba a tholos. Tombe a pianta circolare di vario tipo sono state trovate in quasi tutto il Mediterraneo, anche nelle regioni più lontane, ma non è sempre possibile datarle con certezza. Alcune di quelle che si trovano nella Spagna meridionale sembrano essere molto antiche, poiché risalgono al III millennio a.C. (secondo recenti esami con il radiocarbonio), ma sono molto più piccole delle tholoi greche, e mal conservate. Altre, sempre nella stessa area, si avvicinano di più al tipo miceneo, ma sembrano più tarde e quindi influenzate probabilmente dal modello greco. Molto più vicina alla Grecia, l'isola di Creta aveva una lunga tradizione di tombe circolari, le più antiche delle quali possono essere collocate nel III millennio a.C. Alcune di queste tombe continuarono a restare in uso per molto tempo, fino all'ultima fase del medio elladico, quando appunto i rapporti fra Creta e la Messenia erano particolarmente stretti. Nella costruzione delle tomb e più antiche si usavano piccoli blocchi, non lavorati e scelti per la loro superficie regolare. Lo spessore delle pareti non supera i 91 cm nelle tombe più piccole. La parte inferiore della parete s'innalzava di regola perpendicolarmente al piano, a tamburo, fino a raggiungere circa un quarto dell'altezza stabilita per la tomba. Veniva allora aggiunta la cupola, costruita con un sistema di filari aggettanti, secondo un metodo costruttivo conosciuto da lungo tempo nel Vicino Oriente e a Creta. Per formare la curvatura della volta si faceva aggettare o sporgere ciascun filare della cortina muraria su duello inferiore. L'ultimo filare della volta era formato da un unico blocco di coronamento. Lo spazio compreso fra la superficie esterna della volta e il pozzo circolare in cui si era costruita la tomba veniva poi colmato di terra pressata, e sulla sommità della volta veniva eretto un tumulo. Col progresso della tecnica edilizia furono impiegati blocchi anche più grandi, con la superficie interna accuratamente sagomata per ottenere la curvatura della volta. Nella fase finale di sviluppo furono impiegati blocchi enormi e si raggiunse la perfezione nella cupola del Tesoro di Atreo. Nella costruzione della tomba a tholos si incontrano altri due elementi: la porta d'ingresso e il dromos. La loro evoluzione nel corso dei secoli è esemplificata nel modo migliore nelle nove tholoi di Micene, anche se logicamente questo non vale per tutta la Grecia. Nelle tombe più antiche, costruite con lastre molto piccole, i blocchi dell'architrave della porta d'ingresso sono corti e non hanno quei triangoli di scarico che furono realizzati successivamente con lo scopo di deviare la pressione della sovrastruttura sui pilastri più resistenti del vano della porta. Infatti, nelle tholoi più antiche quasi tutti gli architravi sono crollati. Nel primo periodo non si trovano mai 37 soglie di pietra. Nelle tholoi più recenti, invece, si può notare un progresso della struttura. L'architrave è più lungo e spesso si è conservato grazie allo spazio triangolare vuoto che lo sovrasta e che diminuisce il peso incombente, e gli stipiti della porta sono costruiti con una solida muratura a blocchi squadrati. Appaiono per la prima volta le soglie, formate da blocchi di conglomerato tagliati con la sega. Quella del Tesoro di Atreo è un modello di precisione costruttiva. Infatti, poiché non era possibile che una soglia monolitica coincidesse perfettamente con l'apertura del vano d'ingresso, furono usati due blocchi fra i quali vennero inserite alcune zeppe di poros (un tipo di pietra calcarea) sistemate in modo tale da esercitare sui blocchi una pressione contro gli stipiti della porta. L'evoluzione del dromos o corridoio d'accesso alla tomba si può descrivere in breve. Dapprima il corridoio è tagliato nella roccia e non viene delimitato lateralmente da pareti in muratura. Quando ci si rese conto della loro facilità a crollare, le pareti furono rivestite con pietre grezze. L'ultima fase si riscontra nei magnifici dromoi delle tombe a tholos più recenti, costruiti con blocchi squadrati di conglomerato. La tomba a tholos più recente a Micene è quella detta di Clitennesta, del XIII secolo. In essa confluiscono i risultati di molti secoli di esperienze nel campo dell'architettura. Nel 1952-53 si scoprì un nuoto elemento: in quegli anni Wace mise in luce un bel muro curvilineo, intorno al fianco est della Tomba di Clitennesta. Era un muro di contenimento, in poros, che sorreggeva il cumulo di terra sopra la tholos. Restano inoltre tacce dell'intonaco bianco che rivestiva la sommità del tumulo, un elemento ornamentale insolito e sorprendente. Questa tomba doveva essere perciò quella che Pausania descrive come Tomba di Atreo, capo-stipite della famiglia degli Atridi e padre di Agamennone (l'autore greco era già a conoscenza della tomba più antica che descrisse Fig. 40 – Dromos della Tesoro di Atreo a Micene. come 'tesoro per il fatto che era aperta). D'alta parte, poiché non esiste per queste tholoi una datazione assoluta ma solo relativa, la "Tomba di Clitennesta” potrebbe essere quella di Agamennone e la tholos più antica quella di Atreo, a cui è riferita la tradizione. Non conosciamo molto del rito funebre delle tholoi, giacché quasi tutte erano state saccheggiate fin dall'antichità. Una fortunata eccezione è costituita da una piccola tholos situata nei pressi del palazzo di Nestore a Pilo. La tomba sfuggì miracolosamente al saccheggio, forse in seguito ad un antico crollo della volta (attenuto probabilmente nel XlV secolo), e poi per il fatto di essere passata inosservata nei tempi agitati che seguirono. La tomba, che misura m 5,50 di diametro, conteneva un gran numero di deposizioni (circa 23). Quattro di queste, le più antiche, erano contenute in pithoi (grandi vasi per le provviste); il che rappresenta un'usanza che in Grecia appare sporadicamente nel tardo periodo medio elladico e di solito nei tumuli, ma che invece era comune a Creta in quel tempo. Un defunto era stato seppellito in un vaso a becco di tipo cretese. Le ossa di un alto defunto erano contenute in vaso dello "stile di Palazzo". Lo stesso rito funebre fu forse seguito in una tholos a Kakovatos, circa 65 km più a nord, sulla costa. Vi furono rinvenuti frammenti di diversi vasi dello "stile di Palazzo" e un gran numero di ossa sparse nella tomba. Le altre deposizioni della tomba di Pilo, ad eccezione dell'ultima erano ammucchiate in piccoli pozzetti scavati per l'occasione. Si tratta di un uso comune 38 nelle tombe micenee, perché in ambienti di ridotte dimensioni non esistevano alar alternative se si voleva creare uno spazio sufficiente per le solenni esequie dell'ultimo defunto. Nel nostro caso, l'ultimo seppellimento era stato eseguito deponendo il cadavere disteso nel mezzo della tomba con tutti gli oggetti che gli erano stati cari in vita; un pugnale accanto al fianco sinistro, una freccia fra le gambe, una piccola tazza di bronzo dietro la testa, uno specchio di bronzo sul basso ventre (gli specchi infatti erano diffusi anche fra gli uomini), e un vasetto, forse contenente unguenti, sul fianco. Sul petto erano deposti un punteruolo di bronzo con manico d'avorio e una figurina femminile. Poiché nessun pezzo di ceramica in questa tomba è più tardo del periodo di transizione fra TEII e TEIII (cioè circa 1400 a.C.), questa è una delle più antiche statuette micenee elle si conoscano. La suppellettile funebre della persona deposta nel pithos è piuttosto interessante. Insieme con una delle anfore più antiche, con una decorazione di tradizione medioelladica, vi erano un calderone non molto profondo, una lunga spada e un pugnale, tutti di bronzo; sul fondo del vaso fu trovato un frammento di una foglietta circolare d'oro. Con un altro vaso, anch'esso dipinto nello stile medio elladico, si trovavano quattro lunghe spade, due punte di freccia di selce e un calderone profondo che conteneva alcuni strumenti di bronzo. All'interno del vaso e frammisti con le ossa vi erano parecchi lunghi spilloni di bronzo, forse usati per tenere chiuso il sudario, ed un frammento di un vaso d'argento decorato a sbalzo. II vaso a becco di formas cretese conteneva soltanto una tazza di terracotta del tipo di Vapiò, ma accanto vi erano tre lunghe spade e due pugnali. II quarto vaso dello "stile di Palazzo", e quindi più recente degli altri (XV secolo), conteneva soltanto lo scheletro. Due pozzetti, che contenevano gli scheletri rimossi, erano privi di suppellettili, ma in uno di essi furono rinvenuti sei pugnali e tre frammenti di foglia d'oro che facevano parte di un elegante diadema, peraltro di dimensioni molto più piccole dei magnifici esemplari rinvenuti nelle tombe a fossa di Micene . Molte delle armi trovate in questa tholos si possono raffrontare con quelle delle tombe a fossa. La tomba in effetti fu probabilmente in uso per circa centocinquanta anni. La suppellettile di questa tholos è stata descritta con una certa minuziosità perché è una delle poche giunte fino a noi relativamente intatte. Non si tratta di una tomba ricca, tuttavia ci testimonia lo stato sociale di una famiglia, probabilmente principesca, che viveva in quella regione. 39 Riti funebri: Dei riti funebri che si svolgevano in una tholos alla morte di un personaggio della famiglia regale si può dire ben poco, e anche questo poco è assai ipotetico. La grande tomba a volta doveva essere vista probabilmente in tutto il suo splendore quando veniva aperta per accogliere le prime esequie della famiglia reale. Nel tesoro di Atreo, la processione funebre risaliva lentamente il lungo dromos tra le pareti laterali che si facevano sempre più alte quanto più si penetrava nel cuore della collina. Di fronte, si levava il grande ingresso con la complessa decorazione scolpita dei suoi elementi architettonici e le alte semicolonne ai lati della porta. I due battenti della grande porta di bronzo con le loro borchie dorate dovevano aprirsi verso l'interno per accogliere il corteo e nella debole luce la volta, con le sue fasce orizzontali di bronzo, doveva brillare per i riflessi di mille rosette d'oro. Sul pavimento di terra battuta era stato disteso un tappeto d'oro per accogliere il corpo del re, vestito con i suoi abiti di cerimonia, con il capo cinto dal diadema, con i sigilli del suo potere legati al polso e il suo pugnale preferito al fianco. Intorno a lui venivano deposti i vasi con il cibo, le bottiglie di vino, i vasetti di olio e unguento, e tutto ciò che era necessario al sostentamento e alla cura del suo corpo nell'ultimo viaggio. Vi si aggiungevano anche le armi di guerra: spade, pugnali, lance, il possente scudo a forma di 8, la faretra piena di frecce, e l'arco. Una delle spade ha un ruolo particolare: mentre si pronunciano solenni formule magiche, la sua lama viene piegata, così che il suo spirito sia libero e pronto a combattere Fig. 42 – Deposizioni funerari all’interno di una piccola tholos per il suo signore, nel caso che demoni scoperta presso il palazzo di Nestore a Pilo.. minacciosi gli chiudano il cammino. Si dà quindi il segnale all'uccisione dei cavalli, che hanno trainato il carro con il feretro e che, inquieti per la loro sorte, scalpitano nervosamente nel dromos. Infine si procede, nell'interno, al sacrificio degli arieti e di altri animali. Si accendono fuochi, si arrostiscono gli animali immolati, e tutti prendono parte al banchetto funebre. Alla luce del fuoco che si sta estinguendo i partecipanti alla cerimonia funebre gettano le ultime offerte al defunto, prima di ritirarsi. Quando la grande porta si è richiusa, si può cominciare a murare l'ingresso. Le persone del corteo passano nel dromos, evitando con cura i cadaveri dei cavalli, diligentemente collocati uno di fronte all'altro; si fanno strada in mezzo alle file serrate degli schiavi allineati lungo il dromos, e quando escono nuovamente alla luce, vedono proiettate sui muri del dromos le ombre di altri schiavi e, dietro di loro, cumuli di terra. All'ingresso del lungo corridoio sono stati già messi in opera alcuni grossi blocchi di pietra, e si può ora cominciare ad interrare il dromos. Questo che si è descritto è naturalmente un quadro composito ricostruito con un po' di fantasia, e presenta un rituale che non era seguito in tutti i funerali. Abbiamo, per esempio, una sola testimonianza dell'uccisione dei cavalli nel dromos, portata alla luce durante la ripresa dello scavo ciel dromos di una tomba a tholos, già scavata in passato, nei pressi di Maratona Il secondo seppellimento nella stessa tomba e quelli successivi dovevano essere molto meno solenni. Se la morte era sopravvenuta all'improvviso e nel colmo dell'estate, nemmeno un esercito di schiavi avrebbe fatto in tempo, pur lavorando febbrilmente, a liberare il dromos dalla terra e a smantellare il puro di pietre che chiudeva l'entrata. In questo caso si sterrava in parte il dromos, così da formare una rampa, e si smantellava soltanto la parte superiore del muro che chiudeva l'ingresso. Il corteo poteva così salire la rampa e scendere per mezzo di scale a pioli nella tomba. Poiché l'aria all'interno non doveva essere molto respirabile, si 40 accendevano, probabilmente, dei fuochi e si bruciavano degli aromi per purificarla prima della nuova cerimonia. Per ospitare la nuova sepoltura, i resti di coloro che erano morti in precedenza venivano raccolti insieme e deposti in un sepolcro scavato in fretta vicino alla parete interna della tholos. Durante questi lavori preparatori, che vedevano impegnate tante persone, è probabile che venissero commessi molti piccoli furti, e nessuno avrà protestato se qualche membro della famiglia si riprendeva degli oggetti preziosi che poteva reclamare come propri. Debolezze umane. Se la seconda inumazione non aveva la dignità della prima, le successive dovevano essere ancora più macabre. Oltre al fatto di muoversi con difficoltà per entrare e uscire dalla tomba, c'era sempre meno spazio via via che nuove salme venivano deposte e le precedenti erano messe da parte. Si dovevano scavare nuovi pozzetti, oppure quelli già esistenti venivano riempiti del tutto con l'ultimo scheletro. E’ l’ immagine poco piacevole, che ci offre la piccola tholos di Pilo. I riti funebri ora descritti non venivano celebrati soltanto nelle tombe regali, ma erano comuni a tutte le classi sociali e durarono per tutta l'età micenea. Cambiava solo il tipo di sepoltura. I più poveri non potevano permettersi altro che il semplice tipo di tomba usato dai loro antenati medio-elladici, mentre fra la nobiltà e le classi più abbienti era quasi universalmente diffuso l'uso di seppellire i defunti in tombe a camera. Quest'uso inizia nel TEI, ma un poco prima in Messenia. Secondo alcuni studiosi, questi sepolcri sono copie delle tombe egiziane scavate nella roccia durante il Medio Regno; altri invece, vogliono farli procedere da Creta. In Messenia, alcuni fra i più antichi esempi di tombe a camera sembrano quasi la copia in piccolo di una tholos, poiché riproducono la pianta circolare e perfino la cupola a sezione ogivale. Di solito tuttavia la pianta è approssimativamente quadrata o rettangolare, con gli angoli stondati. Come la tholos, queste tombe sono scavate nel fianco di una collina e vi si accede per mezzo di un corridoio aperto, o dromos, che veniva colmato di terra dopo il Fig. 43 – Sezione delle tombe in grotticella (a proto tholos) della Messenia. seppellimento; la differenza principale, oltre alle dimensioni, consiste nel fatto che le sole parti costruite sono il muro che chiude l'ingresso alla camera e gli eventuali rinforzi delle pareti rocciose. Ad evitare il pericolo che il soffitto crollasse, questo era costruito di solito a quatto spioventi leggermente inclinati, ma questa precauzione spesso non servì a nulla. Le pareti del dromos erano spesso inclinate all'interno cosicché la larghezza del passaggio si restringeva dal basso verso l'alto. Questo stesso schema si ritrova a volte nel vano d'accesso, che somiglia perciò all'ingresso delle tombe egiziane. Il pavimento del dromos scendeva con un leggero pendio verso la camera. Nel TEI e II il dromos è generalmente breve e largo, ha una pendenza piuttosto ripida e talvolta dei gradini. Nel TEIII la pendenza è leggera e il corridoio può essere lungo anche più di 30 metri. Le tombe a camera erano sepolcri di famiglia e quindi, come le tholoi reali, venivano riaperte per ogni successiva inumazione. Il defunto era deposto al centro della tomba, di solito in posizione supina, con la testa talvolta sorretta da un cuscino di pietra. Era sepolto con tutti i suoi abiti addosso, come attesterebbero dei bottoni trovati a volte sullo scheletro. Oltre agli oggetti personali, il corredo funebre comprendeva di solito alcuni vasi, per lo più d'argilla. Quando avveniva la nuova deposizione, il corpo, se lo spazio lo consentiva, veniva spostato verso i margini, ma quando la tomba era piena i suoi primi occupanti venivano deposti entro i 41 pozzetti. Talvolta, quando c'era, si usava come ossario una camera laterale. Occasionalmente le sepolture precendenti venivano relegate in una nicchia aperta nella parete o in un pozzetto scavato nel dromos. Il sistema più radicale consisteva nel ripulire tutta la tomba, gettare le ossa nel dromos e ricominciare da capo. Letture consigliate: - Pierre Demargne, Arte egea, Feltrinelli e Rizzoli, Milano, 1964 e successive riediz. Rizzoli; nuova ediz. con il titolo Arte egea: i primordi dell'arte greca, Corriere della SeraRCS -Quotidiani, Milano, 2005 (introduz. generale alla civiltà micenea) - William Taylour, I Micenei, Il Saggiatore, Milano, 1966; nuova ediz. aggiornata: Giunti, Firenze, 1987 - (a cura di) Gianfranco Maddoli, La civiltà micenea: guida storica e critica, Laterza, Roma-Bari, 1977; nuova ediz. ampliata 1992 - (a cura di) Massimiliano Marazzi, La società micenea, Editori Riuniti, Roma, 1978; nuova ediz. ampliata: Il Bagatto, Roma, 1994 - John Chadwick, Il mondo miceneo, Mondadori, Milano, 1980 - Wolf-Dietrich Niemeier, Nascita e sviluppo del mondo miceneo; - Alexander Uchitel, Preistoria del greco e archivi di palazzo; - Lucia Vagnetti, Espansione e diffusione dei Micenei; questo saggio e i due precedenti in (a cura di) Salvatore Settis, I Greci: storia, cultura, arte, società, Einaudi, Torino, 1997 (vol. II, tomo 1); ripubblicata anche come AA.VV. Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Ediz. de "Il Sole 24 Ore", Milano, 2008 (vedi il vol. 3°) - Louis Godart, Popoli dell'Egeo: civiltà dei palazzi, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo, 2002 - Rodney Castleden, I Micenei e le origini dell'Europa, ECIG, Genova, 2007 42